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Autore: V a l y    25/08/2007    6 recensioni
Un invito, una combriccola riunita, una notizia imprevista. A volte è proprio nell'imprevedibilità che l'amore si fa sentire. [Yuffie x Vincent]
STORIA IN FASE DI CORREZIONE
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna, quella sera, era così intensa che il suo riverbero sui piccoli stagni di piantagioni era addirittura più splendente di quello di un sole. In quel terriccio agricolo e scabroso viaggiavano a piedi – girando attorno per avere come unica meta il solo passo avanti a loro, in un cerchio infinito – la compagnia degli otto eroi. Nessuno di essi si muoveva seguendo il termine esatto di passeggiata, poiché sarebbe stato più giusto descriverla come l'arrancata di un branco di predatori stanchi e affamati. Non perché lo fossero realmente: questo scombussolamento di equilibri era dovuto in seguito all'inaspettata novità da parte di Yuffie e, oltre a ciò, a qualche alzata di gomito per festeggiare l'avvenimento. Più a causa di quest'ultima ragione che quella precedente.
Tenevano compagnia a quelle forme antropomorfe più simili a bestie che uomini il manto di un cielo schiarito dalla luna che formava un sorriso – adatto più che mai allo stato d'animo collettivo di quel momento – e le sue stelle, e le lucciole che parevano la proiezione di queste ultime in forma animale. Il rumore perpetuo e ritmato di una canna di bambù movibile che andava a cozzarsi su una roccia, spinta dalla pressione di una fontana – un tipo di dinamico decoro che solevano avere tutti i giardini di Wutai con laghetto – era l'unico suono udibile dell'ambiente, assieme agli stramazzi felici della combriccola.
Una persona tra quegli otto manteneva in mano una bottiglia di sake, che poi veniva passata a quello vicino e a sua volta a quello ancora vicino, sino a tornare al punto di partenza. Con l'unica differenza di essere sempre più leggera a ogni giro che faceva.
Cid era così ubriaco che anche se l'orgoglio in una condizione sobria non glielo avrebbe permesso, diede dimostrazione di curiosità nei confronti dell'amica ninja. Le chiese, con l'angolo dell'occhio che brillava di interesse ed ebbrezza, che tipo fosse questo suo futuro marito. Yuffie rise, con la bottiglia di sake che le copriva il viso.
“E' un tipo per bene,” disse. “Un uomo serio, diligente ed adulto.”
Tifa Lockheart, proprio la più composta di tutti, domandò qualcosa di molto sfacciato:
“E' un bell'uomo?”
E sorrise di malizia, un'inclinazione che le era sempre rimasta nascosta. Yuffie rispose allo sguardo dell'amica con uno colmo della stessa poderosa eloquenza.
“E' più grande di me, ma è un uomo ancora molto affascinante.”
“Insomma come me!” esordì Barret, rubando la bottiglia semi vuota dalle mani Yuffie. Questo fece scaturire una rara e forte risata di Cloud, che si mantenne uno stomaco dolente per la contrazione muscolare. L'omone gigante, vedendolo, tradusse gli sghignazzi in un modo del tutto originale.
“Ehi biondo, non te la ridere così! Capisco bene che la cosa sa di barzelletta, perché nessuno può essere bello quanto me, ma esageri con i complimenti! E' vero che solo io sono affascinante quanto me!” si corresse il Wallace, rigurgitando parole ubriache allo stesso modo degli altri. Cloud si accasciò a terra con le lacrime agli occhi; Red XIII lo seguì senza neppure accorgersene. Così anche Barret, senza saperne la ragione, si aggregò al duo.
L'alcol è birichino, e può proprio far fare di tutto.
Quando quel liquido monello, man mano, cominciò a dileguarsi dal corpo degli otto, le risa si smorzarono, gli affanni si calmarono, le gambe si indurirono, la ragione ricominciò a prendere il sopravvento. Si stesero disordinatamente sulla strada di terra, nell'oscurità quasi totale, coperti dalle fronde di un albero che non permetteva il filtrare di alcun raggio luminoso della povera luna. Chiusero gli occhi, stanchi e spossati; alcuni di loro quasi non cominciarono davvero a dormire.
Davanti ad essi anche le lucciole stavano man mano spegnendosi, e il rumore del bambù che cozzava sulla pietra diventava sempre più assordante, e sempre più solitario. Tifa avvicinò la mano a quella di Yuffie, e gliela posò sul dorso. La Kisaragi aprì gli occhi, mandando lo sguardo sopra di sé, sulla fronda che veniva scossa da un tiepido e leggero vento primaverile, che suonava una musica di natura simile ad un'aria di violini. Non si guardavano, ma percepivano l'una la veglia dell'altra.
“Yuffie...” sussurrò la combattente di arti marziali, sommessamente. “Solo una cosa mi basta sapere, una soltanto...”
La ninja aspettò soltanto in silenzio che la compagna continuasse la sua frase.
“Sei felice, vero?”
Yuffie si voltò verso l'amica, arridendo teneramente. Bastò come risposta. La donna dalla chioma lunga e fluente le ricambiò benevolmente il sorriso.
