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Autore: Herm735    03/02/2013    15 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia, siete mi-ti-ci! <3

Avvertimenti: Canon fino alla settima stagione. OOC.


Buona lettura!

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La nostra prima pioggia di marshmallow


Avevo tutto quello che avevo sempre desiderato.
E poi era stato tutto distrutto.
C'è qualcosa di particolare in una storia d'amore che finisce.
La maggior parte delle volte, una delle due persone coinvolte ha il cuore a pezzi. Può capitare che nessuno dei due soffra, e allora quella storia era finita da un pezzo. Ma, più raramente, può capitare che soffrano entrambe le persone. E allora, la loro storia non è ancora davvero finita.
Comunque vada, c'è qualcosa di diverso in ogni storia che finisce.
Qualsiasi cosa sia successa, stia per succedere o succederà, quando la tua relazione sta arrivando al capolinea, hai finalmente un minimo di controllo su quei sentimenti che ti eri sempre sentito incapace di reprimere.
Puoi far finta che non faccia male. Puoi far finta che non ti importi più niente. Puoi perfino riuscire a fingere di non amare più.
Ma alla fine, se ami ancora, tornerà tutto indietro a colpirti quando meno te lo aspetti.

(Dicembre 2061)
Dopo qualche momento la sentii ridere piano.
“Che c'è?”
“Guardaci, sedute qui su un dondolo, sotto il portico. Sembra che alla fine siamo davvero invecchiate insieme” appoggiò la testa sulla mia spalla, ridendo piano e rafforzando la presa sulla mia mano.


(Aprile 2012)
Chiusi la valigia che avevo preparato, guardandomi attorno per l'ultima volta.
Quel posto era stato casa mia per sette anni.
Conoscevo ogni difetto di quella casa, così come ogni suo pregio, avevo passato lì quasi ogni notte per sette anni.
Eppure, mentre mi preparavo ad andarmene, notai che tutta la mia roba entrava dentro a una sola valigia. Come era possibile?
Forse perché avevo lasciato la maggior parte delle mie cose lì. Non volevo ricordi. Era meglio fare tabula rasa e ricominciare tutto da capo.
I ricordi portano con sé sempre molto più dolore che gioia, molti più rimpianti che sollievi e molti più rimorsi che soddisfazioni.
Quindi preferivo non ricordare troppo spesso, né troppe cose alla volta.
Ma, nonostante le mie migliori intenzioni, ricordavo.
Anche troppo di frequente. Mi bastava chiudere gli occhi. E ricordavo.
Forse, perché c'era troppo da ricordare, cose troppo importanti, cose troppo belle per essere semplicemente dimenticate.
Quando presi la valigia da sopra il letto e la spostai sul pavimento, mi accorsi che mi stavano tremando le mani.
E a malapena riuscivo a respirare.
Forse un giorno sarei riuscita a ricominciare da zero. A dimenticare davvero.
Ma, in quel momento, tutto ciò che potevo fare era chiudere gli occhi e lasciarmi travolgere dai ricordi.

(Gennaio 2005)
Era il mio primo giorno in una nuova città.
Quindi ero spaesata.
Ma non fu un problema, almeno, non lo sarebbe stato finché fossi rimasta dentro l'ospedale. Era un posto grande, ci si poteva perdere, certo, ma non tanto grande da pensare che non avresti ritrovato la tua strada, prima o poi.
Magari anche la vita potesse essere così semplice.
Mandarti fuori carreggiata, ma prima o poi farti trovare un sentiero che ti riporti sulla via principale da percorrere. No, la vita non lo fa.
Quel giorno, quando decise di buttarmi fuori strada, lo fece coi fiocchi. Come si deve. Lo fece completamente.
Tutto cambiò all'improvviso. Ma il cambiamento avvenne così in profondità, che fu solo fino a moltissimo tempo dopo che non me ne accorsi.
“Chi è lei?”
“Chi? Oh, dice la mora? Callie Torres. Chirurgo ortopedico.”
Così. Come un fulmine a ciel sereno.
Qualcosa che non ti aspetti, anche se passi tutto il tempo a sperare che un giorno possa succedere proprio a te.
Come sperare che un giorno possano piovere marshmallow. Ti alzi tutte le mattine, sperando che prima o poi accada, ma non succede mai. Perché, guardando in faccia la realtà, in che universo potrebbero mai piovere dei dolci? Eppure continui testardamente a sperarci. Non puoi farci niente, questo è il tipo di persona che sei.
Ma c'è un motivo se tutti ti dicono che non dovresti sperare in qualcosa di impossibile.
È perché, dopo che le tue speranze sono state distrutte un numero infinitamente grande di volte, non riesci più a sperare in niente. Neanche in cose possibili. E allora ti arrendi.
Ma io, al tempo in cui la vidi per la prima volta, credevo ancora che far piovere marshmallow fosse possibile.
Credevo ancora in tante cose, impossibili o possibili che fossero.
Credevo al modo in cui mi batteva il cuore all'impazzata la sera in cui entrai nel bagno di quel bar e la vidi specchiarsi.
Ecco a cosa credevo.
Credevo ai suoi occhi, al suo sorriso, credevo alle sue mani che mi tremavano davanti al viso.
Credevo a lei.
In lei.
Credevo in me stessa.
E in noi.

(Maggio 2006)
“Mi piace questo posto. È tranquillo. C'è pace.”
“Piace molto anche a me.”
La panchina su quella collina che dava un meraviglioso panorama della città era diventata in fretta il nostro posto.
La vista che avevo da lassù era senza ombra di dubbio la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia.
Eppure, non ci andavo mai da sola, senza di lei. Quando volevamo fuggire dal mondo e dal male lì era dove ci rifugiavamo.
Mi bastava sedermi su quella panchina e guardare Seattle dall'alto e mi sentivo meglio. Da lassù, dove una città così grande sembrava piccola, i miei problemi sembravano tanto minuscoli da poter sparire.
La verità, era che mi succedeva perché lei faceva parte della vista.
Era davanti al suo essere unica che tutto ciò che poteva turbarmi impallidiva, spariva, cessava di avere importanza, perché lei era lì. Contro ogni tipo di previsione, lei aveva scelto di stare insieme a me.
Niente al mondo, niente nel senso più assoluto, avrebbe mai potuto reggere il paragone con qualcosa del genere.

(Marzo 2012)
“Non posso più farlo, Arizona. Mi dispiace.”
Non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi.
“Ci ho provato. Pensavo che sarei riuscita ad aggiustare questo casino, ad aggiustare...noi. Ma ho imparato che c'è solo un certo numero di volte che puoi riparare qualcosa prima che si rompa definitivamente.”
Teneva lo sguardo basso, come se si fosse presa la briga di stampare quelle parole sulla moquette del soggiorno perché doveva leggerle per riuscire a dirle davanti a me.
“Ho bisogno di andare avanti. Ho bisogno di tempo e spazio, e anche tu.”
“Non voglio tempo o spazio. Uso male il tempo e lo spazio in cui non ci sei tu.”
“Mi dispiace.”
“Non scusarti. Non hai fatto niente di male. Avrei dovuto capire che stavamo finendo molto tempo fa” cercai di non piangere. “Io e te non saremmo mai potute durare.”
Cercai di prendermi il potere che volevo avere su di lei. Ma la verità è che era lei ad avere sempre avuto il controllo di me.
“So che lo pensi” rispose pacatamente, alzando gli occhi e fissando dentro i miei. “Ma non è mai stato vero, finché tu non lo hai reso vero.”
“Sei tu quella che se ne sta andando.”
“Ma sei tu che mi hai lasciato molto tempo fa.”
“Hai vissuto qui molto prima di me. Dovresti rimanere tu. Me ne andrò io.”
“Non fa niente. Qui non è mai stata casa mia, comunque.”
“Non è quello che mi hai detto cinque anni fa.”
“Già, beh...Non parlavo dell'appartamento al tempo.”
Si voltò. Era già con la mano sulla maniglia della porta, quando parlai. Ma quello che dissi, la paralizzò.
“Io sono innamorata di te. E ti sto implorando. Farò qualsiasi cosa. Qualsiasi. A tutte le tue condizioni. Ma ti prego, ti prego, non andartene via. La mia vita non esiste, senza di te. Io non ho senso, senza di te.”

(Marzo 2007)
Mi guardai attorno ancora una volta, per abitudine.
“Magari ridipingendo le pareti.”
“Arizona.”
“Lo so, mi dispiace. Avevo promesso che avrei smesso di lamentarmi del tuo appartamento.”
“Non fraintendermi. Voglio che ti senta a casa tua, visto che ti trasferisci qui. Ma dipingere il soggiorno di verde chiaro farà sembrare questo posto il cesto delle uova di Pasqua. Ed io non voglio vivere in un uovo di Pasqua.”
“No, tu vuoi in realtà vivere nella Bat caverna, ma incontrami a metà strada.”
Eravamo abbracciate sul divano. Sospirò, guardandosi attorno e poi baciandomi sulla testa.
“Sai che ti dico? Dipingi le pareti di qualsiasi colore beige tu voglia. Compra mobili nuovi e una nuova televisione, se questo ti farà sentire a casa. Cavolo, puoi perfino comprare un'intera cucina nuova, se sarà d'aiuto.”
Corrugai la fronte, sollevando la testa dalla sua spalla e guardandola negli occhi.
“E tu? Questo è il tuo appartamento.”
Lei mi guardò negli occhi, stringendo le spalle.
“Io mi sento già a casa.”
No. Lei non parlava dell'appartamento.
Lei stava parlando di me.

(Aprile 2012)
“La stai fissando di nuovo.”
Non spostai lo sguardo neanche di un millimetro.
“Credi che non lo sappia?”
“Può vederti Arizona. Non è stupida. Sa che stai guardando lei.”
“Se la cosa le crea problemi può sempre venire a parlarmi e chiedermi di smettere, no?”
“Certo. Lo farà di sicuro” sussurrò ironicamente.
“Tutto ciò che chiedo è che perdoni le mie cazzate. Non mi pare una pretesa così ridicola. La gente perdona e viene perdonata di continuo. Ma lei non è capace di farlo, questo è il problema. Quindi la colpa è sua, giusto?”
“Lei perdona sempre le tue cazzate. Di continuo.”
Sbuffai, incredula. “Quando mai è successo che mi perdonasse qualcosa?”
“Ti dice niente la parola Africa?”
Quello mi fece tacere per un lungo momento.
“Touché.”
“Non è lei il problema, Arizona. La verità, è che hai fatto una cazzata di troppo e adesso che il vaso è traboccato ti ritrovi con l'acqua alla gola e senza scarpe asciutte.”
“Già. Aspetta, cosa?” mi voltai finalmente verso di lei, rivolgendole uno sguardo confuso e inclinando appena la testa di lato.
“Lascia stare. Sto iniziando ad essere ubriaca. Senti, il punto è che forse c'è un motivo per cui la vostra storia sembra così difficile da non poter funzionare.”
“E sarebbe?”
“Perché non può funzionare.”

(Luglio 2007)
“No, invece, non lo capisco. Tutti vogliono un figlio, e tu, tra tutte le persone, tu porti scarpe con le rotelle.”
La verità è che la vita non è mai nel modo in cui la vorresti.
“Forse sono fredda, senza cuore e morta dentro.”
Semplice, tranquilla, piacevole.
Mai una volta che succeda che qualcosa vada esattamente come lo avevi programmato.
“Chiudi gli occhi. E immagina un bambino, che ti stringe le braccia paffute attorno al collo.”
Tutto sembra andare bene.
Poi succede qualcosa, un dettaglio cambia e rivoluziona l'intera storia, che all'improvviso non è più come l'avevi scritta da solo nella tua testa.
Tutto sembra andare bene. Finché, a un certo punto, niente sembra più andare da nessuna parte. “Sai cosa mi fa battere il cuore? La Spagna. Tu in un bikini. In mano un bicchiere di sangria.”
E tutto va a rotoli. Tutto in un secondo.
E cosa ti resta in mano a quel punto?
“Sangria? Per questo non possiamo avere un bambino, della stupida sangria?”
Proprio un bel niente, se non una grandissima manciata di fumo, che quando riapri il pugno, scopri essere sparito per sempre nel nulla.

(Maggio 2012)
“Se potessi tornare indietro adesso, ci sono molte cose che cambierei. Moltissime cose che farei diversamente. Altre che non farei affatto.”
“Vuole farmi degli esempi?”
Andare in terapia non era stata una mia idea.
Callie mi aveva costretto.
Ma, in fondo, quelle erano le sue condizioni.
“Qualcosa che farebbe diversamente?”
Chiusi gli occhi. Ingoiai a vuoto. Ricacciai indietro le lacrime con forza.
“L'Africa.”

