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Autore: Eris Gendei    25/08/2007    3 recensioni
Era ora che si rassegnasse all’evidenza: era morta.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’erano volte in cui nessuno sembrava accorgersi di lei.
Poteva trovarsi in una stanza gremita e chiassosa ed essere completamente sola, ignorata da tutti.
Non che lo facessero di proposito: lei era invisibile ai loro occhi.
Il perché era un vero mistero: forse perché non aveva mai fatto niente grazie al quale il suo nome era stato collegato ad un avvenimento, o perché non partecipava ad alcuna attività oltre le lezioni, non giocava a quidditch e non tifava alle partite per la sua casa…
Forse perché nei corridoi camminava veloce, a testa bassa, schermandosi con un braccio e strisciando tra ali di gente che si aprivano inconsciamente al suo passaggio per poi richiudersi dietro di lei, senza che nessuno si accorgesse che era passata.
Non eccelleva in nessuna materia, non era né la prima né l’ultima nell’appello, non si sedeva mai né al primo banco né all’ultimo, non alzava mai la mano, non parlava mai di sua spontanea volontà; non chiedeva mai di uscire dalla classe, non si sentiva mai male, non veniva mai ripresa o sorpresa a passare bigliettini o chiacchierare.
Stava semplicemente seduta dritta e ferma nel suo banco, nel mezzo preciso della classe, in religioso silenzio, gli occhi puntati sul professore di turno o sulla lavagna: scriveva quando il professore intimava di prendere appunti, serrava la bocca quando alla classe veniva ordinato il silenzio, si concentrava sul professore quando questi richiedeva l’attenzione.
Nonostante si trovasse in mezzo a tutti, in un’ottima posizione per far circolare bigliettini e pettegolezzi, nessuno la interpellava mai.
Semplicemente, lei non esisteva.
Si chiedeva come mai non avesse neppure un voto orale, o perché spesso e volentieri i professori non le dessero il foglio con gli esercizi della verifica e non si accorgessero di lei, l’unica impalata tra un’altra ventina di ragazzi intenti a grattare con le penne sui fogli.
Più di una volta le era capitato di non trovare la sua colonna nei quadri o di trovarla bianca, completamente vuota, spesso senza neppure il nome scritto a lato.
Nessuno sembrava accorgersene.
E lei non faceva obiezioni.
Si limitava a tornarsene in sala comune e sedersi accanto al caminetto, spento o scoppiettante a seconda del mese, e rimanere lì, invisibile, finché qualcuno minacciava di sedersi sulla sua stessa poltrona: allora lei sgusciava via rapida e saliva a malincuore le scale del dormitorio.
Entrava e cercava il suo letto e non lo trovava mai.
C’era un letto per tutte tranne lei.
Allora si sedeva sotto la finestra, contro la pietra fredda del pavimento e delle pareti, preda di tutti gli spifferi possibili e aspettava.
Aspettava che spuntasse il giorno e le sue compagne di stanza si svegliassero e scendessero a colazione, ridanciane e ancora un po’ assonnate o ansiose prima di un compito in classe.
Allora le seguiva, a distanza, e in sala grande si sedeva accanto a loro ma a differenza di loro non mangiava.
Nessuno le chiedeva perché rimanesse sempre digiuna, dormisse stesa per terra, anzi, aspettasse ogni notte seduta per terra ad occhi aperti, non parlasse mai, non gridasse mai quando qualcuno le si sedeva addosso.
Il fatto era che lei sapeva fare soltanto una cosa: piangere.
E anche allora nessuno la consolava perché nessuno la sentiva singhiozzare o vedeva le sue lacrime correrle lungo le guance e poi sul collo, inzuppandole la divisa.
Doveva sempre aspettare che entrasse qualcuno per andare in sala comune, che qualcuno aprisse una porta per entrare, che qualcuno aprisse una finestra per uscire.
Non si era mai abituata al fatto di passare attraverso le porte, le finestre e i muri invece che di aprirle e aggirarli: niente le dava più tristezza di toccare una maniglia e sentirla inconsistente sotto le sue dita.
Anzi…di tentare di toccare una maniglia e vedere la sua mano passarle attraverso senza poterla afferrare in alcun modo.
Allora si sedeva in un angolo, si rannicchiava e tirandosi la gonna fin sopra la testa piangeva.
Tanto nessuno l’avrebbe vista.
Era ora che si rassegnasse all’evidenza: era morta.
  
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