Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: berlinene    02/02/2013    7 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Siamo all'ultimo anno e ancora una volta nell'appartamento più amato dopo Casa Vianello abbiamo una nuova guest star... ma chi potrà essere mai? Mah, dal titolo proprio non si capisce...

Piccoli problemi di cuore

 

Perché dei giorni tu sei distante più che mai,
Poi mi prendi per mano e ancora te ne vai,
Perciò mi chiedo e mi richiedo se c'è un posticino
Nel tuo cuore per me.
Sono piccoli problemi di cuore
Nati da un'amicizia che profuma d'amore.

(Piccoli problemi di cuore, di A. Valeri Manera – F. Fasano)

 

 

 

 

"Ma ti insegnano anche la respirazione bocca a bocca?" chiese Ken, osservando imbronciato Yasu che preparava la borsa per uscire.
"Credo di sì".
"Però tu la puoi fare solo a me" ribatté, in tono lamentoso.
"Uhm" fece lei, fingendo di rifletterci su. "Credo che il giuramento di Ippocrate non funzioni proprio così..."
“E tu spiega loro che io senza te non respiro”.
Yasu alzò gli occhi al cielo e poggiò pesantemente la borsa sulla scrivania. “Ken” sospirò. “Finiscila. Vado in centro a Tokyo a seguire delle lezioni di primo soccorso, non parto per la guerra”.
“Ma perché devi andarci tu”.
“Mi serve per fare l’accompagnatrice della squadra e mi fa pure crediti per l’università…”
“Ma non mi piace che te ne vai in giro per il centro da sola, la notte…”
“Amore, le sette di sera non è l’ora dei fantasmi e Tokyo non è il Bronx. Quelli che attraverso sono tutti quartieri tranquilli.”
“Mmm, comunque vorrei accompagnarti”.
“…ma hai l’allenamento.”
“Però potrei venire a prenderti… ce la posso fare.”
“Non credo ci sia un modo per dissuaderti, vero?”
Ken scosse lentamente la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli, i suoi stramaledetti occhi magnetici puntati su di lei.
“E sia” sospirò Yasu, con un pizzico di orgoglio.
 
 
Il viaggio in metropolitana era piuttosto lungo e Yasu si trovò a pensare che tornare in compagnia di Ken, in fondo, sarebbe stato piacevole. Tanto più che al corso sarebbe stata circondata da estranei, probabilmente gente più grande... insomma, sarebbe stata ancora più sola che adesso.
Invece si sbagliava.
Appena entrata nella stanza dove si teneva il corso, vide qualcuno che la salutava. Lei sorrise e si accomodò volentieri vicino a Jun Misugi e Yayoi Aoba.
Il ragazzo la salutò con affetto e ricordò alla sua compagna chi fosse Yasu, dato che si erano incontrate poche volte.
“Vi conoscete piuttosto bene…” osservò Yayoi, stiracchiando un sorriso.
“Sì, ci siamo visti in occasione di alcuni ritiri della Nazionale…”
“Davvero? Ma allora non è vero che le ragazze non possono -”
“Beh…” spiegò Jun, come a giustificarsi. “Suo fratello viene di rado in Giappone e se non venisse a trovarlo al ritiro non si vedrebbero mai…”
“E poi conosco bene Mikami” aggiunse ingenuamente Yasu.
“Beh certo. Il nome Wakabayashi apre molte porte, immagino” sibilò Yayoi, quasi fra sé.
“Bello ritrovarsi qui, comunque” intervenne Jun per smorzare la tensione.
“Vero!” esclamò Yasu. “Che bello che ci siete anche voi! Temevo di annoiarmi da sola!”
“In realtà solo io” precisò Jun. “Yayoi seguirà un corso specifico per Scienze Infermieristiche”.
“Uh!” ribatté Yasu. “Hai le idee chiare, Aoba. Io ho ancora dei dubbi…”
“Già” rispose Yayoi guardandoli un po’ storto. “Mi sono già iscritta all’Università. Io so bene cosa voglio”.
“Be- bene” borbottò Yasu, forzando un sorriso. Le dispiaceva un po’ che Yayoi fosse ostile nei suoi confronti. Le era sempre parsa più simpatica delle altre “manager”, ma era anche abituata all’invidia della gente per la sua famiglia e tutto il resto. Le sfuggì un mezzo sospiro di rassegnazione.
“Io vado” riprese Aoba. “Volevo solo accompagnare Jun e vedere dov’è il posto, devo tornarci domani da sola…”
“Mi dispiace non poterti accompagnare, ma già oggi mi tocca saltare gli esercizi… e poi lo studio…”
“Non c’è problema” lo liquidò.
“Non ti preoccupare” scherzò Yasu per smorzare la tensione. “Ci penso io al tuo fidanzato”.
Jun scoppiò a ridere mentre Yayoi non sembrò apprezzare molto l’ironia e uscì spedita dalla stanza.
Yasu e Jun si scambiarono uno sguardo fra lo stupito e l’imbarazzato.
Poi l’insegnante fece il proprio ingresso e non parlarono più dell’accaduto.
 
Finite le lezioni, si soffermarono sul portone dell’edificio che ospitava il centro di formazione, a parlare un po’ del più e del meno: Jun le raccontò di aver intenzione di iscriversi a Medicina e Yasu gli disse che anche lei era interessata all’area sanitaria, probabilmente come fisioterapista.
“Allora hai fatto bene a seguire questo corso” soggiunse Jun. “Uno dei docenti è il Prof. Fukawa, uno dei migliori insegnanti del corso di fisioterapia dell’Università di Tokyo e un grandissimo esperto di Medicina Riabilitativa... io stesso sono stato suo paziente e, se non vado errato, anche tuo fratello... magari lo hai pure visto, spesso viene ai ritiri della Nazionale.”
“E’ possibile” rispose Yasu pensosa, poi dette una scrollata di spalle. “In realtà… non ho ancora le idee molto chiare su cosa fare dopo la scuola, spero che questo corso mi aiuti”.
“Perché no, un’infarinatura generale ti aiuterà di sicuro a capire cosa... oh! Credo che qualcuno ti stia aspettando” sorrise Jun.
“Ken!” chiamò Yasu, salutandolo col braccio.
Il ragazzo li raggiunse rapido, guardandoli con curiosità.
“Visto chi c’è?” proseguì la ragazza, entusiasta. “Visto? Credevo di annoiarmi al corso, invece non sono sola!”
Ken annuì appena, fissando Jun con aria accigliata. Quindi accennò un inchino mormorando: “Misugi...”
“Wakashimazu...” rispose il baronetto con un sorriso. “Anche io sono molto contento che ci sia Yasuko con me...”
Ken si morse le labbra.
“... sì insomma, Wakabayashi. A chiamarla per cognome mi sembra sempre di parlare di Genzo” spiegò ridendo.
“Non ti preoccupare, Jun, anzi, chiamami pure Yasu.”
“Benissimo, Yasu. Eri da queste parti, Wakashimazu?”.
“No,” s’intromise la ragazza. “Ha voluto a tutti i costi venirmi incontro per riaccompagnarmi al dormitorio, io glielo ho detto che non c’è alcun pericolo ma lui non ha sentito ragioni, anzi, diglielo anche tu, Jun...”
“Assolutamente” rispose Misugi, poggiandole una mano sulla spalla. “Ha fatto bene a venire qui. Se tu fossi la mia ragazza, non ti lascerei mai tornare a casa da sola” concluse, carezzandole il braccio e fissandola con gli affascinanti occhi color nocciola.
Sia Yasu sia Ken spalancarono gli occhi, e abbassarono la testa, mostrandosi improvvisamente attratti dal selciato. Ma prima che uno dei due dicesse qualcosa, il baronetto  incalzò: “Tuttavia, dalla prossima volta non c’è alcun bisogno che tu venga... Yasu la posso riaccompagnare io all’Istituto Toho, tanto i miei vengono a prendermi in macchina. É praticamente di strada...”
“Grazie mille Jun! Mi fai un grandissimo favore, non è vero Ken?”
“Già” disse il portiere, poco convinto.
 
Una settimana dopo
 
Era passata una settimana e quel giorno Yasu avrebbe avuto la seconda lezione, pensò Ken, rincasando per posare i libri e prendere il borsone per l’allenamento. Si stupì nel trovare la ragazza ancora lì. Per un attimo sperò che avesse deciso di non proseguire il corso. “E tu che ci fai?” chiese, in tono vago.
“Non vado in metropolitana, passa a prendermi Jun…”
“Ah…” balbettò Ken, rabbuiandosi, ma cercando di controllare la voce. “E come mai?”
“Beh gli è di strada e poi risparmio…”
“E da quando in qua ti mancano i soldi per l’autobus?” chiese, ironico.
Yasu lo guardò da sopra il libro che stava leggendo seduta sul divano, gli occhi ridotti a fessure. “Risparmio tempo Wakashimazu, ce li ho i soldi per l’autobus, grazie” ringhiò.
Il portiere girò i tacchi stizzito e si avviò verso la propria stanza.
Yasu sospirò, chiuse il libro, lo appoggiò sul divano e seguì Ken. Si fermò sulla soglia della stanza di lui e lo osservò riporre accuratamente i libri.
“Pensavo che saresti stato più tranquillo, così…” sussurrò.
“Certo” ribatté lui senza guardarla e cominciando a togliersi la divisa scolastica per mettere la tuta. “È… meglio così…molto meglio.”
Yasu si avvicinò piano, allungò le mani verso i bottoni della divisa, sostituendo le proprie a quelle del ragazzo e cominciando a slacciarli. “Certo… preferirei che mi accompagnassi tu o magari che restassimo qui…” sussurrò, infilando le mani sotto la camicia per fargliela scivolare lungo le spalle.
 Ken la prese per la vita stringendosela contro il petto nudo e abbassando la testa per baciarla. Le aveva appena sfiorato le labbra, quando qualcuno suonò al campanello.
“Dev’essere Jun” esclamò lei, staccandosi e correndo verso la finestra.  Aprì le imposte, si affacciò per salutarlo e dirgli che scendeva subito.   
Passò davanti al portiere come un razzo, si fermò a prendere la borsa e il giubbotto in camera sua e uscì. Non si affacciò a salutarlo, si limitò a gridare un “ciao” prima di chiudersi il portone alle spalle.
“Ciao” mormorò appena Ken, slacciandosi la cintura con un gesto di stizza.
 
