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Autore: viktoria    03/02/2013    2 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Quanto avevo sognato di incontrarlo, di fare una foto con lui e di parlargli. Come quelle ragazzine idiote che vanno dietro i propri idoli per anni. Potevo dire, con un certo orgoglio, che io i miei pensieri idioti su di lui me li ero tenuti per me benché avessi sempre ammesso di far parte di quel 99% della popolazione che ha un suo idolo famoso con cui sogna quella storia romantica da fiaba.
Jonathan Rhys Meyers era il mio.
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Ero in quel dolcissimo momento di dormiveglia che mi rendeva la giornata migliore.
Era il momento che preferivo, quello stato di dormiveglia in cui altro non sei se non te stessa sotto la coltre morbida delle coperte, pronta ad un’altra rilassante giornata in onore del dolce far niente. Quando mi stiracchiai per valutare i danni della notte sullo scomodo letto che era diventato il mio da quando l’ospite insopportabile aveva invaso i miei spazi mi resi conto che, in realtà, stavo benissimo.
Mi sentivo riposata come mai era successo in quel mese in cui Jonathan Meyers, con il suo ingombrante ego, era entrato nella mia vita. Aprì gli occhi e mi tirai a sedere di scatto.
Non ero nel salone, nel divano letto che avevo utilizzato per tutto quel tempo. Ero nella mia stanzetta, ancora con il vestito nero della sera prima, nel mio letto, con tanto di coperte rimboccate. Oh la mamma è sempre la mamma.
Tirai fuori la mano dalle coperte e me la passai sul viso, qualcosa mi sbatte contro il naso e mi feci male. Guardai il bracciale al mio polso e quasi mi misi a gridare dalla commozione. Il mio braccialetto. Quello che mi aveva regalato lei quando ancora eravamo amiche. Sorrisi e mi alzai andando in bagno prendendo i vestiti che avevo già preparato il giorno prima.
I legins comodi ed una camicetta rosa antico. Era pasqua, meglio vestirsi comodi e poi…pancia mia fatti capanna! Mi lavai con estrema calma accarezzandomi la cute con le dita. Non mi sentivo così rilassata e ben disposta da parecchio.
Quando fui pronta andai in cucina. I miei non erano in casa.
Da bravi podisti, entrambi erano usciti molto presto per i soliti 21 kilometri pre-festività che si sarebbero protratti ulteriormente per il caffè, gli auguri e le prime torte e colombe. Preparai il caffè e, come onore alla bella giornata che era cominciata, lo portai a quell’insopportabile egocentrico nell’altra stanza.
Dopo il rinvenimento del bracciale perduto, la cui sparizione non era stata segnalata a mia madre perché perdere un oggetto da trecento euro mi sarebbe valsa una sfuriata di dimensioni titaniche, avevo il sospetto che il merito per quella bella dormita non fosse di mia madre.
Non soltanto almeno.
La porta era socchiusa. L’aprì piano e mi accostai al letto. In un attimo la stanza cominciò a profumare di caffè.
Lo posai sul tavolino e, imbarazzata dalle sue spalle nude, mi decisi a svegliarlo. Speravo vivamente che sotto almeno avesse i pantaloni del pigiama. Lo scossi piano cercando di svegliarlo e quando la sua unica risposta fu quella di girarsi dall’altra parte lo afferrai per il braccio e lo scrollai meglio.
-          Sono le dieci, alzati, tra un’ora dobbiamo essere fuori!- bonjour finesse. Mi rimproverai da sola per il mio tono di voce troppo alto e le mie maniere brusche.
Quel poverino dopo tutto aveva dovuto sopportare una notte intera in quel letto da schifo e non meritava pure la mia dose di acido di mattina presto. Sarebbe stato abbastanza intrattabile per i fatti suoi dopo una nottataccia come quella, non dovevo essere io a mettergli il carico da novanta. Quindi ci riprovai.
