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Autore: Cicciopalla    03/02/2013    4 recensioni
Un uomo dal cielo che cerca la sua scatola blu.
Due fratelli che cacciano demoni mentre cercano di scoprire una cura per l’Angelo al loro fianco.
Un dottore che risolve crimini insieme al detective più geniale, finché i crimini non si svelano più di semplici atti umani di violenza.
Tutto inizia a cambiare.
Niente è come sembra.
Moriarty è reale, e ha i suoi piani.
[SUPERWHOLOCK]
Genere: Avventura, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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It’s a game

 
« Puoi prendere la mia stanza. Non ho intenzione di dormire questa notte, perciò accomodati, fai come se fossi a casa tua. »
 
Il Dottore non aveva accettato, ovviamente, aveva detto che neanche lui aveva bisogno di dormire e che non aveva problemi a stare nel soggiorno, ma Sherlock lo aveva interrotto con un profondo sospiro. « Vedi, Dottore, pensare è importante per me. Non riesco a pensare con qualcuno attorno ad infastidirmi, quindi per favore lasciami solo ora. »
 
Il Dottore non aveva detto niente ma Sherlock aveva notato il suo sguardo pieno di preoccupazione quando scomparve nella sua camera. Sherlock non riusciva del tutto a comprendere perché il Dottore fosse preoccupato ma non aveva tempo per porsi domande sull’altro uomo; aveva cose molto più importanti da fare che dilungarsi sulle emozioni di altri uomini.
 
Se vuoi dire qualcosa, dilla, altrimenti non è rilevante e perciò non necessaria.
 
John era stato taciturno quando era scomparso nella sua stanza. John sapeva che non era il meglio che potesse fare, provare a parlargli mentre era perso nei suoi pensieri, nel suo palazzo mentale.
 
Sherlock silenziosamente ringraziò John per averlo compreso, ma ovviamente non l’avrebbe mai detto ad alta voce; John sicuramente era consapevole che Sherlock gli era grato per averlo come amico, quindi perché dirglielo? Avrebbe solamente rubato tempo, del tempo prezioso che Sherlock aveva bisogno per pensare ad altre cose importanti…
 
Era tutto tranquillo ora, tranquillo e scuro nel soggiorno.
 
Le ombre erano di un nero intenso e la scarsa luce dei lampioni in strada riusciva a malapena ad arrivare sul pavimento di legno scuro dell’appartamento.
Tutto era colorato in un blu grigiastro mischiato con la pallida luce giallognola proveniente da fuori.
 
Gli occhi di Sherlock si socchiusero mentre fissava una macchia di luce sul tavolo di fronte. Il tavolo era ricoperto di libri e giornali, e Sherlock notò anche due tazze di tè, entrambe di John visto che Sherlock era troppo occupato per sprecare il suo tempo per bere tè. John si dimenticava sempre dove poggiava le sue tazze, quindi alla fine aveva tre o quattro differenti tazze di tè. Sherlock sapeva che ce n’era un’altra vicino al computer senza nemmeno avere il bisogno di controllare. Se la ricordava perché John l’aveva poggiata lì prima di andare nella sua stanza e lasciare Sherlock da solo con i suoi pensieri. John avrebbe voluto probabilmente rimanere nel soggiorno a scrivere sul suo blog a proposito della giornata.
 
Quello, tuttavia, non era il momento per dedurre il significato delle tazze di tè nella stanza; adesso era il momento in cui doveva pensare riguardo il Dottore, i Winchester, un angelo e… Moriarty.
 
Non sembrava essere in grado di incastrare i fatti insieme. Nessuno. Perché il Dottore avrebbe chiesto aiuto a lui, dopo tutto quel tempo? Semplicemente perché aveva davvero perso la sua cabina telefonica? Perché i Winchester avrebbero dovuto presumere che un demone avesse qualcosa a che fare con quel caso? E che dire del loro strano comportamento? Poi c’era quell’angelo; non sembrava la ‘normale’ immagine di un angelo e il suo comportamento era stato ancora più strano.
 