Alcune settimane dopo
 
Ken rientrò in casa rabbrividendo, tossì e fece un paio di starnuti: si era alzato la mattina col naso chiuso e un po’ di mal di gola, e ora, dopo un intero allenamento sotto la pioggia battente, probabilmente aveva persino la febbre. Si tolse i vestiti bagnati, fece una doccia calda e si infilò il pigiama. Guardò l’orologio: Yasu sarebbe rientrata a momenti dal corso, che durava ormai già da alcune settimane. Si mise vicino al calorifero, che casualmente stava proprio sotto la finestra, guardando distrattamente fuori, finché non scorse un ombrello giallo...
 
 
“Eccoci qua” disse Yasu allegra, staccandosi dal braccio di Jun, uscendo da sotto l’ombrello giallo e rifugiandosi sotto la tettoia di fronte al portone della palazzina. Veniva giù una specie di nubifragio e lei, al solito, non aveva l’ombrello. Così Jun, oltre ad accompagnarla in auto fino al cancello del Toho, l’aveva anche scortata fino al portone, per ripararla col proprio.
La ragazza aprì e fece cenno a Misugi di entrare:“Vieni dentro, che mi sembra stia aumentando...”
“Sì, magari aspetto un attimo, ma devo subito andare che mia madre mi aspetta...”
“Non sali un po’?”
“No, grazie...”
“Ma no, grazie a te, davvero, non era necessario...” sorrise la ragazza.
“Figuriamoci, ti saresti bagnata da capo a piedi con questo temporale...”
“Ma va, ci sono abituata... e poi potevo cambiarmi subito...”
“Ho promesso ai tuoi amici di riportarti ogni volta sana, salva e... asciutta”.
Yasu rise poi si girò di scatto sentendo dei passi per le scale. Spalancò gli occhi nel vedere Ken in pigiama. Jun lo salutò con la mano.
“Beh, vieni su?” le chiese, senza tanti convenevoli. Quindi tossì appena.
Yasu lo guardò inarcando il sopracciglio. “Ciao Amore, sì, arrivo subito” gli disse, un po’ risentita. “Che c’è?” fece poi, notando il viso un po’ pallido e l’espressione funerea.
“Ho il naso chiuso, il mal di gola e probabilmente qualche linea di febbre...” mugugnò, la voce nasale per il raffreddore e l’aria di chi sta comunicando una diagnosi nefasta. “Stamattina già non mi sentivo benissimo, poi l’allenamento di oggi pomeriggio sotto la pioggia...” Tossì, come ad avvalorare la dichiarazione.
Yasu si avvicinò con un sospiro, allungando la mano per toccargli la fronte. “Mmmh, certo che allora non dovresti startene per le scale in pigiama, dovresti metterti a letto...”
“Ti aspettavo” mugolò.
“Sono qua” le disse lei in tono dolce, baciandolo su una guancia. “Adesso vengo su a farti del latte caldo col miele, ma poi fili a letto, ok?”
Ken le sussurrò qualcosa all’orecchio, Yasu ridacchiò e rispose “Vedremo...”
 Poi tornò a rivolgersi a Jun, che aveva seguito la scena tenendo lo sguardo basso. “Sicuro che non vuoi venire a prendere una tazza di latte caldo anche tu?” gli propose Yasu, facendogli l’occhiolino.
Il baronetto scosse la testa castana e i capelli un po’ umidi caddero a incorniciargli lo splendido sorriso con cui declinò l’invito. “Mia madre mi aspetta” ripeté. Poi dette uno sguardo fuori. “Ha rallentato. Ne approfitto per tornare alla macchina. E voi salite su che qui fa fresco. Ciao”.
Yasu lo salutò, dando una gomitata a Ken perché facesse altrettanto.
“Vieni, andiamo ad assicurarci che tu superi la notte” ridacchiò Yasu.
“Mi prendi in giro... io sto male e tu mi prendi in giro...”
“Dai, non fare il tragico!”
Appena entrati in casa, Yasu si tolse le scarpe e le calze bagnate e poi si mise ai fornelli.
“Gli altri?”
“Hanno fatto la doccia al campo perché poi hanno tutti lezione fino a tardi. E’ martedì, e di solito approfittavamo di avere l’appartamento tutto per noi... ricordi?”
Di lì a poco, suonò il citofono. Yasu alzò il ricevitore, chiese chi era e poi rispose “Certo, sali”. Qualche attimo dopo, Jun Misugi apparve sulla porta.
“Mia madre aveva un sacco di giri da fare sotto la pioggia e a me non andava per niente... così mi sono chiesto se l’offerta del latte caldo fosse ancora valida...” si giustificò.
Yasu consegnò una tazza a Ken, avvisandolo che era bollente, poi sorrise a Jun: “Certo, anzi, rilancio con della cioccolata calda... ti va?”
Ken ebbe un sussulto e per poco non sputò tutto a terra.
Yasu lo guardò preoccupata: “Te l’avevo detto che era caldo... o forse non è buono?”
Il portiere scosse la testa e continuò a sorseggiare il suo latte, fissandoli torvo.
Seguì con lo sguardo tutti i movimenti della sua ragazza, mentre scioglieva con attenzione la cioccolata nel pentolino del latte. L’odore della bevanda gli stuzzicava le narici, ricordandogli molti momenti piacevoli della loro storia.
Vederla che la preparava con tutti i crismi e la porgeva a Misugi avvisandolo che scottava, lo mandava in bestia.
Un paio di starnuti e un accesso di tosse completarono il quadro.
Quando alzò gli occhi e vide lo sguardo preoccupato di Yasu, tuttavia, si rincuorò. Fissandola, le porse la tazza vuota.
“Vorrei anche io un po’ di cioccolata” pigolò.
“Ecco cos’era quella faccia” rise la ragazza. “Hai la gola infiammata, amore, ti fa male... vuoi altro latte?”
“No” rispose imbronciato.
“Allora fila a letto e misurati la febbre”.
“Tu non vieni?”
Yasu lo fulminò con lo sguardo... sembrava che quel raffreddore gli avesse fatto dimenticare anche le norme basilari dell’educazione. “Finisco la cioccolata con Jun e poi arrivo, ok?” sibilò.
“Non badate a me, mi metto alla TV e aspetto che mia madre…” intervenne Misugi, imbarazzato.
“Ma figurati, Jun. Tu sei nostro ospite e lui… non è un bambino piccolo…” sussurrò Yasu, mentre Ken ciabattava mogio verso la propria camera.
Dopo qualche minuto tornò, con in mano un plaid e il termometro e raggiunse gli altri due, che si erano accomodati in salotto e parlavano, a quanto pareva, di ristoranti. Misugi s’ interruppe non appena vide sopraggiungere Ken e gli sorrise, cordiale come sempre.
“Dopo il latte mi sento meglio, sto un po’ qui con voi” dichiarò, sedendosi vicino a Yasu, in mezzo ai due.
“Hai proprio deciso di mischiarcela, l’influenza, eh?” esclamò Yasu, un po’ seccata da quello strano comportamento così infantile.
“Non ho l’influenza, ho preso freddo…” precisò.
Yasu allungò una mano per sentirgli la fronte. “Ti sei misurato la febbre?”
“No” rispose, guardandola con due occhioni lucidi che avrebbero sciolto una montagna e porgendole il termometro.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, slacciò i primi bottoni del pigiama e sistemò con cura il termometro sotto l’ascella, quindi prese il braccio di Ken, glielo piegò sul ventre, gli sistemò il plaid e infine vi pose la propria mano, appoggiandosi appena contro la sua spalla.
“Di cosa stavate parlando?” chiese il portiere, come fosse improvvisamente in vena di conversazione.
“Niente di speciale” rispose Jun, pacato, ma a Ken non sfuggi lo sguardo che passò fra lui e Yasu.
In realtà non poteva sapere che Jun e Yasu stavano organizzando un’uscita a quattro, ma per Ken e Yayoi sarebbe dovuta essere una sorpresa e lui era arrivato proprio mentre decidevano i dettagli.
La chiave girò nella toppa e Sorimachi e Sawada fecero il loro ingresso nell’appartamento.
Rimasero un attimo confusi di fronte a quella scena: Ken pallido e avvolto nel plaid, Yasu vicino a lui che lo guardava con apprensione e Jun Misugi seduto un metro più in là.
Kazuki osservò la scena e un sorriso beffardo gli increspò le labbra: “Cos’è, la succursale dell’ospedale?”
Yasu e Takeshi gli lanciarono uno sguardo infuocato, grattandosi la testa imbarazzati, cercando di fargli capire che non era il caso di fare certe battute in presenza di Misugi.
Ma, a sorpresa, fu proprio il baronetto a scoppiare a ridere per primo, alzandosi per salutare i nuovi arrivati. “Già,” esordì, continuando a ridere. “E per una volta non sono io quello messo peggio…”
Yasu sorrise a sua volta, guardando Jun con malcelata ammirazione: sapeva uscire da ogni situazione con la stessa eleganza con cui, in campo, dribblava anche il difensore più tenace.
 “Che piacere vederti, Jun” lo salutò Sawada, solare come sempre.
“E ancora di più vederti in forma” aggiunse Sorimachi, con un sorriso sincero.
“Il piacere è mio”.
“E tu, Ken? Come stai?” chiese poi Takeshi.
“Vediamo subito” rispose Yasu, andando recuperare il termometro. Lo guardò con aria seria: “Amore…” sussurrò.
“Che c’è?”
“Hai oltre trentotto di febbre. FILA IN CAMERA.”
“Wakashimazu, ti prego, non preoccuparti di me,” intervenne Jun, pensando che il ragazzo rimanesse in salotto per dovere di ospitalità. “Yasu ha assolutamente ragione devi riguardarti… e credo anche che dovrebbe accompagnarti di là e starti vicina...” concluse, appoggiando una mano sulla spalla della ragazza e facendole l’occhiolino.
“Jun…” mormorò lei, guardandolo, dispiaciuta.
“Starò benissimo qui con Sawada e Sorimachi… Ha bisogno di te…” sussurrò, accennando al portiere.
“Credo di sì…” mormorò lei, abbassando lo sguardo. Quindi si alzò in piedi e aiutò Ken a fare lo stesso. Il portiere vacillò un po’ e Misugi fu svelto a sostenerlo. “Hai bisogno di aiuto?” chiese, serio.
“Ce la faccio” rispose Wakashimazu, brusco.
“Ken!” lo rimproverò Yasu. “Vabbè che stai male ma non è un buon motivo-”
La mano di Misugi le si posò di nuovo sul braccio: “Va benissimo…”
 