Mi sedetti sul letto e gli accarezzai i capelli con la mano. In realtà quella non era la mia volontà di essere gentile, era il mio inconscio. Sorrisi tra me e mi abbassai su di lui lasciandogli un bacio sul collo. Aveva un odore buonissimo, non avevo mai notato che usasse del profumo ma era ovvio per un attore. Gli diedi un altro bacio vicino all’orecchio e un braccio inatteso mi stese direttamente sul letto e mi ritrovai il suo viso vicinissimo che mi fissava con i suoi occhi di ghiaccio.
-          Che…diavolo stai facendo?- mi domandò per nulla gentile.
-          Io…- arrossì di botto e cercai di liberarmi dalla sua presa che mi teneva bloccata al letto.
-          Tu stavi cercando di fare cosa?- mi domandò indispettito. – a me sembrava un tentativo di…seduzione?- chiese come fosse schifato.
-          No!- gridai senza più voce. – no, io ho portato il caffè.- risposi semplicemente sempre più imbarazzata. – è sul tavolino.- aggiunsi cercando di liberarmi della sua presa senza troppa convinzione e senza riuscire a non guardarlo negli occhi.
Continuò a guardarmi per un momento che mi sembrò lunghissimo. Non sembrava affatto intenzionato a mollare la presa e temetti davvero per un momento, anzi sperai per un momento, che potesse baciarmi di nuovo come aveva fatto durante quel pranzo di qualche giorno prima.
Non lo fece.
Dopo un attimo si alzò dal letto e prese la tazzina dal tavolino, la bevve silenziosamente uscendo dalla stanza diretto in bagno probabilmente. Ero ancora sdraiata a letto, con il fiatone e la sua faccia ancora davanti agli occhi. Si poteva essere così belli di mattina presto? Mi rotolai sul letto e afferrai il cuscino tra le braccia. Il mio cuscino. Lo avevo da anni e quando ero più piccola lo portavo con me ovunque. Adesso aveva il suo odore. Un buonissimo odore. Sorrisi piano ancora più imbarazzata e mi alzai dal letto andando in cucina. Apparecchiai con lo sguardo basso e lo sentì alle mie spalle mentre versavo il latte nelle tazze.
Si sedette a tavola in silenzio e afferrò un biscotto portandoselo in bocca. Forse per questa volta potevo mettere da parte l’imbarazzo e ringraziarlo per la sua discrezione. Ero stata proprio una cogliona. Ogni tanto dovevo farmi venire la geniale idea di non seguire la parte adolescenziale che era in me.
Tu sei un’adolescente. Mi ricordò la molesta vocina nella mia mente.
-          Allora è questo che devo aspettarmi adesso? Sei così pazza da programmare attacchi a sorpresa a poveri ragazzi che vogliono dormire?-
Ovviamente lui non aveva tutto il buon senso che gli avevo erroneamente attribuito. Arrossi di botto e quasi mi affogai con i cereali che stavo mangiando.
-          Io…volevo solo essere gentile e portarti del caffè.- mormorai soltanto.
-          Ero già sveglio grazie alle tue urla contro il mio orecchio, la seconda parte non era necessaria…- mi fece notare nascondendo una risata nella tazza.
-          Cosa?- domandai incredula. Se tutto quello era successo lo doveva solo al fatto che credevo stesse dormendo e volevo essere gentile. Mi feci mentalmente un appunto: mai più essere gentile con Jonathan O’Keeffe.
Mai più essere gentile con Jonathan Rhys-Mayers a tuo modo.
Bevve in silenzio il suo latte e prese un altro biscotto. Fortunatamente non sembrava essere interessato a continuare quella conversazione con me. una suoneria simpatica e allegra invase la cucina. Lo vidi armeggiare sotto il tavolo e tirò fuori il suo telefono.
-          Pronto?- rispose mandando giù l’ultimo boccone. Rimase in silenzio per un attimo poi sbuffò e alzò gli occhi al cielo spazientito. Era divertente quando la sua ira non era diretta a me.
-          Oh quindi sai leggere?- domandò con fare provocatorio. Con chi stava parlando?
-          No, non l’ho ancora comprato.- dall’altra parte la voce era sempre più insistente e il ragazzo difronte a me sempre più irritato. Ad un tratto lo interruppe sbuffando. – senti Thomas, non ho tempo da perdere con te adesso quindi, con tutto il rispetto, infilati i tuoi complimenti su per il culo e non rompere i coglioni!- concluse in bellezza mettendo giù.