E Moriarty… la reazione di Dean Winchester dopo aver sentito quel nome era stata interessante… come se conoscesse Moriarty…
 
Moriarty, però, non sarebbe mai potuto essere qualcosa di simile ad un demone, eppure John aveva insistito per mettere il sale di fronte alla finestra e la fessura della porta.
 
« Per sicurezza. » aveva detto John. « Meglio prevenire che curare, giusto? »
 
Era ridicolo. Davvero.
 
Sherlock non credeva nei misteri e non credeva nei miti o in Dio; non credeva a nient’altro se non nella scienza. Qualsiasi cosa poteva essere spiegata!
 
Solo non questa volta. 
 
Questa volta Sherlock setacciò e setacciò il suo palazzo mentale, cercando di trovare risposte alle infinite domande nella sua testa. Niente lo avrebbe fatto dubitare della scienza! Nemmeno il fatto che un uomo di nome Castiel fosse svanito davanti ai suoi occhi. Doveva esserci una spiegazione e Sherlock l’avrebbe trovata.
 
« Questo è proprio da te, vero? Essere tutto calmo e pensieroso, aww, quanto lo amo. » La testa di Sherlock scattò appena sentì quella voce familiare dietro di sé. Il suo cuore stava palpitando, ma la sua voce era calma quando rispose con un sorriso forzato. « Sono sorpreso di vederti a quest’ora. Perdonami, non ho tè da offrirti, ma sono sicuro che non ti dispiaccia. » La sua voce era bassa e regolare mentre rispondeva.
 
Jim Moriarty sorrise, attraversando la stanza verso la finestra; il suo volto era pallido alla luce, i suoi occhi troppo grandi e il suo sorriso sbagliato. Indossava un completo, Westwood ovviamente, e le sue scarpe erano nuove e lucidate. « Anche per me è un piacere vederti, Sherly, davvero un piacere. Ho visto che ti sei fatto degli amici, sì? È un bene, è sempre un bene, gli amici sono carini, mi piacciono. » Sherlock osservò l’altro uomo mentre si sporgeva più avanti per guardare fuori dalla finestra.
 
Un normale essere umano si sarebbe spaventato a morte se avesse trovato un genio criminale nel proprio appartamento, ma Sherlock era semplicemente sorpreso; sapeva che Moriarty sarebbe venuto a trovarlo, solo non sapeva quando.
 
« Brutte luci là fuori, non mi piacciono, a te? » Il criminale si voltò a fronteggiare il detective che cercava di non mostrare la sua reale sorpresa di vedere l’altro uomo nel suo appartamento. Come era entrato in casa? Non era un demone, non che Sherlock l’avesse mai considerato possibile, poiché era riuscito a entrare in casa, anche se c’era del sale di fronte la porta e ciò rendeva chiaro che non era un demone. Ma, nessun umano era capace di entrare in una casa senza usare la porta…
 
« Ah, Sherly, non guardarmi così, mi farai arrossire se non la smetti. » enfatizzò le sue parole appoggiando una mano sulla guancia, sorridendo timidamente. Era un ottimo attore. « Non vogliamo far diventare Johnny geloso, vero? »
 
Sherlock sospirò mentre si appoggiava allo schienale della poltrona, le sue mani intrecciate con cura sulla coscia. Provò a non domandarsi perché mai John dovesse essere geloso di qualcosa come il comportamento di Moriarty verso di lui. « Perché sei qui? » chiese invece, perché quella era l’unica domanda da cui avrebbe ricevuto risposta da Jim.  Sherlock era sicuro che Moriarty non gli avrebbe detto mai detto come era entrato in casa, o se era o no un umano; gli avrebbe rovinato il divertimento, e se c’era qualcosa che Moriarty amava davvero era divertirsi con le sue vittime.
 
« Hm, hm, non lo so. » Moriarty alzò le spalle. « Volevo venire a farti una visita. È carino, no, andare a visitare il mio amato detective? Mi mancava la tua presenza, ecco tutto. » Moriarty ridacchiò sotto i baffi mentre si sedeva sul braccio della poltrona. « È così nooooooooioso, Sherlock, tutto. Pensavo tu fossi più veloce, ma guarda, sei ancora dove ci siamo lasciati. »
 
Gli occhi da gatto di Sherlock si socchiusero ancora prima di dare senso alle parole. « Cosa intendi? » chiese lentamente.
 
