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Autore: Alexandra e Mac    03/02/2013    7 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo V

Un caso per due





Areoporto di Heathrow
Londra

Aprile 2005

Il volo era stato lungo, noioso e abbastanza agitato. Mac non soffriva il mal d’aria, ma avevano incontrato del brutto tempo e, di conseguenza, l’aereo aveva “ballato” un po’.

Adesso però era a terra e, nell’attesa di recuperare il bagaglio, telefonò a Clay incurante del fuso orario. Le mancava molto e si era già pentita di non avergli chiesto di seguirla anche a Londra: lei avrebbe lavorato e insieme si sarebbero goduti un’anticipazione della luna di miele.

Lui rispose al secondo squillo.

“Ciao”, lo salutò teneramente.

“Ciao quasi moglie”, ricambiò il saluto l’uomo. “Tutto bene?”

“Più o meno. Un po’ di brutto tempo, ma alla fine sono atterrata.”

“Dove alloggi?”

“Al Grosvenor House, così sono più vicina al palazzo del Comando.”

“Caspita!” esclamò lui. “Il JAG non ha lesinato spese… il Grosvenor è uno degli alberghi più lussuosi di Londra.”

“Il Segretario e il Presidente Bush ritengono che questo sia un caso della massima importanza”, rispose Mac.

Webb aveva ottenuto l’informazione che cercava: conosceva l’albergo dove avrebbe pernottato Mac e così avrebbe potuto allertare qualcuno dei suoi a Londra e tenerla d’occhio. C’era parecchia gente che gli doveva favori nella City, e adesso era venuto il momento di riscuotere quei crediti. Prese anche l’appunto mentale di farle trovare qualcosa di speciale al suo arrivo.

“Mi manchi Clay, non vedo l’ora che tutto questo sia finito.”

“Anche tu mi manchi Sarah, ma vedrai che tutto si sistemerà e nel giro di due settimane al massimo saremo di nuovo insieme.”

“E pronti per imbarcarci nella nostra avventura”, rispose lei entusiasta.

“Un bacio mia bellissima rosa”, la salutò.

“Ti amo.”

Mac chiuse la conversazione e si apprestò a ritirare la valigia dal tapis roulant.

 

 

 

 


Residenza del Visconte di Norwich
Londra

Aprile 1858

“Se aveste tra le mani un pugnale, non esistereste ad ucciderlo, vero?”

La voce inconfondibile e ormai nota, che la tormentava da settimane, la sorprese mentre stava osservando l’entrata di Cedric Hewitt al ballo di Lord e Lady Norwich: era vicinissima, troppo vicina al suo orecchio.

Lentamente Lady Sarah si voltò, trovandosi a pochi centimetri dal volto di Nicholas Thornton. Fece due passi indietro, inspirando profondamente, per mantenere il controllo delle sue emozioni. Da dieci giorni si preparava mentalmente all’inevitabile incontro che, era certa, prima o poi sarebbe avvenuto. Lui era tornato altre tre volte a cercarla, ma lei aveva sempre fatto dire ad Albert che non era in casa. Non aveva alcuna intenzione di incontrarlo di nuovo, ma sapeva che prima o poi l’inevitabile sarebbe accaduto. Se non fosse stato per la necessità di raggiungere il suo obiettivo, avrebbe fatto volentieri a meno di restare a Londra e farsi vedere in società, ma purtroppo non poteva: il tempo stava passando troppo rapidamente e lei doveva riuscire a trovare le prove necessarie per incastrare Hewitt.

Quando si fu calmata, si rivolse al futuro Duca di Lyndham sfoggiando un’aria leggermente annoiata e porgendogli la mano affinché lui potesse salutarla come si conveniva.

“Lord Thornton, che piacere rivedervi” disse a beneficio delle due matrone che li stavano osservando.

“Lady Sarah…” rispose lui, baciandole la mano inguantata e trattenendola tra le sue.

Le due matrone si allontanarono chiacchierando e non appena se ne furono andate, Lady Sarah gli rivolse uno sguardo severo, liberando la mano dalla presa dell’uomo.

“Cosa volete?” chiese secca.

“Esporvi, finalmente, la mia proposta…”

“Vi dissi che non mi interessava.”

“Come potete sapere che non vi interessa, se non avete idea di quello che sto per dirvi?”

“Vi ripeto che, di qualunque cosa si tratti, non mi interessa. E ora, se volete scusarmi…” replicò, decisa ad andarsene. A parte il fatto che non voleva più stare accanto a Lord Thornton, non voleva neppure che Hewitt la scorgesse alla festa: non sapeva se lui l’avrebbe riconosciuta, erano anni che non la vedeva, poiché era sempre stata attenta a non farsi sorprendere a seguirlo, ma non poteva esserne sicura e aveva notato che Hewitt si stava dirigendo dove si trovavano loro due.

Nicholas Thornton intercettò lo sguardo preoccupato di Lady Sarah e capì al volo la situazione.

“Venite…” e così dicendo, la trascinò rapidamente fuori, sul terrazzo, facendola uscire da una porta finestra proprio dietro di loro.

A differenza della sera del loro primo incontro, l’aria della notte era fredda e pungente, evidente segno che la primavera in Inghilterra era mutevole quanto il clima in una sola giornata: era facile uscire di casa con il cielo sereno, ritrovarsi bagnati poco dopo e nuovamente accarezzati dal sole nell’arco di un’ora.

“Ma…”

“Qui non potrà vedervi” disse Lord Thornton, mentre si levava la giacca e gliela posava sulle spalle, per scaldarla.

“Chi?” domandò lei con un sussurro, incapace di dire altro. Il suo profumo la stordiva.

“L’uomo che doveva diventare vostro marito… Cedric Hewitt” rispose lui, stupendola.

“Come… come sapete?”

“Vi dissi che avevo una proposta che avrebbe potuto interessarvi!”

 


Areoporto di Heathrow
Londra

Aprile 2005

Alla fine Harm non se l’era sentita di mandare qualcuno dello staff a prendere Mac all’aeroporto, non solo ma quando aveva accennato questa sua intenzione a Beinda, lei si era arrabbiata.

“Ma come?!” aveva esclamato incredula. “Una vecchia amica, anzi di più, la collega con la quale hai lavorato per nove anni viene a Londra e tu mandi a prenderla un tirapiedi?! Sei incorreggibile Harmon!”

Lui le aveva spiegato le circostanze del loro rapporto, come era nato, cosa era stato per entrambi e come, alla fine di tutto, si erano lasciati.

“Qualunque cosa sia accaduta fra di voi non si merita di trovare uno sconosciuto ufficiale ad attenderla al suo arrivo, ma un viso amico”, aveva replicato un po’ seccata la donna.

E così, più che altro per farle piacere, Harm era andato di persona a Heathrow a prendere Mac. Non solo, ma Belinda gli aveva fatto promettere che, prima di accompagnarla in albergo, avrebbe pranzato a casa loro.

Ed ora si trovava nell’ampio salone degli arrivi extra UE ad attendere quella che, Belinda esclusa, era stata la donna più importante della sua vita.

Mac ritirò la valigia e si mise pazientemente in coda per il controllo dei passaporti.

Era un po’ ansiosa, lo doveva ammettere. Rivedere Harm dopo tutto quel tempo non sapeva esattamente che effetto le avrebbe fatto. Confidava nella più totale indifferenza.

Avanzò di qualche metro.

Guardò l’anello che portava all’anulare sinistro e le si scaldò il cuore. Ben presto sotto quel solitario dal centomila dollari ci sarebbe stata una sottile vera di platino con all’interno incisa una data e un nome.

Subito dopo aver saputo del trasferimento a San Diego e della missione a Londra, lei e Clay avevano anticipato tutto: si sarebbero sposati il 25 Maggio prossimo nella cappella dove il Rev. Turner teneva il suo sermone natalizio, e la cerimonia sarebbe stata celebrata dallo stesso reverendo Turner.

Sue testimoni sarebbero state Harriet e Chloe, mentre Clay aveva chiesto a due colleghi.

Non avrebbero fatto un viaggio di nozze, non subito almeno e per un po’ di tempo Clay sarebbe rimasto a Langley, ma il suo trasferimento a San Diego era ormai cosa fatta, mancava solo il visto del Direttore che sarebbe rientrato proprio alla fine del mese di Maggio, al massimo ai primi di Giugno.

Avevano scelto anche la casa, un confortevole cottage nella periferia residenziale della città, con due camere in più per i figli che certamente, dopo la sua guarigione dall’endometriosi, sarebbero arrivati di lì a poco. Durante la sua permanenza a Londra Clay avrebbe portato avanti i lavori di ristrutturazione e al rientro di Mac negli States tutto sarebbe stato pronto.

Immersa in questi lieti pensieri e nei progetti per il futuro, non si era accorta di essere arrivata al desk dove una compita impiegata inglese attendeva per il controllo del passaporto.

Un “Madam” appena accennato la riportò alla realtà.

“Mi scusi”, disse estraendo dalla borsa il documento e mostrandoglielo.

“Buona permanenza nel Regno Unito”, le rispose con un sorriso la donna del desk.

“Grazie”, e si avviò verso l’uscita trascinando seco il trolley.

Harm la scorse subito, del resto era abbastanza facile essendo l’unica donna in mezzo a quella folla che indossava la divisa dei Marines.

Rimase colpito dal suo aspetto: sebbene fosse rimasta la stessa gli parve dimagrita, i lineamenti del viso si erano fatti più dolci, rilassati e… sì, Mac era radiosa. Sembrava che le si fosse accesa una lampadina dentro. Conosceva troppo bene Sarah Mackenzie per non coglierne ogni mimino cambiamento nella persona e nell’umore: era cambiata, apparentemente era rimasta la stessa, ma qualcosa gli diceva che non era più la medesima donna che aveva lasciato quella sera in un appartamento di Georgetown invaso da rose rosse.

E non è solo cambiata”, pensò mentre si muoveva per andarle incontro. “E’ stata anche promossa”, aggiunse tra sé notando i gradi da Colonnello sulla giacca della divisa.

Fendette la folla che andava in senso contrario e le si avvicinò.

 





Residenza del Visconte di Norwich
Londra

Aprile 1858

“Come sapete?” domandò di nuovo, sconvolta.

Lo guardò in viso, confusa, rendendosi conto per la prima volta che Nicholas Thornton conosceva del suo passato molto più di quanto lei sapesse del futuro Duca di Lyndham.

Prima di risponderle, egli tirò fuori un sigaro e fece per accenderlo.

“Vi dà fastidio?” chiese, prima di portarselo alle labbra. Attese la sua risposta e, quando lei scosse il capo dandogli tacito consenso, lo accese e aspirò lentamente.

“Conosco tutta la storia…”, disse mentre assaporava l’aroma del tabacco, “ e so anche che, nonostante la mia frase infelice quando l’altro giorno mi avete schiaffeggiato, avete tutti i motivi per odiare Hewitt.”

“Ma… come…”

“Non ha importanza come lo so. Lo so e tanto basta. E desidero aiutarvi ad incastrare quel bastardo.”

Il tono deciso e duro che egli usò la sorprese non poco. Sembrava quasi che anche Lord Thornton avesse motivi validi per odiare il barone di Wiltshire…

“Ha truffato anche voi?” chiese all’improvviso.

Lui la osservò per un attimo, prima di rispondere, quasi indeciso se dirle o meno la verità.

“No, al momento non ancora. Ma ha fatto del male ad una persona cui tengo moltissimo…” aggiunse lui, quasi tra sé.

“Cosa intendete con  ‘al momento non ancora’?” domandò Lady Sarah.

“Che faremo in modo che presto accada.”

“Non capisco…”

“E’ molto semplice: voi cercate prove per incastrare Hewitt e per dimostrare che fu lui a portare alla rovina vostro padre con un imbroglio. Io sarò la prossima vittima ‘inconsapevole’ di Mr. Hewitt… in questo modo riusciremo ad incastrarlo.”

“Noi?” chiese lei, stupita.

“Sì, noi. Ascoltatemi, è perfetto! Sono il futuro Duca di Lyndham, erede di una delle più prestigiose e nobili famiglie d’Inghilterra, per di più ricco sfondato. Ma sono straniero… mio zio è anziano e io… be’, io sono un po’ ribelle… appena tornato dalle Indie, dove ho combattuto valorosamente durante la rivolta dei sepoy…”

“E’ lì che avete perso l’occhio?” lo interruppe lei.

Lui la guardò di nuovo intensamente, prima di rispondere:

“Sì...” Poi, scrutandola se possibile con ancora più attenzione, le chiese in un sussurro: “Mi trovate tanto inguardabile?”.

“Non vedo questo cosa c’entri con il nostro discorso”, rispose lei, imbarazzata per avergli posto quella domanda, facendogli credere di trovarlo ripugnante. Il problema era tutto il contrario: quell’uomo non le piaceva; lo riteneva maleducato, arrogante e presuntuoso, nonché troppo sicuro di sé e sfuggente… eppure, forse a causa dell’incredibile fatto che, in qualche modo e chissà per quale misteriosa ragione, le ricordava André, oppure perché i suoi sensi, risvegliati dall’amore per il bel Conte francese, stavano facendole ricordare dopo mesi di essere una donna, doveva riconoscere, almeno con se stessa, che Nicholas Thornton la turbava parecchio e non lo trovava per nulla inguardabile. Anzi! Più lo conosceva e osservava il suo volto, più lo trovava intrigante e seducente… c’era un’innegabile attrazione tra loro…

No! Che andava a pensare?

La consapevolezza di trovarlo affascinante, nonostante tutto, la turbò parecchio: lei era ancora innamorata di André…

Si rese conto che non aveva ancora risposto alla sua domanda, perché lui la stava fissando. Lo sguardo di Nicholas Thornton era improvvisamente diventato freddo e la sua voce sarcastica.

“Capisco…” lo sentì dire e si rese conto che aveva frainteso.

“No… non vi trovo inguardabile, e neppure ripugnante, se è questo che state pensando” si affrettò a chiarire.

Lui fece un cenno di sorriso.

“Ma non vedo cosa c’entri questo con quello che mi stavate dicendo” aggiunse lei.

“Nulla, in effetti…” rispose lui, poi continuò: “Tornando alla mia proposta… mi fingerò l’ingenuo ricco rampollo, erede di un’immensa fortuna, ma sciocco al punto giusto da essere ritenuto un’ottima preda per un truffatore come Hewitt… in questo modo potremo incastrarlo e voi potrete conservare il titolo e restituire l’onore alla vostra famiglia.”.

“E perché voi dovreste fare tutto questo per me?” domandò lei, sospettosa.

“Ve l’ho detto: Hewitt ha fatto del male ad una persona cui tengo moltissimo…”

“Sì, lo avete detto. E non mi sorprende, conoscendo Hewitt. Ma questo non spiega perché non agite da solo… avreste potuto mettere in atto il vostro piano senza che io ne sapessi nulla e senza che ne ricavi alcunché in cambio. Perché avete deciso di aiutare anche me?”

“Perché non dovrei farlo, sapendo della vostra disgrazia?”

“Perché nessuno fa nulla per nulla… soprattutto voi uomini.”

“Non avete una grande opinione del sesso forte!” scherzò lui.

“Forte?” domandò presuntuosa Lady Sarah, sollevando un sopracciglio.

Nicholas Thornton se ne uscì con la sua risata fredda e beffarda, che gli saliva dal petto, senza arrivare allo sguardo, limitandosi ad una lieve increspatura delle labbra.

Lei comprese che quello era il suo modo usuale di ridere: sarcastico e controllato. E si disse che quell’uomo nascondeva di se stesso molto più di un occhio ferito. La cosa la turbò, ma non seppe dire se per paura o per desiderio di farlo uscire allo scoperto.

“No, in effetti non ho una grande opinione del cosiddetto sesso forte” confermò, sottolineando con il tono della voce le ultime due parole e al tempo stesso stupendosi di come un gentiluomo inglese le avesse usate in sua presenza in maniera tanto disinvolta. Ma si disse che il futuro Duca di Lyndham non era né inglese, né tanto meno un gentiluomo!

“Non avete risposto alla mia domanda…” gli ricordò.

“Credete che voglia qualcosa in cambio?”

“Tutti lo vogliono. E… caro Lord Thornton vorrei farvi notare che, per la seconda volta, non avete risposto alla mia domanda.”

“Siete davvero caparbia e adorabile come vi ho immaginata non appena vi ho visto la prima volta…” sussurrò lui, perdendosi nei suoi occhi. Poi aggiunse, come a voler precisare: “… inguainata in quel provocante abito rosso…”.

Pur turbata da quello sguardo penetrante e da quelle parole, lei non desistette:

“Comincio a pensare che non serve che mi rispondiate… credo d’aver capito da sola cosa vi aspettate in cambio per il vostro aiuto.”.

“E cosa dovrei volere, secondo voi?” domandò lui.

“Quello che vogliono di solito gli uomini”, rispose Lady Sarah. Poi aggiunse tra sé, ripensando con rimpianto ad Andrè: Tutti, tranne uno…

“E cosa vogliono?” domandò Nicholas Thornton.

Lei lo squadrò dapprima in silenzio, ormai infastidita per aver capito che era esattamente come tutti gli altri; poi finalmente disse:

“Volete possedere il mio corpo…”.

“Vi sbagliate, Milady. Io non voglio quello… non solo, almeno.” Fece una pausa, scrutandola con attenzione. Quindi aggiunse: “Io voglio sposarvi.”.

“Sposarmi?” domandò lei, allibita.

“La trovate una cosa tanto assurda? Siete una bellissima donna, per quale motivo non dovrei desiderarlo?”

“Ma… ma voi non mi conoscete neppure! E io nemmeno…”

“Vi conosco più di quanto immaginiate…” sussurrò lui, prima di aggiungere: “E sono innamorato di voi fin dalla prima volta che vi ho veduta.”.

Quelle parole le procurarono uno strano brivido, che si costrinse a reprimere immediatamente.

“Io non vi amo…” disse lei.

“Oh, questo è un fatto irrilevante! Sarà un piacere conquistare il vostro cuore.”

La sua sicurezza la fece arrabbiare e decise di sbattergli in faccia la verità:

“Il mio cuore non vi apparterrà mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre.”.

Nicholas Thornton reagì a quell’affermazione molto diversamente da come si era immaginata.

Un sorriso pigro gli increspò le labbra più del solito, raggiungendo per un breve attimo lo sguardo dell’unico occhio sano.

“Questo lo vedremo…”

 

 

Areoporto di Heathrow
Londra

Aprile 2005


Mac non vide subito Harm, ma qualcosa, dentro di lei, percepì la sua vicinanza. Credeva che queste strane sensazioni, quel filo invisibile che li univa si fosse spezzato per sempre, ed invece, con sua grande sorpresa, ciò non era accaduto.

Quando scorse il volto di Harm tra la ressa, per un nanosecondo il suo cuore smise di battere, ma la parte cosciente e raziocinante della donna non registrò l’avvenimento. Le sembrò invecchiato, ”Anche un po’ ingrassato”, pensò con una punta di malignità, ma non aveva certamente perso il fascino e il magnetismo che lo caratterizzava, come poté notare dalle lunghe occhiate che gli venivano rivolte dalle signore di passaggio. Inutile malignare, Harm era sempre bello e affascinante.

Si incontrarono a mezza via.

“Ciao Marine” la salutò lui.

“Ciao Flyboy” rispose al saluto.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, un silenzio carico di imbarazzo: non sapevano cosa dirsi dopo tutto quel tempo.

“Come è andato il viaggio?” chiese Harm alla fine.

“Bene” rispose Mac. “Non mi aspettavo di trovare te, il Gran Capo in persona.”

“Non mi piaceva l’idea che fosse uno sconosciuto ufficiale o sottufficiale ad accoglierti al tuo arrivo” rispose.

“Uh uh, il solito cavalier servente” ironizzò Mac.

“Piuttosto vedo che sei stata promossa.”

“Una sorpresa anche per me” rispose mentre si incamminavano verso l’uscita. “Ma tutto ha un prezzo: sarò trasferita a San Diego al termine di questa missione.”

Fece il gesto di prenderle la valigia, ma lei rifiutò.

“Grazie, faccio da me” rispose compitamente e nello scostare il braccio di lui dalla maniglia del trolley un raggio di luce fece brillare il solitario.

Harm vide l’anello e la sensazione che provò era identica a quella che aveva provato quando, una vita prima, in un altro aeroporto agli antipodi del globo terracqueo, non seguendo il saggio consiglio dell’Ammiraglio, si era voltato indietro prima dell’imbarco e aveva visto Mac che baciava estasiata Brumby.

Lo stomaco gli si riempì di farfalle.

“Chi sarebbe il fortunato?” chiese, non tanto sicuro di voler sapere. Ma di che accidenti si preoccupava? La vita privata di Mac non era affar suo dopotutto!

“Ah, hai visto questo” disse lei alzando la mano all’altezza del viso e fissando l’anello con aria sognante.

“E’ Webb” ripose poi con semplicità, sempre mantenendo la stessa espressione.

“Vieni ti accompagno” replicò Harm preferendo glissare e non volendo conoscere altro della vita privata di lei.

Sarebbero stati, per l’ultima volta, colleghi; avrebbero dato il meglio di sé nella conduzione delle indagini, ma il piano personale sarebbe stato tassativamente escluso dai loro rapporti. Anzi si era quasi pentito di aver accondisceso alla richiesta di Linda.

Senza che Harm lo sapesse, ma com’era naturale quand’erano insieme, anche Mac pensava le stesse identiche cose.

Uscirono dal terminal e si diressero verso una macchina scura che li stava attendendo. L’autista scese e prese la valigia di Mac riponendola nel bagagliaio, dopodiché le aprì la portiera permettendole di salire. Girò intorno all’autoveicolo e fece la stessa cosa con Harm, poi si mise alla guida uscendo dall’aeroporto e immettendosi nel traffico caotico della City.

“Si vede che sei un pezzo grosso, adesso. Persino l’auto con l’autista” considerò Mac sorniona.

Harm non rispose.

Fecero il tragitto in perfetto silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Non avevano nulla da dirsi, sebbene solo qualche mese prima non potessero fare a meno l’uno dell’altra. Per nove lunghi anni avevano lavorato insieme, ora uniti ora su fronti opposti, avevano condiviso tutto l’uno della vita dell’altro, si erano dati reciproco sostegno nei momenti di bisogno e si erano salvati la vita vicendevolmente in più di un’occasione.

Si erano anche amati alla follia, pur se a modo loro e il fatto che nessuno dei due avesse saputo (o voluto?) mantenere una relazione duratura fino al distacco definitivo ne era la prova.

Ma ora Harm e Mac erano due estranei e nessuno che non li avesse conosciuti anche prima avrebbe potuto credere che un tempo erano stati così uniti.

“Ehi, ma non stiamo andando in albergo!” esclamò Mac quando si accorse che la macchina passava davanti all’hotel senza fermarsi.

“E’ vero, mi sono scordato di dirtelo: sei a pranzo da me” rispose laconico Harm.

Perché aveva parlato al singolare? Dopotutto quella era casa anche di Belinda non solo sua. Cosa voleva dimostrarle quando, inevitabilmente, l’altra le avrebbe aperto la porta? Che anche lui si era rifatto una vita? Che era indispettito per non avergli detto di essersi fidanzata con Webb?

L’autista parcheggiò davanti ad un’elegante palazzina in stile vittoriano e scese per aprire la portiera a Mac.

“Le valigie del Colonnello le porti in albergo sottufficiale”, ordinò Harm prima di scendere e aprire il portone di casa.

Il sottufficiale annuì e rimontò in macchina.

“Carino qui” disse Mac entrando nell’androne dal quale partiva una scala.

“E’ molto diverso la loft di North of Union Station, ma confortevole.”

“E’ tutta tua la palazzina?” chiese lei incamminandosi per la scala.

“Occupo gli ultimi due piani.”

“Mi sarei aspettata un super attico con uno stuolo di domestici” osservò ironica.

“Mi avevano proposto un castello in Scozia, ma ho preferito una più modesta sistemazione qui a Hyde Park. Più vicino al Comando. E’ stata fatta costruita nel 1852 dal Duca di Lyndham…” rispose.

Mac sorrise impercettibilmente.

Arrivarono al piano e subito la porta laccata di nero si aprì.

“Benvenuta!” la salutò una florida ragazza dalla folta chioma rossa e con un viso pieno di efelidi.

Gli occhi verdi sprizzavano allegria e cordialità, mentre le stringeva vigorosamente la mano: “Tu devi essere Mac, l’amica e collega di Harmon. Entra!” la invitò scostandosi per lasciarla passare

“Lei è Belinda” risuonò alle sue spalle la voce di lui.

Mac era convinta di sbagliarsi, ma le era sembrato di cogliere una nota di soddisfazione. Scosse la testa ed entrò al seguito della ragazza, la quale rivolse ad Harm un bonario rimprovero: “Solo ‘lei è Belinda’? Il solito orso! Mi hai detto che lei è la tua migliore amica. Se così è perché non le hai riferito del fatto che mi sono trasferita qui?”.

Non gli lasciò il tempo di replicare e sollecitò Mac a seguirla nel soggiorno: “Accomodati e non far caso a quell’orso polare che è il mio convivente. