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Autore: Pandora86    03/02/2013    4 recensioni
Una spiaggia deserta. Il rumore delle onde.
Il mare di notte che fa da sfondo all’incontro di due persone che si odiano… o almeno, così credono.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco a voi il terzo capitolo della fic.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo, ma anche tutti i lettori silenziosi.
Attendo, come sempre, i vostri pareri.
Ci vediamo a fine capitolo per le note e le informazioni  riguardo le prossime pubblicazioni.
Scusate se troverete degli errori. Io leggo e rileggo ma qualcosa sfugge sempre.
Buona lettura.              
 

Capitolo 3.
 

Rukawa osservava la schiena di Sakuragi, rimasta immobile dopo il suo richiamo.

Che sia un miraggio? Si domandò perplesso.

“Do’hao?!” ripeté incerto, e stavolta ebbe la certezza che quella davanti a lui fosse una persona in carne ed ossa.

Sakuragi era sussultato quando lo aveva chiamato.

Rukawa osservò la schiena del compagno di squadra e le sue spalle, larghe e muscolose.

Vide Sakuragi voltarsi e guardarlo con uno strano cipiglio in volto.

Possibile che dovesse apparire sempre così contrariato?

Si soffermò un istante sulla sua figura.

Indossava una canottiera bianca che spiccava, in quel contesto così buio, e faceva risaltare la sua abbronzatura.

Il do’hao, in effetti, aveva preso parecchio sole. Già di solito la sua carnagione era abbastanza scura.

Ora, invece, aveva quelle sfumature dorate che solo il sole estivo può donare.

Notò che aveva anche i capelli acconciati in modo diverso.

Non erano alzati come li portava a scuola. Erano semplicemente lasciati cadere e andavano a incorniciargli il viso, rendendolo bellissimo ai suoi occhi.

In effetti, il do’hao con quel tipo di pettinatura appariva totalmente diverso.

Si chiese perché non si pettinasse così anche a scuola.

Avrebbe di sicuro avuto molto successo fra le ragazze. Il successo che tanto desiderava.

Il successo che gli invidiava.

Il successo per cui lo odiava.

“Ti sei addormentato in piedi, kitsune?”.

La voce di Sakuragi lo riscosse dai suoi pensieri.

Si accorse di essere rimasto in silenzio per qualche minuto nell’osservare il do’hao che ora lo guardava con le sopracciglia corrugate in attesa di una risposta.

Si era girato verso di lui rimanendo seduto, poggiando il braccio sul ginocchio e posandovi la testa sopra.

Posizione che faceva risaltare ancora di più la sua muscolatura.

Scacciando quel pensiero, ritrovò la sua solita imperturbabilità andando a sedersi con noncuranza di fianco a lui.

“Nh! Che ci fai qui?” domandò con indifferenza, anche se in realtà moriva dalla voglia di sapere cosa ci facesse lì.

“Potrei farti la stessa domanda, baka!” rispose questi pungente.

Ecco che passa agli insulti! Pensò Rukawa sconsolato.

Eppure lui gli aveva fatto una domanda in maniera civile.

Perché doveva sempre essere così dannatamente astioso nei suoi confronti?

Possibile che non riuscissero mai a mettere tre frasi di fila senza insulti o sarcasmo?

Fu per questo pensiero che decise, una volta tanto, di ignorare l’insulto.

“Vacanza! Genitori!” rispose, limitando al minimo le parole ma dando comunque una risposta esauriente sul suo trovarsi lì.

 
 Sakuragi guardò Rukawa, lasciandosi andare a una mezza risata.

Non solo non aveva risposto al suo insulto, ma gli aveva anche dato una risposta sul motivo del perché fosse lì.

Che risposta poi… aveva limitato le parole dandogli comunque spiegazioni esaurienti.

Si ritrovò a ridere sommessamente a quel pensiero. Quelle due parole dovevano essere costate molto alle corde vocali della kitsune.

Rukawa lo osservò ridere, beandosi dell’espressione di Sakuragi in quel momento.

Non era come quando faceva l’idiota in palestra.

Non era una risata volgare né troppo rumorosa.

Era semplicemente una risata, accompagnata da un volto sorridente e disteso, non da un’espressione da pagliaccio.

“Che hai da ridere?” domandò poi.

Vide Sakuragi guardarlo, sgranando gli occhi con espressione di finta sorpresa.

“Oh… non ci posso credere!” rispose, con ancora un mezzo sorriso in volto. “Hai detto tre parole di senso compiuto!” concluse, allargando poi il sorriso.

“Nh… quattro!” lo corresse Rukawa.

“Come?” domandò a sua volta l’altro.

“Ne ho dette quattro, do’hao!” ci tenne a puntualizzare.

Sakuragi lo guardò un attimo interdetto.

Rukawa che rispondeva alle sue parole.

Rukawa che gli faceva una domanda.

E poi ancora:

Rukawa che lo correggeva sul numero di parole pronunciate.

Il tutto con l’espressione seria in volto.

Lo stava realmente correggendo e non era sua intenzione fare una battuta.

A quel punto non ce la fece più… nonostante fosse grande la tensione che provava avendolo così vicino, non riuscì resistere alla comicità della situazione venutasi a creare.

Scoppiò in una risata allegra e di vero cuore.

Rukawa lo osservò, rimanendo un attimo perplesso.

Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi agli sbalzi d’umore del do’hao.

Sakuragi dovette intercettare quello sguardo, visto che iniziò a spiegare il motivo della sua ilarità fra una risata e un’altra.

“Beh kitsune, ammetterai che tu che parli già di per sé è abbastanza comico” esclamò asciugandosi gli occhi.

“Quando poi conti anche le parole che dici, ti rendi conto da solo di essere fuori di testa!” affermò, non riuscendo a trattenere uno sbuffo divertito.

Rukawa, in effetti, dopo quelle parole, dovette ammettere che la situazione era abbastanza comica.

Motivo per cui non riuscì a impedire alle sue labbra di piegarsi in un sorriso, producendo un suono divertito.

“Noooo….. Kami è la fine del mondo!” esclamò Sakuragi teatralmente, portandosi le mani ai capelli.

“La kitsune che ride!” continuò con un finto sguardo terrorizzato, prima di scoppiare nuovamente a ridere.

Rukawa non riuscì a resistere all’ennesimo siparietto comico dell’altro.

E non ci riuscì perché, questa volta, era con lui che Sakuragi rideva.

Era con lui che scherzava.

Era con lui che faceva battute.

Iniziò a ridere con l’altro.

Sakuragi sembrava non riuscire a fermarsi.

Le risate erano incontenibili per un tipo come lui e, senza accorgersene andò a posare il gomito sul ginocchio dell’altro poggiandovi sopra la testa.

Rukawa sembrò non farci nemmeno caso.

Anche quando le risate cessarono, mantenne quella posizione alzando il viso verso Rukawa.

Neanche in quel momento si accorsero della loro vicinanza o della strana posizione, così familiare, assunta tra loro.

Del resto, quando due vecchi amici ridono insieme, nessuno fa caso all’altro  se questi si poggia a lui o viceversa.

Ma loro non erano vecchi amichi. Non erano nemmeno nuovi amici.

Non si sopportavano fino a qualche istante prima.

Ma questa non era la verità.

E presto entrambi lo avrebbero capito.

Rukawa non si accorse del viso di Sakuragi, così tremendamente vicino al suo.

O meglio, se ne accorse, ma non ci fece caso.

Era troppo occupato a osservare i suoi lineamenti, per pensare ad altro.

Anche Sakuragi si perse nella contemplazione del viso dell’altro.

Pensò che la pelle di Rukawa fosse bellissima, se inondata dalla luce lunare.

“Dovresti portarli sempre così i capelli!” fu il sussurro di Rukawa.

Era più una riflessione ad alta voce che altro, ma Sakuragi lo udì benissimo, sorridendogli di rimando.

Tutto in quel momento sembrava normale.

Tutto in quel momento sembrava familiare.

Fu per questo che avvenne.

Non si sa chi dei due annullò per primo la pochissima distanza tra loro.

Non si sa che dei due fece il primo passo.

Forse perché, probabilmente, entrambi si mossero all’unisono.

Solo il rumore del mare di notte che faceva da sfondo al loro primo bacio.

Solo una spiaggia deserta che faceva da panorama al loro amore a lungo represso.

Dopo il primo, incerto, sfiorarsi di labbra, entrambi presero coraggio, andando a cercare nelle labbra dell’altro qualcosa di più.

Le mani che percorrevano sicure quello che da tempo bramavano.

Fino a che, anche quell’incanto, svanì.

Svanì sotto la forma di un grosso cane nero che era atterrato su di loro per coinvolgere i due nei suoi giochi da spiaggia.

Non si sa bene come ma, Sakuragi finì per far affondare totalmente Rukawa nella sabbia, ritrovandosi spalmato sul corpo dell’altro a mo di materasso, con la schiena occupata da cinquanta chili abbastanza ingombranti che continuavano a leccargli il collo e a tirare i suoi capelli.

“Calimeroooo…”

Una voce giovane, dapprima lontana, poi sempre più vicina andò in loro soccorso.

“Oh no, CALIMERO!” urlò isterica la voce, mentre cercava di liberare i malcapitati dall’ingombrante presenza del suo cane.

“Scusatemi, spero non vi siate spaventati!” si affrettò a precisare il giovane.

“Calimero è così irruente!” aggiunse imbarazzato a mo di scusa, guardando i due  che si mettevano a sedere e sperando che non si fossero spaventati.

“Sc-Scusatemi ancora!” aggiunse mortificatissimo, sotto lo sguardo glaciale di quello con i capelli neri che si massaggiava le tempie e scuoteva la testa per riprendersi dalla botta improvvisa.

L’altro, con quel colore di capelli assurdo, era ancora impegnato a sputare tutta la sabbia che aveva ingoiato essendo finitoci con la faccia spiaccicata sopra.

“C-Calimero?!” riuscì a balbettare Sakuragi, una volta sputata tutta la sabbia, osservando il cane.

“Ehm… si! È quel pulcino piccolo e nero che…” iniziò allegro il ragazzo.

“Sappiamo chi è!” intervenne Rukawa, alzandosi in piedi e mostrandosi in tutto il suo metro e novanta.

“Sparisci!” aggiunse poi freddo, fulminando il ragazzo con lo sguardo.

“S-Si” balbettò il proprietario del cane dapprima intimorito, poi letteralmente terrorizzato una volta che anche Sakuragi mostrò la sua imponente altezza, mentre si alzava in piedi e lo guardava inebetito.
 
“Scusatemi ancora!” disse tutto d’un fiato inchinandosi e scappando via, seguito da un felicissimo Calimero, soddisfatto che il suo padrone ricominciasse finalmente a giocare.

“Calimero!” esclamò ancora Sakuragi guardando Rukawa stralunato.

“Nh” fu la risposta di assenso della volpe.

“Un terranova!” esclamò ancora il numero dieci, con lo sguardo di chi ha appena visto l’impossibile.

“Nh!” affermò ancora Rukawa, rassegnatosi oramai a costatare l’ovvio.

“Oh Kami!” esclamò ancora Sakuragi portandosi una mano alla fronte.

“Quello è matto!” concluse, continuando a guardare l’altro con gli occhi allibiti.

“Nh” affermò ancora Rukawa loquace come al solito.

Non poté però trattenere un sorriso nel vedere il volto di Sakuragi impiastricciato di sabbia.