Sorimachi osservò con gli occhi ridotti a fessure le dita del baronetto che scivolavano lungo il braccio di Yasu e il suo sguardo, che seguì brevemente la coppia mentre si allontanava lungo il corridoio, per poi abbassarsi e tornare a rivolgersi a lui e Sawada.
“Approfitto un po’ di casa vostra mentre mia madre si dà allo shopping nonostante il diluvio” sorrise Jun, come per giustificare la sua presenza.
“Figurati” rispose Kazuki in tono neutro, con un’indolente alzata di spalle. Ma continuò a osservare l’ospite, mentre tutti e tre si riaccomodavano sul divano.
“Come va il campionato?” proseguì Misugi, con l’evidente scopo di fare conversazione.
“Senza di te le eliminatorie provinciali sono una passeggiata” sorrise Sawada.
Sorimachi continuava a osservare Jun. Per quanto fatta con le migliori intenzioni e sicuramente meno diretta della sua gaffe di poco prima, l’uscita di Takeshi poteva non suonare troppo educata. Come continuare a girare il dito nella piaga. Ma Jun non perse la sua espressione serafica e rispose:
“Beh siete anche una gran bella squadra. Vi siete meritati su tutta la linea di vincere il campionato nazionale, negli ultimi anni…”
“Ma va, lo sappiamo che parteggi per la Nankatsu” incalzò Kazuki.
Jun sospirò. “Lo ammetto, in generale preferisco il loro tipo di gioco rispetto al vostro ma… visto che i campioni siete voi evidentemente ci sbagliamo” rise.
Takeshi si lasciò andare contro lo schienale del divano. Era noto a tutti che lui ammirava molto lo stile di Misugi e Misaki. Si morse le labbra, guardandosi un po’ in giro, come ad assicurarsi che Hyuga non fosse a portata di voce e poi azzardò: “In effetti è un peccato. La Nankatsu ha così tanti ottimi elementi… ma manca un leader, quali potevano essere Oozora o Wakabayashi. Quello che sei… eri… tu per la Musashi…” concluse, imbarazzato.
“Sono alchimie un po’ imprevedibili…” proseguì Misugi, continuando a glissare sulla sua situazione. “Insomma… Hyuga è un gran giocatore, ma un capitano ben diverso da gente come me, Tsubasa, Wakabayashi o Matsuyama… Eppure il vostro gioco funziona. E come diceva il mio allenatore, chi fa goal ha sempre ragione…”
Fece una pausa e tutti e tre si scambiarono sguardi divertiti.
“Tuttavia” riprese il baronetto, con la voce che vibrava di emozione. “Non ho ancora rinunciato a far valere la mia idea di calcio…” Si interruppe come se avesse detto troppo, imbarazzato di fronte gli sguardi interrogativi dei due.“Diciamo che è… una sorpresa, ecco” raffazzonò.
“Che sorpresa? Adoro le sorprese!” trillò Yasu, sbucando dal corridoio.
“Al contrario di tuo fratello!” esclamarono in coro Sawada e Sorimachi.
Jun li guardò divertito e Yasu sorrise a sua volta. “Take-chan, Kazu-chan, cioccolata?”
I due annuirono convinti e, dopo aver trafficato un po’ in cucina la ragazza tornò con due tazze e un sacchetto di biscotti.
“Hyuga?” chiese, sedendosi.
“Il prof di matematica lo ha trattenuto per fare qualche esercizio extra” ridacchiò Kazuki.
“Sai che novità” ribatté la ragazza, alzando gli occhi al cielo, non riuscendo a sua volta a trattenere un sorrisetto sghembo.
“Uh, Yasu” esclamò all’improvviso Takeshi. “Hai mica visto i miei parastinchi?”
“Non chiedermi perché, ma sono in camera di Ken… li ho visti prima. Li recuperiamo dopo, ora è meglio lasciarlo riposare... A proposito, ti chiedo scusa per lui, Jun, quando è malato regredisce al secondo anno di asilo” sospirò, suscitando l’ilarità degli altri.
Sorimachi aggiunse alla sua lista la familiarità con cui Yasu e Misugi si chiamavano per nome.
“Ah, Kazuki” soggiunse poi la ragazza. “L’hai fatta, vero, la relazione per l’esperimento di chimica? È per domani, ricordi?”.
Dal modo in cui il numero nove impallidì, fu chiaro che non se n’era ricordato affatto. “Uff, finisco la cioccolata e vado… ma… non è che potresti darmi la tua?”
“Ce l’hai già sulla scrivania… ma vedi di farti furbo a copiare, o ci dividono il voto a metà come l’altra volta…”
Jun rise di nuovo di gusto. “Non ci si annoia mai qui, eh? E se non avessero te che fai loro da mammina mi sa che andrebbe tutto a rotoli. Non è che il merito delle vittorie al campionato nazionale in fondo è tuo?”
“Ma no!” si schernì Yasu. “Al massimo si presenterebbero in campo senza qualche pezzo! Ma vincerebbero comunque!” aggiunse, dando il cinque a Takeshi.
Jun guardò l’orologio e poi dette un’occhiata fuori dalla finestra. “Mia madre dovrebbe arrivare a momenti… e ha persino smesso di piovere. Vado ad aspettarla al cancello” disse alzandosi dal divano. “Grazie della squisita ospitalità… e della squisitissima cioccolata” aggiunse facendo l’occhiolino a Yasu, che si era alzata a sua volta per accompagnarlo alla porta.
Sorimachi li osservò parlottare sulla soglia.
“Allora ci vediamo martedì prossimo, vengo a prenderti come sempre” sussurrò il baronetto, guardandola fissa negli occhi. “Ah, ti ricordo che giovedì non ci sono… quindi se magari vuoi dirlo a Wakashimazu…”
“Vabbè, bisogna ancora vedere se facciamo mercoledì o giovedì… E comunque non importa. Non è necessario che gli dica sempre tutto…” rispose lei. “Ciao” aggiunse poi, in un sussurro carezzandogli un braccio.
A Yasu piaceva il modo fisico che aveva Jun di rapportarsi alle persone: era insolito per un giapponese, ma più vicino all’educazione occidentale che aveva ricevuto da piccola.
“Cosa devi fare giovedì?” le chiese a bruciapelo Sorimachi, non appena ebbe chiuso la porta.
“Ma perché non pensi a quello che devi fare tu ora? Tipo la relazione di chimica?” ribatté, stizzita. “E comunque forse abbiamo delle esercitazioni per il corso, ma non si sa ancora quale giorno” aggiunse.
“Non è che mi importi di quello che fai con Misugi” precisò Sorimachi, ponendo l’accento su quel nome. “È solo che giovedì prossimo abbiamo quell’amichevole…”
Yasu si batté la fronte con la mano. “Giusto!”
“A quanto pare ogni tanto ti scordi qualche pezzo anche tu, mammina” scandì, passandole vicino e poi dirigendosi nella propria stanza.
 