(Settembre 2008)
“Tu stai qui, e sii felice. Ed io andrò laggiù, e sarò felice.”
Non avevo mai creduto a quelle parole.
Mai, nemmeno per mezzo secondo mentre le dicevo ad alta voce.
Sapevo che era una bugia.
In altre cose, invece, ci avevo creduto.
“Ci stiamo urlando contro in mezzo a un aeroporto. È già finita.”
A quello ci credevo.
Non l'ho fatto molto a lungo, ma in quel preciso momento, stando in piedi davanti a lei, in quell'istante ci avevo creduto.
Pensavo che fosse finita.
Pensavo che non ci fossero altre possibilità.
Ne avevamo sprecate troppo, per poter sperare che ne avremmo avute altre.
Alcune, le avevamo anche buttate via per motivi stupidi. Come la storia della neonata o la questione del disconoscerla dei suoi genitori.
In ogni caso, a quello ci avevo creduto.
Finché non avevo messo piede sull'aereo e avevo capito che era ridicolo da parte mia pensare che fosse finita.
Amavo lei più di quanto fossi mai stata capace di amare la vita stessa.
Ma questo non mi impedì di andarmene in Africa per tre mesi. Come se lì fossi stata al sicuro, al sicuro da lei e dall'amare lei. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, giusto?

(Dicembre 2008)
“E così sono tornata.”
Il modo in cui l'amavo mi lasciava senza fiato, la maggior parte delle volte.
“Sei molto bella.”
Lei mi lasciava senza fiato, la maggior parte delle volte.
“Sono incinta. Del bambino di Mark.”
Altre volte, invece, mi distruggeva. Mi faceva crollare il mondo addosso.
“Che ne dici adesso?”
Quella era una delle volte in cui mi distruggeva.

(Maggio 2012)
“Non mi fraintenda. Amo Sofia con tutto il mio cuore. Non la cambierei per niente al mondo, mi creda. Ma il modo in cui ho fatto soffrire Calliope” inspirai a denti stretti. “Il modo in cui lei ha fatto soffrire me” aggiunsi in un sussurro. “A volte mi disarma. Ecco tutto. Come due persone che si amano così tanto possano ferirsi in questo modo, mi disarma. Lei, mi disarma.”
“Arizona, lei è ancora innamorata di Callie?”
Alzai lo sguardo improvvisamente, rendendomi conto di quello che avevo detto e che invece avrei solo dovuto pensare.
“Non può dirlo a lei. Segreto professionale, giusto?”
“Stia tranquilla. Non avevo intenzione di farlo. Ho avuto la sessione singola con Callie la settimana scorsa. Ho le informazioni necessarie su entrambe, quindi direi che dalla prossima settimana possiamo iniziare la terapia di coppia.”
Annuii.
“Perfetto.”
Come diavolo eravamo finite a quel punto?
Io e lei, che ci amavamo in un modo che mi lasciava ogni volta senza fiato, come eravamo arrivate fino a lì?

(Ottobre 2006)
“Ti trovo meravigliosa. Sei talmente bella da togliere il fiato. Non riesco a smettere di guardarti, Calliope.”
“Sei un miracolo, Arizona. È un miracolo che tu sia qui con me. Ero un casino, la mia vita era una catastrofe, prima che incontrassi te. Non so nemmeno come hai fatto, come è stato mai possibile, ma so che mi hai salvato.”
Quando rientrai a casa, la sera del mio compleanno, lei era sdraiata sul divano del soggiorno con indosso solo della biancheria.
Iniziò a parlare velocemente. Qualcosa sui cappelli e sui regali e sulle ciambelle e sulla lingerie, credo. Qualcosa di poco importante.
Lei era lì.
Ed io ero senza fiato, com'ero sempre stata davanti a lei.
Era la persona più gentile che io avessi mai incontrato.
Non c'è una parola migliore per descriverla se non esattamente questa. Aveva una gentilezza che mi spiazzava. Era il tipo di persona che pregava per la vita della donna con cui l'ex marito l'aveva tradita. Era incredibile.
“Io ti amo.”
Da allora, non è passato un giorno in cui quella frase sia stata una bugia.
L'amavo. L'avevo amata fin dal primo momento in cui l'avevo vista. E l'avrei amata qualsiasi cosa fosse successa da allora in poi.
“Davvero?”
“Davvero.”
Tenni fede alla tacita promessa che l'avrei amata per il resto della mia vita.
“Ti amo anch'io.”
E anche lei.

(Aprile 2009)
“Non ti è permesso dirmi che non stiamo insieme, noi stiamo insieme. Perché io ti amo e tu mi ami e niente di tutto il resto importa qualcosa. Io e te, stiamo insieme.”
Quella era la vita in cui ero finita.
“C'è mio figlio lì dentro. E non voglio che succeda niente a mio figlio.”
“Tuo figlio, uh?”
Non era la vita che avevo progettato per me stessa.
“Non l'ho scelto io. E non lo odio. Ma non voglio una vita con lui. Eppure, in qualche modo, questo è ciò che ho. Una vita di decisioni.”
“Che dovrei fare? Insomma, è suo figlio.”
“Non c'è bisogno che me lo ricordi. Non me ne dimentico proprio mai.”
E non era la vita che volevo.
Lontano dall'essere la vita che avevo sognato, in realtà, e più vicina all'esatto opposto.
Stavo per avere un figlio, mio figlio avrebbe avuto un padre, sarei stata per sempre legata ad un uomo.
Tutte le mie difese, tutti i miei piani, lei aveva mandato tutto a puttane. Era entrata nella mia vita in punta di piedi e poi si era messa a fare casino, a tirare le cose per terra e ad urlare nel silenzio più totale.
Prima di lei, la mia vita era vuota.
Ma la vita che avevo con lei, non era il mio sogno. Non era quello che volevo.
“La mattina di Natale. Con...Mark.”

(Luglio 2010)
“Sono sua madre. Voglio dire, sono l'unica che la fa addormentare di nuovo quando si sveglia nel bel mezzo della notte. E lei mi chiama mamma. So che sembra che balbetti, ma lo dice a me. Lei mi chiama mamma, perché sono la sua mamma.”
“Lo so. Faremo quel foglio, d'accordo?”
Annuii.
“Vieni qui.”
Il tempo si fermò immediatamente, appena lei strinse le braccia attorno a me.
Ecco, quello era il posto in cui ero salva.
In cui ero al sicuro.
In cui ero a casa.

(Novembre 2011)
“Sai, ultimamente ho avuto questa sensazione.”
“Che sensazione?” chiesi, senza voltarmi verso di lei.
“Che qualcosa non andasse. Dico, tra me e te.”
Corrugai la fronte.
“Che vuoi dire?”
“Non so bene come spiegarlo, ho avuto questa vibrazione, come se qualcosa di brutto ci stesse per accadere ed io non me ne fossi resa conto prima di adesso.”
Mi voltai verso di lei, lasciando perdere il trucco e andandole incontro.
“Pensi che ci sia un problema?” le domandai, sorridendole. “Credevo fossimo felici.”
Lei ricambiò il sorriso.
“Lo siamo. È solo...questa sensazione. Sembra che sia venuta per restare, non riesco a farla andare via.”
“Non c'è niente di cui preoccuparsi” le dissi, alzandomi in punta di piedi per baciarla sul naso. “Io e te non abbiamo niente che non va, amore.”
Lei mi rivolse quel suo sorriso sbiego che mi fermava il cuore ogni volta.
“Ti amo, Calliope” le dissi con voce mozzata.
“Ti amo anch'io.”

(Gennaio 2012)
“Voglio che prendi tutta la tua roba e te ne vai.”
“Ti prego. Non farlo.”
“Dev'essere tutto sparito per domani. Quando torno a casa non voglio trovare niente di tuo qui dentro.”
“No, no, no. Ti prego, ascoltami. Ti imploro.”
Le afferrai un polso. Si liberò ferocemente dalla mia presa.
“Parleremo di quando potrai vedere Sofia. Per adesso, voglio che tu te ne vada.”
Aprì la porta facendomi cenno di varcarne la soglia con la mano con cui non la stava tenendo aperta.
“Callie, se solo tu sapessi quanto mi dispiace...”
“Ma non capisci che qualsiasi cosa tu dica adesso non farà che peggiorare tutto, Arizona?” alzò la voce. “Non ti credo. Non mi fido di te. Potrei non riuscire a fidarmi mai più. Vattene via, per favore. Vattene e basta.”
Non riusciva neanche a guardarmi in faccia.
“Io ti amo.”
Si strappò via bruscamente una lacrima dalla guancia.
“È finita.”

(Maggio 2012)
“E cos'è che non farebbe affatto?”
La sua voce mi strappò dai miei ricordi.
“Come, scusi?”
“Ha detto che se potesse tornare indietro farebbe alcune cose diversamente, come l'Africa, mentre altre non le farebbe affatto. Può farmi un esempio?”
Serrai la mascella.
Potevo farle così tanti esempi da tenerla lì dentro per due settimane senza neanche pause per mangiare o dormire.
Ma il primo che mi venne in mente, il più grande di tutti, fu l'errore per cui, in quel momento, ero seduta su quel divano.
Non volevo parlarne. Non lo avevo ancora neanche fatto per bene con Callie. Ma ero in terapia per un motivo. Perché lei me lo aveva chiesto. Perché ero disperata e avrei fatto tutto. E tutto, tristemente, includeva anche parlare di quello.
“Polly Preston.”

(Gennaio 2012)
Aprii la porta e lei era seduta sul divano, con le mani intrecciate davanti alle labbra.
Mi bastò guardarla ed istintivamente capii che lei lo sapeva.
Richiusi la porta lentamente, posando la borsa e il giacchetto, sedendomi sull'altro divano.
Lei mi guardò e basta per parecchi secondi.
“Tutti mi dicono che sto impazzendo. Che sono fuori di testa. Voglio che tu risponda a tre domande, Arizona. E qualsiasi cosa tu mi dica, io ti crederò e la smetterò di pensare a questa maledetta storia e di preoccuparmi per qualcosa che è soltanto nella mia testa.”
Tre domande.
Quanto è facile mentire a tre domande?
Bastava una parola.
No.
Sono due lettere. Quanto mai poteva essere difficile non dire altro che quello?
Il problema erano i suoi occhi.
Quei suoi occhi rischiarati dalle lacrime che sembravano risplendere perfino sotto la luce artificiale della lampada del nostro soggiorno.
Il problema era che ero stanca. Ero sfinita. Non potevo - e non volevo - più mentire.
“Mi hai tradito con Polly Preston?”
“Sì.”
Nessuna di noi riuscì a guardare altrove.
“Da quanto tempo va avanti?”
“Tre mesi.”
Mi guardò negli occhi ancora per un secondo. Poi distolse lo sguardo, rivolgendolo alle proprie mani, intrecciate tra le sue ginocchia.
Poi arrivò, in poco più di un sussurro. E mi distrusse.
“La ami?”
Chiusi gli occhi per un secondo. Li riaprii.
“Sì. Ma non nel modo in cui amo te. Non sono innamorata di lei. Tu sei la mia famiglia. Ed io...”
Si alzò dal divano. Aveva sentito abbastanza. In fondo, mi aveva avvertito. Aveva soltanto tre domande.
“Callie, mi dispiace così tanto.”
“Voglio che prendi tutta la tua roba e te ne vai.”
“Ti prego. Non farlo.”
“Dev'essere tutto sparito per domani. Quando torno a casa non voglio trovare niente di tuo qui dentro.”

(Maggio 2012)
“Mi ha chiesto di andarmene da casa nostra, ma io non l'ho fatto. Ho continuato ad implorarla finché ha accettato di fare un tentativo. Ha provato a perdonarmi, a superare la cosa, ci abbiamo provato entrambe. Ho smesso di lavorare con Polly, ovviamente. Questo è successo a gennaio. A marzo mi ha detto che non ce la faceva più ad avermi attorno. L'ho implorata di non lasciarmi, di non andarsene, ho detto che avrei fatto qualsiasi cosa. Non è servito. Così me ne sono andata anch'io. Troppi ricordi di lei. Una delle sue condizioni è la terapia di coppia. Non per noi” mi affrettai a chiarire. “Vuole che siamo abbastanza civili l'una con l'altra da non far capire a nostra figlia che lei mi odia e che io la amo ancora. Potrebbe confonderla. Questa è la sua opinione.”
Calliope mi aveva lasciato.
Avevo fatto una cazzata di troppo.
Perfino per lei, che era la persona che mi amava di più al mondo.
Ero stata capace di fare qualcosa di così terribile che neanche lei era in grado di perdonarmi.
“Credevo che mi avrebbe parlato di quello che ha fatto la settimana scorsa.”
“No. Quello probabilmente lo farei di nuovo. Non stavo molto bene, la settimana scorsa.”
Si era accorta che non ero più interessata nella conversazione che stavamo intrattenendo.
“Il nostro tempo è finito. Ci vediamo la prossima settimana, verrà qui insieme a sua moglie e vedremo di capire cosa provate.”
Annuii, alzandomi in piedi.

