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Autore: super carrot    02/02/2013    0 recensioni
E ancora quella sensazione: il freddo dell’acciaio sulla sua pelle calda.
Non era la prima volta che lo faceva, ormai ci era abituata.
Lei stava bene.
Quel dolore la faceva stare bene, la faceva sentire la persona che era, sentiva di meritarlo, di meritarlo tutto fino in fondo...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vide lo sguardo afflitto di sua madre, le lacrime sul volto di suo padre e il suo fratellino non sorrideva più.
 
E ancora quella sensazione: il freddo dell’acciaio sulla sua pelle calda.
Non era la prima volta che lo faceva, ormai ci era abituata.
Erano passati due anni precisi dalla prima volta che l’aveva fatto, e come si dice: ‘la prima volta non si dimentica mai’ e la sua prima volta non se l’era dimenticata, rimaneva un punto fisso nella sua mente, quel burrone che non era ancora riuscita a oltrepassare, quel buco nero nel quale era caduta e ci era rimasta.
Con lei erano svaniti anche i suoi sogni, le sue speranza, le sue ambizione, il suo credere in se stessa.
Non ci credeva più, si considerava debole, era Debole, così debole che non era riuscita ancora a smettere; ci aveva provato, ci aveva provato per due anni.
Non era così all’inizio, anzi erano dei ‘normali’ taglietti superficiali che sparivano nell’arco di una settimana o poco più, ma non erano abbastanza, niente era mai abbastanza e lei non era mai abbastanza…bella, giusta, popolare, simpatica, divertente…no lei non lo era.
Poco dopo divennero sempre più profondi, lo faceva sempre più spesso, lo faceva sempre, in qualsiasi situazione, in qualsiasi momento: tutto portava a ciò.
Aveva le braccia sfigurate, non riusciva nemmeno lei a guardarsi. Aveva paura, non di lei stessa ma di tutti i suoi familiari: di sua madre di suo padre e del suo fratellino. Non voleva che questa cosa li coinvolgesse.
Lei stava bene.
Quel dolore la faceva stare bene, la faceva sentire la persona che era, sentiva di meritarlo, di meritarlo tutto fino in fondo.
Nulla era come il penetrare nella sua pelle della lametta ghiacciata, quello scorrere lento e il suo stringere i denti per cercare di fermare il male che provava, tutto inutile.
La soluzione era smettere, lei lo sapeva, ma non ce la faceva: smettere di farlo era come togliere una parte di le, lei era cambiata, era diventata un’altra persona.
Aveva passato quei pochi anni della sua vita a scappare, a  scappare da tutti i guai e pericoli, non riusciva ad affrontarli se non quel modo, era l’unica maniere per sentirsi realizzata.
Per lei nessuno c’era, per lei nessuno c’era mai stato, nessuno l’aveva mai amata e mai avrebbe potuto amarla nessuno.
Era tornata a casa quella sera da un altro emozionante giorno di scuola, le ferite le bruciavano ancora dalla sera precedente, erano fonde, più fonde del solito, ma non le importava, con i tagli ci aveva convissuto per tanto tempo e…… stranamente le piacevano, le facevano ricordare a ogni pizzicore quanto lei fosse inferiore, quanto lei non si voleva bene, i suoi innumerevoli sbagli, quanto era debole e sola.
La lametta era diventa la sua migliore amica, non ne poteva fare a meno.
Un taglio sopra l’altro, sempre sugli stessi punti, così era più atroce il dolore, ci metteva tutta la sua forza d’animo per farlo, lei non era così, aveva sempre cercato di rendere felici i suoi genitori in tutto quello che volevano, voleva vedere gli altri felici ma non lo voleva per se stessa.
Tagli sempre più fondi e dolorosi quanto le sue lacrime le rigavano il viso, non aveva mai pianto così quando lo faceva, non aveva mai pianto come se fosse la fine di tutto.
Forse era veramente la fine.
Vedeva il sangue uscire, era rosso acceso: puro, come la sua vita, come i suoi soli 17 anni.
Formava delle righe sul suo braccio, delle strisce che marcavano la sua pelle così chiara e olivastra come un pennarello.
Scendeva e scendeva sempre di più, non era impressionata, ci era abituata.