Una settimana dopo
 
“Oggi sei stato veramente grandioso Ken, sono contento che ti sei ripreso dalla febbre” disse Kojiro, dando una poderosa pacca sulla spalla sinistra dell’amico. “Dopodomani sono sicuro che non ti farai fare neanche un goal!”
“Urgh, non se continui a darmi quelle pacche, su quella spalla, capitano. Eheh”.
“Ma Yasu c’è all’amichevole?” s’intromise Sorimachi.
“Perché non dovrebbe esserci?” chiese il portiere, rabbuiandosi. Era già dispiaciuto che non lo avesse visto all’opera oggi: gli piaceva così tanto il modo in cui commentava le sue parate, notava sempre dei particolari che ai più sfuggivano.
“Non lo so, eh, ma la scorsa settimana l’ho sentita che fissava qualcosa con Jun Misugi…” buttò lì, spiando la reazione di Wakashimazu, la cui espressione si fece, prevedibilmente, ancora più tetra.
Forse hanno le esercitazioni per il corso che seguono insieme” intervenne Sawada. “Ha detto così.”
“Non mi ha detto niente…” balbettò Ken.
“Sì, beh, quando Misugi ha suggerito di avvertirti, lei ha risposto che non è necessario dirti sempre tutto...”
 
****
“Menomale che le esercitazioni sono domani, così giovedì posso… Jun? Ma mi stai ascoltando? Si può sapere cosa c’hai oggi?” chiese Yasu, ridacchiando. Il corso era appena finito e tutti i loro compagni stavano lasciando l’aula.
“Perché?”
“A parte che avrai ascoltato metà lezione, hai la testa altrove, sembri… euforico” lo guardò di sottecchi. “Aspetta… hai detto che dopodomani non puoi venire a lezione… Uhhh! Scommetto che hai qualche programmino interessante con Aoba…” ghignò, dandogli dei colpetti col gomito.
“Ma cosa vai a pensare!” Jun arrossì vistosamente. “È che-” Pareva che stesse per vuotare il sacco, quando uno strano suono li interruppe.
Yasu guardò perplessa Jun tirare fuori uno strano oggetto, premere con le dita tremanti dei tasti e poi portarselo all’orecchio, dicendo “Pronto, Misugi Jun”. Era emozionato.
La ragazza intuì che fosse un telefono cellulare*… gliene aveva parlato Genzo.
“Ok, è confermato…” disse Misugi con un mezzo sorriso. “Ma non potrebbe dirmi... Certo, certo, capisco. Certo domani alle 14, no va bene,  arrivederci.”
Ma dalla voce e dall’espressione di Jun, avresti giurato che, qualunque cosa fosse, non andava per niente bene.
Senza neanche alzare la testa, Jun premette alcuni tasti.
“Ciao Yayoi. Sì, mi hanno chiamato ma… l’appuntamento è rimandato. No, non c’è nessun problema… era per questo che oggi dovevano chiamare, no? Per confermare… beh, non lo hanno fatto. Sì, mi richiamano nei prossimi giorni… No, Yayoi, non possiamo vederci lo stesso, ne approfitto per studiare. Sì, sono al corso. Sì, c’è anche Wakabayashi” alzò gli occhi, come ricordandosi solo in quel momento di non essere solo, “sì, certo, lei… Sì, anche io, ciao”.
Per tutto il tempo della conversazione aveva mantenuto un tono neutro e controllato, in chiaro contrasto con l’espressione evidentemente preoccupata che aveva in volto.
E, altrettanto evidentemente, aveva appena mentito alla sua ragazza. Yasu distolse lo sguardo, mordendosi le labbra.
Jun infilò tremante il cellulare in tasca, si appoggiò con entrambe le mani sul banco, il respiro affannato.
“Kamisama, Jun, che hai? Stai male?”
Misugi si alzò lentamente e le mise le mani sulle spalle.
Poi, all’improvviso, la strinse fra le braccia. “Oh, Yasu… ho tanta paura”.
La ragazza si irrigidì un attimo, poi ricambiò l’abbraccio, carezzandogli la schiena, che si alzava e abbassava al ritmo del respiro affannato. Restarono così per un po’, nell’aula vuota del centro di formazione.
“Scusa” balbettò lui, staccandosi di colpo.
“Non è niente” rispose lei, con un mezzo sorriso. “Ti va di parlare? Vieni, c’è un bar qua di fronte.”
Jun annuì appena e aggiunse che avrebbe detto alla madre di venirli a prendere fra un’oretta.
 
Si sedettero e ordinarono.
Jun era pensieroso, come se cercasse di riordinare le idee. Quando fu loro portato da bere, tirò fuori il portafoglio e pagò per entrambi, fermando Yasu con un gesto.
Appena la cameriera si fu allontanata, iniziò a parlare.
“Forse saprai che in questi anni in cui non ho giocato, mi sono sottoposto a un rigoso programma riabilitativo, che sembrava procedere per il meglio…” sospirò. “Domani ho un’importante visita, durante la quale mi daranno i risultati di una serie di test e mi diranno, in buona sostanza, se posso o meno riprendere a giocare…”
Yasu trasalì e spalancò gli occhi: “Sarebbe meraviglioso! Era questa la sorpresa?”
“Sì… ero così entusiasta… ero convinto che tutto sarebbe andato per il meglio…”
Yasu aggrottò la fronte: dalla telefonata non le era parso di capire che gli avessero già dato una risposta. “Invece?” lo incoraggiò.
“Oggi dovevano chiamarmi per confermarmi la visita di giovedì. Tsk, mi sono anche fatto dare il cellulare da mio padre per essere sicuro di rispondere…”.
“E cosa ti hanno detto?”
“Che la visita è confermata… solo che quando ho chiesto qualche informazione in più mi hanno detto che era meglio parlarne di persona… e il tizio sembrava molto titubante... come se, per qualche motivo, non volesse dirmi di più…”
Yasu si lasciò andare contro la spalliera della sedia, le braccia incrociate e un’espressione un po’ ironica stampata sul volto, che ricordava tantissimo suo fratello. “Tutto qua?”
Jun rimase basito. Yasu era sempre così paziente e comprensiva… quell’aria di sufficienza di fronte a una cosa che per lui era vitale lo offese. “Beh, sì” rispose un po’ stizzito.
“Perdonami, Jun, ma mi sembra che ti stai perdendo in un bicchier d’acqua. Non ti hanno detto nulla perché magari per telefono non possono. O quello che chiama è solo un impiegato che non ne sa niente… forse è stato un po’ troppo sibillino, ma credo che sia presto per temere il peggio.” La ragazza si allungò sul tavolo, appoggiando la propria mano sulla sua. “Hai avuto così tanta tenacia, non mollare ora, capitano…” disse, guardandolo con quei suoi intensi occhi color caramello. Se un attimo prima aveva ragionato con la fredda e inattaccabile lucidità tipica del suo gemello, ora era di nuovo lei: sorridente, con quell’espressione schietta che ispira fiducia.
“Immagino tu abbia ragione… ma ora che sono a un passo…”
“Lo capisco” disse, stringendogli appena le dita fra le sue. “Hai investito tutte le tue energie in questa cosa e… Jun, vorrei tanto dirti che andrà tutto bene, ma bisogna avere ancora un attimo di pazienza”.
Ritirò la mano e prese qualche sorso di bibita. “Quindi hai mentito a Yayoi” disse, guardandolo dritto negli occhi. “Male, ma le hai mentito.”
Jun distolse rapido lo sguardo, annuendo.
“Lei ti è sempre stata vicino, non se lo merita” rintuzzò Yasu.
“Se la risposta fosse negativa… non vorrei che fosse lì. Ha già sofferto troppo per me.”
“Non la conosco benissimo, ma ci metto la mano sul fuoco che in qualunque caso lei vorrebbe essere lì.”
“Allora diciamo che sarei io a non sopportare di vederla di nuovo piangere per me. O forse non voglio che veda la mia reazione…”.
Yasu sospirò. “E quindi andrai da solo?”
“Sì, anche ai miei lo dirò dopo”.
Entrambi tacquero, sorseggiando in silenzio le loro bevute, senza sentirne davvero il sapore.
“E perché lo stai dicendo a me?” chiese Yasu all’improvviso.
Misugi scosse la testa e scrollò le spalle. “Non so cosa mi sia preso, di solito io non... probabilmente avevo bisogno di parlarne con qualcuno e tu ti sei trovata nel posto giusto al momento giusto, o forse dovrei dire sbagliato” sorrise, amaro. “E poi sei…”
“…una con cui si parla bene, sì lo so… Forse dovrei fare la psicologa invece che la fisioterapista, che dici?”
Jun rise. “Volevo dire che sei un’ottima amica, ecco”.
“Comunque se proprio insisti, ok ti accompagno.”
“Che cosa?”
“Verrò con te alla visita dopodomani… sennò che razza di ottima amica sarei, scusa?”
“Ma no, figurati… il Toho ha la partita, devi…”
“Se ho ben capito la visita è alle 14, mentre la partita è alle 18. Posso farcela.”
“Ti ringrazio, ma ti ho già detto che voglio andarci da solo”.
Yasu sorrise, svuotò il bicchiere che aveva davanti e poi disse: “Se volevi davvero andare da solo, Jun Misugi, non mi avresti raccontato tutto.” Dette uno sguardo fuori. “Andiamo, è arrivata tua madre.”
 
