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Autore: _Clarita_    02/02/2013    2 recensioni
Esistono milioni di luoghi comuni al mondo e a me è stato affibbiato, forse, il più cattivo: chi lascia il proprio fidanzato/compagno è un grandissimo ed irrimediabile stronzo. Inappellabilità della sentenza. Fine pena: mai.
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Il titolo parla da sé: ho seguito un consiglio e ho scritto tutto quello che non posso dire.
1626 parole per uno sfogo personale che voglio condividere perché si dice che, a volte, un estraneo ti capisce meglio di un tuo amico. Non so se sia vero ma io volevo che qualcuno queste parole le leggesse ... forse ora che le ho liberate mi lasceranno in pace.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto quello che non riesci a dire, o che non puoi dire … scrivilo.

Non è farina del mio sacco, credo di averlo letto da qualche parte ma non ricordo dove. Credo, comunque, sia irrilevante sapere di chi è questa specie di consiglio, oggi voglio solo seguirlo e … scrivere!
Scrivo di questo nodo in pieno stomaco che sento.
Scrivo di quella sensazione di fastidio che ho provato sapendo di essere stata “sostituita”. Non sono più la reginetta in carica. Sapevo che sarebbe successo e in fondo, da quando l’ho lasciato, ci speravo anche: per alleviare qualche senso di colpa. Sono la contraddizione fatta persona, questo è un dato appurato ormai ma ero convinta che vedendolo felice lo sarei stata anche io … mi rendo conto di essere stata un po’ ingenua o forse volevo solo che smettesse di rinfacciarmi che soffriva.
Scrivo le mie domande su tutto quell’amore disperato, su tutto quel dolore gridato: sono già finiti? Soprattutto, saranno mai esistiti? Non troverò alcuna risposta certa, sono già rassegnata a questo e forse sarebbe anche meglio che smettessi di pormi certe domande. Ci ho messo un anno e mezzo – e svariate crisi – per disinnamorarmi di lui, lui un po’ meno. Forse. Devo,però, pensare razionalmente: ne sono capace, devo solo ricordare come si fa. In fondo so che era tutto vero. Come veri erano il mio dolore e il mio amore. Non devo dar retta ad animi feriti che millantano il contrario: è solo orgoglio da “maschio – alfa” che grida vendetta.

Esistono milioni di luoghi comuni al mondo e a me è stato affibbiato, forse, il più cattivo: chi lascia il proprio fidanzato/compagno è un grandissimo ed irrimediabile stronzo. Inappellabilità della sentenza. Fine pena: mai.
Beh, da donna ferita l’ho pensato anche io, lo ammetto, ma ora non sento più di poter generalizzare e so che non è possibile fare di tutta l’erba un fascio. 
Non è per pura autodifesa che, ora, mi schiero a favore dei cosiddetti “stronzi”, è solo che adesso li capisco. So cosa si prova a tagliare di netto ogni legame perché non è possibile mettere altre “toppe” ad un rapporto ormai troppo logoro.

Per quanto tiri sai che la coperta è corta.

So cosa significa dire “basta” anche per il mio bene.

Riconosco le mie colpe: tutte, pure qualcuna che non mi spetta, e da loro sto imparando la pazienza, la tolleranza, l’amor proprio e la sincerità con me stessa. Sto imparando ad accettare le mie debolezze e cerco di togliermi la maschera da “donna che non deve chiedere mai”: non mi è stata molto utile finora.
Sto imparando ad ascoltare – ed aspettare – i miei tempi, cercando di seguire anche i miei desideri e non solo quelli degli altri. Devo convivere prima di tutto con me stessa: devo essere serena e non insoddisfatta.
La nostra scintilla si era spenta … ed io non mi sentivo più “a casa”. È, anche questa, una colpa? Ho cercato di riaccendere quella fiamma, di non ascoltare quella vocina che mi diceva “non sei felice” … l’ho ignorata fin quando lei non ha gridato a gran voce.
Fin quando non ha cominciato a far parlare il mio corpo.
Faceva male l’inquietudine che veniva a trovarmi nelle ore che precedevano i nostri appuntamenti. Non avrei mai voluto provarla eppure era sempre lì. E quando cercavo di ignorarla, inquietudine si vendicava mozzandomi il fiato.
Mi afferrava la gola.
Mi pesava sulle pareti del cuore per ricordarmi che da lei non si scappa.
Nemmeno il suo sorriso dolce mi calmava. Nemmeno i suoi “ti amo”.  Anzi non facevano altro che rafforzare la stretta di quella morsa.