Decisamente divertente.
Cercai di trattenere una risata alzandomi e sparecchiando velocemente la tavola. Lui mi guardava mangiando l’ennesimo biscotto.
-          Cosa ti fa ridere?- mi domandò dopo un po’ mentre facevo la cucina.
-          Tu.- risposi semplicemente.
-          Io?- domandò di nuovo avvicinandosi e poggiandosi al piano cucina.
-          Sì, tu. Voglio dire quando sei arrabbiato e cominci a sparare a zero su tutti mi fai ridere.- aggiunsi cercando di non sbuffargli a ridere in faccia mentre mi guardava con un sopracciglio alzato.
-          Sai che sei proprio scema alcune volte?- mi chiese per nulla gentile. Questa volta fu più forte di me. scoppiai a ridere piegandomi in due per tenermi la pancia e poggiai la fronte sullo sportello del lavello. – fanculo va, sei più cogliona di Thomas tu!- concluse lui andando a sedersi sul divano.
Cercai di ricompormi mentre sistemavo le ultime cose e prendevo la scopa sul balcone.
-          Chi è Thomas?- domandai mentre lui era intento a giocare col suo telefono.
-          Il mio manager.- rispose semplicemente.
-          E che voleva?- gli chiesi di nuovo tanto per fare conversazione.
-          Complimentarsi.- rispose enigmatico continuando a prestare più attenzione al suo telefono che a me.
-          Perché?- incalzai io.
-          Senti, ma che vuoi? Sembri una di quelle giornaliste in cerca di scoop.- mi fece notare irritato.
-          No, sono quella che ti ha preparato la colazione e che sta riordinando senza che tu le abbia domandato se avesse bisogno d’aiuto e sarebbe davvero felice di fare quattro chiacchere per non sentirsi troppo cenerentola.- gli risposi piccata posando il mio attrezzo da lavoro.
-          Cenerentola era una principessa bellissima, dolce e simpatica…- borbottò lui a mezza voce. – non potresti assomigliarle nemmeno volendo.- mi punzecchio cattivo.
-          Fottiti O’Keeffe.-
 
Alla fine eravamo riusciti ad uscire di casa. Mia madre mi aveva chiamata per avvisarmi di cominciare a fare strada e di passare a prendere la torta che aveva ordinato giorni prima nella mia pasticceria preferita e mi ero dimostrata più che felice di farle il favore che mi chiedeva. Presi una banconota dalla mensola e indossai il mio cappottino mentre un ticchettio nervoso sul pavimento mi faceva venire i nervi.
La pasticceria di cui parlava si trovava dall’altra parte della città ma era un piacere immenso per me entrarvi. Il bancone era praticamente pieno di ogni sorta di dolce e oltre ad essere artisticamente bellissimi erano anche assurdamente buoni.
-          Salve.- salutai educatamente seguita dal mio tassista che, con le mani in tasca e gli occhiali da sole sul naso, tutto faceva fuorchè non attirare l’attenzione su di se. Discrezione zero avrei dovuto chiamarlo.
-          Ciao Laura, la torta è pronta.- mi avvisò la commessa vedendomi. Fece il giro del bancone e la tirò fuori dal frigo mostrandomela. Era perfettamente glassata e gli occhi mi brillarono.
-          Perfetto…- mormorai tra me sorridente.
-          Lorie, ti va un caffè e una cassatina?- mi propose una voce. Mi voltai verso di lui sbalordita. Lo aveva detto davvero o ero stata io ad idealizzare la figura perfetta dell’uomo che sognavo da bambina e adesso avevo le allucinazioni?
-          Che?- dio certe volte facevo proprio la figura della cogliona. Se mi fossi impegnata non mi sarebbe venuto così bene.
Lui si sollevò dal suo attento studio dei dolci in vetrina e si avvicinò.
-          Cerca di concentrarti Lorie, adesso ti do un compito facile facile ok? Vai verso quel grande bancone laggiù ed ordina due caffè mentre io prendo i dolci ok?- si era alzato gli occhiali da sole e mi parlava come se avessi cinque anni. Dio che odio!