****
Yayoi Aoba rimase un attimo con la cornetta in mano, come se quel tu-tu-tu dovesse ancora dirle qualcosa. “Forse tu-tu-tu sei una stupida” soffiò tra i denti, rimettendola giù con un gesto rabbioso. Conosceva Jun da tanti anni e sentiva che, stavolta, c’era qualcosa di diverso.
Jun, il suo Jun, sempre così gentile, trasparente e sincero le stava nascondendo qualcosa.
E, guarda caso, c’era di mezzo lei.
Si fermò a contemplare la propria immagine nello specchio: i lunghi capelli lisci e ramati, i grandi occhi scuri dal taglio elegante, la pelle color porcellana. Fece scorrere le mani ai lati del corpo, esile ma con le sue curvette al punto giusto.
Quella non era meglio di lei. Sì, insomma… non era male, se ti piace il tipo: alta, muscolosa e con un fisico invidiabile ma… bah, de gustibus: a lei non piaceva neppure il suo tanto decantato fratello!
Solo che Yasu aveva quel modo di fare coi maschi che… Yayoi non se lo sapeva spiegare. Lei stessa aveva sempre avuto un discreto successo coi ragazzi, in modo diverso… spesso la squadravano, le facevano avances e apprezzamenti. Invece con Yasu ridevano e si davano pacche sulle spalle.
Sentiva qualcosa attanagliarle le viscere al pensiero di Jun che passava a prenderla e riportarla per quello stramaledettissimo corso, di loro due che parlavano e ridevano, dandosi quelle cavolo di pacche sulle spalle…
E poi continuava a ronzarle in testa quella frase che le aveva detto il primo giorno del corso. “Ci penso io al tuo fidanzato”. Una battuta, certo… ma cosa ci si può aspettare da una abituata ad avere tutto?
 “Sei proprio stupida” ripeté, snervata, alla sua immagine riflessa.
Quello che pensava non aveva senso, non facevano niente di male e, a quanto sapeva, anche Yasu era fidanzata.
Scrollò la testa come a volersi liberare di quei pensieri illogici e, con un sospiro, tornò in camera propria a studiare.
 
Giovedì.
 
“Come sarebbe a dire che non vieni in mensa?” chiese Ken, gli occhi ridotti a fessure, mentre, mano nella mano, uscivano da lezione.
“Ho un impegno e devo andare anche dal preside a farmi firmare il permesso per uscire”.
“Ancora? Certo solo a te fanno fare quello che vuoi. Ma quanto paga tuo padre-”
“Smettila! È per il corso, la scuola mi ha autorizzato a farlo e quindi mi fanno uscire ogni volta che ne ho bisogno…”
“Ma ce l’ hai anche oggi? Non doveva essere mercoledì oppure giovedì?”.
“Ieri non abbiamo finito.” Yasu odiava mentire, soprattutto a Ken, ma Jun le aveva chiesto di mantenere il segreto. Questione di qualche ora, poi si sarebbe liberata di quel peso.
“E a che ora torni?”
“In tempo per la partita, rilassati. Dobbiamo solo finire delle cose, in cinque ore dovrei farcela, non ti pare?” sbuffò.
“Ti accompagna Misugi?”
“Ma che cazzo è, Wakashimazu, un interrogatorio? Ci manca solo che mi pianti una luce in faccia.” Sospirò. “Comunque no, lui oggi non c’è e vado coi mezzi.”
“E ce la fai a tornare per le sei?”
“Kamisama, che ansia, Ken! Mica devo giocare!”
“Questo vuol dire che non credi di arrivare in tempo…”
Yasu inspirò a fondo, passandosi una mano sul viso. “Vuol dire solo” scandì, controllando la voce, “che nel remoto caso in cui arrivassi con qualche minuto di ritardo nessuno se ne accorgerebbe.”
“Io sì. Sai che prima della partita…”
Yasu si fermò e lo tirò per la mano che stringeva nella sua, costringendolo a voltarsi. Gli fece cenno di chinare la testa e, quando Ken lo fece, lei si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Sentì le braccia del portiere stringerla e sollevarla appena, mentre il bacio si faceva più profondo. Yasu ricambiò volentieri, ma un po’ stupita: Ken non era solito lasciarsi andare a certe effusioni così, all’aperto, in mezzo al campus. C’erano voluti mesi solo per convincerlo che camminare tenendosi per mano non era poi così disdicevole.
La abbracciava forte, come se non volesse lasciarla andare. Yasu fece una leggera pressione sui suoi pettorali per scostarlo da sé. “Può valere come bacio pre-partita?” sussurrò, cingendogli il collo con le braccia e schioccandogli un altro bacio sulla guancia. “Sarai perfetto, lo so. Loro sono delle schiappe e tu sei il mio gattino, pronto, agilissimo... e coccolone” concluse allegra, carezzandogli il viso.
“Il tuo... per sempre?” chiese, guardandola con aria seria.
“Certo Ken, io... per tutto il tempo che lo vorremo” disse con un brivido.
Ken era sempre tanto sicuro riguardo la loro storia.  Lei ne era strafelice , adorava il suo ragazzo, ma si sentiva così giovane, sentiva che molte cose dovevano ancora succedere, e, sebbene lo sperasse con tutto il cuore, non le pareva giusto promettere che sarebbero stati insieme per sempre. Non le sembrava intellettualmente onesto.
D’altra parte, Ken era sicuro di quello che voleva: diventare un calciatore professionista, sposare Yasu e darle la famiglia che non aveva mai avuto e poi, un giorno, riprendere le redini del dojo. Lei sembrava sempre un po’ spaventata di fronte a tanta sicurezza, ma, in generale, Ken conosceva il suo punto di vista e lo capiva, e sapeva che i suoi non erano dubbi, solo paura che quei progetti potessero non realizzarsi.
In quel momento, però, quelle parole suonarono nella testa del portiere come un altro campanello di allarme. Ormai era talmente sicuro che ci fosse qualcosa fra Yasu e Misugi, che nemmeno il dolcissimo “Ti amo, Ke-chan” con cui la ragazza lo salutò riuscì a dissuaderlo.
Né da quel pensiero, né dall’idea che gli era balenata in testa.
Dopo aver chiesto il permesso ai legittimi proprietari e averli rassicurati che sarebbe tornato in tempo per la partita, Ken andò nell’appartamento e prese una giacca di pelle di Hyuga, un berretto di Kazuki e gli occhiali da sole di Takeshi. Indossò la giacca in modo che gli coprisse i capelli e nascose il viso dietro gli occhiali e si calcò in testa il cappello. Uscì di nascosto dalla scuola attraverso un ben noto buco nella recinzione e aspettò di veder passare Yasu.
Quando la vide scendere le scale per prendere la metro, iniziò a seguirla.
Per fortuna la ragazza, una volta sul treno, si mise a leggere un libro senza guardarsi attorno. Non aveva il minimo sospetto che qualcuno potesse pedinarla ed era una fortuna perché, se lo avesse fissato anche solo per un attimo, di certo non avrebbe certo mancato di riconoscerlo: se i capelli e il volto erano nascosti, la sua figura era comunque abbastanza riconoscibile.
Ken rimaneva a distanza di sicurezza, cercando di stare un po’ curvo per dissimulare la propria altezza, e di mimetizzarsi tra gli altri passeggeri che, grazie a Dio, a quell’ora erano abbastanza numerosi, senza tuttavia mai perdere di vista la sua ragazza.
Si sentiva un po’ stupido e in colpa per non fidarsi di lei, ma la gelosia lo dilaniava e aveva bisogno di sapere. Ebbe un tuffo al cuore quando Yasu non scese alla stazione dove di solito cambiava per il corso.
Proseguì per qualche altra fermata e poi cambiò per una linea che portava in tutt’altra zona della città, verso dei quartieri residenziali.
La seguì poi fuori dalla metro, prestando la massima attenzione e pregando che lei non si voltasse.
Rimase impietrito quando la vide fermarsi di fronte a una casa molto grande ed elegante. Si nascose nell’ombra di uno degli alberi che costeggiavano il viale e la osservò suonare, parlare brevemente al citofono ed entrare dentro.
Tremando, si avvicinò di alcuni passi, per poter leggere la targhetta del campanello, rimanendo tuttavia nascosto.
Misugi lesse.
Fu come se un artiglio gli torcesse lo stomaco, e una freccia lo colpisse dritto nel cuore. Stette immobile di fronte al cancello per qualche secondo, poi un rumore di passi lo costrinse a riprendersi e a indietreggiare.
Una ragazza si avvicinò all’inferriata, ne afferrò due sbarre con le mani e, dopo aver seguito con lo sguardo la figura di Yasu che percorreva il sentiero fino al portone in cui poi entrò, vi poggiò la fronte contro.
Ken si avvicinò. L’aveva riconosciuta quasi subito.
“Aoba” la chiamò, sfiorandole una spalla.
“Chi è lei?” schizzò, la ragazza, impaurita.
“Perdonami” disse Ken. Fosse stato dell’umore, gli sarebbe scappato da ridere: con quella lunga giacca nera, gli occhiali scuri e il cappello sugli occhi non doveva avere un’aria molto raccomandabile. “Wakashimazu Ken” si presentò, accennando un inchino.
“Wakashimazu-kun” sospirò lei portandosi una mano al petto. “Scusa ma ero soprappensiero” mormorò.
“Già, anche io” ribatté lui lanciando uno sguardo sconsolato verso la villetta di  Misugi.
Mentre Yayoi rammentava che era lui il fidanzato di Yasu, vide i due comparire sulla porta.
“Stanno uscendo!” esclamò, spalancando gli occhi.
Ken la prese per un braccio e la portò nel suo nascondiglio, dietro l’albero, stringendola a sé.
Yasu e Jun passarono a pochi metri da loro, diretti verso la metro. Procedevano a passo svelto, in silenzio, senza sfiorarsi. Ken ebbe l’impressione che fossero piuttosto scuri in volto.
“Li seguiamo?” sussurrò, all’orecchio di Yayoi.
Sentì la ragazza sussultare contro il proprio petto. “E se ci vedono?”
“Beh, finora io sono riuscito-”
“Prendono un taxi!”
“Oh, cazzo”
“Ne arriva un altro, andiamo!” disse la ragazza, risoluta e stavolta fu lei a tirare il portiere per un braccio. Fermò l’auto con un cenno della mano e si catapultò dentro, trascinandolo con sé.
“Insegua quel taxi!” gridò al tassista, non appena furono saliti, indicando la vettura su cui viaggiavano Jun e Yasu, che, grazie a un provvidenziale semaforo rosso, non si era allontanata di molto.
Il tassista si girò lentamente e li guardò con aria interrogativa.
“Beh?” esclamò Yayoi scocciata. “Cosa non è chiaro di ‘insegua QUEL taxi’?” ripeté, indicando di nuovo la macchina.
Un sorriso soddisfatto si allargò sul volto dell’uomo. “Niente, signorina. È che è da quando faccio questo lavoro che sogno di ricevere una richiesta del genere!”
“Fantastico” commentò, sarcastica. “Se vuole che il suo sogno si realizzi davvero però PARTA!”
“Sissignora!” disse, infilandosi in strada con una sgommata.
Fece un po’ di zigzag nel traffico e i due ragazzi furono costretti ad arpionarsi ai seggiolini anteriori, quasi rimpiangendo la richiesta avanzata. Ma quando si ritrovarono a seguire tranquillamente l’altra macchina su un grande viale, si scambiarono uno sguardo soddisfatto.
“Non è che state facendo qualcosa di male, vero?” disse a un tratto il tassista, guardandoli dallo specchietto. Lo sguardo indugiò sulla mise di Ken.
“Ma figuriamoci!” rispose lesto il karate keeper, sfilandosi occhiali e berretto e sfoderando un sorriso da copertina. “È solo che…”iniziò incerto.
“Vogliamo fare una sorpresa a dei nostri amici” gli venne in aiuto Yayoi con un sorriso ancora più radioso. E che probabilmente ebbe un miglior effetto sul tassista.
Dentro di sé, Yayoi si sentì morire: era davvero con quell’intenzione che era uscita di casa: fare una sorpresa a Jun che, da quel che sapeva, doveva restare a casa a studiare. Invece a rimanere a bocca aperta era stata lei, insieme a Wakashimazu, a quanto pareva. Ma quando si sarebbero presentati davanti a loro, allora sì che avrebbero avuto una bella sorpresa
“Capisco” commentò pensoso l’uomo. Poi aggiunse: “Visto il luogo, immagino farà loro particolarmente piacere…”
I due ragazzi guardarono incuriositi fuori dal finestrino, stupendosi non poco di trovarsi di fronte a una clinica.
 
