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Autore: SAranel    02/02/2013    9 recensioni
John Watson, compagno di avventure e di vita del brillante Sherlock Holmes, non è il solo ad aver ceduto al fascino del misterioso detective. C'è qualcuno, nell'ombra, che trama per prendere il suo posto. Chi sarà?
"Continuavo a maledirmi per essere cascata in quella trappola senza neppure rendermi conto del guaio in cui mi stavo impelagando, ma fatto stava che appena il mio sguardo aveva incrociato quello di Sherlock Holmes, un bellissimo, imbronciato –avrei scoperto solo in seguito quanto odiasse fare la spesa- Consulting Detective, ogni pensiero razionale era andato a farsi benedire."
Genere: Commedia, Parodia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera meraviglioso fandom!
Non ho parole per definire questa storia.
Dirò solo che il sabato mattina mi fa uno strano, stranissimo effetto.
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!

S.

 

 

Don’t forget the milk (or the strange case of the broken heart)
*

 


Ormai, ero decisa ad andare fino in fondo.
Non sarei mai, mai e poi mai finita in un sacchetto della spazzatura senza prima raggiungere lo scopo della mia vita su questa terra, quel brevissimo periodo di tempo che, al contrario di ogni mia aspettativa, stavo trascorrendo per lo più nell’oscurità e tra la pessima compagnia -Mai provato a discutere con una testa umana?- di uno squallido frigorifero.
Continuavo a maledirmi per essere cascata in quella trappola senza neppure rendermi conto del guaio in cui mi stavo impelagando, ma fatto stava che appena il mio sguardo aveva incrociato quello di Sherlock Holmes, un bellissimo, imbronciato –avrei scoperto solo in seguito quanto odiasse fare la spesa- Consulting Detective, ogni pensiero razionale era andato a farsi benedire.
Giù alla centrale mi avevano detto di stare attenta, di tentare di sembrare il più indifferente possibile nei confronti degli esseri umani, e io mi ero detta più di una volta che avrei resistito, che di certo non sarei rimasta affascinata da un uomo dopo aver rifiutato le avances di quel grandissimo pezzo di figo di Moët et Chandon.
Naturalmente non avevo fatto nemmeno in tempo ad arrivare a casa, perdonandogli anche il terribile tragitto a piedi sballottata qua e là insieme ad un maleducatissimo barattolo di fagioli, che già ero perdutamente, inguaribilmente innamorata di quell’uomo. Un colpo di fulmine in tutto e per tutto.
Col tempo, poi, la situazione era soltanto peggiorata.
Di solito era il suo coinquilino a usufruire di me più spesso, una volta per il suo tè, un’altra per la torta al cioccolato preparata appositamente per Sherlock che mi aveva reso fiera di poter essere stata utile, e in un paio di occasioni per la colazione del mattino.
John aveva un tocco gentile per lo meno -probabilmente dovuto alla delicata pratica medica-, nonostante mi trovassi a non sopportarlo a prescindere: lui era l’unico, il solo a cui fosse concessa la possibilità di toccare, sfiorare, baciare Sherlock ogni volta che volesse, senza l’impedimento di essere una sciocca tanica di plastica senza fascino alcuno.
Avevo rischiato di morire d’invidia il giorno in cui avevano deciso di lasciarsi andare ad appassionate effusioni di fronte a me, abbandonata e dimenticata sul tavolo della cucina e costretta ad assistere all’assalto –perché quello era stato, mai visto John tanto atletico- al mio uomo da parte di qualcuno che non ero io.
La vita può essere davvero crudele, a volte.
Man mano che la mia data di scadenza si avvicinava –e io la temevo come non avevo mai temuto nulla in vita mia- cominciai a pensare che non sarei mai e poi mai riuscita nel mio intento di strappare anche solo un bacio al mio amato. Fino a quel momento non mi aveva neppure mai toccato a mani nude, al banco frigo di Tesco aveva usato quegli odiosi guanti scuri, e temevo non avrei mai goduto della sua dolce carezza sulla mia superficie liscia o la stretta dolce delle sue labbra paffute intorno al mio fremente e desideroso beccuccio.
Poi, inaspettatamente –e quasi rischiai di andare a male per l’emozione- la situazione si sbloccò.
Una mattina, mentre ero intenta a sedare un battibecco tra le banane e un sacchetto di dita sanguinolente nel vano frutta, il frigorifero si aprii stranamente di buon ora. Immaginai fosse John, magari alzatosi prima del solito per un turno extra all’ambulatorio, e riuscii a stento a trattenermi dall’esplodere imbrattando l’intera cucina, quando invece vidi Sherlock in piedi davanti al frigo.