Nessuno, dopo quel momento, le chiese altro.

Silenziosamente, uno alla volta si era defilato dall'albero sotto il quale si erano sdraiati, salutando il vicino compagno augurandogli una buona notte, certamente non tanto buona, visto il poderoso mal di testa che si sarebbero trovati il giorno seguente. Ma per abitudine e buona educazione, l'augurio venne ripetuto, sino al penultimo della banda. Red XIII mosse con il musetto rosso la spalla di Yuffie, destandola dolcemente. Le disse che era tardi, che tutti erano già andati, che stava andandosene anche lui.
“Resto un altro poco ancora qui...” si concesse la ninja, assonnatamente.
“Non fare tardi,” le consigliò premurosamente il quadrupede della comitiva, illuminandole il volto per appena una frazione di secondo con la coda fiammante, e allontanando l'infuocata luce – visto da lontano pareva quasi un fuoco fatuo – con l'allontanarsi stesso dell'animale parlante.
Yuffie era rimasta sola, insieme alle sue stelle, la sua luna sorridente e il rumore ritmico e continuato del bambù del giardino dell'abitante vicino.
Le lucciole. Già, c'erano anche le lucciole. Portò gli occhi sui magnifici insetti e trovò assieme a loro anche la figura alta e slanciata di un uomo che viveva sempre nell'ombra. Ed era quella condizione di oscurità che faceva come parte stessa dell'uomo, data la personalità che si trovava. Misterioso, obliato, arcano, impenetrabile. Ma soprattutto dannatamente silenzioso. Yuffie credeva che se ne fosse andato anche lui.
“Vincent!” lo chiamò, sorpresa. L'ombra riconosciuta si girò a guardarla. Non rispose, com'era logico che fosse, dato il suo essere solitario e di poche parole. Yuffie, ben sapendo che la discussione sarebbe cominciata e finita lì, decise allora di non proferire ulteriormente verbo. Adocchiò poco distante dai suoi piedi la bottiglia di sake vuota per metà, e l'afferrò con palese piacere. Quindi ne sorseggiò un po'.
“Forse è meglio se non esageri.” L'ombra aveva parlato. La ragazza smise un attimo di bere solo per poter dire:
“Non parli mai e quando lo fai lo fai sempre a sproposito!” e ricominciò la sua bramata tracannata d'alcol, portando la bottiglia da orizzontale a verticale, perché con la posizione precedente il sake non usciva più. Vincent se ne disinteressò completamente, ritornando a guardare le lucciole che come stelle e come comete si accalcavano sul piccolo laghetto stagnante, e si posavano sui giunchi attorno ad esso. A Vincent piacevano quei fulgidi, piccoli insetti dalla corta vita, bella in ogni attimo sebbene breve. Era affascinato. Affascinato perché le ammirava e rapito perché le invidiava. D'altronde, è così sottile il confine tra ammirazione ed invidia, proprio come quello tra l'odio e l'amore. Le contemplava rievocando con loro la sua vita passata, di amore e di odio, e di un'esistenza lunga ma fittizia, trascorsa nella tenebrosità di una bara.
Un risolino alle sue spalle lo deconcentrò. Si voltò a guardare la compagna ancora seduta sul terriccio, nuovamente vittima del famelico alcol.
“Io te l'avevo detto,” disse soltanto.
“Detto cosa?” chiese gaia la ragazza alticcia, sorridendo bonariamente e, soprattutto, senza motivo. Lui tacque; lasciò di nuovo perdere ogni possibile dialogo come fece in precedenza la ninja. Questa, per il disinteressamento dell'altro, mise un grosso broncio in faccia. Quindi gattonò – no, non camminò: troppo instabile di equilibrio per poterlo fare – verso un piccolo Budda posto sul lato sinistro del viottolo lubrico, e cominciò a discorrerci, come fosse una persona vera. Infastidì involontariamente l'intento mistico del uomo dal lungo mantello scarlatto. Non poté non domandare, denotando un eloquente tono di infastidimento:
“Che cosa stai facendo?”
“Chiacchiero, no?” rispose con normalità la giovane. “Chiacchiero con qualcuno con cui potrei avere un dialogo molto più interessante che con te!” e rise sguaiatamente, asciugandosi le lacrime, agitando in modo convulsivo le gambe sul terriccio, e regalando pacche amichevoli all'inanimata statua di pietra che aveva davanti.
“Stai proprio messa male...” giudicò con arguta sincerità Vincent. Mormorò appena, e non fu sentito. Persino il vento aveva un bisbiglio più forte del suo tono di voce. Si appropinquò lentamente a Yuffie e le strappò dalle mani un po' a malo modo la bottiglia di sake. La ragazza cominciò a frignare beceramente, cercando di raggiungere invano l'ombra dal mantello rosso, che si allontanava sempre più. Invano perché a ogni passo la posseditrice di tecniche ninja smorzava tutte le abilità della sua arte marziale incespicando da sola. Alcol... dispettosissimo finto amico alcol!