****
Yasu camminava nervosamente su e giù per il corridoio. Da tutto il giorno aveva una specie di peso sul petto che si era fatto più pressante col passare delle ore: andava a finire che ricoveravano lei, pensò con un sorriso sghembo. Era una di quelle situazioni in cui avrebbe avuto estremo bisogno dell’insindacabile giudizio di Genzo: lui aveva il potere di farle vedere le cose chiaramente e capire come affrontarle, anche senza darle consigli espliciti. Ma non se l’era sentita di parlargliene durante la classica telefonata serale, per paura che gli altri sentissero, né aveva avuto modo di chiamarlo in un altro momento.
Il corridoio si apriva a un tratto in una specie di slargo: sulla parete di sinistra erano allineati una serie di distributori automatici, quella sul fondo era costituita da una fila di finestre, dalle quali arrivava una luce intensa. Si appoggiò alla parete opposta alle macchinette, godendosi il tepore e la luce, pensando a suo fratello.
Per prima cosa cercò di dare un nome a quel peso che le premeva sul cuore.
Gliene vennero tre.
Ken, a cui aveva mentito, con cui di recente aveva avuto diverse discussioni, che ultimamente si comportava in modo strano. E con cui non faceva l’amore da tanto, troppo tempo.
Yayoi, che conosceva a malapena, ma a cui sentiva di star usurpando qualcosa.
Jun, a cui aveva promesso che tutto sarebbe andato bene… e se poi non era così?
Prese alcuni respiri profondi.
Ripensò a quando aveva detto ai suoi di voler studiare in Giappone. Quando raccontò a Genzo che la mamma si era messa a piangere, lui, serio, le aveva detto che prima o poi avrebbe capito.
“A volte si fa male a qualcuno a fin di bene.” Aveva aggiunto.
Era così. Se avevano mentito a Ken e Yayoi c’era un motivo e glielo avrebbero spiegato, appena finita quella visita.
Che, si ripeté Yasu, doveva andare bene.
Sentì una porta aprirsi e delle voci venire dal corridoio. Si affacciò e sgranò gli occhi di fronte a quella strana scena.
 
Jun pensò che si fossero sbagliati alla grande. Perché in quel momento sentiva il suo cuore battere tanto forte da scoppiare. Sentiva la testa vuota e le orecchie che fischiavano.
Mentre nel cervello gli rimbombavano le parole del dottore.
Per i tre anni delle superiori ti sei tenuto a riposo dedicandoti con impegno alla riabilitazione, al solo scopo di poter partecipare ai mondiali giovanili... il compito di un dottore è curare i propri pazienti, ma per guarire è assolutamente necessaria la collaborazione dei pazienti stessi.
Un aspirante dottore come te dovrebbe saperlo**...
Con uno sforzo enorme balbettò un saluto, le mani gli tremavano stringendo  quella del medico e prendeva con sé tutte le scartoffie. Gli tremavano anche le gambe mentre si avvicinava alla porta e apriva la maniglia.
Invece quello che successe dopo fu così normale.
Aprire la porta.
Trovarsi davanti Yayoi che chiamava il suo nome.
Abbracciarla, ringraziarla e riferire d’un fiato quello che gli avevano detto.
“Grazie Yayoi io tornerò...  tornerò di nuovo sul campo da calcio**”.
La ragazza rimase un attimo rigida fra le braccia di Jun, poi di fronte a quell’annuncio, che aspettavano da tre anni, tutto scomparve e lacrime di pura gioia le rigarono il volto, mentre mormorava: “E’ una splendida notizia...**”
Jun si staccò lentamente da lei, la prese per le spalle, fissandola, quindi si guardò intorno, sbattendo le palpebre un paio di volte.
“A- aspetta... tu... tu cosa ci fai qui?”
Altre lacrime bagnarono le guance di Yayoi, ma stavolta erano di rabbia. Jun lo capì dal modo in cui lei serrò i pugni e si scrollò le sue mani di dosso.
“Perché mi hai detto che la visita era stata rimandata?”
“Yayoi...”
“E perché c’è lei, qui? Avrei dovuto esserci io...” esalò.
Jun si voltò nella direzione indicata da Yayoi e vide Yasu. A qualche metro di distanza, stava immobile, a braccia conserte, visibilmente a disagio.
D’improvviso si avvicinò, con passo deciso.
“E’ colpa mia” dichiarò. “Jun voleva venire da solo ma non mi sembrava il caso e l’ho costretto a portarmi con sé”.
“Dovevo esserci io” ringhiò Yayoi, fronteggiando l’altra ragazza.
“E’ quello che gli ho detto... ma lui...” rispose Yasu.
“Io avevo il terrore che il risultato fosse negativo e te lo volevo risparmiare” intervenne Jun, i pugni serrati.
“Jun... mi hai impedito di starti vicina, ed è l’unica cosa che voglio, lo sai...”
Yasu distolse lo sguardo dalla coppia e solo allora si accorse che, pochi metri più in là, dalla parte opposta rispetto a lei, c’era Ken, che fino ad allora si era tenuto in disparte. Il cuore le mancò un battito.
Wakashimazu fissava a sua volta la scena, serio. Poi chiuse gli occhi, prese un lungo respiro e si avvicinò.
“Io credo” esordì, facendo sussultare e voltare di scatto verso di lui tutti gli altri. “Che ognuno di noi abbia qualcosa da chiarire, spiegare e... farsi perdonare.”
 
“...insomma, mettetevi nei nostri panni... cosa avreste pensato?” concluse Ken, mentre Yayoi annuiva con decisione.
Jun e Yasu si scambiarono uno sguardo imbarazzato e divertito. “Non... saprei...” ammisero, facendo ridere anche i due “aspiranti Otello” come li aveva definiti Yasu. Quando venne fuori che tutti quegli accenni a date e ristoranti erano solo per fissare un’uscita a quattro, Ken e Yayoi ebbero voglia di sprofondare: quante ne avevano pensate! Come avevano fatto a dubitare di loro?
Il suono di un orologio riempì l’aria.
“Occazzo” esclamò Yasu, osservandone il quadrante. “Sono le cinque! Ken, la partita!”
“Merda!” le fece eco il portiere. “Dovrei già essere lì! Dobbiamo recuperare un taxi al più presto!”
“Fretta di andare a festeggiare?” una voce bonaria li sovrastò. Jun si voltò e riconobbe il suo dottore.
“In effetti no… il mio amico è in ritardo per una partita… insomma un’emergenza…” disse Jun, nell’evidente tentativo di congedarsi.
“Beh, sono abbastanza esperto di emergenze… potrei darvi un passaggio” sorrise l’uomo. “Ho una macchina piuttosto veloce e un pass per usare le corsie di emergenza” concluse a mezza voce.
“E’ meraviglioso!” gridò Jun. “Lei oggi non fa che darmi buone notizie…”
“Ma no!” protestò Ken, “il dottore avrà cose più importanti da fare…”
“Non vi preoccupate, altrimenti non ve lo avrei proposto! Beh, andiamo, non eravate in ritardo? A proposito… dov’è che si va?”
 