Si guardò intorno con sguardo attento, come se stesse selezionando mentalmente –oh, che uomo intelligente!- gli oggetti che gli sarebbero serviti per qualunque cose avesse intenzione di fare. Che volesse semplicemente fare colazione, sballottarmi su e giù come una specie di maracas improvvisata o usarmi per uno dei suoi esperimenti, io avrei accettato di buonissimo grado. Ero talmente cotta e agitata, che sarei potuta diventare panna da un momento all’altro.
Mi sfiorò finalmente con quelle lunghe e affusolate dita da violinista -oh quanto adoravo sentirlo suonare, nonostante la quasi totale insonorizzazione di quel maledetto frigo- e sentii un brivido attraversarmi dal tappo alla base. Rischiai seriamente la vita quando il palmo della sua mano si appiattì contro il mio lato, come se mi stesse davvero intenzionalmente accarezzando. Oh. Sì.
Svitò il mio tappo azzurro e si affrettò ad afferrare il suo microscopio, piazzandolo al solito posto sul tavolo, apprestandosi in seguito a raccogliere qualche strano strumento che non avevo mai visto da uno scaffale della cucina. Poi, con mia somma gioia ed enorme tripudio, toccò a me.
Mi strinse con forza a sé mentre versava qualche goccia del mio contenuto su un vetrino, giocò distrattamente con la mia maniglietta di plastica durante l’osservazione al microscopio, lisciò di nuovo –meraviglia, meraviglia, assoluta meraviglia- il mio dorso come se fossi la sua innamorata e lui mi stesse adorando con un semplice tocco delle mani.
Continuò a farlo ad intervalli regolari e non so davvero quale forza mi trattenne dall’impazzire completamente, squagliandomi su quel tavolo come se mi avessero gettata nel fuoco acceso di un caminetto.
Purtroppo, non durò oltre qualche ora.
John tornò dal lavoro, sempre il solito guastafeste, e naturalmente trovò da ridire sulla confusione in cucina, sul fatto che Sherlock non riordinasse mai dopo aver messo in subbuglio l’intera stanza e tirò in ballo anche me, rimproverandolo del fatto che se mi avesse tenuto ancora un po’ fuori dal frigo avrei rischiato di guastarmi.
Tzk!
Mi rimise in frigo lui, appioppandomi la compagnia di un nuovo arrivato, una viscida e presuntuosa bottiglia di birra Foster’s assolutamente disgustosa. Se solo John avesse perso quel dannato treno della schifosamente puntuale Tube, se una volta uscito dall’ambulatorio fosse stato talmente stanco dal ritirarsi in camera senza nemmeno dare un’occhiata alla cucina, sarei rimasta ancora un po’ in compagnia del mio Sherlock.
Invece no, lui era arrivato e mi aveva costretta a tornare in quell’orrido posto in balia delle spudorate proposte di quella cosa accanto a me. Che razza di palla al piede che era John, certe volte.
Il giorno tanto temuto, alla fine, arrivò inesorabile, e io persi completamente ogni speranza di riuscire nella mia sciocca impresa. Come se non bastasse, ci si mise anche quell’antipatico di William, la testa nel frigo di turno, a mettersi a borbottare sulla stupidità delle mie idee.
“Vorresti che ti sposasse, piccina?” mi prese in giro, sbeffeggiandomi. “Non hai nemmeno un dito dove infilarti un anello. Dove lo fareste il viaggio di nozze poi? Allo smaltimento rifiuti?”.
“Sempre meglio dell’obitorio, comunque” replicai acida, e la sua risatina sarcastica si bloccò come se gli avessero appena mozzato la testa. Insomma, ipoteticamente.
Quando la svolta arrivò, poi, improvvisa come la prima volta, fu il giorno più bello della mia vita.
Il realtà fu John il fautore di tutto –comico come mi spingesse tra le braccia del suo uomo così spudoratamente- e quando mi afferrò con presa salda appoggiandomi poi sul tavolo, non avrei mai creduto che mi avesse tirato fuori dal frigo per poi concedermi a Sherlock.
Fu una sorpresa vederlo arrivare, bellissimo e vestito impeccabilmente con quella camicia viola che mi faceva impazzire, e ancora più sconvolgente fu vederlo rivolgere tutte le sue attenzioni verso di me.
“Quindi devo solo berne un po’?” Sherlock disse impaziente, guardandomi famelico. Mi eccitai terribilmente. “Poi mi darai quello che voglio?”.
Vidi John sorridere, assolutamente deliziato dal fatto che Sherlock fosse così propenso a soddisfare qualunque richiesta lui avesse fatto. Se avessi posseduto un cuore, a quel punto mi sarebbe letteralmente schizzato via dal petto.