(Giugno 2012)
Cercai di concentrarmi sul ticchettio dell'orologio. Era l'unico rumore della stanza, ed era un buon segno. Significava che il tempo stava passando sul serio e non si era realmente congelato come sembrava a me.
Avevo il gomito appoggiato sul bracciolo ed il mento sul palmo della mano, non provavo interesse per quello che stava succedendo all'interno della stanza.
Contai qualcosa come un milione di battiti, forse di più. Poi guardai la lancetta dei minuti. Segnava le 18:02. Erano passati solo due cavolo di minuti. Impossibile.
“Prima di iniziare, ci tengo a chiarire che non siamo qui per aggiustare il nostro matrimonio. Siamo qui per nostra figlia.”
“Non c'è bisogno che tu lo ripeta in continuazione, ok?” alzai la voce, passandomi una mano sulla fronte. “È chiaro. Ho capito” guardai ovunque tranne che nella sua direzione. “È finita” sussurrai piano.
Ricominciai a contare il passare dei secondi.
Era decisamente più divertente che dover fare i conti con il fatto che lei era seduta proprio accanto a me, e ancora era a milioni di chilometri di distanza.
“Ne avete mai parlato?”
“Di cosa?” chiese Callie. Capì cosa intendesse dal suo sguardo e scosse subito la testa. “No. Perché dovremmo? Non c'è niente di cui parlare.”
“Le persone affrontano il tradimento in due modi, principalmente. Il primo modo è quello di parlarne fino alla nausea, di sapere tutti i dettagli dell'adulterio stesso. Il secondo è quello di ignorarlo completamente. Lei sembra trattare sempre la questione nel secondo modo, perfino con il suo ex marito...”
“Aspetti, che c'entra adesso lui? Io non le ho raccontato niente di lui.”
“L'ho fatto io” intervenni, il mento ancora appoggiato sulla mano, lo sguardo fisso sull'orologio, ero distante da quella stanza almeno quanto lo era lei.
Si voltò di scatto nella mia direzione.
“Perché lo hai fatto?”
Scrollai le spalle. La conversazione aveva nuovamente perso interesse per me.
“Arizona, voglio che tu dica a Callie perché abbiamo parlato del suo ex marito.”
“Non penso che sia una buona idea” replicai. L'orologio segnava le 18:05.
“La guardi in faccia e le parli di quello che mi ha detto, se non vuole che lo faccia io stessa.”
“Non può” risposi con indifferenza. “Quello che le dico è confidenziale. Potrei denunciarla se ripete qualcosa.”
“Non verso Callie. Questa è terapia di coppia. Entrambe avete il diritto di sapere qualsiasi cosa l'altra mi dica, perfino quando siete in seduta singola.”
“Sta bluffando.”
“Vuole correre il rischio?”
Non risposi.
“Posso sopportarlo. Andiamo, che le hai raccontato? Di come non ho mai superato la rottura con George? O di come secondo te non sono abbastanza lesbica?”
Io distolsi lo sguardo dallo scorrere del tempo, voltandomi verso Calliope e togliendo il gomito da sopra il bracciolo. Parlai molto lentamente. Era l'unico modo in cui riuscivo a parlare in quel periodo della mia vita.
“Il senso di colpa per averti tradito mi ha fatto cadere in depressione. Calo di attenzione, disinteresse generale, esposizione orale rallentata. Ho iniziato la terapia e la dottoressa mi ha prescritto degli psicofarmaci. Due settimane fa ho preso cinque pillole in una volta sola. Teddy è entrata nel mio ufficio mentre li stavo ingoiando e mi ha fatto bere un intruglio disgustoso per farmi vomitare. La settimana scorsa ho detto alla dottoressa che se tornassi indietro probabilmente lo rifarei. I farmaci inizieranno a fare effetto tra un paio di settimane, quindi devo solo cercare di non tentare di uccidermi di nuovo nel frattempo. Le ho parlato di George perché uno dei motivi per cui mi sento più in colpa è che ho sempre pensato di essere diversa dai tuoi ex, di essere migliore, di amarti molto più di tutti loro messi insieme. Invece me ne sono andata senza guardarmi indietro come ha fatto Erica e ti ho tradito come ha fatto George. La verità è che le cose impossibili non succedono. Le cose stanno così per definizione. Non possono piovere marshmallow ed io e te non possiamo stare insieme per sempre. Sono dati di fatto, in effetti. Ma entrambe le cose mi rendono infinitamente triste.”
Sapevo che quello spiegava molto. Il motivo per cui non avevo ancora pianto davanti a lei, il motivo per cui sembravo sempre così indifferente a tutto quello che ci succedeva.
L'espressione sul suo volto era di preoccupazione.
Non avrebbe dovuto preoccuparsi per me.
Avrebbe dovuto odiarmi. Disprezzarmi. Cancellarmi dalla sua vita. E avrebbe dovuto farlo mentre io continuavo ad amarla.
Mi voltai di nuovo, appoggiando il gomito sul bracciolo del divano e poi il mento sul palmo della mano. L'orologio segnava le 18:09. ricominciai a contare i secondi.
“Probabilmente la depressione di Arizona è genetica” sentii la dottoressa spiegare. “Era già lì da molto tempo, quello che è successo tra di voi, quello che Arizona ha fatto a lei, l'ha fatta tuttavia notevolmente peggiorare.”
“Potrebbe essere stata una delle cause del tradimento?”
“Capisco che sarebbe più facile se riuscisse semplicemente ad odiarla, per quello che le ha fatto, la rabbia è un sentimento molto più semplice del dolore. Quindi so che non è quello che vorrebbe sentirsi dire, ma è molto probabile che lo sia stata.”
“Come è possibile che io non me ne sia accorta? Sono un medico. Lei è un medico. Come ci è sfuggito?”
“Non è facile fare una diagnosi oggettiva su noi stessi o su qualcuno che amiamo. È del tutto comprensibile che vi sia passata inosservata.”
“Non l'ho fatto a causa della mia depressione.”
Entrambe voltarono la testa nella mia direzione, ma io continuai a fissare le lancette che si muovevano.
“L'ho fatto principalmente perché entro ogni giorno in soggiorno e vedo Mark che tiene in braccio Sofia. Non l'ho programmato. E non l'ho fatto per vendetta. Credevo davvero che sarei potuta essere felice con metà dei miei sogni realizzati e l'altra metà della mia vita che rispecchiava il mio incubo più grande. Finché un giorno ho smesso di crederlo. L'ho fatto perché mi sento sola, ogni volta che siamo tutti e quattro a casa. Ma devi credermi quando dico che non è stato per vendetta. Se avessi voluto vendicarmi di qualcuno, mi sarei vendicata di Mark. L'ho fatto perché volevo ricominciare a provare qualcosa, qualsiasi cosa in realtà. Speravo che mi avrebbe fatto sentire meglio. Invece mi ha fatto sentire da schifo.”
“Arizona, si rende conto di aver appena ammesso che lo ha fatto per sentire qualcosa? L'apatia che provava, era quasi sicuramente uno dei suoi sintomi.”
“Infatti ho detto principalmente. Se potessi tornare indietro non farei mai niente del genere. Se potessi cambiare il passato cancellerei tutti gli errori che ho fatto in questi sette anni, eccetto per l'Africa.”
“Perché l'Africa?” chiese Calliope.
“Non posso vivere senza Sofia.”
Continuarono ad osservarmi mentre fissavo l'orologio appeso alla parete.

(Dicembre 2010)
Avevo sempre amato il mese di Dicembre.
Quando ero piccola, io e mio fratello ci svegliavamo la mattina di Natale e correvamo a svegliare i miei genitori, perché sapevamo che ci avrebbero fatto aprire i regali solo dopo aver fatto colazione tutti insieme.
Così ci sedevamo a tavola, il colonnello affettava per noi il dolce che mamma aveva preparato il giorno prima e mangiavamo in silenzio, tutti con il sorriso sulle labbra. Non era un silenzio strano o perché non avevamo niente da dirci. Ma la mattina di Natale la colazione si faceva in fretta per correre a strappare via l'incarto dai regali. Poi ci sarebbe stato tempo per parlare e ridere e raccontarci storie.
Ma appena svegli, un sorriso contornato dalla schiuma del latte caldo, bastava a rendermi la persona più felice del mondo.
Crescendo, il Natale aveva perso il suo fascino. Avevo smesso di credere a Babbo Natale e avevo smesso di credere alla magia.
Dentro di me, però, Natale era sempre rimasto quel giorno dell'anno in cui tutto era possibile. E quando avevo incontrato Calliope, il Natale era tornato ad essere il giorno che preferivo. Il primo Natale che passammo insieme, mi svegliai rendendomi conto di essere completamente intrecciata a lei.
Non parlammo molto. Ci scambiammo gli auguri e poi mi preparò la colazione, mangiammo in silenzio, scambiandoci sorrisi tutto il tempo, fino al momento di aprire i regali.
Il Natale era di nuovo come lo avevo sempre preferito.
Mi lasciava senza parole.
Quell'anno, quando mi svegliai, il letto accanto a me era vuoto. C'era rumore in soggiorno, la televisione era accesa, Mark stava urlando mentre guardava la replica di una partita in tv. Tenendo in braccio mia figlia. Seduto accanto a mia moglie.
Quando entrai nella stanza Calliope si alzò, venendomi incontro con un sorriso e baciandomi a fior di labbra.
“Buon Natale.”
I suoi occhi sembravano contenere delle scuse. Finsi di non accorgermene.
Mi aveva preparato la colazione. Mi si sedette accanto mentre la mangiavo, limitandosi a sorridermi.
Ed io sorridevo a lei.
Calliope Torres era l'amore della mia vita.
La mia anima gemella.
Non avrei mai amato nessuno al mondo nel modo in cui amavo lei.
“Andiamo, prendi quella palla!”
Ma la mattina di Natale con Mark che urlava dentro casa mia, non era la vita che avevo sognato. E per quanto fingessi che le cose andassero bene, non sarebbe mai potuta essere la vita che volevo, qualsiasi tipo di vita che includesse lui.