Yasu tirò un sospiro di sollievo quando i suoi piedi toccarono, tremanti, il marciapiedi di fronte al’Istituto Toho. “Non so se era un passaggio o un test per il cuore” commentò: il dottore aveva sfrecciato per le vie cittadine come fossero autostrade, bruciando semafori, usando scorciatoie poco ortodosse e facendo il pelo a ciclisti e pedoni.
Ma ne era valsa la pena: alle 17.30 in punto erano di fronte al campo. Ken salutò tutti velocemente e si fiondò negli spogliatoi.
Yasu si voltò verso Jun e Yayoi.
“Grazie mille, Jun…” mormorò. “Se non era per te…”
“Ma figurati… è stata pura fortuna…”
“Sì” intervenne Yayoi seria, “arrivare vivi…”. Fissò un attimo le facce imbarazzate degli altri due. Poi sorrise: “Però è stato divertente! Quello è proprio un pazzo!”
“Già! Speriamo che s’intenda più di medicina che di sicurezza stradale” esclamò Jun. “O dovrò chiedere un secondo parere!”.
Risero tutti, poi Yasu chiese agli altri se volevano fermarsi a vedere la partita.
Jun trasalì e guardò la sua ragazza, imbarazzato. “Mah, non saprei forse… volevi andare da qualche parte… da soli, eh, Yayoi?”
“Beh, abbiamo fatto tanto per portare qui Wakashimazu, sarebbe un peccato non vedere se ne è valsa la pena…” sorrise dolcemente.
“E comunque sarete abbastanza soli… io devo stare in panchina e non c’è esattamente il pubblico delle grandi occasioni” ironizzò Yasu, indicando gli spalti semideserti. “L’entrata è là, ci vediamo dopo!” concluse e si avviò rapida verso il campo, dove i giocatori stavano già facendo il loro ingresso, ma si fermò dopo alcuni metri. Si voltò e tornò rapida verso la coppia che già si stava avviando verso il cancello che aveva loro indicato.
“Yayoi” chiamò.
“Sì?” rispose l’interpellata, voltandosi.
Yasu la fronteggiò, guardandola dall’alto dei quindici centimetri buoni che le separavano. Sembrava nervosa, fissava il terreno, mordicchiandosi le labbra. “Io, ecco… scusa!” esclamò infine, abbracciandola per un nanosecondo. “Devo andare” aggiunse poi, prima di dileguarsi, lasciando Aoba di stucco.
Jun la guardò, facendo spallucce come dire “È così, che ci vuoi fare?” poi le prese la mano e si diressero verso gli spalti.
Misugi spiava di sottecchi il viso della ragazza. Sembrava tranquilla e sorridente come sempre, forse un tantino pensierosa.
Si sedettero e guardarono in silenzio i giocatori finire il riscaldamento.
La partita iniziò, ma Jun non riusciva a concentrarsi, continuava a guardare di nascosto Yayoi, cercando di capire cosa pensasse. Aveva ancora quell’aria tranquilla, sorrideva appena, concentrata sulla partita, mormorando qualche commento di quando in quando.
“Yayoi” la chiamò, infine.
Lei si voltò: la luce aranciata della sera rendeva i riflessi ramati dei suoi capelli ancora più splendenti e l’incarnato del viso così candido da sembrare luminoso.
Kamisama, quant’era bella!
“Sì?” ripeté e non una sola volta, di fronte all’espressione imbambolata del ragazzo.
“Yayoi, io…” Non sapeva davvero da che parte cominciare.
Lei raddrizzò le spalle e gli poggiò una mano sulla coscia. “È tutto a posto, Jun. Ho capito perché lo hai fatto ed è… tenero. Ma promettimi che non mi terrai più all’oscuro di qualcosa che ti riguarda. Io voglio starti vicino, sempre. Non chiedo altro, ti prego, concedimelo”.
Jun si sentì… una merda, non c’erano altre definizioni possibili. Lui le aveva mentito e lei gli rivolgeva quello sguardo implorante?
“Io dovrei concederti qualcosa?” esclamò, con un sorriso amaro. “Sei troppo buona con me, Yayoi, dovrei essere io a implorarti di concedermi il tuo perdono… ti ho mentito…”
“Forse. Ma ho capito che, per quanto maldestro, il tuo era un tentativo di proteggermi… e non riesco a essere arrabbiata...”confessò, tormentandosi le mani. “E poi pure io…” ridacchiò.
“Cosa?”
“Insomma, con Wakashimazu abbiamo fatto proprio la figura degli stupidi... vi abbiamo pedinato, ti rendi conto?” rise, portandosi graziosamente una mano sulla bocca. “Lui si era pure vestito per restare in incognito…”. Proruppe in una risata che non riusciva più a trattenere. “Kamisama, quando l’ho visto l’ho scambiato per un maniaco”.
“Ti giuro che non lo abbiamo fatto apposta... anzi... credo che se io e Yasu abbiamo fatto qualche ingenuità, sia proprio perché l’idea non ci sfiorava minimamente... insomma abbiamo voi...” disse, arrossendo appena. “Tu gelosa di Yasu” aggiunse, scrollando la testa, divertito.
“Già...” si rabbuiò appena Yayoi. “So che le ochette starnazzanti che ti ronzano intorno non ti interessano ma a lei... ci tieni, ecco... lo vedo da come ne parli... e da come le parli.”
“Siamo amici, nient’altro, lo giuro. Te l’ho detto, stavamo addirittura organizzando un’uscita a quattro con te e Ken!” esclamò, scuotendo appena la testa. “ E poi, insomma…come potrei desiderare qualcun’altra, avendo te?” Terminò in un sussurro, avvicinando le proprie labbra a quelle di lei.
Yayoi arrossì vistosamente e balbettò qualcosa.
“Come?” chiese Jun, la voce arrochita.
“Hyuga ha appena segnato” sorrise maliziosa, evitando il bacio. Beh, una piccola punizione se la meritava, no?
 
Il primo tempo era trascorso tranquillamente, con niente da segnalare a parte i due goal della Toho, realizzati da Hyuga e Sorimachi, un cartellino giallo per il difensore Kawabi e un brutto fallo ai danni del libero Koiche.
“Sicuro di stare bene?” chiese Yasu a quest’ultimo, vedendolo dolorante.
“Sì, Wakabayashi, tranquilla, arrivo fino in fondo. E poi non abbiamo riserve. Di’ piuttosto a Kawabi di non fare più interventi del genere o lo buttano fuori...”
“Scusa se ho cercato di vendicarti” intervenne il difensore.
“Niente vendette, Kawabi, continuiamo a giocare così e vinceremo” intervenne il mister. “So che è solo un’amichevole, ma voglio il massimo impegno”. Quindi prese da parte alcuni giocatori per dare indicazioni specifiche.
Sawada si avvicinò a Yasu e aspettò che terminasse di sistemare la fasciatura alla caviglia di Koiche, borbottando che secondo lei non doveva proseguire, mentre il libero la rassicurava che sarebbe stato attento.
Quando la ragazza si alzò in piedi, il piccolo centrocampista la raggiunse. “Ken ci ha detto di Jun, che splendida notizia” disse tutto d’un fiato. “Ma è qui?”
“Sì, lui e Yayoi sono sugli spalti.”
“Resteranno a cena da noi, dopo?”
“Beh non so... teoricamente sarebbe vietato...”
“E da quando in qua i divieti ti spaventano, Wakabayashi?” la apostrofò Kojiro.
“Lo dico per voi e le vostre borse di studio, capitano” gli rispose Yasu, dando un’inflessione ironica all’appellativo.
“Scherzi a parte, magari digli che ci aspetti, dopo la doccia passeremo a salutarlo”.
“Volentieri”.
 