“Oh sì, Sherlock. Se proprio non vuoi mangiare, fammi contento almeno così. Poi potrò adeguatamente perdonarti per lo…scherzetto di ieri sera” John sussurrò, tenendomi ancora stretta mentre con l’altra mano accarezzava uno zigomo di Sherlock. Quel gesto mi rese gelosissima, ma tentai di trattenermi.
Il detective sorrise, ed era un sorriso diabolico che non avevo mai visto sul suo viso, come se nell’intera conversazione tra i due ci fosse un sottointeso che non riuscivo a capire. La mia euforia s’incrinò un pochino, a quella prospettiva.
Sherlock si avvicinò e mi strappò con impeto –oh, quanto avevo atteso quel momento!- dalle mani di John, alzando l’altra mano per svitare il grosso tappo. Mi godetti nuovamente, anche se questa volta non c’era delicatezza nei modi ma solo un impetuosa passione, la stretta della sua mano e attesi con trepidazione che quello che avevo tanto aspettato accadesse.
“Non ho mai trovato questa cosa così irresistibilmente affascinante, John” Sherlock disse ancora, indicandomi, e sorvolai sul fatto che mi avesse definita cosa e mi concentrai su quell’irresistibilmente affascinante che rimbombava nel mio cervello –o insomma, in qualunque cosa in me fungesse da cervello- in loop, come una specie di disco rotto. Sentivo la meta avvicinarsi sempre di più, vedevo John allontanarsi a velocità sempre più spedita lasciando spazio a noi due, a quel nuovo amore nascente, al vero sentimento capace di scavalcare ogni diversità.
“Oh, ma quanti complimenti” John ridacchiò, appoggiandosi con i gomiti al tavolo e fissando il suo coinquilino, una volta suo amante. “Sembra quasi che tu lo stia dicendo sinceramente e non per un…secondo fine” lo stuzzicò. Se possibile, la mia leggera antipatia per lui sì’intensificò ai massimi livelli. Come osava dubitare della sincerità dei sentimenti di Sherlock? Di lì a poco, gliel’avremmo dimostrato.
Il mio detective sembrò sbigottito quanto me.
“Uomo di poca fede” rimbrottò John, con aria altezzosa. Finalmente cominciò ad avvicinarsi, pian piano, come in uno di quei film che John guardava alla TV e per i quali Sherlock lo prendeva in giro per giorni, e vidi le sue labbra schiudersi con lentezza esasperante, come se volesse che io mi godessi quel momento in ogni suo attimo. Oh, stava per succedere, ero ad un passo, era fatta! Come avrei voluto che quel presuntuoso di William potesse vedermi!
Finalmente, le sue labbra si poggiarono al mio beccuccio con dolcezza, senza fare troppa pressione ma lasciando che sentissi comunque la sua bocca sulla mia –o insomma…avete capito- il più possibile. Cominciò a trangugiare avidamente il mio contenuto, non avevo mai provato sensazione più bella in tutta la mia vita, e mi sentii decisamente in Paradiso per un momento, quando le sue mani arrivarono alla mia vita –cingendo la mia circonferenza, in altre parole- stringendomi in un appassionato abbraccio focoso. Desiderai che quel momento non avesse mai fine, che lui continuasse a stringermi e che John, l’intero appartamento e quella ficcanaso di Mrs Hudson scomparissero e ci lasciassero soli a vivere il nostro imperituro amore.
Alla fine, con mio sommo rammarico, Sherlock mi lasciò andare.