Moriarty sospirò drammaticamente. « Oh Sherlock, guarda. Ci sono così tante cose che stanno succedendo e ancora… Ah, ma perché parlo di queste cose? Parliamo di qualcosa di divertente, ti va? Ti sono piaciuti i miei regalini? »
 
Sherlock alzò la testa, gli occhi fissi sull’uomo di fronte a lui. « I corpi? »
 
« Oh, non fare lo stupido. Sai benissimo che quello, beh, sono stato io. » Moriarty ridacchiò nuovamente. Era pazzo. « È stato divertente, bruciare i loro cuori… Ti avevo detto che l’avrei fatto, a te, e un giorno lo farò, ma non ora. Adesso lasciamo soffrire gli altri. »
 
Quindi, era per la sofferenza… « Perché? » chiese semplicemente Sherlock. Moriarty roteò la testa da spalla a spalla mentre sospirava di nuovo. « È un gioco, sempre un gioco. »
 
Certo. Che altro. Londra era una scacchiera e Moriarty e Sherlock erano i giocatori, che si spingevano attorno alle altre figure sotto forma di esseri umani. Tuttavia Moriarty conosceva il gioco e il suo scopo, mentre Sherlock no. E quello era il gioco; lasciare Sherlock domandarsi quale fosse lo scopo del gioco.
 
Moriarty era sempre un passo avanti, e se ne compiaceva.
 
« Perché è DIVERTENTE, Sherlock. » ringhiò Moriarty, quasi come se fosse deluso da Sherlock che non lo comprendeva. « Non lo vedi ancora, ma lo vedrai, e dopo tutto cambierà. » Moriarty sorrise mentre si stiracchiava la schiena. I suoi occhi erano due buchi neri nell’ombra della sua pallida faccia. « E adesso hai nuovi amici… oh Sherlock, tutto ciò sarà COSÌ divertente. »
La sua faccia divenne seria tutt’una volta, la sfumatura di felicità scomparsa. I cambiamenti d’umore di Moriarty non erano qualcosa di nuovo per Sherlock. « Sarà così divertente ucciderli… così divertente. »
 
Sherlock sapeva, sapeva molto bene, che non poteva ribellarsi al fatto che Moriarty stesse giocando con lui. Avrebbe potuto chiamare la polizia, Lestrade, oh avrebbe potuto, ma Moriarty sarebbe già scomparso al loro arrivo. E che prove esistevano per far passare Moriarty come omicida? Sherlock non aveva niente nelle sue mani per provare che Moriarty avesse ucciso quelle persone e sapere che i membri di Scotland Yard avevano iniziato a sospettare di Sherlock stesso di essere dietro tutto non era d’aiuto per niente…
 
« Sei sicuro di essere capace di uccidere i miei ‘cosiddetti’ amici? » chiese casualmente Sherlock, la sua postura rilassata, troppo rilassata per un uomo che parla con un maniaco. « Sono abbastanza dotati. Dovresti guardare i tuoi stessi passi. »
 
Moriarty ridacchiò ancora una volta, mentre si avvicinava alla finestra, i suoi occhi sulla strada. « Aw, Sherlock, pensi che non sappia di loro e dei loro hobby? So molto di più di quanto tu pensi. Per esempio… » puntò il dito al sale sul davanzale della finestra. « Ti aspettavi un demone, giusto? Peccato che quel Sebastian non sia venuto con me, avrebbe voluto incontrarti ma non potrà raggiungerci adesso. Tsk, ma vedi, io non sono un demone Sherlock, ma penso tu lo abbia capito, giusto? » si alzò e si mosse con le braccia. « Niente zolfo, niente occhi neri, nessun sexy fumo nero… Diamine, se fossi un demone, possederei TE invece di questo povero tizio. » Afferrò una manciata della sua maglietta bianca per sottolineare le sue parole. « Questo tramite è così noioso… la sua anima è un racconta-storie, povero ragazzo… Non penso sapeva a cosa andava incontro quando ha detto sì… » Moriarty si voltò verso Sherlock, i suoi occhi neri luccicavano pericolosamente nella luce scarsa.
 