Cosa che non passò inosservata, visto che Sakuragi ribattete pronto:

“Che hai da sogghignare, volpe?” domandò bellicoso.

Rukawa fu veloce a puntare l’indice sulla sua faccia.

“Dovresti guardarti allo specchio, do’hao!”

“Dovresti guardare anche la tua di faccia, kitsune!” rispose pronto Sakuragi, ghignando malefico.

In effetti, il volto di Rukawa non doveva apparire meglio del suo.

Se lui era diventato un castello di sabbia vivente, Rukawa aveva ancora stampati sulla guancia i segni di quella che doveva essere la sua canottiera.

Tra l’altro anche la kitsune, scuotendo la testa, aveva fatto cadere un grosso quantitativo di sabbia, che gli si era appiccicata contro e sembrava risaltare ancora di più sui suoi nerissimi capelli.

Fu allora che guardandosi negli occhi e osservando i rispettivi volti scoppiarono in una risata.

Rukawa si limitò a sogghignare mentre Sakuragi aveva le lacrime agli occhi.

“Calimero!” continuava a ripetere fra le risa.

“Se quel cane gli assomiglia allora, io sono l’imperatore!” continuò.

“Nh… l’imperatore dei do’hao!” diede il suo contributo Rukawa.

Peccato che però, anche quel momento di allegria e complicità reciproca fosse destinato a finire.

Non fu però interrotto da niente stavolta.

Le risate andarono, pian piano, scemando, fino a portare a un silenzio imbarazzato.

Silenzio che fece loro rendere conto di quello che il motivo di tanta ilarità aveva interrotto.

Ma, se Rukawa non abbassava lo sguardo, seppur imbarazzato ma comunque pronto a un confronto, Sakuragi invece rifuggiva negando ai suoi occhi di posarsi sull’altro.

Rukawa vide le guance dell’altro diventare della tonalità dei suoi capelli e decise così di fare il primo passo.

Non poteva essere stato un caso quello che era avvenuto tra loro.

Sakuragi lo ricambiava.

O, quantomeno, ricambiava la sua attrazione.

Aveva sentito chiaramente il rigonfiamento dei pantaloni dell’altro; lo stesso che aveva avuto lui.

E stavolta, non aveva nessuna intenzione di lasciar correre.

Allungò deciso la mano verso l’altro per costringerlo a guardarlo negli occhi e per fargli ammettere quello che c’era stato.

Ma non fece in tempo.

Sakuragi si alzò, veloce come una molla e, con un borbottato e quasi incomprensibile “Devo andare”, si allontanò correndo e mettendo tra di loro quanta più distanza poteva.

E Rukawa rimase lì, spiazzato dal comportamento dell’altro e ancora scosso per quello che era avvenuto.

Rimase lì, con la mano ancora tesa, osservando la figura dell’altro diventare sempre più piccola.
 

                                                                     ***
 

“E dai Kaede, non ti farà male prendere un po’ di colore” continuava ad insistere la madre dell’asso dello Shohoku, per nulla intimorita dallo sguardo truce del figlio.

“Tua madre ha ragione Kaede” intervenne stavolta il padre, dando man forte alla sua consorte.

“Sono sicura che in spiaggia ti divertiresti. C’è anche un bagnino dai capelli rossi che è un vero spasso!” aveva aggiunto allegra sua madre, con il fermo proposito di trascinare suo figlio in spiaggia.

A quelle parole però, la mente di Kaede era divenuta nuovamente presente.

Se prima, infatti, era totalmente persa nei suoi pensieri mentre ignorava il chiacchiericcio fastidioso della madre, ora era di nuovo vigile e attenta.

Non ci aveva messo molto a capire il significato di quelle parole ed era immediatamente scattato, alzandosi in piedi e andando nella sua camera a infilare il costume.

Si era poi presentato dopo meno di un minuto, di fronte a sua madre che lo osservava perplessa per quel repentino cambio d’umore.