E del tutto inaspettatamente, non certo come lo avevo immaginato nelle mie fantasie, mi sbatté con violenza sul tavolo, lasciandomi scossa e rintronata per qualche secondo.
Oh, che uomo impetuoso!
Immaginai che presto avremmo ricominciato, che un sentimento così grande non avrebbe certo limitato le nostre effusioni a quel semplice bacio, e non feci in tempo a riprendermi e ad attendere la prossima mossa del mio amato che lo ritrovai a fissarmi con aria disgustata.
“Oh John, e credevo che con le giuste motivazioni sarebbe andata meglio” sbottò, fissando me e poi il dottore, asciugandosi la bocca con una manica della vestaglia. “Anche con la prospettiva del ‘un solo sorso e potrai di nuovo fare sesso con John’ non cambia assolutamente nulla. Il latte non mi piacerà mai”.
Mi sentii come schiacciata da un invisibile pressa, come quelle che c’erano giù in fabbrica per il riciclo bottiglie di plastica. Il mondo mi crollò addosso quando finalmente capii il gioco di colui che avevo creduto ricambiasse finalmente il mio sentimento. Ero servita solo come subdolo mezzo per far sì che il suo amante lo perdonasse, mi aveva usata soltanto per raggiungere il suo scopo, illudendomi e poi tornando tra le braccia del suo dolce, amorevole –ricattatore- John Watson.
Come avevo potuto innamorarmi di un tale orribile manipolatore di sentimenti?
Sperai vivamente che la conversazione non fosse udibile dall’interno del frigo o, altrimenti, appena tornata lì dentro sarei stata costretta a subirmi tutte le prese in giro di quella testa maledetta, i supponenti ‘te l’avevo detto!’ dello scatolo di uova sull’ultimo ripiano e le risatine ironiche del grosso fegato umano chiuso nel tupperware blu piazzato di fronte a me. A quel punto, avrei preferito venir buttata via come una cartaccia qualunque, anche con quel dito e mezzo di latte ancora dentro. Perché ero a lunga conservazione? Non potevo essere un semplice cartone destinato ad una famigliola di cinque o sei persone?
Che mondo.
“Sherlock, sei crudele” John commentò, e io, stranamente, accantonai per un momento il mio mal di vivere e mi soffermai sulla voce del dottore. “Insomma, non ferire i sentimenti di quella povera bottiglia”.
Rimasi semplicemente shockata dal vedermi difesa così accoratamente dal mio più acerrimo nemico. Sherlock sbuffò, alzando le spalle.
“Non sono crudele. Sono obiettivo” Sherlock puntualizzò “Ricordo quando mia madre mi costringeva a berlo caldissimo, per il raffreddore. Orribile” quasi tremò al ricordo. Sentii un moto di rabbia crescere dentro di me facendomi letteralmente ribollire come fossi sopra un fornello. Che mi era passato per la testa? Perché ero stata così cieca da non accorgermi del guaio al quale stavo andando incontro? Magari fossi stata davvero in un pentolino sul fuoco, mi sarei volentieri sacrificata per provocargli una qualche ustione di primo grado su quelle mani di fata.
John ridacchiò e venne verso di me, scuotendo la testa. Forse stava per mettere fine alle mie sofferenze, portandomi a far compagnia alle scatole di take-away cinese gettate il giorno prima, o magari era in procinto di fare di me un innaffiatoio improvvisato per le piante rachitiche –colpa dell’intruglio versatoci dentro da Sherlock qualche giorno prima- del pianerottolo.
Sperai solo che mi togliesse dalla vista di quell’uomo spregevole.
“Invece a me piace” John affermò, prendendo le mie difese ancora una volta. “Anzi, credo proprio che finirò quello che hai lasciato” disse, con tono minaccioso. Non riuscii a credere alle mie –ehm- orecchie.
Sherlock aggrottò le sopracciglia ed emise un grugnito di disapprovazione.
“Poi i tuoi baci sapranno di quella roba” lo accusò, e John scoppiò a ridere.
“Magari lo faccio per questo. Oltre che per risollevare il morale a terra di questa poveretta”.
“John, le tue ripicche sono così infantili.”.
“Oh, detto da te è stranamente comico”.
“Sei esasperante”.
“Mai come te” John mise fine al battibecco sollevandomi dal tavolo dove Sherlock mi aveva malamente sbattuta, con una delicatezza inaspettata. Qualcosa dentro di me si smosse quando mi accorsi di quello che lentamente si stava facendo strada dentro di me, quando mi resi conto di come quell’uomo, fino a quel momento detestato e bollato come mio più ostico avversario, stesse acquistando tutta un’altra immagine ai miei occhi.
Quando la sua bocca si poggiò sui bordi plastificati della mia, una scossa elettrica mi attraversò come se mi avessero appena gettato dentro un paio di cavi scoperti dell’alta tensione. Fu una sensazione cento volte più bella di quella provata con Sherlock, mille volte più intensa e diecimila volte più eccitante. John era così delicato, così premuroso e gentile che mi sentii una stupida ad averlo odiato e temuto per tutto quel tempo senza riconoscere le sue innate qualità.
Quando si staccò e mi posò di nuovo sul tavolo senza gesti bruschi o smorfie disgustate di alcun genere -quasi come fossi un bebè bisognoso di cure e dolcezza-, compresi chiaramente cosa avrei dovuto fare, quale sarebbe dovuto essere il mio nuovo obiettivo da quel momento in avanti.
Avevo sempre, stupidamente, rivolto le mie attenzioni al coinquilino sbagliato.
“Ora che avete finito di amoreggiare, cosa ne diresti di cominciare a farlo con me?” Sherlock esclamò, fingendosi stizzito, con occhi pieni di aspettativa. John ghignò furbamente e fece spallucce, come se concedendogli la propria compagnia stesse compiendo un enorme sacrificio.
“Oh beh, una promessa è una promessa” disse, con un gran sospiro. Sherlock non aspettò ulteriormente e gli afferrò una mano, impaziente, costringendolo a seguirlo in camera loro, quella in cima alle scale che una volta era appartenuta a John.
Li sentii ridere e udii John rimproverarlo, prima che la porta di chiudesse con un rumore fragoroso.
Non m’importava che fossero in quella stanza, insieme, a fare ciò che sapevo avrebbero fatto, ora che avevo scoperto su chi davvero puntare in quell’improbabile coppia.
Dopo aver finalmente capito dove avessi sbagliato fino a quel momento, quale incredibile cantonata avessi preso innamorandomi –o credendomi cotta- di Sherlock, avrei fatto seriamente di tutto, trovando un modo per rimanere ancora a lungo in quell’appartamento, fino a quando sarei riuscita a conquistare finalmente l’uomo perfetto per me.
John non sarebbe sfuggito, nossignore, non avrei mollato l’impresa nemmeno se avessero minacciato di tagliuzzarmi per fare di me qualche soprammobile eco-chic.