Sherlock provò a esaminare tutto, ogni dettaglio e tutto ciò che Moriarty aveva detto. Provò a memorizzare, mettere via tutto in una cassettiera del suo palazzo mentale così avrebbe potuto raccontare a Dean e Sam tutto ciò che sapeva, perché una cosa era certa: Moriarty era o davvero davvero un uomo pazzo ed instabile, o non era proprio un uomo.
 
« Riesco a vedere il tuo cervello lavorare. » disse Moriarty, avvicinandosi a Sherlock finché non gli fu di fronte. Le loro ginocchia si stavano quasi toccando.
 
« Stai cercando di capire? » ruotò l’indice a fianco alla sua stessa testa attorno e attorno ad imitare un orologio. « Il tuo grande cervello vacilla per analizzarmi? Che vergogna Sherlock, che vergogna! »
 
Sherlock prese un profondo respiro e aprì la bocca, ma un rumore proveniente dal piano superiore lo interruppe.
 
« Oh, devo andare. » cinguettò Moriarty, indietreggiando di alcuni passi. « È stato un piacere parlare con te, Sherly, davvero. Ci vediamo la proooossima voooolta! »
 
Sherlock si alzò bruscamente, la sua mano che cercava Moriarty per fermarlo dall’andare via, ma era troppo tardi; il genio criminale scomparì senza aggiungere altre parole.
 
Sherlock rimase lì, a fissare lo spazio vuoto di fronte ai suoi occhi, il suo cuore e la sua mente che correvano. Era sicuro di aver sentito un fruscio di ali.
 
Ma, forse si era sbagliato.
 
Non si sbagliava mai.
 
« Sherlock, stai bene? » chiese John, la voce preoccupata. Era in piedi sull’uscio del soggiorno. « Credevo di aver sentito delle voci… »
 
Sherlock si girò lentamente, consapevole che la sua faccia era pallida per lo shock. « Non lo so, John… » rispose francamente.
 
John corrugò le sopracciglia mentre si avvicinava a Sherlock. Era buffo quanto piccolo e basso fosse John rispetto a Sherlock. Tutti pensavano che Sherlock fosse alto, ma di fatti era John ad essere troppo basso.
 
« Dovremmo chiamare i Winchester. » disse Sherlock mentre annuiva a sé stesso, per calmarsi. « Dovremmo chiamarli. »
 
Stava per prendere il suo cellulare quando questo suonò. John lo guardò con la tipica espressione preoccupata.
 
« Sherlock, sei tu? » Sherlock alzò le sopracciglia sorpreso. « Lestrade?  Che sorpresa… a quest’ora? » la voce di Sherlock non era per niente sorpresa e la si sarebbe potuta chiamare ironica se non si avesse conosciuto Sherlock.
 
Lestrade sembrava senza fiato e agitato. « Sì, sì. » disse frettolosamente. « Senti, Sherlock, abbiamo catturato qualcuno che potrebbe essere collegato all’omicida - »
 
Sherlock fischiò e John sussultò sorpreso. Assomigliava ad un bambino in pigiama che si era perso nelle ombre scure della notte. « Chi? Chi è! »
 
Lestrade sospirò e Sherlock era certo stesse scuotendo la testa. « Non sappiamo il suo nome. Questo tizio non ci dirà niente… »
 
« Ci vediamo fra due ore. » Sherlock informò Lestrade, che rise nervosamente. « Heh, Sherlock, calmati, hai dato un’occhiata all’orologio? Sono le tre e mezzo - »
 
« Non mi interessa! » Sherlock chiuse la telefonata lì. Lanciò il telefono sul sofà e si voltò verso John, che lo guardava tra il curioso e il preoccupato con i suoi scuri occhi blu.
 