Il secondo tempo iniziò piuttosto male, con un goal subito da parte del Toho. Verso la metà poi, Kawabi fece un altro brutto fallo e prese il cartellino rosso. Inoltre, Koiche zoppicava vistosamente.
Fu concesso un breve time out, in cui la Toho si riunì, per discutere sul da farsi.
“Posso continuare” protestò il libero infortunato, stringendo i denti, “Fammi una fasciatura più rigida e posso continuare...”
“Koiche, io non credo che valga la pena rischiare un infortunio grave per un’amichevole” rispose Yasu. “Lei che dice mister?”
“Sono d’accordo, ma giocando in nove non possiamo provare nessuno dei nuovi schemi. Se almeno avessimo qualcuno da far entrare...”
“Metta Wakashimazu in campo e Wakabayashi in porta, mister” suggerì Shimano.
“Non mi sembra una buona idea” commentò Kawabi. “Yasu è forte, ma questi hanno messo in difficoltà Wakashimazu…”
“Diciamo che oggi il nostro portiere non è nella sua forma migliore” rispose il mister, non facendosi sfuggire la preziosa occasione per rimproverare Ken. “Forse se si degnasse di arrivare in orario, riuscirebbe a concentrarsi meglio. Tuttavia sono d’accordo, considerando che sono anche ragazzi più grandi…”
 “Chiedo scusa, signore” rispose il portiere, toccato sul vivo da quelle critiche. “Non succederà più. Anche per questo le chiedo di poter continuare a giocare in porta, per riscattarmi…” aggiunse facendo un profondo inchino. Non era solo quello. Gli avversari giocavano pesante e non voleva che Yasu entrasse.
“Lo capisco, Wakashimazu, però non so…” ponderò il mister guardando Yasu, “in effetti è una buona soluzione, per un quarto d’ora…”
Ken serrò i pugni e andò a sedersi. Non voleva mettere in discussione le capacità della sua ragazza, ripetendo l’errore che aveva fatto circa la sua fedeltà.
Ma a sorpresa fu lei a respingere l’offerta. “Grazie della fiducia, ma non credo sia il caso” disse con un sorriso, rivolgendogli uno sguardo fugace. Lo vide buttarsi seduto sulla panchina e chinarsi in avanti, i gomiti poggiati sulle cosce, lo sguardo fisso in un punto in mezzo alle sue scarpe. Non riusciva a scorgergli il volto dietro la cascata di capelli.
“Ken” sussurrò, sfiorandogli una spalla.
“Grazie, cioè, scusa. Io… non volevo…” disse con un sospiro che parve un singhiozzo.
“Ken” ripeté con voce ferma ma dolce, accovacciandosi di fronte a lui per cercare il suo sguardo. “Calmati, non è successo assolutamente niente… un goal…”
“Non è il goal” ringhiò. “È quello che ho fatto a te, oggi sono stato-”
“Shhh” sorrise poggiandogli un dito sulle labbra. “Ne parleremo dopo, con calma, concentrati sulla partita, ok? E comunque sappi che per me non è successo niente, che sei uno scemo impulsivo io lo sapevo. Vuol dire che ora lo sa anche Misugi…”
“Misugi?” esclamò Ken, drizzando di scatto la schiena.
“Sì” balbettò Yasu. “Non te la prendere, io sdrammat-”
 “Sei un genio, Wakab- ehm, Yasu!” disse con una smorfia disgustata. Quindi le stampò un bacio in fronte e corse da Kojiro. Parlottarono un attimo poi Hyuga si alzò in piedi. “Mister” chiamò. Crede che sarebbe possibile schierare Misugi?”
Tutti lo guardarono sorpresi. Poi l’allenatore sorrise, compiaciuto. “Ottima , idea, Hyuga. In fondo è un’amichevole... verifico con l’arbitro e poi sentiamo se a lui va”.
Yasu osservò l’allenatore confabulare col direttore di gara. “Ma gli avete detto tutto?”
“Al mister? Sì” rispose Sawada. “Ed è stato molto contento della notizia. Detto fra noi, credo che abbia sempre desiderato allenarlo...”
Il mister tornò dicendo che l’arbitro e l’altra squadra erano d’accordo. Yasu fu spedita sugli spalti a chiamare il baronetto e la partita riprese, con Koiche che sarebbe rimasto in campo finché Jun non si fosse scaldato.
 
Aoba e Misugi videro emergere Yasu dalle scale, trafelata.
“C’è qualche problema?” le chiese subito Jun. Ovviamente aveva notato lo stop al gioco.
“Già... oltre all’espulso abbiamo un giocatore infortunato... e niente riserve...”
“Ahhh, brutta storia...”
“Già, ehm... Jun?” chiese un po’ imbarazzata. “Ecco noi ci chiedevamo se tu... insomma, se te la sentiresti...”
“Cosa?” balbettò Jun, presagendo la richiesta.
“Ecco se te la sentiresti di giocare questi ultimi minuti con noi...”
Misugi rimase in silenzio, allibito. Le gambe gli pizzicavano già per la voglia di correre e il cuore gli rimbombava in petto. Poi si voltò e incontrò lo sguardo incredulo di Yayoi. Di sicuro, lei si sarebbe preoccupata un sacco...
“Ecco... ma non ho né la divisa, né gli scarpini...”
“Ne abbiamo della tua misura, credo...”
“E poi dovrei fare riscaldamento...”
“Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi...”
“...non sono allenato...”
“Jun” intervenne Yayoi. “Hai giocato un sacco di volte rischiando la vita e ora che sai di essere guarito fai tutte queste storie?”
“Ma tu...”
“Io starò benissimo... te l’ho detto, non devi proteggermi da te. Mai.”
“Ma non sono pronto...”
“Jun” Yayoi si alzò in piedi, le mani sui fianchi. “Sono tre anni che ti prepari per questo momento. Non potresti essere più pronto di così. Vai!”. Lo spronò, dandogli un buffetto sulla spalla.
“Vieni” sussurrò Yasu, allegra e amichevole come sempre.
Yayoi represse un sorriso vedendola prendere per mano il suo ragazzo e trascinarlo verso gli spogliatoi. Come aveva potuto dubitare di una persona tanto schietta e cameratesca? E quando aveva visto il modo in cui guardava Ken, non aveva avuto dubbi su a chi appartenesse il suo cuore. E adesso che ci pensava bene, anche gli sguardi che Jun riservava a ognuna di loro due erano così diversi…
Doveva ricordarsi di scusarsi a sua volta con Yasu.
Si sedette, tremante. Sarebbero stati, per l’ennesima volta, i dieci minuti più lunghi della sua vita.
 
Yasu si fermò di fronte alla porta dello spogliatoio, facendo cenno a Jun di entrare. “Ci sono alcuni completi, vedi se qualcuno ti va.”
“Questo è perfetto” disse Jun uscendo, dopo pochi minuti, con indosso quello col numero 24. “E anche gli scarpini” aggiunse, picchiettando i piedi a terra.
Yasu lo guardò con un sorrisetto sghembo: non si era mai resa conto che la divisa della Toho potesse apparire così elegante. Né che il baronetto del calcio potesse assumere un’aria tanto da “bad boy”… Si prese qualche secondo per osservarlo. Poi disse: “Benissimo. Vieni”
“Sai che quando sorridi a quel modo somigli a tuo fratello in modo inquietante?”
“Ehehe, sì, me lo hanno detto più volte… e tu sai che la nostra divisa ti dona un sacco?” aggiunse maliziosa, mentre lo guidava lungo il corridoio, fino alla panchina.
Jun voleva ribattere, ma la vista del riverbero verdastro delle luci sull’erba lo fece trasalire. Riconobbe  l’odore della panchina: molti troverebbero sgradevole quel mix di fango, sudore e gomma, ma per lui era il profumo più buono del mondo. Perso in quei ricordi che, si ripeté, erano di nuovo il suo presente, sentì appena Yasu imprecare alla notizia che il risultato era ora di 2 a 2.
“Wakashimazu è stato bravo ma temo risenta del poco tempo avuto per scaldarsi…” spiegò il mister, poi scorse Misugi e lo salutò, con entusiasmo.
Jun,  imbarazzato, accennò un inchino. L’allenatore gli mise una mano sulla spalla, avviandosi verso il bordo campo e parlando fitto fitto, cercando, nel breve spazio del riscaldamento, di dare a Misugi qualche dritta sul gioco della Toho. Anche se il ragazzo sembrava conoscerlo piuttosto a fondo.
“Negli ultimi anni non ho giocato, ma ho studiato” spiegò con un’alzata di spalle. “Sono pronto” dichiarò infine.
“Ah, spero non ti dispiaccia giocare come libero. Devo ammettere che è un ruolo per cui ti ho sempre visto molto portato…”.
“Farò del mio meglio” disse il calciatore, entrando in campo.
 
Evidentemente, o Jun Misugi è di parola o, è proprio più forte di lui: non può esimersi da fare il meglio.
In quei quindici minuti scarsi, dette un saggio della sua bravura e la prova che tre anni di inattività poco avevano potuto contro un innegabile talento naturale.
Annullò diversi tentativi degli avversari, salvando persino un tiro sulla linea di porta e guadagnandosi un sorriso di riconoscenza da Wakashimazu.
Poi tolse la palla a un difensore e volò. Zigzagando fra i difensori, neanche fossero fermi, arrivò fino a centro campo e lo superò.
Servì a Kojiro un assist che valeva mille goal.
E il capitano, da grandissimo attaccante, non si fece sfuggire l’occasione di segnare.
La partita finì di lì a poco con un dignitoso 3 a 2.
Jun rimase per un po’ immobile, in mezzo al campo, godendosi i profumi, i colori, le voci.
Ma di tutti gli occhi puntati su di lui, sentiva solo la carezza di quelli scuri di Yayoi. Le rivolse un sorriso e poi gridò di gioia.
Quel giorno aveva vinto davvero.
 
 
 
__________________
 
* Ho cercato di dare alle TS un’ambientazione un po’ “Anni Novanta” per cui i cellulari sono ancora una rarità.
** Queste frasi sono riprese fedelmente dal vol. 40, cap. 12.
 
 
Note di chiusura:

Notato che capitolo lungo, eh?

Dedicatissimo a sissi che lo ha aspettato non so per quanto... spero che il finale ti sia piaciuto.

Ma è stato un "parto" travagliato, una FF che mi è cresciuta e si è pesantemente modificata di sua volontà mentre la scrivevo... Ma devo dire che, alla fine, sono soddisfatta del risultato.

Grazie a releuse per il betaggio e ad agatha e sissi per le consulenze passo passo.

PS:  Visto, picciottina75,  non mollo mai ;)


 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: berlinene