(Giugno 2012)
“Ho pensato molto a quello che ha detto l'altra volta. Sa, che ci sono due modi di reagire quando si viene traditi. La prima volta io e lui non ne abbiamo mai parlato. E non sono mai riuscita a perdonarlo. Quindi forse per perdonare Arizona dovrei parlare di quello che è successo con lei, scoprire le mie colpe e cercare di comprendere le sue.”
“Mi sembra un'ottima idea.”
“A me no.”
“Arizona” sussurrò Callie con tono esasperato. “Vuoi risolvere questa cosa o vuoi continuare a fare passi indietro?”
“Vorrei che non fosse mai successo. Il solo pensiero di quello che ho fatto, adesso, mi fa venire i brividi.”
“E allora perché lo hai fatto?”
“Perché sono stata stupida.”
“Arizona, sappiamo entrambe che non è vero. Tra le due, sei sempre stata tu quella più razionale, ricordi?”
“Mi trovo a dissentire. Costruire delle mura attorno al mio cuore per proteggermi dall'amore non era razionale. Proteggere me stessa, nel corso degli anni, mi ha aiutato. Mi ha salvato un numero infinito di volte dal soffrire. È la sola cosa che mi ha permesso di non annegare nella mia stessa vita.”
“Appunto, vedi...”
“Prima che incontrassi te” aggiunsi, facendola tacere. “Da quel momento in poi invece di proteggere me la mia reticenza non ha fatto altro che ferire te. La mia razionalità è stata stupida. E quindi non razionale.”
“D'accordo, Callie, vuole fare delle domande inerenti al tradimento?”
“Ho notato che ha tolto l'orologio” osservai prima che Callie avesse modo di rispondere alla sua domanda.
“Sì. L'ho fatto.”
“Perché?” chiesi fissando il quadro che aveva appeso al suo posto.
“La distraeva dalla nostra conversazione.”
“Tutto mi distrae. Non riesco più a concentrarmi a causa della depressione. Ma le medicine dovrebbero iniziare a fare effetto a giorni, ormai. C'è solo una cosa su cui riesco a concentrarmi, ma non è una cosa che sento spesso.”
“E cos'è?”
“La voce di Calliope.”
“Arizona” mi riprese con voce morbida la psicologa. “Perché non smette di guardare il quadro e prova a concentrarsi anche sulla mia voce?”
“Mi scusi. La stavo ascoltando. Ma i colori di quel quadro ad olio sono molto belli. Mi avevano distratto.”
“Non c'è problema. Adesso provi a guardare Callie quando le parla, però, d'accordo?”
“Se guardo nei suoi occhi non riesco a mentire.”
“Non deve mentire qui dentro. Si fida di Callie?”
Annuii.
“Io ho il segreto professionale, quindi direi che siamo apposto. Quello che viene detto qui dentro non uscirà mai da questa stanza.”
“Me ne rendo conto. Penso solo che ci sono alcune cose che è meglio che Callie non sappia per il bene della mia dignità. Visto che lei non vuole aggiustarci e io non riesco a pensare ad altro che a lei. Vede? L'ho fatto di nuovo. Non riesco a mentire se la mia attenzione è su di lei.”
“Va tutto bene, Arizona” mi rassicurò la dottoressa.
“Cosa ho sbagliato?”
Mi voltai verso di lei.
“Perché lo chiedi?”
“Perché non sei la sola che se tornasse indietro cambierebbe delle cose. Non sei la sola che pensava che io e te saremmo state insieme per sempre.”
“Non ha più importanza. Non puoi perdonare un tradimento. Ed io non posso disfare quello che ho fatto, non importa quanto vorrei fosse possibile.”
Mi afferrò una mano all'improvviso.
“Cosa ho sbagliato?” ripeté senza darsi per vinta.
Io la guardai negli occhi. Non potevo mentire.
Riportai lo sguardo verso il quadro, cercando qualcos'altro da poter guardare mentre parlavo, appoggiando il mento sul palmo della mano e il gomito nuovamente sul bracciolo del divano.
“Niente. Tu sei assolutamente perfetta. La colpa di quello che ci è successo è solo e soltanto mia. E sai che farei e darei e direi qualsiasi cosa per farmi perdonare, ma so che non puoi farlo. Non mi piace, ma lo accetto. Perché tu sei l'amore della mia vita, Calliope. Non c'è nessuno come te. Non amerò mai nessuno quanto ho amato te. Sei la mia anima gemella. Ed ogni frase, anzi no, ogni parola, che ti ho detto l'ho sempre sentita con il cuore. Ma sono stata troppo fragile per fare la cosa giusta. E mi dispiace. Così tanto che il senso di colpa mi uccide, letteralmente. Hai il mio cuore tra le mani. Spetta a te decidere cosa ne farai.”
“Perché lo hai fatto? Non capisco. Pensavo che, onestamente, pensavo che avessi smesso di amarmi.”
“E come potrei? Non potrei mai smettere di amarti. Ho solo...Ho solo imparato a vivere senza di te.”
“Arizona, io sono qui.”
Scossi appena la testa.
“Il tuo corpo è qui. Ma tu sei più distante da me di quanto lo fossi quando io ero in Africa. Ti ho perso, non è vero?”
“No, Arizona, guardami.”
“Capisco che è tuo compito amare anche lui. Vorrei solo che non lo amassi quanto hai amato me. Ho pensato che forse anch'io potevo amare qualcun altro nel modo in cui amo te.”
“Arizona, io non lo amo. Gli voglio bene, ma non sono innamorata di lui. Perché non mi hai mai parlato di questo?”
Perché suonava preoccupata? Non avrebbe dovuto preoccuparsi per me.
“Perché tu eri sempre più distante. E così ho pensato che avrei dovuto allontanarmi anche io. Che sarebbe stato più facile per te, se io...” mi fermai giusto in tempo.
“Se tu mi avessi dato un motivo per lasciarti?”
Mi morsi l'interno di una guancia.
“Io sono quella che scappa dagli impegni. Niente di nuovo. Ma tu non abbandoni qualcuno che ha bisogno di te. Anche se lo avessi amato più di me, non mi avresti mai lasciato, a meno che non avessi avuto un motivo.”
“Quindi questo, la depressione, l'infelicità. Come puoi dire che io non ho colpe? Se solo avessi aperto gli occhi...”
“Non avresti comunque potuto fare niente. Le mie insicurezze non te lo avrebbero permesso. Ho sentito la mia vita scivolarmi tra le dita come acqua che non riuscivo ad afferrare e stringere in pugno.”
“Arizona, guardami.”
Ignorai la sua richiesta.
Lei mi prese il viso tra le mani, facendomi voltare e guardandomi dritta negli occhi.
“Io sono qui. Sono proprio qui.”
Afferrai i suoi polsi con le mani, assicurandomi che fosse davvero lì insieme a me.
“Questa è la prima volta che mi tocchi da quasi un anno.”
Corrugò la fronte.
“Scherzi?”
“No. Agosto dell'anno scorso, quando abbiamo ballato insieme al matrimonio di Alex. Da allora, neanche una volta, nemmeno per sbaglio prendendo il latte a colazione.”
Lei abbassò lo sguardo, pensandoci a lungo, ma non riuscì a contraddirmi.
Quando mi guardò di nuovo io avevo gli occhi pieni di lacrime.
“È stata colpa mia.”
Scossi la testa con decisione.
“Hai ragione. Ero lontana anni luce e non me ne sono nemmeno accorta.”
Mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
“Ok. Va bene. Facciamolo. Proviamo ad aggiustarci.”
La guardai con gli occhi che emanavano speranza.
“Dici sul serio?”
Annuì.
“Dico sul serio.”

(Febbraio 2006)
“Baciami.”
Sorrisi.
“In quale universo potrei mai rifiutarmi di fare una cosa del genere?”
Mi abbassai, facendo quello che mi aveva chiesto.
“San Valentino è appena diventato la mia festa preferita. E sai bene che io amo qualsiasi tipo di festa.”
Risi, accarezzandole i capelli.
“Arizona, sei molto bella.”
La mano che avevo tra i suoi capelli si fermò. Guardai i suoi occhi, la sua testa era appoggiata sulle mie gambe, era sdraiata nel divano su cui io ero seduta.
“Non fraintendermi” si affrettò ad aggiungere. “Sei sempre meravigliosa, ma qui dentro, con la luce soffusa delle candele e gli occhi che risplendono, sei ancora più bella del solito. Pensavo che dovessi saperlo.”
Cercai di parlare, aprii perfino la bocca, ma non ne uscì niente.
Lei mi sorrise, soddisfatta, voltando la testa di lato per tornare a guardare le candele che avevo acceso prima che tornasse a casa.
“Calliope?”
“Mh?”
Ti amo. Davvero, ti amo. So che sembra assurdo, ma io sono innamorata di te.
“Sei la donna più bella che io abbia mai visto.”

(Giugno 2012)
“Gli antidepressivi stanno funzionando. Sto meglio.”
“Mi fa piacere sentirlo, Arizona.”
“Voglio parlare di Polly Preston.”
Sia io che la dottoressa ci voltammo verso Callie.
“Ha detto che sarebbe stato meglio parlarne. Bene. È il momento. Parliamone.”
La donna davanti a noi mi guardò cercando conferma che la cosa non mi mettesse a disagio. E c'era davvero un solo problema. E cioè che la cosa mi metteva a disagio eccome.
Inspirai dal naso ed espirai con un lungo sbuffo silenzioso dalla bocca.
“Parliamone” concessi.
Non ero un'idiota. E non mi ero fatta illusioni a riguardo. Sapevo che era finita.
Avevo fatto un casino così grande che neanche Callie avrebbe potuto aggiustarmi quella volta, avevo distrutto una delle uniche due cose al mondo per cui per me valeva la pena vivere. E la cosa peggiore è che lo avevo saputo fin dal primo momento. Non mi ero mai illusa che quello che stavo facendo fosse giusto, o che lei non lo avrebbe mai scoperto né che addirittura un giorno mi avrebbe perdonato. Io sapevo che era finita.
“Quando è iniziata?”
Ma se per caso avessi avuto qualche minimo dubbio, quella conversazione sarebbe bastata per cancellarlo definitivamente.
“A settembre. La sera in cui tu e Mark siete andati con Sofia a cena a casa di Derek.”
“Credevo stessi lavorando quella sera.”
“Infatti. E lavorava anche lei.”
“Cosa è successo?”
“Abbiamo iniziato a parlare. A scherzare. A ridere. Mi ha ascoltato mentre le raccontavo tutto quello che mi preoccupava. Mi ero illusa che potesse capirmi, ma la verità è che non hai mai neanche lontanamente capito chi sono. Mi ha lasciato il suo numero. Avrei voluto che diventassimo amiche, o qualcosa del genere. Lei aveva altri piani, però. Ci vedevamo tutti i giorni a lavoro e ci siamo sentite un paio di volte per messaggi. Una sera, verso Dicembre, sono andata a casa sua. Era il 23, tu e Mark eravate a cena con suo padre e Sofia. Ed io mi sentivo...”
“Sola” concluse prima che potessi trovare la parola giusta.
“Sola” confermai. “Esclusa. Non una parte della vostra famiglia. Se ci ripenso adesso sembra ridicolo, ma allora mi era sembrata una buona idea andare a casa sua.”
“È mai stata a casa nostra?”
“Cosa? Certo che no. No, è stato solo quella volta. Il giorno dopo le ho detto che non credevo fosse una buona idea continuare a sentirci al di fuori del lavoro. Non l'ha presa bene, ma ha accettato la situazione per quella che era. Sapeva fin dall'inizio che l'unica donna al mondo che posso amare sei sempre stata tu.”
“Che è successo quella sera?”
“Callie, ti prego. Lascia stare.”
“No, la dottoressa dice che ci sono due modi in cui possiamo affrontare la cosa. Non parlarne non ha funzionato. Quindi adesso voglio sapere.”
“Callie, forse quello che Arizona...”
“No. Non cerchi di giustificarla. Ho il diritto di sapere quello che è successo tra di loro. Lei era mia moglie, eravamo sposate e mi ha tradito con una ragazzina. Voglio capire perché e per farlo ho bisogno di sapere i dettagli. Qualsiasi cosa che mi aiuti a trovare una ragione a quello che ci è successo.”
“Sono arrivata al suo appartamento, mi ha ascoltato parlare di quanto il fatto che Mark mi avesse tenuto lontana da suo padre mi ferisse.”
“E poi?”
“E poi? Che significa e poi?”
“Significa, cosa è successo dopo?”
“Callie, questa conversazione non sta andando nella direzione giusta.”
“Cosa intende?”
“Quando le ho detto che affrontava la cosa nel modo sbagliato, intendevo che forse avrebbe dovuto trovare una via di mezzo.”
“Non voglio cercarla nemmeno una via di mezzo. Voglio solo che mi dica quello che è successo.”
“Quello che Arizona ha da dire potrebbe peggiorare la situazione più di quanto si immagina.”
“Peggiorare la situazione?” chiese con tono ironico. “Non vedo come. Sono diventata completamente paranoica. Sa cosa penso ogni volta che vedo la Preston? Mi chiedo se si sta immaginando mia moglie nuda. O se si è fatta quattro risate pensando a quanto devo essere stata stupida per essermi fatta strappare via l'amore della mia vita da lei. E anche quando non la vedo, penso a cosa è successo tra loro. Se stanno lavorando insieme a un caso, cosa si diranno la prossima volta che si vedranno, se è mai stata tentata di tradirmi di nuovo. Come potrebbe mai andare peggio di così?”
“Abbiamo fatto sesso sul divano. Non mi sono neanche tolta i vestiti. Le ho dato quello che aveva voluto fin dalla prima parola gentile che mi aveva rivolto, mi sono alzata e me ne sono andata prima di scoppiare a piangere o di vomitare. Sono andata a casa e mi sono fatta tre docce, ero disgustata da me stessa come non lo ero mai stata. Da allora ho cercato di evitarla il più possibile, lei lavora con Stark ed io lavoro con Alex, non ci sentiamo né vediamo fuori dal lavoro. Ed io sono ancora tua moglie. Io e te siamo ancora sposate.”
“Lo so. Non intendevo...”
“So cosa intendevi meglio di quanto lo sappia tu. Ho fatto un casino. Probabilmente non avrò mai la possibilità di rimediare. Ma se fossi così fortunata ed un giorno decidessi di lasciarmi provare, non ci sarebbe un prezzo troppo alto da pagare per quello. Quindi fai pure, vai avanti, chiedi tutto quello che vuoi sapere. Non c'è momento migliore per farlo di adesso.”
Per diversi momenti ci fu un silenzio strano. Sfortunatamente, non durò abbastanza.
“Perché lei?”
“Perché lei era lì.”
“Questo non significa niente.”
“Andiamo, tu l'hai usata un milione di volte come giustificazione per quello che è successo tra te e Mark. 'Lui è il mio migliore amico, era lì, è sempre stato lì'.”
“Non puoi dire sul serio.”
“Sono molto seria, invece. È un po' due pesi due misure, non credi?”
“Ah, no.”
“Ma lo è. Senti, non ho un altro motivo, ok? Questa è la verità. Lei era lì. Era lì quando tu non c'eri, quando eri a conoscere il padre di Mark, o a cena a casa di Derek insieme a Mark. Lei era lì ad ascoltarmi parlare di quanto la vita è ingiusta. Non è stato per il sesso, non è stato perché lei era più bella o intelligente o divertente di te, né sono mai stata innamorata di lei. Ma lei era quando non c'era nessun altro. Quando anche tu, eri a milioni di miglia di distanza.”
“Quindi avevo ragione, quando ho detto che è colpa mia.”
“No. Non sto cercando di sminuire le mie colpe. Sono consapevole che quello che è successo è una mia esclusiva responsabilità.”
“Ma, quando sono stata io a tradirti...”
“Calliope, tu non mi hai mai tradito.”
“Mi sentivo come se lo avessi fatto” mi contraddisse. “Mi sentivo malissimo.”
“Lo so. E ti amo per questo. Ma non l'hai mai fatto davvero. Io e te non stavamo insieme, è un torto che hai fatto a te stessa, non a me, e non mi hai mai tradito. Io sì. Questo è colpa mia.”
“No, non lo è. Credo che sia semplicemente colpa di entrambe.”
“Mi dispiace. Dico davvero. Sono profondamente dispiaciuta per quello che ho fatto. E se mai decidessi di darmi un'altra occasione...”
“Arizona.”
“No, so che probabilmente non succederà, ma se mai decidessi di darmi un'altra occasione, non commetterei mai più un errore del genere.”
“Arizona, io ti sto già dando un'altra occasione. Non sarei qui, altrimenti.”