« Sherlock… » iniziò John, ma si fermò di nuovo.
 
« Vestiti, abbiamo del lavoro da fare. » annunciò Sherlock mentre camminava verso le scale per la sua stanza. « Vado a dirlo al Dottore - »
 
« Oh, non c’è bisogno che tu mi dica niente. » sorrise il Dottore mentre camminava, saltava, giù dalle scale.
« Quando e dove stiamo andando? » Era un po’ troppo entusiasta.
 
Sherlock si voltò e ritornò al sofà mentre rispondeva « Scotland Yard. Appena John si sarà vestito ma non prima aver chiamato i Winchester. »
 
Il Dottore alzò un sopracciglio mentre seguiva lentamente Sherlock al sofà. John li guardò entrambi, senza neanche provare ad andare nella sua stanza e cambiarsi. « Quindi, hai deciso di accettare il loro aiuto? » il Dottore chiese curiosamente, guardando Sherlock con i suoi grandi occhi marroni che erano molto più seri del suo strano comportamento.
 
Sherlock afferrò il telefono e soffiò. « Devo. »
 
Sherlock odiava ammetterlo, ma aveva bisogno del loro aiuto.
 
~   ~   ~   ~   ~
 
« Lo sapevi, non è vero? Per tutto il tempo. Ti sta usando, Castiel, non vedi? È un umano. L’unica cosa che vuole è l’aiuto che gli puoi offrire. Hai davvero, solo per un secondo, pensato che ti volesse bene? Chi si preoccuperebbe per te? Hai tradito i tuoi fratelli, sei morto per loro – l’angelo l cui difetto è la propria umanità. E Dean? A Dean non è mai importato. »
 
Le parole facevano male, ma facevano meno male di altre cose.
 
È stato allora, quando era in camera con Lucifero che era in piedi a fianco a Dean, travestito da Dean stesso, dicendo a Castiel che non valeva niente, che aveva fatto male.
 
Castiel aveva provato, aveva davvero provato, a parlare col Dean reale; aveva forzato fuori le giuste parole e aveva provato a dire a Dean tutto quello che sapeva su Moriarty, ma Lucifero non glielo lasciava fare; non avrebbe urlato a Castiel, no, lui sibilava, la sua voce, la voce di Dean, piena di disprezzo.
 
E dopo Dean, il Dean reale, lo aveva guardato, aveva fatto due passi avanti con le mani tese e Castiel era stato sicuro, per uno stupido momento era stato sicuro, che Dean lo avrebbe abbracciato. Che pensiero stupido, Castiel doveva saperlo, eppure si ritrovò ferito dal comportamento di Dean. Era la sua conoscenza che era importante, nient’altro. Dean l’aveva detto.
 
Una parte di Castiel scosse la testa al suo stesso comportamento.
 
A Dean importa, disse questa parte, a Dean importa tanto. Guardalo, è tornato per te, dopo tutto quello che hai fatto. Sta cercando di perdonarti. Gli importate, oh così tanto, non vedi? Lucifero gioca con la tua mente.
 
Sapeva che questa parte aveva ragione.
 
Ma poi c’era… quest’altra parte… la parte debole, la parte che si faceva facilmente abbindolare da Lucifero perché era ingenua, bambina come gli umani.
 
Lucifero sapeva come usare la sua debolezza, la sua abilità di sentire, la sua abilita di preoccuparsi, la sua abilità di amare, le emozioni; sapeva come usarle contro Castiel.
 
Il dolore fisico feriva ma era sempre passeggero. Il danno che Lucifero faceva alla sua mente, il danno mentale, era molto molto peggio… Castiel era spezzato, lo sapeva questo, ma cercava di ricostruirsi, cercava di ridiventare se stesso di nuovo, un orgoglioso Angelo del Signore… ma non poteva. Lucifero strappava ogni muro della sua autostima, orgoglio e speranza, finché ancora una volta non rimaneva niente per proteggere la sua anima scorticata dalla rabbia e dalla frustrazione del fratello.
 