Dovevo, forse, vivere con la dipendenza dagli antidepressivi? Perché alla fine, per farmi passare quegli attacchi di panico con cui convivevo da un anno, l’unica soluzione sarebbe stata anestetizzarmi. Come se non lo fossi già abbastanza. Avevo le emozioni addormentate … il mio cuore batteva per inerzia.

Io vivevo per inerzia.

Mi chiedo come abbia potuto non accorgersi di nulla e fare finta che tutto andasse bene. Come ha fatto a non vedere che i miei occhi erano vuoti. Forse non sono riuscita a fargli capire davvero come stavo … è stato comunque troppo comodo accorgersene, e chiedermi scusa per questo, solo per non farsi lasciare.

Dovevo, forse, vivere con qualcuno che programmava la nostra vita insieme, senza chiedermi se ero d’accordo su come l’aveva immaginata? Non mi avrebbe chiesto neanche di che colore volessi le tende della cucina, figuriamoci il resto. E no, non avrei appeso tende verdi e nemmeno mi sarei sbizzarrita ad arredare la sua ca… ehm, la nostra casa con i mobili Ikea che mi piacciono tanto. Mi ero messa l’anima in pace, su questo punto, da tempo.

Ripeteva in continuazione che non mi voleva diversa ma il problema era che mi aveva già cambiata e nemmeno se ne era accorto. Lui era sordo ai miei “non sono felice” e io, cieca a tutto, lasciavo che mi cambiasse. Una cosa l’ho capita solo ora, però: ciò che lui è diventato è anche colpa mia. Se lui ha cambiato me, inevitabilmente io ho cambiato lui … entrambi in negativo. Era quasi un gioco al massacro.
Ripetevo  a me stessa “è un periodo, passerà”, alternando di tanto in tanto “questa volta ha capito, le cose andranno meglio da oggi in poi”. Certo che andavano meglio, per due settimane! Tre settimane a voler essere ottimisti.

Ci abbiamo provato ma non è andata. Abbiamo accumulato troppi errori per riuscire a salvare la nostra vita insieme.

Mi viene anche un po’ da ridere a ripensare che tutto era già scritto nelle carte che mi lesse una cartomante, per gioco e curiosità. Vorrei che me le leggessero di nuovo per sapere cosa ne sarà di me … cosa ne sarà di noi.
Tutto quello che resta, ora, è una parete spoglia.
Una cornice orfana dei nostri sorrisi.
Un letto da disfare pregno ancora del suo profumo.
Una scatola piena di tutti i nostri ricordi … credo li conserverò. Chissà lui cosa ne farà, forse li farà sbranare dal suo cane.

C’è una voce dentro di me che mi ammonisce ogni volta che vorrei lasciar scendere una lacrima per noi.  «L’hai lasciato ed ora ti disperi? Tu non hai diritto di piangere, te la sei cercata! » È vero, me la sono cercata … eppure avrei lo stesso un disperato bisogno di piangere!
Ci ho provato ma mi sono stancata.
Mi dicono: non dartene una colpa, ti sei solo svegliata.

È finita l’anestesia.

La verità è che ho mantenuto una promessa … forse l’unica in tutta la mia vita.
E lui non lo capirà mai. O forse l’ha capito ma non mi darà mai la soddisfazione di farmelo sapere.