(Luglio 2012)
“Ho preso in considerazione l'aborto.”
Parlò rimanendo rivolta verso la dottoressa davanti a noi. Io mi voltai immediatamente verso di lei, guardando l'espressione apparentemente calma sul suo viso.
“Come, scusa?”
“Intendo, quando ho saputo di essere incinta di Sofia. Voglio bene a Mark, e lo ritengo una brava persona. Ma non volevo un figlio con lui, né pensavo che fosse adatto a fare il padre. Almeno su questo, fortunatamente, mi sbagliavo.”
“Su questo? Quindi non avresti comunque voluto un figlio con Mark?”
Corrugò la fronte alla mia domanda, lanciando un'occhiata nella mia direzione, ma rimanendo con il busto rivolto in avanti.
“Non se avessi potuto scegliere come far andare le cose, no. Avrei preferito che mia figlia non fosse stata concepita con il mio migliore amico. Perché sei così sorpresa?”
Esitai a lungo, cercando di scegliere le parole giuste.
“Non lo so. Credo di aver sempre dato per scontato che questo fosse quello che volevi.”
“Lo era. Lo è. Ma non insieme a Mark. Lui non era parte del piano che avevo per la mia vita. Per la nostra vita” si corresse.
Mi vennero in mente un milione di miliardi di domande da farle a riguardo. Stava cercando di farmi sentire ancora più in colpa facendomi capire fino a che punto lei si era pentita di aver dormito con lui anche se noi in realtà non stavamo insieme? Stava solo cercando di farmi capire quanto la mia felicità valeva per lei? Avrebbe preferito che Sofia non fosse mai nata? Le avrebbe portato rancore pensando che, forse, se lei non ci fosse stata, io non l'avrei mai tradita? Voleva avere altri bambini, un giorno? Ed un'infinità di altre ancora.
Ma dopo essermi ripresa dalla depressione e dopo diverse sedute di psicoterapia avevo imparato che è di fondamentale importanza chiedere la cosa giusta al momento giusto. Per tutte le altre domande c'è sempre tempo, dopo aver avuto la risposta alla domanda che la persona che ci sta parlando vuole che le facciamo.
Quindi feci un respiro profondo, mi stampai sul viso un'espressione di neutra contemplazione, pensai a cosa Callie avrebbe voluto sentirsi chiedere e corsi il mio rischio.
“E quale era il piano che avevi per la nostra vita?”
Lei mi guardò, stupita che avessi scelto proprio quella domanda invece che farle il terzo grado sul significato delle sue parole. Scrollò appena le spalle, voltando il busto nella mia direzione e pensando attentamente alla risposta prima di espormela.
“Una casa grande. Magari in periferia. Con un giardino enorme per far giocare i bambini e spazio sul retro per dei polli.”
Mio malgrado, risi, cercando di farlo a bassa voce.
“Due auto in garage, anche se poi ne viene sempre usata una soltanto, perché andiamo a lavoro insieme. E un dondolo sul portico. Non so perché, ma ho quest'immagine di noi a sessant'anni o, novant'anni, sedute mano nella mano su un dondolo in legno nel portico. E dieci...”
“Dieci camere da letto per i nostri dieci figli” conclusi al posto suo.
Ci scambiammo un sorriso consapevole, entrambe tenevamo a quel ricordo.
“È un bel sogno” confermai. Poi il sorriso che avevo sparì poco a poco. “Ma io ho rovinato la nostra possibilità di averlo, non è così?”
“Cosa? No” mi disse immediatamente. “No, Arizona. Era un bel sogno. Entrambe abbiamo fatto cose che ci hanno allontanato da esso, ma questo non vuol dire che sia rovinato. I sogni si adattano, giusto? Non fraintendermi. Amo la vita che abbiamo. Non cambierei Sofia per niente al mondo. E non rimpiango un solo minuto di quello che abbiamo avuto insieme. Ma, moltissimo tempo fa, quando ancora non sapevamo come sarebbero andate le cose, questo era il modo in cui le immaginavo nei miei sogni ad occhi aperti.”
Continuai a guardala senza sapere esattamente cosa rispondere.
“Sai, non ti avrei mai forzato a mantenere la promessa.”
Corrugai la fronte.
“Di avere un figlio. So che eri sincera, e se un giorno avessi deciso di essere pronta io sarei stata completamente d'accordo. Ma non avrei mai più accennato nemmeno all'avere figli. Non ti avrei costretto a mantenere la promessa che mi avevi fatto dopo che un tizio mi aveva puntato una pistola contro. Non lo avrei fatto e basta.”
Appoggiai una mano sulla sua, esitando solo per qualche momento.
“Io avrei avuto dieci figli” risposi soltanto. “Avrei mantenuto quella promessa senza esitazione, e adesso so che non mi sbagliavo. Sei una madre fantastica.”
“Lo sei anche tu. Sei l'unica che può farla riaddormentare nel bel mezzo della notte” ci scambiammo un sorriso, entrambe con le lacrime agli occhi.

(Agosto 2009)
“Io prendo te, Calliope Torres, come mia legittima sposa. Prometto di amarti, ogni attimo di ogni giorno per il resto della mia vita.”
“Scelgo te, per essere la persona con cui passerò il resto della mia vita.”
C'era qualcosa nel ricordo di quel momento che mi dava pace.
Anche dopo tutto quello che era successo nel corso degli anni, in quel frammento della mia memoria trovavo confortevole rifugio.
Forse era qualcosa nei suoi occhi.
Qualcosa capace di rassicurarmi anche nei momenti peggiori della mia vita che, qualsiasi cosa sarebbe successa, io e lei ci eravamo amate.
Quello che avevamo avuto era stato reale.
Una persona come lei, era in grado di amare me.
Ed era semplicemente meraviglioso. E meravigliosa era la sensazione che mi aveva lasciato dentro e che ancora mi lasciava ogni volta che me ne ricordavo.
Io e lei ci eravamo amate.
Niente avrebbe potuto portarmi via quello.
Neanche il futuro, neanche i cambiamenti, niente. Lì, al sicuro tra i miei ricordi, avrei sempre trovato lei.

(Agosto 2012)
“Mark e Julia si sposano tra due mesi.”
La dottoressa mi guardò senza dire niente, aspettando che continuassi.
“Callie ha ricevuto un invito e ha confermato a Mark che avrà un accompagnatore.”
Lei sbuffò, voltandosi nella direzione opposta alla mia e fissando la parete alla sua sinistra. La psicologa continuò a non dire niente.
“E si rifiuta di dirmi chi è.”
“Non mi rifiuto di dirti chi è. Te l'ho detto. È solo un tizio.”
“Questo dovrebbe essere meglio? Che la madre di mia figlia porti al matrimonio del padre di mia figlia un tizio che è 'solo un tizio' dovrebbe essermi di conforto?”
“Non lo so. Che dovrei rispondere?”
“Voglio riformulare la domanda. Che mia moglie, porti al matrimonio...”
“Arizona.”
“Quanto tempo fa lo hai conosciuto?”
“Smettila.”
“Avete già avuto appuntamenti insieme?”
“Dove vuoi arrivare?”
“Ci sei andata a letto?”
“Non sono affari tuoi.”
“Non sono...” ripetei in un sussurro. “Wow. Solo, wow.”
Mi alzai, indossando la giacca e prendendo la borsa.
“Che stai facendo?”
“Me ne vado. Non ha più senso nel continuare a tentare di aggiustare qualcosa che tu non mi permetti di aggiustare. Mi hai chiuso fuori. Hai tagliato tutto. Mi hai tenuto inchiodata a questo divano mentre mi facevi raccontare ogni secondo che ho passato insieme a Polly e adesso io non posso neanche avere un nome. Non sei più innamorata di me, Callie. Ed io sono innamorata di te e voglio che tu sia felice, quindi ti lascio andare. Non ha più senso continuare.”
Guardai la dottoressa, che annuì. Mi incoraggiava sempre ad agire secondo i miei sentimenti. O forse, quella volta, pensava solo che avessi ragione.
“La vedrò dopodomani per la seduta singola” la salutai.
“Seduta singola?”
“Già. Ho continuato a vedere la dottoressa da sola per cercare di guarire dalla depressione, non volevo che lo sapessi perché pensavo che non mi avresti dato un'altra occasione se avessi pensato che ci ero ancora dentro. Ma, chiaramente, non mi hai mai davvero dato un'altra occasione, quindi va bene.”
Me ne andai, chiudendomi lentamente la porta alle spalle.

(Marzo 2013)
“Penso che quando le persone dicono che il tempo guarisce tutte le ferite stiano dicendo una bugia di cui sono dolorosamente consapevoli. Si convincono che il tempo riesca a fare miracoli, ma non è così. Va meglio, questo è vero. I ricordi si offuscano e il dolore si annebbia. È un dolore più confuso, meno chiaro, ma c'è ancora. Oh, sì che c'è ancora. Però arriva un momento in cui il dolore diminuisce abbastanza da permetterti di ricominciare a respirare. E allora puoi guardare indietro e ripensare alla persona che hai perso e sorridere quando ne ricordi la bellezza, la gentilezza, l'amore. Puoi sorridere e il ricordo che hai di loro, che è ciò che ti tiene ancora ancorato al dolore, in un modo strano è anche ciò che ti aiuta ad andare avanti. Per quanto ti sia possibile andare avanti.”
Alzai lo sguardo dalle mie mani per guardare verso di lei.
“Ma non sparisce nel nulla. Non sparisce con il tempo. Si attenua, certo. Ma ti cambia, non in meglio o in peggio, ti cambia e basta. Io non sarò la stessa persona mai più” conclusi.
“Neanche io. Ma è normale. Se succedesse il contrario, vorrebbe dire che invece di crescere stiamo tornando indietro.”
Non mi voltai per guardarla. Non potevo più guardarla, non potevo e basta.

(Agosto 2012)
Questo tipo di cose succedono in modo strano. Quando accadono all'improvviso, è impossibile non riuscire a notare che qualcosa è cambiato. È così ovvio, tutto il tempo. Così tanto che anche un idiota se ne accorgerebbe. Ed è facile da notare soprattutto per chi è vicino mentre tutto questo accade. Ma quando succedono un passo alla volta, lentamente, accorgersene diventa quasi impossibile, perfino per chi coglie anche i minimi dettagli. E soprattutto, quando succede gradualmente è più facile rendersene conto per chi non conosce le persone coinvolte in tutta la dannata situazione.
Inizia in modo strano. Inizia con le parole “Una vecchia amica è tornata in città.” E continua sulla linea di “Mark non si sposa più. Un peccato. Avrei portato lei, voleva davvero venirci. Non tutti i giorni puoi vedere Mark essere disposto a sposarsi.”
E inizia in modo così subdolo che i pochi fatti che hai sembrano a caso. Random.
Ma poi ricordi che quello del matrimonio doveva essere 'solo un tizio' e ti pare chiaro che non lo è per almeno due motivi. Primo, lei non è un tizio. Secondo, lei non è nemmeno solo qualcuno. Lei è molto più di solo una donna.
Per prima cosa, la più ovvia, lei non è te. È un'altra donna. Ma questo non è nemmeno il punto, perché davvero, il punto è solo che lei ci sarebbe andata insieme al matrimonio e loro erano solo amiche. Quindi aveva parlato di 'solo un tizio' senza dire il suo nome solo per farti ingelosire, e c'era pure riuscita.
È così che inizia.
Il punto è che continua.
“Si trasferisce di nuovo a Seattle. Ha riavuto il suo vecchio lavoro. Scommetto che ti piacerà lavorare con lei, è una persona meravigliosa.”
No. No, non lo è. È solo una donna. Certo, è bella, intelligente, sensibile, dolce, gentile. Ma in fondo è solo una donna, giusto? Non può prendere il tuo posto. Lei non è te.
Inizia in modo strano, ma continua in modo ancora più strano ed ogni tanto riesci a vederle ridere nella tua visuale periferica, finché un giorno esci dall'ospedale e la vedi nel parcheggio che apre la porta del passeggero per tua moglie nel modo in cui si suppone dovresti farlo tu. Le vedi ogni tanto sorridersi quel sorriso segreto che vi scambiavate ogni tanto tu e lei. Le loro dita si toccano appena e loro arrossiscono e ridono e guardano altrove. Ma tu rimani all'oscuro, perché guardando in faccia la verità, probabilmente saresti rimasta all'oscuro sulla nuova ragazza di tua moglie perfino con un faro da stadio puntato tra i tuoi occhi.
Quando ti colpisce, succede all'improvviso.
Se fossi stata una sconosciuta, sarebbe stato così dolorosamente ovvio dal modo in cui si guardano o dal modo in cui sorridono quando sono nella stessa stanza o anche solo...Era ovvio e basta, ecco tutto.
Ma io ero coinvolta ed era iniziato piano. Era iniziato in modo attenuato, soffocato, come sentire un urlo quando sei sott'acqua.
E Mark non si sposa più. Perché l'amore della sua vita è tornata in città. E tua moglie se la sta portando a letto.
Mettere insieme i pezzi è più difficile di quello che sembra, perché se Mark è innamorato di Addison ed Addison è innamorata di Mark, perché passa tutto il suo tempo con Callie? E allora inizi a notare come è sempre nell'appartamento di Callie ultimamente, come Addison viva da lei anche se ormai è in città da mesi e potrebbe anche solo trovarsi un suo fottuto posto in cui vivere. Il modo in cui quando vai a vedere tua figlia, noti che quelle coperte sul divano non sono mai sgualcite e sembra che siano lì solo per apparenza.
E ti confonde. E neanche poco. Addison e Mark? Mark e Callie? Addison e Callie? A quel punto, davvero, volevo solo sapere la verità.