« Tu povero, povero piccolo, Castiel… povera anima perduta. Hai rinunciato a tutto, hai rinunciato a te stesso per gli altri, e vedi dove ti ha portato; non vali niente, sei stato una puttana che cercava di fare la cosa giusta, ma alla fine hai peggiorato le cose. È così triste Castiel, così triste. »
 
, Castiel concordò mentre si guardava le mani. Sì, è triste.
 
Non si pentiva di niente. Non si pentiva di aver tirato Dean fuori dall’inferno, anche se il piumaggio delle sue ali, una volta puramente luminoso e bianco, si era colorato di nero per marcarlo, come la sua impronta che aveva marcato Dean. Non si pentiva di avere un legame più profondo con Dean perché era una delle ragioni che gli avevano dato la capacità di sentire.
 
Non si pentiva di essere ‘imperfetto’.
 
Si pentiva, tuttavia, del dolore che aveva portato ai Winchester e ai suoi stessi fratelli. Aveva cercato di fare la cosa giusta, ma non era stato abbastanza. Era stato troppo debole, sia mentalmente sia fisicamente.
 
C’era una mano sulla sua spalla, calda e confortevole, come per dargli sollievo. « Perduto figlio del Paradiso, hai fatto così tante azioni sbagliate. Come sarai in grado di aggiustarle? »
 
Non lo so… pensò Castiel mentre fissava il tavolo. La plancia di gioco era là su.
 
« Non piangere, Castiel. » vibrò Lucifero in tono canzonatorio, usando la voce di Dean. « Le lacrime non cambieranno niente. »
 
Non stava piangendo, non per come lo intendeva il mondo umano, ma la sua vera forma stava piangendo silenziosamente. « Lo so. » disse ad alta voce, la voce rauca e ruvida come se non avesse parlato per giorni.
 
« Oh Cas, stupido idiota, questo è tutta colpa tua. » Dean si sedette sulla sedia di fronte a Cas, le mani sulla plancia. « L’hai fatto tu stesso. »
 
Lucifero apparì al fianco di Dean, i suoi occhi su Castiel che continuava a guardare la plancia di gioco.
 
La stanza aveva pareti bianche, anche il pavimento era bianco. A Castiel non piacevano i vestiti bianchi da ospedale che portava, erano scomodi in confronto ai vestiti di Jimmy. Almeno stava indossando il suo impermeabile.
 
L’aria odorava del detersivo sterile degli ospedali, dando a Castiel un mal di testa, e le lampade al neon erano troppo luminose.
 
Oh, si ricordava quella scena molto bene, Lucifero adorava metterla in scena di fronte ai suoi occhi ancora e ancora finché Castiel non lo implorava di smetterla - qualcosa che non faceva mai, una ragione del perché era spesso colto in queste illusioni per ore da Dean, il Dean reale, che lo chiamava e lo riportava sul mondo reale.
 
Era difficile distinguere cos’era reale, specialmente quando Dean, il Dean di Lucifero, iniziava a dirgli che lui era quello reale, che il mondo reale era un’illusione, che Castiel stava lentamente perdendo il senno della ragione, addormentandosi in un mondo immaginario dov’era un eroe di nuovo. Le infermiere mi avevano detto, avrebbe detto Dean quando Castiel gli avrebbe chiesto se ne era certo. Mi avevano detto che eri mentalmente danneggiato. Va bene, però. Forse le cose si sistemeranno.
 
Non aveva mai chiesto scusa, non aveva mai detto che sperava che Castiel stesse meglio. Non c’erano né pietà né misericordia nei suoi occhi, ma ancora una volta, Castiel non si aspettava il suo perdono né a breve, né più in là…
 
Castiel teneva i pugni serrati, cercando di rimanere calmo e composto. Quello non era reale, non c’era nessun bisogno di guardare negli occhi di Dean.
 
Castiel aveva provato, molte volte, di liberarsi dalle illusioni ma suo fratello aveva uno stretto controllo della sua mente. Era molto più forte di quanto lo fosse Castiel.
 