Ne fece altri, i suoi occhi verde smeraldo erano gonfi di lacrime, altre lacrime le aveva sulla punta del naso, le bagnavano le guance rosee e carnose, oltrepassavano le fossette delle sue guance, quelle fossette che nessuno vedeva ormai da mesi, e giungevano alla fine del suo mento.
Caddero e si mescolavano al sangue del suo braccio.
Aveva una strana sensazione, una morsa le chiudeva il cuore sempre più stretto, non riusciva più a sentire i suoi battiti, non riusciva a respirare, si sentiva soffocare.
I tagli si facevano sempre più fondi e fondi, in due anni non era mai arrivata a quello spessore a quel dolore, che… le piaceva, l’aiutava a concentrarsi soltanto su se stessa piuttosto che sulla realtà, l’aiutavano a estraniarsi da tutto e tutti.
Era già morta dentro, quindi qualche graffietto all’esterno non poteva e non doveva avere alcun significato.
S sentì male per qualche secondo, non era mai arrivata a quei livelli, ma non poteva smettere proprio in quell’istante, si sentiva male ma allo stesso tempo soddisfatta, non si era mai sentita soddisfatta come in quel momento.
Sapeva che poi sarebbero nati i sensi di colpa, ma voleva prolungare ancora quella sensazione prima di degenerare nella sua depressione, che sicuramente sarebbe stata più potente del solito.
Sentì ancora quel ‘male’, ma nemmeno quello bastava per fermarla.
Il sangue scendeva e scendeva, non si vedeva quasi più il color biancastro delle sue braccia graffiate che teneva sempre coperte da maglioni e un’infinità di braccialetti.
Tutto ad un tratto le sembrò che il tempo si fosse fermato, la vita le passò davanti, i volti dei suoi cari, dei suoi genitori, degli amici che non credeva di avere e alla fine una visione di lei, il suo bel viso: era sorridente, gli occhi verde smeraldo penetranti, le labbra carnose erano rosa più che mai e le sue due bellissime fossette, che tanto aveva amato prima erano così fonde e meravigliose, non le vedeva da un sacco.
Svenne.
Aprì gli occhi ide lo sguardo afflitto di sua madre, le lacrime sul volto di suo padre e il suo fratellino non sorrideva più.
Cercò di alzarsi ma sembrava quasi bloccata, non ci riusciva.
Sentiva i singhiozzi della sua mamma, non l’aveva mai vista così, era bianca in viso con dei fazzoletti in mano, non era truccata. Sua mamma non usciva mai senza trucco.
Era appoggiata al suo papà, lui stava piangendo, non lo aveva mai visto piangere, sperava che quelle lacrime fossero di gioia ma era evidente che non era così.
Infine vide il suo fratellino di 8 anni, abbracciato al papà, non la guardava e non sapeva perché.
C’erano solo loro: lei, i suoi genitori e suo fratello però continuava a sentire un brusio di sottofondo, ma non riusciva a vedere niente.
Non riusciva a capire perchè tutti fossero in quello stato e perché lei non fosse con loro, voleva sapere il motivo delle loro lacrime.
Non voleva vederli così tristi, così male, non voleva vederli così, ci stava male, ci stava troppo male. Quel dolore che provava era peggio di tutto il dolore provato dei suoi tagli.
Sentiva che i suoi si stavano avvicinando a lei, fece quindi un ultimo sforzo per alzarsi e ci riuscì finalmente.
Rimase scioccata, incominciò a piangere, non riusciva a parlare, aveva visto qualcosa di doloroso, questa volta veramente doloroso, triste…qualcosa che non poteva assolutamente succedere, né a lei né a nessun’altro.
Vide il suo corpo.
Si guardò intorno: era una chiesa.
Era piena di persone, tutti i suoi amici, solo in quel momento capì che non era mai stata sola, loro c’erano sempre stati per lei, lei non se ne accorse soltanto; c’erano tutti i suoi parenti, professori eccetera…. Tutti in lacrime, tutti in lacrime per lei, non se lo meritava affatto.
Pianse.
Quelle lacrime non erano per lei, ma per tutte quelle persone che aveva ferito.
Fin’ora aveva pensato soltanto a lei stessa, era stata un’egoista, non aveva mai riflettuto sul dolore che avrebbero potuto causare i suoi gesti, il suo egoismo.
Era morta.
Aveva solo 17 anni, si chiamava Amy, era bellissima.
Non fumava, non beveva, non si drogava, era solo un’autolesionista.
  
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