Mi allontanai fingendomi offesa, anche se in realtà un po’ lo ero, e salutai Marco che, sorridente, mi preparò i caffè che gli avevo chiesto. Ticchettavo nervosamente con le dita sul bancone di marmo e mi voltai pronta a dirgliene quattro quando, pronti i caffè, lui sembrava essere andato a recuperare i dolcini a casa. Quello che vidi mi piacque anche meno dell’attesa.
Stava pagando.
Non volevo che pagasse.
Anni di lotte femministe al grido di: marciam suffragette noi andavano in fumo proprio per quel motivo e per le persone che, come me, ritenevano che fosse il gesto più carino e cavalleresco del mondo.
+10 punti per l’attore.
-100 per me.
Si avvicinò, riposto il portafogli nella tasca, con il mio dolcino in mano, mi ringraziò (chissà per quale motivo) e diede un morso all’enorme cannolo che aveva in mano.
Rimasi in silenzio per tutto il tempo assaporando il gusto dolce della glassa di zucchero e della pasta reale del mio dolce, bevvi il mio caffè amaro e, soltanto quando tornammo in macchina, con la torta sulle gambe, rossa in viso per la vergogna, guardai fuori dal finestrino e dissi:
-          Io…credo di doverti ringraziare.- cominciai piano pronta a ritirare tutto qualora avesse cominciato con le sue stupide battutine.
-          È un piacere.- rispose invece lui, semplicemente, lasciandomi a bocca aperta. Mi voltai verso di lui guardandolo attentamente e alzai un sopracciglio.
-          Tutto qui?- chiesi sconcertata.
-          Tutto qui cosa?- domandò lui a sua volta divertito.
-          Niente battutine?- cominciai io dubbiosa. Non era un atteggiamento normale.
-          No.- tagliò corto lui.
-          Neanche una?- incalzai. Cominciavo a preoccuparmi che in qualche modo stesse male.
-          No.- le sue rispose monosillabiche non mi aiutavano a rilassarmi riguardo le sue condizioni di salute. Era così criptico alcune volte.
-          Ah.-
-          Ho comunque trentaquattro anni Lorie, anche se alcune volte tendo a dimenticarmelo e ad abbassarmi a discutere con una ragazzina scema come te.-
Ecco appunto.
Scoppiai a ridere più tranquilla di quella sua battuta alla..Jonathan Meyers e gli diedi un pizzicotto sul braccio.
 
Quando mi resi conto che eravamo quasi arrivati a destinazione, grazie al navigatore della macchina e non certo alle mie incredibili doti orientative, erano già passati settantadue lunghissimi minuti in cui mi ero sentita subissare da insulti da parte di mia madre, di mio cugino e del cretino che, dopo un mese, ancora non capiva una parola di italiano. Insomma non era mica colpa mia se non riuscivo a spiegargli come arrivare in villetta da mia zia e neanche se avevo interpretato male le indicazioni che mi erano state date. Alla fine, lo scienziato, aveva optato per il navigatore.
-          Non potevi pensarci prima?- lo avevo rimproverato arrabbiata.
La sua occhiataccia di fuoco mi spinse a tacere. Adesso però, che mi era sbollita la rabbia e anche lui sembrava più tranquillo, mi spinsi ad un atto di profonda magnanimità.
-          Mi sento in dovere di avvertirti che la mia famiglia è un po’…particolare.- cominciai evasiva. Lui non rispose e aspettò che continuassi. – mia zia è una persona con una mentalità un po’ retrograda e mia madre ha omesso la tua età per fare in modo che fossi invitato per la domenica di pasqua. Sai nessuno crede davvero…-
-          Che sono il povero ragazzo in difficoltà e che tu sei la buona samaritana che lo aiuta?- tentò di indovinare lui quando mi sentì tentennare per l’ennesima volta. – scusa se te lo dico ma anche io avrei difficoltà a crederci.-
-          Sì beh, il fatto è che crederà che io e te stiamo insieme…- buttai lì semplicemente.
-          Sì, probabile.- concluse lui con un mezzo sorrisetto fastidioso.