« Io e Sam dobbiamo andare via presto. » disse Dean, guardando Castiel aspettando una reazione che non ricevette. Questo è uno dei giochini di Lucifero, questo non è reale… Non c’era bisogno di rispondere quando la persone di fronte a te non è reale.
 
« Cas amico, sto parlando con te. » disse Dean, sporgendosi più avanti sul tavolo per esaminare Castiel con uno sguardo indagatorio nei suoi verdi occhi luminosi. Castiel non voleva incrociarli con i suoi, il suo sguardo era fermamente bloccato sulla plancia da gioco.
 
Poteva sentire Lucifero ridacchiare. « Non ha intenzione di rispondere? » chiese suo fratello.
 
Ovviamente non l’avrebbe fatto. Non era reale. Era solo un illusione.
 
« Dai Cas! » lo incoraggio Dean. « Parlami. » Sembrava così vicino dall’afferrarlo per l’impermeabile e scuoterlo.
 
« Dai » cinguettò Lucifero nell’esatto tono mentre s’inclinava verso l’orecchio di Castiel, il suo respiro troppo reale contro l’orecchio di Castiel. « Sei stanco di parlare? O pensi sia uno scherzo messo su da me? Mi dispiace caro fratello, ma questo è reale. Deanny boy ha ragione. » Lucifero fece una smorfia triste, i suoi grandi occhi erano simili a quelli dei cuccioli. « Mi dispiace tanto. »
 
« Smettila… » mugugnò Castiel, i suoi occhi sulle sue mani. « Smettila, adesso basta. »
 
« Cas! » Dean strinse la mano in un pugno. « Qualunque cosa stia dicendo, ascoltami, qualunque cosa dica, non è vera, okay? Questo è reale, io sono reale, okay? Guardami Cas. »
 
Castiel premette le labbra insieme e scosse la testa, le sopracciglia corrugate. « Mi dispiace, Dean, ma tu non sei reale. »
 
Dean si ritirò indietro e di colpo afferrò la plancia e la gettò sul pavimento. Le figure colpirono il pavimento con tonfo rumoroso. Castiel non sussultò nemmeno. « Fanculo, Cas! Questo è reale! Questo è dannatamente reale, mi senti! » Dean lo abbagliò, i suoi occhi pieni di dolore e frustrazione, le sua spalle tese e la sua faccia in una smorfia arrabbiata.
 
« Scusa. » disse Castiel di nuovo, la sua voce era bassa e arrendevole. « Non ne dubiterò più. »
 
Le sue parole non sembrarono calmare Dean ma almeno la sua voce si era ammorbidita. « Ascolta, Cas. » disse mentre stendeva le braccia sul tavolo per toccare la mano di Castiel. Gliela porse, aspettando che Castiel la prendesse. Castiel non si mosse, e Dean continuò. « Lo so che non è facile, diamine, sono stato attorno a Sammy… probabilmente non posso immaginare cosa stia succedendo nella tua testa, se sia qualcosa di buono o di cattivo, ma devi smetterla. Non è reale. »
 
Castiel sospirò e prese un lungo respiro. « Non so più cosa è reale e cosa no, Dean. » disse, la voce bassa e i suoi occhi tristi. Lucifero sorrise da orecchio a orecchio.
 
Dean disse qualcosa, ma Castiel non riuscì a sentirlo chiaramente. Era come se la sua voce fosse sott’acqua. Castiel corrugò le sopracciglia ancora di più e cercò di focalizzarsi sulle parole ma non riusciva a sentire niente all’infuori della risata di Lucifero.
 
« Smettila. » disse, la sua voce severa quando si voltò verso Lucifero. « Smettila - adesso. »
 
« Oh, cosa? Che intendi? » chiese Lucifero, le mani alzate come a difendersi, uno sguardo d’innocenza sulla faccia. Castiel aprì la bocca ma non riuscì a proferire parola.
 
« Cas! Cas, concentrati su di me! » urlò da qualche parte Dean alla destra di Castiel.
 