“Vengo!” aveva detto solamente, avviandosi alla porta e afferrando una rivista sportiva.

“Bene!” aveva trillato sua madre seguendolo e non facendo caso alle stranezze del figlio.

E ora Kaede si ritrovava in un’affollatissima e rumorosissima spiaggia, rigorosamente sotto il suo ombrellone, di pessimo umore, trincerato dietro la sua rivista.

Nel frattempo, osservava gli spettacolini comici del do’hao.

E così aveva anche svelato il mistero della sua presenza lì.

La sera precedente, infatti, Sakuragi non aveva risposto alla sua domanda.

Poi facciamo i conti do’hao! Pensò funesto.

Per colpa sua, aveva passato una nottata insonne credendo di rivederlo a scuola.

Ora che invece sapeva come ritrovarlo, non avrebbe aspettato un minuto più del necessario.

Sakuragi, dal canto suo, tutto si aspettava tranne di trovare la kitune ibernata in spiaggia quella mattina.

Rukawa non poteva sapere che, proprio come lui, anche Sakuragi aveva passato una notte insonne.

Notte insonne persa in pensieri, uno più assurdo dell’altro.

Però, quello ricorrente era solo uno:

Sono un do’hao!

E lo pensava sul serio.

Da qualche tempo aveva capito di provare qualcosa per il compagno di squadra.

Da qualche tempo aveva accettato che il suo era un sogno impossibile.

Poi, chissà per quale miracolo, lui e Rukawa finivano per baciarsi.

E Sakuragi aveva il sospetto che, se non fossero stati interrotti, non sarebbe finita lì.

I loro baci, che di casto avevano avuto  ben poco, e le loro mani, che erano sembrate bramose alla spasmodica ricerca di chissà cosa sul corpo dell’altro, ne erano una prova evidente.

Prova evidente di quello che sarebbe accaduto.

Prova evidente di quello che sarebbe potuto accadere.

E lui che faceva?

Si dava alla fuga!

Invece di approfittare di quell’occasione e capire perché Rukawa lo aveva fatto, aveva preferito battersi in ritirata.

Ma che Tensai dei dementi! Si era poi preso in giro da solo.

E si era disperato perché non sapeva quando avrebbe rivisto l’altro.

O meglio, sapeva che l’avrebbe rivisto a scuola.

Ma sapeva anche che poi sarebbe passato troppo tempo e che probabilmente Rukawa non avrebbe più pensato alla cosa.

Perché, se da un lato aveva capito che non era indifferente al numero undici, dall’altro non aveva nessuna certezza sul fatto che lui non rappresentasse solamente uno dei divertimenti estivi della kitsune.

In fondo non sapeva nulla di lui, se non il fatto che dormisse ovunque tranne che in un campo da basket.

E invece, colmo dei colmi, quella mattina se lo ritrovava lì, sotto l’ombrellone (manco potesse sciogliersi al sole) e con uno sguardo truce, anche se poco visibile poiché era per metà coperto da una rivista sportiva.

E adesso? Si era domandato.

Non sapeva né quanto durassero le vacanze dell’altro né se l’avrebbe rivisto nuovamente in spiaggia in pieno giorno.

Pur non sapendo che cosa fare aveva comunque capito una cosa: l’occasione che gli si presentava era più unica che rara. E lui avrebbe dovuto sfruttarla.

Il problema era, per l’appunto, come.

Problema che però fu Rukawa stesso a risolvere.

Si era trattenuto in spiaggia più a lungo dei genitori e aveva aspettato l’orario morto in cui tutti i bagnanti rincasavano per pranzare.

Si avvicinò con passo lesto a Sakuragi che stava mettendo a posto delle sedie da spiaggia.

Stette in silenzio alle sue spalle fino a che Sakuragi non si voltò e, trovandoselo così vicino, per lo stupore (e anche per la paura) fece cadere le sedie che aveva fra le braccia.