-          Poi però tranquillo perché noteranno la mia volontà di farti cadere in un pozzo con un masso legato alla caviglia e capiranno le mie vere intenzioni.- conclusi parecchio piccata, chissà perché, della sua risposta.
-          Prima o dopo aver notato il fatto che mi graviti attorno?- rispose lui prontamente dandomi un buffetto sul ginocchio.
Gli scacciai via la mano e lo fulminai con lo sguardo. Fortunatamente, o sfortunatamente a seconda dei punti di vista, eravamo arrivati.
 
Non avevo voglia di scendere, fuori sembrava esserci un brutto vento fastidioso e dentro la macchina, al caldo, seduta sul morbido sedile dell’auto di lusso che aveva comprato quell’uomo stavo davvero benissimo.
Lui aprì la portiera e come faceva sempre, si stiracchiò languido tirando su la maglietta che portava. Mi morsi il labbro e scesi dall’auto divenuta ormai polarmente fredda proprio come tutto il resto. La mia cuginetta di appena cinque anni mi venne incontro di corsa con le braccia aperte.
-          Lalla!- gridò forte facendo un salto tra le mie braccia che avevo aperto per afferrarla. La alzai in alto ridendo della sua voce cristallina che mostrava il suo apprezzamento.
-          Ciao nana.- la salutai riempiendola di baci.
Ginevra era la prima della terza generazione. L’avevo sempre vista così e a mia cugina era piaciuta l’idea che fosse a tutti gli effetti la primogenita del futuro della nostra famiglia. La lasciai scendere e corse subito via dietro a Nerone, un grande pastore tedesco nero, che intanto stava cercando di scappare alle torture di quella piccola peste che non faceva altro che tirargli la coda, le orecchie e a salirgli addosso come fosse un cavallino. La faccia di Meyers mi fece un tantinello infuriare.
-          Perché hai quell’espressione schifata?- gli domandai irritata.
Lui non mi guardò ne tanto meno mi rispose, semplicemente si calò gli occhiali da sole sul naso e mi fece segno di procedere. Non ero decisamente pronta a quello. Mi stampai in faccia un sorriso a cui non credevo affatto ed entrai nel garage adibito a forno. Le donne stavano impastando il pane e le pizze, gli uomini accendevano il fuoco e la brace pronti ad arrostire le vivande acquistate i giorni precedenti. Li guardai tutti per un momento mentre tenevo la torta in mano, poi mia zia mi vide.
-          Lauretta gioia della zia, che stai facendo sulla porta? Vieni.- mi salutò gentile facendomi segno con le mani sporche di farina. Io sorrisi mi avvicinai e le baciai le guance.
-          Ho portato la torta…- stavo cominciando mostrando il vassoio che tenevo in mano.
-          Pippo! Metti questa cosa nel frigo!- gridò lei rivolta a suo marito. Lui, con la sua faccia calma, segnata dal sole battente di chi lavorava nei campi, arrivò con la sua espressione tranquilla e un sorriso amichevole. Mi salutò piano e prese la torta portandola dentro.
-          Sì…zia, devo presentarti il mio amico, quello che sta da noi per un po’.- gli feci segno di avvicinarsi con una mano. Era rimasto fino ad allora vicino alla porta come se fosse pronto alla fuga. – zia, lui è Jonathan. Jonathan lei è mia zia Sebastiana.- li presentai velocemente.
Quando mia zia sollevò il viso verso di lui la sua faccia si rabbuiò tanto che in confronto all’espressione che aveva fatto mio padre la prima volta che l’aveva vista mi sembrava che piuttosto che uccidere solo me avrebbe voluto uccidere sua sorella, ergo mia madre, me e anche quell’uomo che si ritrovava davanti e che non assomigliava affatto al ragazzo delle sue fantasia.
-          Perché tua madre mi ha detto che era un amico a cui stavi dando una mano?- mi domandò lei arrabbiata.
-          Perché lo è.- ammisi io semplicemente.
-          Mandalo a fare l’uomo con gli altri uomini e tu datti da fare che due braccia giovani a impastare ci servono pure.- mi ordinò perentoria.
Mi allontanai da lì il più velocemente possibile e andai a posare le giacche seguita da lui che sembrava divertito da morire.