« Cas! Cas, porta il tuo dannato culo qui! Smettila di fare la femminuccia! »
 
« Cas, Cas » cinguettò Lucifero. « Ti stanno chiamando. »
 
Castiel si premette i palmi delle mani contro gli occhi, cercando di focalizzarsi su qualsiasi cosa. Erano così rumorosi!
 
« Cas! Ehi amico, calmati. » Mani erano sulle sue spalle, poi stavano afferrando i suoi polsi cercando di allontanarli dalla faccia. « Dai, concentrati su di me! »
 
La sua testa stava girando.
 
« CAS! » urlò una voce arrabbiata. « Cas figlio di puttana, vieni qui! Smettila di tenere il broncio! Abbiamo bisogno del tuo aiuto qui! »
 
Aiuto, Dean aveva bisogno del suo aiuto, doveva andare ora…
 
« Non osare abbandonarmi ora! » Dean quasi urlò sulla sua faccia. Suonava quasi disperato, addirittura preoccupato.
 
« Cas… dai amico, ti prego… Okay, mi senti? Perfetto, mi dispiace, okay? Mi dispiace per… lo sai… »
 
Gli occhi di Castiel si sbarrarono.
 
Il vento era così freddo sul suo volto mentre guardava giù sulla città. Era notte. Ritornò nella stanza dell’hotel in pochi secondi, apparendo di fronte a Dean con un soffice fruscio d’ali.
 
La stanza d’hotel era calda e confortevole e le uniche fonti di luce erano le due lampade sui comodini di fianco ai letti. Dean e Sam dovevano aver dormito per poche ore, o minuti, prima di svegliarsi di nuovo. I letti erano disfatti e i loro pigiami erano sul pavimento. Dovevano aver avuto fretta.
 
« Cavolo! » Dean indietreggiò di due passi perché lui e Castiel erano quasi naso contro naso.  Ah, giusto… spazio personale. « Ti sto chiamando da quasi un’ora, cretino! » non sembrava arrabbiato, anzi… sollevato.
 
« Scusa. » disse solennemente Castiel e trasalì alle sue stesse parole. Dean, tuttavia, annuì solamente. La tenue luce della stanza creava ombre sul suo viso, i suoi occhi, però, erano di un verde acceso.
 
« Fa niente… » Il cacciatore si affievolì, osservando Castiel con un’espressione seria. « Stai… stai bene? » chiese lentamente. Le sopracciglia leggermente corrugate, mostravano che era… preoccupato? Castiel sentì muoversi qualcosa dentro di lui, ma non era sicuro di che cosa fosse. Qualsiasi tipo di emozione fosse, era svanita così veloce com’era venuta.
 
Castiel mantenne lo sguardo, le sue spalle dritte e la sua testa alzata. « Sì. » rispose un po’ troppo esitante.
 
Dean non ebbe la possibilità di aggiungere nient’alto perché Sam uscì dal bagno. « Oh, ehi Cas! » disse, un caldo sorriso sulle labbra. « Sei qui finalmente. Dean stava diventando piuttosto disperato - »
 
« Sammmm! » soffiò Dean, dando a Sam uno sguardo di rabbia. Castiel non comprese perché Dean fosse arrabbiato su ciò che aveva detto Sam qualche istante prima.
 
« Vabbé! » disse Dean e batté le mani, sembrando abbastanza allegro, anche se i suoi occhi erano seri.
« Abbiamo ricevuto una chiamata. Holmes e Watson hanno chiamato, vogliono il nostro aiuto per il caso. »
 
Castiel inclinò la testa.
 
« Beh, questo è interessante. » disse Lucifero, staccandosi dal muro e avvicinandosi a Dean. Castiel provò duramente a non guardare suo fratello.
 
« Buone notizie, presumo? » chiese gentilmente Castiel, anche se conosceva già la risposta. Si poteva chiamare domanda retorica.
 
« Sì, beh - » Dean alzò le spalle mentre camminò proprio attraverso Lucifero, che sibilò « Maleducato. » e incrociò le braccia sul suo petto. « Sarà interessante. »
 
Dean non chiese nulla a Castiel riguardo Moriarty di nuovo.
   
 
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