(Novembre 2012)
“Si tratta di tutti e due.”
“Mi perdoni?”
“È innamorata di tutti e due . Ma questo lei lo sa già, visto che Callie viene ancora da lei, sbaglio? Callie sta uscendo sia con Addison che con Mark.”
Lei non trovò in sé la forza di rispondermi.
“Mi mette a disagio” continuai.
Lei sembrò essere incuriosita da quello che avevo appena detto. Non esprimevo mai disagio per nessun tipo di cosa. Appoggiavo Callie in pieno, qualsiasi cosa volesse fare. L'avevo appoggiata perfino quando aveva deciso di smettere di provare.
“Non è perché sono tre persone in una relazione, anche se devo ammettere che sembra davvero una folla. Insomma, certe volte, perfino due persone sono troppe in una relazione, se capisce che intendo.”
Annuì. Nient'altro. Annuì e basta. Poi, finalmente, decise di parlare.
“Non ho un problema con il fatto che abbiano relazioni aperte. Se è innamorata, è la cosa migliore che potesse capitare a Calliope. Il punto, è che Sofia era mia figlia. Ma adesso la vedo a malapena. Ed Addison va più che bene per farla riaddormentare nel bel mezzo della notte. Non sente la mia mancanza. Mia figlia non sente la mia mancanza. O forse questo è solo quello che voglio credere in modo da non sentirmi in colpa quando deciderò di uscire dalle loro vite in punta di piedi senza mai guardarmi davvero indietro. Amo Sofia con tutto il cuore. Sarà sempre una parte di me. Ma rimanere qui sembra la strada giusta solo per fare un errore dietro l'altro. E quattro genitori potrebbero confonderla. Anche tre genitori potrebbero confonderla. E, insomma, e se un giorno si lasciassero e tutti noi ci rifacessimo una vita? Otto genitori non sono genitori, sono un albero genealogico al completo. Sa come si dice, per crescere un figlio serve un paese, ma così è un po' troppo letterale. Lei è la mia psicologa, quindi penso che dovrebbe essere lei a dirmi se sto solo cercando delle scuse per scappare o se sono solo preoccupazioni sincere per il futuro di una delle due persone che amo di più al mondo.”
“Penso che siano un po' di entrambe. Arizona, è arrivata a questo punto e forse quello che sto per dirle le sembrerà ridicolo. Perché non prova solo a seguire il suo cuore?”
Io inspirai a fondo.
“Perché il mio cuore mi riporta sempre indietro verso Calliope, qualsiasi cosa accada.”
Rilasciai un respiro tremolante.

(Marzo 2013)
“Ho avuto un'offerta di lavoro. Una che proprio non potevo rifiutare.”
“Oh.”
Non è che non lo sapesse già. Lo sapeva. Sapeva che me ne stavo andando. Ma non pensava che l'avrei buttata sull'aver trovato un altro lavoro.
Le cose erano quelle che erano.
“Ci sentiremo per telefono.”
“Di sicuro. E ti manderò una cartolina a Natale.”
“Arizona, è Marzo.”
Avrei dovuto probabilmente dire qualcosa che assomigliasse alla verità. Potevo dirle che era l'amore della mia vita. O che non l'avrei mai dimenticata. O che non potevo capire, neanche a costo della mia vita, cosa ci fosse successo.
“Sofia è mia figlia.”
“Non ho mai pensato-”
“È solo che lei non lo saprà” conclusi. Lo sospettava già, presumo. Resi le cose più facili per entrambe chiarendo ad alta voce come sarebbero andate le cose. “Ha quattro anni. Non se ne ricorderà. Se non vuoi parlarle di me, non farlo. Andrà bene. Voi tre la crescerete come si deve, ed io mi faccio da parte.”
Era figlia mia. Sofia Robbin Torres portava il mio nome in mezzo al suo. Ma rimanere avrebbe significato psicoterapia, psicofarmaci, o depressione, altri tentativi di suicidio. Avrei reso la sua vita peggiore più di quanto avrei potuto renderla migliore in quel momento. Non stavo bene. Dovevo a me stessa di ammettere almeno quello.
“Se un giorno dovessi guarire, stare meglio...”
“Noi saremo qui.”
“Ti ho lasciato un regalo in macchina. Voglio un'uscita dalla tua vita in grande stile.”
“La mia macchina è chiusa.”
“Lo so. L'ho incastrato nel tergicristallo. Sii la persona più felice che questo infelice, terribile mondo abbia mai visto.”
Era un biglietto. Sopra c'era un indirizzo. Avrei voluto vedere la sua faccia quando ci entrava per la prima volta. Avevo lasciato le chiavi a Teddy. Me lo sarei fatto raccontare per telefono.
Avevo trovato la casa dei suoi - nostri - sogni in vendita. Non l'avevo comprata o cavolate simili, era decisamente oltre il limite. Volevo solo che fosse lei a comprarla. A vivere lì. In una casa grande in periferia con un giardino davanti e spazio sul retro, il posto per due auto dentro il garage. Non c'era il dondolo sul portico, però. Ma tanto quel sogno non sarebbe mai potuto diventare in ogni caso realtà.
Teddy mi raccontò che aveva le lacrime agli occhi ancora prima di entrare in casa.
Avevo affittato una di quelle macchine per la neve. E lasciato un biglietto in mezzo al tavolo del soggiorno.
“L'ho avvertita prima di entrare che secondo me era disgustoso e appiccicoso e ci sarebbero voluti giorni per ripulire, ma è entrata comunque” raccontò Teddy.
Il meccanismo si era accesso appena era entrata nel salotto, aveva un sensore per il movimento. Non ne uscì neve, però. L'avevo sostituita con qualcos'altro.
Aveva preso il biglietto in mano.
Io e te siamo questa pioggia di marshmallow.
Io e te siamo impossibili, eppure siamo accadute.
Porto dentro il mio cuore il ricordo di quanto- no, di come ti ho amato.

Mi aveva detto che erano rimasti lì, lei, Addison e Mark, mentre Calliope piangeva in mezzo al soggiorno, un foglio di carta stretto contro il cuore.

(Dicembre 2027)
Era bellissima.
E mi rendevo conto che probabilmente fissarla sembrava davvero raccapricciante, quindi distolsi lo sguardo. Alla fine.
L'intera situazione in cui ci trovavamo era imbarazzante.
Non sapeva cosa dire. E a me le parole erano mancate per diversi minuti ormai. Dal momento in cui avevo aperto la porta del mio appartamento in poi.
“Sì?”
“Salve. Arizona?”
“Sono io” confermai ignorando la strana familiarità della ragazza.
“Sofia. Torres” aggiunse. Come se ce ne fosse stato bisogno. Solo il suo nome era bastato a far precipitare il mio cuore dal petto fino alle scarpe e poi giù, giù, nel terreno, fino a seppellirsi diversi metri sottoterra.
E così ce ne rimanemmo lì in silenzio. Stava bevendo il tè che le avevo preparato. Non avevo idea di come una conversazione del genere sarebbe dovuta iniziare.
“Beh, non so cosa sai di me. Quindi partiamo dall'inizio.”
“Mia madre non sa che sono qui.”
Quello mi sorprese. Ma in fondo non conoscevo più mia figlia. Non conoscevo la persona che era diventata.
“Ok.”
“E nemmeno mio padre.”
Annuii.
“Né zia Addie.”
Mi paralizzai per un secondo. “Zia?”
“Già. Per un po' di tempo lei e i miei genitori sono stati insieme. Non so se tu eri ancora lì, ma spero che capisca cosa intendo.”
“Ero lì.”
“Pensano che io non lo ricordi. Ma lo ricordo.”
“Sofia, come hai fatto a trovare il mio appartamento?”
“Ho preso l'indirizzo dalle lettere che mia madre ti scrive.”
Corrugai la fronte. “Tua madre non mi scrive.”
“Oh, sì che lo fa. È solo che non le spedisce.”
Sentii un nodo in gola.
“Sofia, hai...hai qualche ricordo di me?”
Annuì con decisione.
“Certo. Un sacco. All'inizio pensavo di averti inventato io. Tipo un'amica immaginaria che avevo quando ero davvero piccola, o qualcosa del genere. Ma poi, una sera, ho sentito mio padre e mamma che parlavano di come con il tempo ho smesso di chiedere di te. Ma ho smesso solo perché loro non mi davano le risposte che cercavo. Così me le sono trovata da sola.”
“Quali risposte cercavi?”
Per qualche istante mi guardò e basta.
“Tu eri mia madre. Non è vero?”
Come potevo mentirle? Come avrei mai potuto mentirle?
“Sì, Sofia. E lo sono ancora. È solo molto, molto complicato.”
“So la storia. Tutta la storia. Dopo che mia madre è dovuta venirmi a prendere alla stazione di polizia perché avevo rubato un rossetto, mi ha mandato in terapia dalla sua vecchia psicologa. Ha dei fascicoli. Parecchi. Su di voi. Li ho fotocopiati di nascosto e li ho letti.”
Aveva poco e niente di Mark.
Poco che io riuscissi a vedere, in ogni caso.
Era bella come sua madre, intelligente come sua madre, parlava perfino come lei.
“Hai tradito mia madre.”
Inspirai, cercando di decidere come avrei dovuto rispondere a una domanda del genere.
“E lei ha tradito te” continuò Sofia. “E tu sei andata via. Soffrivi di depressione, capisco che tu lo abbia fatto perché pensavi che sarei stata meglio senza di te, ma non lo sono stata.”
“Mi dispiace.”
Il silenzio si trascinò in modo strano. Avremmo entrambe voluto dire qualcosa che non potevamo o non trovavamo il coraggio di dire.
Presi delicatamente una delle sue mani tra le mie.
“Sei felice, Sofia?”
Lei sembrò sorprendersi non poco della mia domanda.
“Sì, credo di sì.”
Scossi immediatamente la testa, sentendo l'incertezza che velava la sua voce.
“Voglio che ti prenda un momento per pensarci sul serio. Pensaci attentamente. So che non sei infelice, te lo leggo negli occhi. Ma ti sto chiedendo, sei felice?”
Guardò le nostre mani che si sfioravano per un istante.
“Non proprio.”
Rimasi in silenzio per darle la possibilità di continuare a parlare, se lo avesse voluto.
“È solo che loro non riescono a capire.”
“A capire cosa?”
“A capire me.”
Corrugai la fronte. “Cosa di te?”
Scrollò le spalle.
“Qualche volta mi sembra solo di vivere dentro una casa di estranei. Fino a qualche mese fa, prima di leggere quei fascicoli, ero convinta che la mia madre biologica fossi tu. Ho dei ricordi di te di quando avevo poco più di tre anni e capivi quello che volevo anche solo gettando un'occhiata nella mia direzione.”
“Volevo che avessi il meglio, tesoro. Te lo giuro. E pensavo che non lo avresti avuto se fossi rimasta lì e avessi serbato rancore a tua madre, a tuo padre, se loro ne avessero serbato a me. Volevo solo...Volevo il meglio.”
“Lo so. Per questo sono qui. Non voglio chiederti di tornare indietro, né ti costringerò. Hai fatto una scelta molti anni fa, e qualcosa deve averti fatto pensare che fosse quella giusta, altrimenti non l'avresti fatta dal principio. Volevo solo poterti conoscere. Poterti vedere con i miei occhi. Credo che mi aspettassi di trovare da te qualche risposta.”
“Riguardo cosa?”
Scrollò di nuovo le spalle. “Chi sono. Dove sto andando. Cosa c'è nel mio passato e cosa mi aspetta nel futuro.”
“Beh, Sofia, io non so dirti dove stai andando. Del tuo passato conosco solo i primi quattro o cinque anni. E spero che il futuro ti porti tutto ciò che potresti mai desiderare. Ma se ti chiedi chi sei, forse per quello posso dare un piccolo aiuto. Sei il tipo di persona che vola attraverso tutti gli Stati Uniti solo per poter vedere sua madre, il tipo di persona che vuole conoscere quella madre, anche se lei se n'è stupidamente andata, credendo di potersela cavare. Sei la persona a cui ho pensato di più in questi quattordici anni, ogni giorno della mia vita. Beh, tu e tua madre. Sei la figlia di due persone meravigliose, che farebbero qualsiasi cosa per te, come del resto farei anch'io, che vorrei potermi fare strada di nuovo dentro la lista delle persone che ti hanno cresciuto. Sono sicura che hai il grande cuore di tua madre, su questo non ci si può sbagliare. Ma queste...Queste mura che ti sei costruita attorno” le rivolsi un sorriso triste “quelle le hai prese da me. Io non so chi sei, Sofia, e non so chi diventerai. Questo è quello che so sulla persona che ho davanti, ma sono sicura che c'è così tanto di più su di te che non so e che amerei sapere. Basta una tua parola, e farò tutto ciò che mi è possibile per riuscire a conoscerti meglio, in modo da poterti aiutare a capire chi sei.”