-          Non sorridere sbruffoncello, mi stai dando un’infinità di problemi tu.- mormorai abbattuta.
-          Ne sono lieto.- tagliò corto lui ridendo.
-          Mia zia vuole che impasti il pane, in pratica sono costretta ai lavori forzati per colpa tua mentre tu stai lì a fare il macio e mangiare la carne calda della brace.- mi lamentai di nuovo mettendo il muso.
-          Un po’ di lavoro non può fare nulla di male ad una scansafatiche come te.- mi fece notare lui sistemandosi i capelli allo specchio.
-          Narciso smettila di rimirarti.- lo punzecchiai spingendolo fuori dalla stanza.
Il resto della giornata fu esattamente come lo immaginavo io. Fui messa a fare tutti i lavori più faticosi come punizione per quella che secondo mia zia era stata la bugia del secolo che mi aveva  permesso di portare il fidanzato trentaquattrenne pronto a violare la mia virtù. Mi persi la carne appena tolta dal fuoco, le parti migliori dell’agnello e la prima fetta di lasagna. E già a metà giornata ero praticamente distrutta. Il pranzo poi fu una cosa di una bruttezza epocale.
-          Allora, Jonathan giusto? Da quanto tempo stai con mia cugina?- domandò d’un tratto quel traditore di mio cugino. 33 anni buttati nel cesso. Li avessero dati ad un carcerato adesso sarebbe fuori.
-          Insieme? In realtà ancora è una relazione aperta.- rispose quello con un mezzo sorriso.
-          Relazione aperta? Che sarebbe che tu scopi con chi vuoi e anche lei oppure che tu scopi con chi vuoi e lei spera che torni a casa?-
-          Noi non stiamo insieme Lucio, quindi non c’è nessun tipo di relazione aperta.- lo interruppi quando la cosa stava diventando fastidiosa. A quel punto però si unì un amico di sua sorella.
-          Quanti anni hai?- domandò con la bocca piena di pasta.
-          Trentaquattro.- ripose quello educatamente. Non c’era da fidarsi di lui quando rispondeva educatamente.
-          Quindi…se i calcoli non sono sbagliati, lei adesso ha l’età che avevi tu quando lei è nata?- domandò. Ma non era una vera domanda, era più un’insinuazione.
-          Noi non stiamo insieme.- cercai di dire ancora, alzando un po’ la voce.
-          Sì, esatto. Tra l’altro io a diciassette anni non ero più neanche vergine. Anzi.- scherzò lui ridendo e suscitando il riso anche in mio cugino e nei suoi amici.
-          Beh si, chi di noi lo era?- scherzarono dando di gomito come degli scimpanzè.
-          La vogliamo finire?- chiesi io sempre più irritata.
-          Laura, siamo curiosi di conoscere il tuo ragazzo, fa la brava.- mi ammonì mia cugina che tornando a guardarlo riprese l’interrogatorio. – che lavoro fai?-
-          Sono nello spettacolo.- disse lui evasivo. Io lo guardai con un’espressione di vittoria. Ah sì? Fai il vago però poi sputtani me davanti a tutti? Bene.
-          È uno stupido attore da quattro soldi con problemi di alcol e droga. Ha fatto i tudor Cristina, tu li vedevi se non sbaglio. Comunque adesso deve girare il solito filmetto sui vampiri. Lui il veleno in bocca lo ha, poco ma sicuro.- conclusi ad alta voce in modo che mi sentissero tutti chiaramente.
Per un attimo calò il silenzio. Poi un mormorio smorzato invase la sala, poi tutti cominciarono a sommergerlo di domande.
-          Cosa stai girando adesso?-
-          Sei tu quello che ha fatto il film di Allen con quella bomba sexy di Scarlett Johansson?-
-          È davvero figa come sembra?-
-          Come facevi tutte le scene di nudo nei tudor?-
-          Com’è essere un attore?-
-          I paparazzi ti seguono spesso?-
Non mi aspettavo che succedesse tutto quello. In un attimo Jonathan assunse un’espressione corrucciata e mi lanciò un occhiata che mi fece sentire tremendamente in colpa, poi interruppe le domande alzando la mano.