Ne prendo atto e vado avanti. Senza pentirmene.
Vado avanti, non voltandomi indietro mai, nemmeno per leggere tutto ciò che scrive … lo fa per ferirmi. Lui è libero di scrivere ciò che vuole ed io sono libera di non leggere. Sono provocazioni … non devo cedervi.
È questo quello che siamo diventati: due animali in gabbia che studiano le loro mosse a colpi di stupide frecciatine.

Devo tener duro come quando faceva intendere che lo avessi tradito … sembrava quasi un vanto per lui essere stato scaricato per un “fremito in mezzo alle gambe”. Magari lo avessi fatto davvero! Sarei una stronza con giusta causa, con almeno una soddisfazione in più e, diciamocelo in sincerità, sotto sotto se lo meritava anche, per tutte le volte che mi ha umiliata davanti alla gente e alla sua famiglia. Nemmeno questo ha mai capito: le sue non erano semplici battute a doppio senso ma vere offese al mio essere donna!  

Mando giù il boccone amaro e continuo per la mia strada.

Riparto da me stessa, dai miei obiettivi e dalle nuove emozioni che sto vivendo, non le cambierei per nulla al mondo e ora mi ci aggrappo con tutta la mia forza.
È tutto normale.
Ho ancora tutto sotto controllo.
Devo solo respirare profondamente e cercare di ricordare quanto stavo male.
Devo ricordare tutti i motivi per cui ho preso tutta la mia vita e l’ho rimescolata come dentro un frullatore.
Fa male vedere il vuoto così da vicino ma sono stata coraggiosa e mi sono buttata senza paracadute … io che soffro anche di vertigini.
Lui poteva essere un porto sicuro per la mia paura di rimanere sola e forse poteva davvero funzionare, bastava rimanere sotto anestesia per un altro po’, invece l’ho lasciato prima di autodistruggerci entrambi. Non è amore anche questo? Credo di sì ma non mi verrà riconosciuto, ne sono certa. Sarà scambiato per egoismo o per codardia.
Devo ricordarmi del peso che si è sciolto dal petto il momento in cui ho chiuso la conversazione ed ho realizzato che era davvero finita. Ho pianto tutte le tue lacrime, ed erano vere checché ne dica lui, ma poi ho respirato di nuovo ed è stato come se risalissi in superficie dopo essere stata in apnea per troppo tempo.

Ricordo com’ero e guardo come sono ora.

Prima e dopo la cura. E so anche il nome della mia “medicina”.

Quella che vivo oggi, forse, è felicità: non avrò mai la certezza che sia per sempre – niente è per sempre - ma voglio guardarla e abbracciarla lasciando che lui abbracci la sua felicità. Vera o finta che sia.

Devo lasciare che le nostre strade si dividano anche se avrei voluto mantenere un rapporto quantomeno civile. Doveva andare così.
Questo piccolo fastidio, come un pizzicore, passerà in fretta. È solo l’eco di un vecchio senso di appartenenza. Pian piano scemerà. Forse un giorno ci guarderemo senza rancore … ma dentro di me sono consapevole che tutto questo è un addio.

Sono fatta di carne ed orgoglio … è solo quello che brucia. Nulla di più. 










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Clarita's post -it 

Poche note perchè tutto quello che c'era da dire l'ho scritto qui e nell'introduzione. 
Queste sono tutte le parole che mi ronzano in testa da giorni e premono per uscire ... le ho liberate, spero mi diano tregua ora. 
Non pretendo abbiano valore ... ne hanno molto per me e questo già mi basta. 
La frase "Per quanto tiri sai che la coperta è corta" non è mia ma di una canzone di L. Ligabue.
PS:Anche se l'ho letta e riletta, se notate qualche errore, scrivetemi (anche in privato se non volete lasciare la recensione). Grazie. 



  
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