“Dammi la bottiglia!” strillava incavolata nera come l'ombra che aveva davanti l'abitante di Wutai. Pure la bocca e le parole, da quanto era ubriaca, le pesavano come le gambe. Vincent, con un solo, secco, brutalissimo gesto – agli occhi della compagna ubriaca – roteò il collo della bottiglia verso il basso, così da far fuoriuscire tutto il liquido trasparente del sake. Yuffie fece uscire l'urlo più disumano e disperato che avesse mai fatto. Si accasciò prona sulla terra polverosa. Piagnucolò.
“Non è giusto!”
Vincent sbuffò, stanco di quelle deliranti manifestazioni ebbre dell'amica ninja. L'agguantò per la spalla, sollevandola lentamente.
“Andiamo,” la incitò con la voce, assieme alla morsa della mano su di lei.
“Non è giusto...” ripeté nuovamente Yuffie. Ma non lo disse allo stesso tono lamentoso precedente. Il ragazzo l'alzò totalmente da terra, mantenendola salda, così da non farla vacillare su se stessa e inciampare di nuovo a terra.
“Sei solo ubriaca,” le fece notare il compagno atono.
“No, non cambierà niente se sono ubriaca!” urlò la ragazza, e si staccò brutalmente dalla presa di Vincent. Era ferma perché non si muoveva di un passo, ma non lo era letteralmente: traballava sul posto, oscillando a destra e a manca in maniera lenta e quasi ipnotica, come un serpente che ballava nel cesto di un suo incantatore.
“Non cambierà il fatto che sono la figlia di Godo!”
Urlò con un acuto quasi dissonante, come se l'incantatore avesse stonato con il suo flauto.
“Non cambierà il fatto che sono stata promessa!”
L'uomo dalla mano d'artiglio deglutì alla vista di lacrime. Non erano le lacrime gioiose di quel pomeriggio, all'abbraccio di ognuno, e neppure quelle frignanti di appena qualche minuto fa, per il suo sake bevuto dal terreno. Lei stava piangendo di una disperazione vera che neppure l'alcol avrebbe potuto guarire, ma solo fare uscire. Si coprì il volto con ambedue le mani, gocce di pioggia – così sembrava – durante una forte alluvione le bagnavano il viso. Il volto distrutto di qualcuno che da troppo stava soffrendo in silenzio.
“Neppure lo conosco quest'uomo! Come faccio a sposare qualcuno che neanche conosco, se non soltanto di vista?! No...”
Reclinò il capo verso il basso, vergognosamente, abbandonata, stanca. “Neppure mi ricordo il volto di questa persona...”
Lo disse con un irriso in volto, lo stesso di un pazzo che si accorge della sua pazzia. Vincent permaneva austero e silenzioso mentre l'ascoltava. In ogni caso non avrebbe potuto dire niente, e certamente non nello stato in cui si trovava lei.
“Vincent, non voglio sposarmi!” implorò, forse con la vana speranza di poter rimediare chiedendo un consenso a lui. Si aggrappò al suo mantello, per sostenere un corpo martoriato nel fisico e nell'anima. Cadde, addossata all'ombra che aveva davanti, e fu presa repentinamente da lui, che la mantenne per le spalle. E chiuse gli occhi, perché le lacrime ne avevano appesantito le palpebre.
L'alcol lasciò il posto alla quiescenza, e la piccola donna si lasciò catturare dal torpore del sonno. Si addormentò tra le braccia dell'uomo.
Vincent la guardò commiserevolmente, una mano sulla sua guancia rossa e sulla sua bocca di rosa. Era diventata una donna nel sopportare ogni cosa e restare tacita. Aveva varcato solo la parte sgradevole del mondo adulto.
Non lasciò che altri pensieri ancora gli affollassero la testa, e silenzioso e vuoto come sempre si mise sulle spalle la ragazza e l'accompagnò a casa.
























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Be'... avevo promesso un capitolo più lungo... ma non è che sia effettivamente granché lungo, guardandolo di per sé! xD
@Yuffie18: grazie! *_*
@Geko93: La tua recensione piena di entusiasmo mi ha commosso... ç_ç E' lo spirito Yuffientine, eh? XD Ti ringrazio tantissimo! Ho visto che anche te hai scritto qualche fanfiction di questa coppia... una l'ho letta solo per metà, ma tra poco finirò il lavoro! ** (Ho anche aggiornato abbastanza in fretta, visto? :P)
@Dastrea: questo capitolo a ben spiegato che non è granché positivo il fatto che si sposi! XD Grazie della recensione e felice che la storia per ora ti piaccia! ^^ (anche tu scrittrice Yuffientine! xD)
@vinnie_pooh: Grazie ** Un'altra ancora! Un'altra scrittrice Yuffientine! Oh! *_* la stessa cosa che vale per Geko93 la dico anche a te! xD
@Tifa: Figlia... oh... non aspettavo anche una tua visitina... *commossa* ç_ç che carina, grazie!! >*<
  
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