-          Un telefilm che non è nulla di che, andrò a Londra a metà Luglio per cominciare. Essere un attore alcune volte può essere stancante anche perché bisogna essere praticamente mille persone diverse e…rischi di perderti per strada. Perdere te stesso intendo…- a quel discorso così complicato tutti avevano smesso di ascoltarlo e adesso ero rimasta solo io, al suo fianco, ferma a guardarlo. Lui aveva sorriso di sbieco senza notare che io lo stavo ancora guardando e aveva ripreso a mangiare con calma.
-          Poi lo hai ritrovato?- domandai assorta.
Lui si fermò con la forchetta a mezz’aria. Si voltò lentamente verso di me e mi guardò negli occhi attentamente.
-          Ti interessa davvero?- chiese incerto.
Io annuì.
Lui sospirò, poggiò la forchetta sul piatto e dopo essersi piegato in avanti, come se fosse per lui uno sforzo immane pensarci, sospirò profondamente e si appoggiò allo schienale della sedia in vimini passando una mano sullo schienale della mia e voltandosi solo un po’ per potermi guardare.
-          Non lo so. Prima di cominciare questo lavoro ero la persona meno sicura del mondo, ero troppo magro, malaticcio e speravo sempre di poter essere diverso, migliore.- mi raccontò piano, come se se ne vergognasse, con una smorfia sul viso. - Poi sono diventato qualcuno. Avevo delle fan come te, gente a cui piacevo. Solo che per piacere a quella gente non potevo più fare le cose di prima.- concluse passandosi una mano sul mento coperto di barba.
-          E ti piacciono le cose che fai ora?- incalzai sperando che quel momento di sincerità non fosse già finito.
-          Non molto ma non ho molta scelta. O lo fai o sei fuori.-
-          Non ti chiedi mai come sarebbe stata la tua vita se non fossi diventato Jonathan Rhys-Meyers?-
-          Ogni giorno.- concluse lasciandolo pensieroso.
Io rimasi in silenzio rispettando il suo momento di riflessione abbassai lo sguardo sul mio piatto di pasta e lo immagai in una casa di Cork, insicuro e sconosciuto. Mi saresti piaciuto un sacco lo stesso O’Keeffe.
-          grazie.- mormorò ad un tratto contro i miei capelli sfiorandomi la punta dell’orecchio con le labbra. Non sapevo bene per cosa ma arrossì e mi coprì le labbra con la mano sorridendo.
-          E voi due volete farci credere che non state insieme? Ma vai a cagare Laura.- sbottò mio cugino irritato prima di tornarne a strafogarsi di cibo.
Mi alzai di scatto dalla posizione in cui mi ero ritrovata e il mio vicino, lentamente, si era allontanato da me con un mezzo sorriso sulle labbra.
-          Ti ho detto che io e lui non stiamo insieme! Anzi la maggior parte delle volte vorrei ucciderlo…-
-          L’odio è un sentimento molto passionale non te l’hanno detto?-
-          La tua frase e trita e ritrita non te l’hanno detto?- lo presi in giro imitando e beffeggiando il suo tono di voce. La giornata si sarebbe rivelata ancora molto lunga, ma ancora più lunga evidentemente sarebbe stata la mia pasquetta.
Era già difficile gestire la mandria dei propri familiari imbufaliti, lo sarebbe stato molto di più gestire i miei compagni di classe e di scout ne ero quasi certa.


 
Note Autrice:
il capitolo è davvero, davvero lunghissimo quindi l'ho diviso a metà. ringrazio come sempre chi mi ha lasciato una recensione e sono felice che ci sia una nuova lettrice *-*
ma ciao!!
allora, il capitolo non era affatto pensato così, anzi. tutta la parte centrale (che sarà pubblicata nel prossimo ciappi, domani) non c'era proprio. però mentre lo ricontrollavo, aggiungi di qua, aggiungi di là ci è uscito e basta. quindi ormai è capitato.
spero vi sia piaciuto intanto fino a qui perchè il resto a me piace anche di più :)
p.s. qualcuna di voi se la cava con la grafica?
  
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