(Gennaio 2028)
Niente è come un tempo era stato nei tuoi ricordi.
Rivedi una città dopo quindici anni ed è cambiata.
Ma non era cambiata solo Seattle, non era cambiata solo la storia. Lei era cambiata, entrambe eravamo persona diverse. Due estranee l'una per l'altra. Due sconosciute.
Rivedi una persona, dopo quindici anni, ed è cambiata più della città.
Fu strano non riuscire a trovare niente da dire.
Qualche volta hai in mente così tante cose che non riesci a decidere da dove iniziare. Altre volte, invece, non hai niente da dire e basta.
Lei non sapeva da dove iniziare. Io non avevo niente da dire.
“Ho sentito che hai un nuovo lavoro. In città. Ritorno alle origini, uh? Anche se, non proprio, visto che non sono qui le tue origini, ma...Hai capito che intendo, giusto? L'ospedale è parecchio cambiato, sembra un posto nuovo. Non per me, ovviamente, il cambiamento è stato così graduale che me ne sono a malapena accorta. Ma suppongo che per qualcuno che non ci mette piede da quindici anni, sia un posto del tutto nuovo. Che c'è?” si fermò all'improvviso, vedendo l'espressione sul mio viso.
Scrollai le spalle.
“Sembri felice.”
Il suo sorriso nervoso si trasformò in uno triste, sparendo poi definitivamente dal suo viso.
“Ho fatto la scelta giusta, Calliope. Sembri felice.”
Riuscii a malapena a capire cosa sussurrò verso la mia schiena quando ero a diversi metri da lei, non disposta a mostrarle le lacrime che avevano riempito i miei occhi.
“Le apparenze ingannano.”
Non mi voltai.

(Aprile 2028)
Inizia in modo strano.
Inizia in punta di piedi, come se non volesse disturbare. Inizia e tutti quei sentimenti con cui eri convinta di aver chiuso per sempre tornano a tormentarti più forti e più inappropriati che mai.
È il posto auto in più nel vialetto. È che ceni a casa loro più spesso di quanto dovresti. È che tua figlia dopo un po' di tempo inizia a trattarti come sua madre e questo sarebbe abbastanza per farti esplodere il cuore anche se non ci fosse lì Calliope.
È un po' di tutto, ma in realtà davvero non è niente. Non è niente di tutto questo. E niente di niente, in realtà.
La tua vita non esiste.
Sei morta, come lo eri qualche mese fa. Sei morta e non hai senso. Però inizia così piano che non te ne accorgi, e poi, prima che tu possa rendertene conto, ci sei già in mezzo.
Hai ricominciato a vivere. A sperare. Ad amare.
E non vuoi. Perché, guarda cosa è successo l'ultima volta. Quindi non vuoi. Ma lo fai ugualmente, senza neanche accorgertene, senza bisogno che qualcuno te lo chieda.
E anche questa volta il problema è lo stesso. Il problema non è che inizia, ma è che continua.
Finché la tua auto ha un posto dentro il garage invece che nel vialetto. Finché le cene a casa loro passano da terribilmente spesso a 'sii puntuale stasera a cena'. Finché da 'non puoi guidare con gli occhi che ti si chiudono, è solo per una sera', in qualche strano modo si arriva fino a 'cosa intendi quando dici mio appartamento? Oh, quello. Già, sono settimane che non ci metto piede'.
E forse è perché altre persone ti danno conforto. O forse è perché loro ti danno conforto. Ma molto più probabilmente, è per quella parola che non vuoi nemmeno azzardarti a pensare. Famiglia.
Inizia in punta di piedi e continua senza fare il minimo rumore, ma il punto è che a un certo punto finisce.
Ad un certo punto, ti alzi, prendi la tua roba, e te ne vai.
Perché quello che ti eri ripromessa di non fare era intrometterti e rovinare le loro vite, e hai paura che sia quello che stai facendo.
Ma forse il vero problema, il vero punto centrale della questione, non è che inizia, né come continua e nemmeno che alla fine si ferma. Forse il punto è che non se ne va. Quella sensazione di casa non se ne va più. Sei costretta a vivere il resto della tua vita mentre ti accompagna. E non sai se lo odi più di quanto lo ami, ancora.
Ma sai che è una sensazione che non se ne andrà mai.
Ed è allarmante.

(Maggio 2028)
“Non passi più da casa nostra. Non vieni più a cena. Non dormi più da noi. Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“No. Certo che no.”
“E allora cosa c'è che non va?”
“Che non posso più farlo.”
“Cosa non puoi più fare?”
La guardai come se fosse molto più che semplicemente ovvio.
“Dormire sul divano di casa tua.”
“Perché no?”
A quel punto le rivolsi lo sguardo del 'sei impazzita?' e tossii la mia incredulità.
Ma il suo sguardo innocente era sincero, così provai a spiegarglielo.
“Quando ero piccola, quando sapevo che non avrei dovuto pensare alle ragazze nel modo in cui facevo, pensavo con la testa sotto le coperte. Come se nel buio più totale quello che pensavo, quello che provavo, non importasse. Se nessuno poteva vedere, sentire, sapere, allora era come se non contasse. Ma contava. Con il tempo ho capito che contava.”
Lei annuì.
“Era una sensazione così spiacevole” le spiegai. “Sentirmi come se non contasse, era orribile, perché era una parte di me che veniva cancellata da quello che ne pensavano gli altri, capisci che intendo?”
Annuì di nuovo.
“Dormire sul tuo divano mi riporta indietro a quei giorni. Sapere che adesso dividi il tuo letto con un uomo, e che lui mi permette di dormire da voi come se non mi vedesse neanche come una specie di minaccia per voi, mi fa sentire come se avessi la testa sotto le coperte e quello che faccio non contasse.”
“Non capisco.”
“Ero tua moglie. Credi che, se fossi stata un uomo, lui mi avrebbe lasciato dormire sul vostro divano così facilmente?”
“Sai che non è questo il motivo. Si fida di me, si fida di te, sa che non potremmo mai fare niente del genere.”
“Ma io lo farei” le spiegai, cercando di non suonare troppo affrettata. “In mezzo secondo, se mi si presentasse l'occasione. Senti, tu sei andata avanti con la tua vita, hai trovato qualcuno, sei felice ed io non potrei chiedere niente di meglio” presi le sue mani tra le mie. “Eccetto, essere la causa di questa tua felicità. Io non sono andata avanti, e va bene così. Ma non posso più sentirmi come se quello che penso e faccio non contasse. Sono troppo grande per nascondere la testa sotto le coperte e fingere che i miei pensieri non contino.”

(Agosto 2039)
“Sofia è bellissima. Non credi?”
I miei occhi non la lasciarono neanche per mezzo secondo.
“Sì. Lo è. È bellissima” confermai vedendola finire di sistemarsi il velo.
“Sono così felice che si stia sposando.”
“Lo sono anch'io.”
Il suo vestito bianco aveva riportato alla mia memoria dei ricordi che pensavo di aver perso per sempre. Delle sensazioni, che pensavo non avrebbero più potuto perseguitarmi ormai da molto tempo. Invece era tutto ancora lì, pronto a cogliermi alle spalle al segno della mia prima debolezza.
“Sono felice che abbia voluto indossare il mio vestito da sposa” mi sussurrò con il sorriso sulle labbra.
Quando si era sposata con George, in una cappella consacrata ad Elvis, indossava un vestito da sera che aveva comprato a Las Vegas, azzurro chiaro. La sua corrente relazione era stata ufficializzata in comune, e l'unica cosa bianca che aveva addosso era il suo sorriso perfetto. Il vestito che aveva dato a Sofia, quello era il vestito con cui aveva sposato me.
“Le sta molto bene” sussurrai con il cuore in gola. Era così simile a sua madre che avrei voluto piangere.
“Posso avere un minuto per parlare con papà da sola?” ci chiese ad alta voce.
Noi annuimmo, uscendo silenziosamente dalla stanza.
“Pensi che sarà felice?” mi chiese gettando un'occhiata all'interno della cappella.
Pensai allo sguardo che aveva negli occhi quando guardava la persona che stava per sposare.
“Non lo so” sussurrai. Perché quel suo sguardo mi ricordava terribilmente il mio. “Ma sono dannatamente sicura che si ameranno per sempre.”
“Siamo pronti per iniziare” ci avvertì l'organizzatrice.
“Chiamo Sofia” mi offrii.
Bussai, aprendo la porta piano.
“No. Non lo capisco. È assurdo Sofia, ho aspettato questo giorno da quando sei nata, e adesso mi dici che non è quello che vuoi? A due minuti dall'inizio della cerimonia?”
“Mi dispiace, papà. Ma vorrei che rispettassi la mia decisione.”
“Sofia, Mark” attirai la loro attenzione. “Stiamo per iniziare.”
Mark mi guardò, poi spostò la direzione dei suoi occhi su nostra figlia e infine di nuovo su di me.
“Non vi capisco, Sofia, né tua madre né te. Non importa quante volte continui a deludervi, terrà sempre il vostro cuore più di chiunque altro al mondo. Amerete sempre lei più di chiunque altro al mondo” sussurrò. “Fai quello che davvero desideri. Tutto quello che voglio è la tua felicità.”
Mi superò, uscendo dalla stanza.
Corrugai la fronte. “Di che stava parlando?” chiesi, sconcertata.
Sofia scosse appena la testa.
“Gli ho detto che preferirei che fossi tu ad accompagnarmi all'altare.”
Sentii il cuore contorcermisi nel petto.

(Dicembre 2027)
“Hai mai pensato di tornare indietro? Dico, prima che mi presentassi alla tua porta.”
“Ogni giorno della mia vita, Sofia. Ed un paio di volte l'ho anche fatto” le confessai.
Lei mi guardò, distogliendo lo sguardo dal finestrino dell'aereo. La stavo riaccompagnando a casa, in fondo era un'adolescente che si era data alla macchia. Come adulta responsabile, era mio compito riaccompagnarla a casa sana e salva.
“Sono venuta a Seattle ed ho aspettato fuori dalla tua scuola mentre uscivi solo per vedere con i miei occhi che stavi bene. Chiamo Teddy quasi tutte le sere, per chiederle se ti ha visto e come te la cavi. E se per più di tre sere mi dice che non ti ha incontrato, la obbligo a venirvi a trovare per farmi raccontare quanto in fretta stai crescendo. So che suona patetico e un po' da stalker, ma non potevo allontanarmi più di così.”
Lei appoggiò una mano sulla mia.
“Ti ringrazio. Per esserti voluta assicurare che stessi bene.”
“Ti ho visto ballare. Quando avete fatto quella recita a scuola in quinta elementare. Mark mi ha spedito il video per email.”
“Davvero?”
Annuii. “E ho costretto Teddy ha riprenderti mentre stavi cantando al secondo anno di liceo.
Quando l'anno scorso mi ha detto che sareste venuti a New York per le nazionali del campionato di cheerleader sono venuta a vedervi esibire. Ma eravamo migliaia di persone, quindi è comprensibile che tu non mi abbia visto.”
I suoi occhi si velarono di lacrime.
“Ti voglio bene, Sofia. Mi dispiace che mi ci siano voluti tutti questi anni per riuscire a dirtelo. Per essere la persona che ti meriti di avere come madre. Ma più il tempo passava, più tornare indietro sembrava difficile. Era come se la porta che avevo varcato si fosse lentamente chiusa sempre di più alle mie spalle.”
“Beh, la porta è aperta adesso. Hai tutto il tempo per recuperare.”