“Vuoi farmi venire un infarto, baka?” esclamò rabbioso con una mano al cuore.

Non l’aveva minimamente sentito mentre si avvicinava.

Era troppo preso nei suoi pensieri e girarsi e trovare il soggetto in questione che sembrava aver piantato le tende in pianta stabile nel suo cranio gli aveva fatto venire un mezzo infarto.

Rukawa, dal canto suo, aveva assottigliato gli occhi in risposta all’insulto dell’altro.

“Sai com’è… se vuoi scappare!” sibilò velenoso, calcando sull’ultima parola.

Poi sorrise e il suo tono si fece provocatorio.

“Stasera! Vedi di farti trovare!” gli intimò freddo, intenzionato come non mai ad andare in fondo a quella faccenda.

Se il do’hao lavorava lì come bagnino di certo avrebbe saputo dove trovarlo.

Quindi, poteva permettersi di aspettare fino a quella sera.

E, se il do’hao non si fosse presentato, avrebbe provveduto personalmente a prenderlo a calci fino a Kanagawa.

Sicuro dei suoi ragionamenti si voltò, deciso ad andarsene.

Un tempo avrebbe aspettato le urla isteriche del do’hao ma ora… francamente non sapeva più cosa aspettarsi da quella scimmia rossa.

Fu perciò sorpreso quando un urlo disumano lo costrinse a voltarsi.

“EHI BAKA!” esplose Sakuragi, raggiungendo l’altro e afferrandolo per la collottola.

“VUOI UNA TESTATA?!” gli urlò, a un soffio dal viso.

Rukawa represse un sorriso a quella sceneggiata.

Quanto gli era mancata quella scimmia urlante?

Il do’hao megalomane. Il suo do’hao megalomane.

Non ancora suo, in effetti, però, considerato i fatti, erano semplici dettagli grammaticali.

“E tu vuoi rendere partecipe tutti i bagnanti?” fu la sua pronta risposta.

Solo allora Sakuragi, guardandosi attorno, si rese conto di aver attirato l’attenzione di mezza spiaggia.

Anzi… di tutta a dire il vero.

Fortuna che non erano nell’orario di punta.

“Non sono scappato!” ci tenne comunque a precisare il numero dieci, incrociando le braccia.

Non era vero ma non l’avrebbe mai ammesso!

“Mia madre mi aspettava!” s’incaponì ancora, per avvalorare la sua tesi.

“Bene!” esclamò allora Rukawa che colse immediatamente la palla al balzo.

Era o non era una volpe in fondo?

“Allora deduco che stasera ci sarai!” e sorrise, gustandosi la reazione dell’altro.

Sakuragi boccheggiò, non sapendo più cosa dire.

Era stato un idiota! Era caduto nel giochetto dell’altro.

Però… aveva il suo orgoglio e mai avrebbe fatto la figura del codardo davanti a Rukawa.

Motivo per cui, mostrando una sicurezza che non provava, rispose sicuro.

“Certo che ci sarò!”

“Bene!” fu la risposta di Rukawa che si allontanò definitivamente.

Ora l’altro non gli sarebbe più sfuggito. E gli avrebbe fatto ammettere cosa provava, qualunque cosa fosse!

“Bene!” gli fece il verso Sakuragi voltandosi e raccogliendo le sedie che erano cadute sulla sabbia.

Ora avrebbe avuto il suo confronto. E sarebbe andato fino in fondo.
 

Continua…
 

Note:
 

Calimero è l’unico cartone di produzione italiana arrivato in Giappone.

Ci ho tenuto a citarlo perché anche nella terra delle anime e dei manga, ha avuto un incredibile successo tanto che quasi tutti i giapponesi, al pari degli italiani, conoscono il pulcino piccolo e nero.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Ci vediamo domenica prossima con il capitolo conclusivo.

Pandora86
  
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