Questa volta, avrei raggiunto il mio obiettivo senza tollerare ostacoli sul mio cammino.
Il gioco era cominciato.

***

Mrs. Hudson s’intrufolò di soppiatto nell’appartamento di Sherlock e John, incurante che al suo squillante “cucù!” non avesse ricevuto alcuna risposta. Si guardò intorno, mentre socchiudeva la porta insinuandosi nello spazio appena guadagnato e richiudendola dietro di sé lentamente, per non fare rumore.
Non aveva tecnicamente il diritto di entrare lì dentro a piacimento, i due inquilini avevano certo diritto alla propria privacy, ma nessuna rassicurazione vocale da parte di Sherlock sul fatto che non sarebbero saltati in aria quel giorno, avrebbe potuto davvero convincerla come il constatarlo di persona. Sbirciò in salotto e tirò un sospiro di sollievo nel vederlo sgombro da qualunque macchinario infernale, con un semplice giornale posato sulla poltrona e una tazza di tè dimenticata sul tavolino.
In cucina, per fortuna, fu felicissima di notare che il microscopio fosse ancora riposto nello scatolone all’angolo della stanza, che i piatti fossero sul lavello ad asciugare e che le uniche cose fuori posto fossero una tanica di latte vuota sul tavolo e qualche grossa briciola di biscotto sparsa per il piano sotto la credenza.
“Oh, bravi ragazzi” sussurrò per non farsi sentire, ben conscia di dove i due fossero –erano quasi esclusivamente al piano di sopra negli ultimi tempi- e zampettando in salotto contando sulle sue babbucce antirumore, afferrando la tazza dimenticata per riporla nel lavandino. Pulì i frammenti di digestive dal piano in marmo scuro accanto ai fornelli e, afferrando il sacco scuro della spazzatura, vi gettò dentro il panno sporco e la bottiglia vuota di latte, richiudendola col laccetto giallo.
“Bene bene bene” sussurrò, tra sé e sé. “Se faccio in tempo riesco anche a beccare il camion dello smaltimento rifiuti”.
Uscì dall’appartamento di soppiatto e scese velocemente le scale –o almeno rapidamente quanto il suo fianco gli consentiva- e appena aperta la porta che dava sulla strada, come aveva predetto, si ritrovò davanti il viso gentile di uno degli addetti alla spazzatura. Gli porse il sacco con un sorriso e l’altro lo gettò nel grosso camion, ringraziando la donna e lasciando che questa gongolasse per la sua puntualità e il suo innato senso civico.
Lo guardò poi allontanarsi, con la consapevolezza di aver fatto del bene a tutti, che Sherlock e John avrebbero certamente sorvolato sul fatto che si fosse introdotta in casa loro di soppiatto, quando avrebbero visto la cucina linda e pulita. Fosse mai che si dicesse che Mrs. Hudson lasciasse uno dei suoi appartamenti in uno stato meno che impeccabile.
Soddisfatta, senza poter udire le silenziose maledizioni di qualcuno rinchiuso in un sacco puzzolente d’immondizia, chiuse la porta dietro di sé.

 


*


  
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