(Giugno 2028)
“Andiamo. Ti porto a casa.”
“Sto bene. Voglio rimanere.”
“Vuoi rimanere a bere finché non ti farai venire un buco nel fegato? Già, beh, un peccato che non ti lascerò in pace finché non sarai al sicuro a casa tua.”
“Vattene via, Callie.”
“No.”
“Senti, non sono affari tuoi. Vattene e basta, ok? Lasciami sola.”
“Arizona, ti stai comportando da bambina.”
“E tu ti stai comportando come mia madre. Lasciami fare cosa cavolo mi pare e fatti i tuoi maledetti affari.”
“Joe, giuro sulla mia stessa vita che se le dai anche solo un altro drink...”
“Adesso vuoi impedire alle persone di fare il loro lavoro?” le chiesi, esterrefatta. “Questo è molto maturo da parte tua.”
Mi alzai, pagando il conto ed uscendo dal bar.
Neanche due passi e mezzo dopo, sentii la porta aprirsi di nuovo dietro di me.
“E per la cronaca, sì che sono affari miei. La madre di mia figlia che si ubriaca tre volte nella stessa settimana, sono affari miei.”
“No, invece.”
“Sì, invece. Sono affari miei, anche se abbiamo divorziato.”
Mi girai di scatto, urlandole addosso le parole che mi stavano affondando ogni istante di più con il loro peso insostenibile.
“Hanno smesso di essere affari tuoi quando hai deciso di sistemarti con Mark.”
Si immobilizzò.
“Di tutte le persone al mondo, tu hai dovuto scegliere lui.”
“Lui era...” lì.
Già. Quella frase suonava familiare.
“Non dirlo. Ti prego non dirlo nemmeno” mi coprii il viso con le mani. “Tutte le altre volte era vero. Ma non stavolta, Callie. Non stavolta, perché quando è iniziata io ero ancora qui. Al tempo in cui frequentavi lui ed Addison, io ero qui a guardare il mio mondo cadere a pezzi. Io ero qui. Tu hai scelto lui.”
Premetti le dita contro le mie tempie.
“Non berrò più, se questo è il problema. Non è che mi aiutasse in ogni caso. Niente mi aiuta davvero.”
Mi voltai, andandomene via.
Ripensai a quella frase che avevo detto anni ed anni prima alla nostra psicologa, pensando che sembrava più vera che mai.
Il mio cuore mi riporta sempre indietro verso Calliope, qualsiasi cosa accada.

(Agosto 2039)
“Sei sicura? Non è troppo tardi se vuoi chiamare tuo padre. Sono sicura che c'è rimasto male, Sofia.”
“Lo so” alzò gli occhi al cielo, non cercando nemmeno di nascondere la sua irritazione. “Non ha fatto altro che dirmi quanto c'è rimasto male da quando gli ho detto quello che avevo deciso.”
“Tesoro, sai che questa cosa mi rende davvero, davvero felice, ma posso sapere perché questa scelta?”
Scrollò le spalle.
“Tu non volevi figli.”
“Scusami?”
“L'ho letto nel tuo fascicolo, quando avevo diciotto anni. Certo, avevi già cambiato idea, ma avresti comunque potuto andartene. Però sei rimasta, anche se significava dover avere una figlia con un uomo che non ti stava simpatico già da tempo prima.”
“Sofia, tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
“Lo so. E sai perché lo so? Perché me lo ripeti tutto il tempo. Io so quanto bene mi vuoi. Eppure non eri obbligata. Hai scelto di rimanere quando hai sentito il battito del mio cuore.”
Era la verità. Raccontare quello alla psicologa era stato davvero difficile, ma volevo farlo. Volevo che mi dicesse che il fatto che avevo amato mia figlia solo dal battito del suo piccolo cuore era normale.
“Che hai pensato quando lo hai sentito?”
Io sorrisi quando me ne ricordai.
“Ho pensato ai tuoi primi passi. Ho pensato alla prima parola che avresti detto. Alla tua prima lezione di danza, o di canto, o di calcio. Ho pensato al tuo primo giorno di asilo, di elementari, di liceo e di college. Al tuo primo Natale. E a questo. Al tuo matrimonio. Ho pensato che avrei voluto essere lì per le cose importanti della tua vita e per quelle più piccole, per farti ridere quando ti senti triste e per proteggerti se un giorno non avessi più la forza di farlo da sola.”
“Ecco perché” rispose semplicemente. “Mamma ha pensato di abortire” feci una smorfia alle sue parole. Dannato fascicolo. “Ma non l'ha fatto, perché già mi amava. Lei voleva un bambino. Mio padre voleva un bambino. Tu non volevi un bambino. Tu volevi me.”
“Tua madre ti ama esattamente quanto me, Sofia. E anche tuo padre.”
“Lo so. Ma loro non mi hanno scelto. Loro mi hanno avuto. Tu, invece, tu mi hai scelto.”

(Gennaio 2005)
“Ciao.”
“Ciao.”
Esitai mentre la porta si chiudeva lentamente alle mie spalle.
“Ortopedia, giusto?”
“Sì. Giusto.”
“Sono Arizona Robbins. Chirurgia pediatrica.”
La prima volta che vidi i suoi occhi da così vicino, erano pieni di lacrime.
“Ti ho vista, in ospedale. Le persone parlano un sacco lì. E per amor di onestà credo di doverti dire che so delle cose di te. Perché le persone parlano” risi nervosamente. “Sembri triste. E volevo solo che sapessi che quando non sarai più triste ci saranno delle persone a fare la fila per te.”
“Vuoi farmi qualche nome?” chiese dopo essere scoppiata a ridere.
La guardai per un istante, prima di mandare al diavolo la ragione ed avvicinarmi per baciarla piano, quasi come se avessi paura di svegliarla.
Fu in quel preciso momento che capii che tutto ciò che volevo era che nei suoi occhi non ci fossero mai lacrime che avevo causato io.
“Penso che lo saprai.”
Purtroppo, le cose non vanno mai come vorresti.

(Agosto 2039)
Sorseggiavo lentamente il mio champagne, rimanendomene in disparte. Non ero molto dell'umore per la compagnia.
La guardavo ballare insieme a Mark e nonostante l'avessi accompagnata io all'altare, non potevo evitare la scintilla di gelosia che mi attanagliava lo stomaco. Era lui ad avere il ballo padre-figlia insieme a lei.
“Sembra felice” sospirò sedendomisi accanto.
“Penso che lo sia. Ricordo che io lo ero” ricordai con un sorriso, senza distogliere lo sguardo dalla sua figura.
Mi persi ancora una volta nei miei pensieri su tutto quello che la mia bambina era diventata nel corso degli anni, su quanto era cresciuta, finché un giorno non era più una bambina sotto nessun punto di vista tranne il mio.
“Dove abbiamo sbagliato?”
“Da nessuna parte. Sofia è assolutamente perfetta” risposi con decisione.
“Parlavo di noi.”
Spostai lo sguardo verso di lei.
“Calliope.”
“Lo amo. Davvero. Ma non capisco perché non riesco ad essere innamorata di lui.”
“Ed io non capisco perché non riesco a non essere innamorata di te. Succede e basta. Non scegliamo mai la persona di cui ci innamoriamo.”
“Perché non possiamo solo essere noi di nuovo?”
Scrollai le spalle.
“Forse perché è passato troppo tempo. Forse perché ne è passato troppo poco e venticinque anni non mi sono bastati per dimenticarmi quanto ti amo. Forse perché ci abbiamo provato troppo o forse non ci abbiamo provato abbastanza. Forse abbiamo buttato le occasioni che abbiamo avuto, o forse non abbiamo mai avuto un'occasione che funzionasse davvero” era una lunghissima lista di contraddizioni. “Forse ci amavamo troppo. O, forse, ci amavamo davvero, davvero, davvero troppo.”
“Forse è stato meglio così. Giusto?” chiese, anche se palesemente non era quello che stava pensando.
Tornai a guardare nostra figlia ballare.
“Pensi che un mondo dove non piovono marshmallow sia migliore?” le chiesi facendo finta di ponderare davvero la situazione.
Lei rise piano, ma non rispose.
“Io credo di no. Credo che sia un mondo triste e patetico. È un mondo dove esistono cose
impossibili, che non posso accadere, punto e basta. Non c'è niente di migliore in questo, rispetto a un mondo ideale dove i giorni di sole sono quasi peggiori dei giorni di pioggia, perché, voglio dire, quando piove, piovono marshmallow. Come si può battere qualcosa del genere? Questa vita, questo mondo, non sono migliori di un posto dove tutto è possibile. Anzi, se va detta tutta la verità, questo mondo fa schifo. L'unica cosa che vale lo sforzo immane che faccio per respirare ogni giorno è Sofia” mi voltai per guardarla negli occhi. “E l'amore che ho per te.”
Stava per rispondermi, quando una voce dolce la anticipò.
“Mamma, credi che potrei avere anche un ballo insieme a te?” tese la mano verso Calliope.
“Certo, mija” rispose alzandosi.
Il suo sorriso era così luminoso che rischiò di abbagliarci.
“Inizia a fare stretching” mi avvertì. “Dopo è il tuo turno.”
Ricambiai il suo sorriso, annuendo appena.
Calliope mi guardò, facendomi capire che quella conversazione non era finita.
Quando fu il mio turno di ballare con mia figlia, cercai di non ripensare a quando avevo ballato con sua madre mentre indossava quello stesso vestito. Di quanto l'avevo amata allora. Di come adesso non l'amavo neanche il minimo di meno.
Quando la canzone terminò sentii una mano posarsi leggera sulla mia spalla.
“Posso avere questo ballo?” domandò Calliope, tendendo una mano nella mia direzione.
Io le sorrisi. “Con molto piacere. Credo che nostra figlia sia attesa da qualcuno in ogni caso per il prossimo ballo” le rivolsi un sorriso complice, lasciando poi che Calliope mi trascinasse a qualche metro, appoggiando le mani sui miei fianchi mentre io le circondavo il collo con le braccia.
Quando riconobbi la canzone sentii una fitta al cuore. Lei si avvicinò ancora di più, appoggiando la guancia vicino alla mia tempia.
“Questa canzone mi ricorda così tanto di te” le dissi in un sussurro mozzato.
The first time ever I saw your face, I thought the sun rose in your eyes.
“Continua a cogliermi di sorpresa il modo in cui ti amo. Vuoi sapere una cosa divertente? Ha smesso di cogliere di sorpresa Mark molto, molto tempo fa.”
And the first time ever I kissed your mouth, I felt the earth move in my hands.
“Vorrei poter tornare indietro e fare tutto in modo diverso” fu la mia unica risposta. “Vorrei poter chiudere gli occhi e svegliarmi nel 2005 e poter rifare tutto da capo, anche se il risultato fosse lo stesso, solo per rivivere ancora una volta quei momenti insieme a te.”
And the first time ever I lay with you, I felt your heart so close to mine. And I knew our joy would fill the earth, and last till the end of time.
“E poter avere quei dieci figli e vivere insieme in quella casa che non è mai stata completa senza di te” sussurrò “e invecchiare insieme su quel dondolo che ho fatto mettere sul portico. Mano nella mano.”
“Mano nella mano.”

(Dicembre 2061)
Camminavo molto più lentamente di un tempo.
Ma camminavo ancora, non di meno.
Natale era una festa grande ogni anno, ma quel Natale in particolare fu bellissimo. Avevamo pranzato tutti insieme a casa di Callie, c'era Sofia con i suoi due figli, Teddy ed Henry, loro figlio con la moglie, la Bailey e Eli con Tucker Junior e la sua compagna, c'era perfino Addison. Era stato un bel giorno di Natale.
Uscii dalla casa, andando a sedermi sul dondolo sotto il portico.
Immediatamente ricordai ciò che un tempo aveva significato, nei giorni in cui mi illudevo ancora di avere molto tempo. Adesso avevo molti più 'ieri' che 'domani'.
Sentii il dondolo spostarsi sotto il peso di qualcun altro che si sedeva accanto a me.
“Troppa confusione, lì dentro, non è vero?”
“Già. I ragazzi fanno rumore” scherzai.
“Mark e Henry si sono messi di nuovo a discutere su quella partita di baseball che abbiamo giocato con il Seattle Grace quando Owen era primario. Ti ricordi?”
“Mi ricordo. Un certo esterno in movimento mi aveva distratto mentre cercavo di concentrarmi sulla partita.”
Con il tempo quella sensazione di panico era diminuita.
Adesso riuscivamo a parlare del nostro passato con quella pacata rassegnazione di due persone che sanno di non avere più altre occasioni.
“Ricordo che eri sexy. Il softball ti donava” rispose.
Chiusi gli occhi mentre un sorriso si formava sulle mie labbra.
“Lui si starà chiedendo che fine hai fatto.”
Lei scrollò le spalle, appoggiando una mano sulla mia.
Io sorrisi.
Dopo qualche momento la sentii ridere piano.
“Che c'è?”
“Guardaci, sedute qui su un dondolo, sotto il portico. Sembra che alla fine siamo davvero invecchiate insieme” appoggiò la testa sulla mia spalla, ridendo piano e rafforzando la presa sulla mia mano.
“Sai che non lo intendevo proprio così” le ricordai con un sorriso. “Ma va bene lo stesso” sussurrai appoggiando delicatamente la testa sulla sua e chiudendo gli occhi. “Ve bene lo stesso.”





Ok, questa settimana voglio proporvi un'idea, ditemi che ne pensate. Potrei scrivere una shot “su richiesta”...Mi spiego meglio. Se vi va potete mandarmi una situazione in cui vi piacerebbe vedere Callie e Arizona in una delle storie ed io sceglierò la più bella e proverò a cercare di accontentare una richiesta...(specifico che non è per mancanza di fantasia, perché ne ho già scritte molte altre e non sono assolutamente alle strette, ma mi sembrava un modo carino di ringraziare tutte voi che leggete le mie storie). Fatemi sapere che ne pensate! =)

Grazie mille a tutte voi lettrici, il mio amore va a chi di voi vorrà recensire! =)

Alla prossima!


  
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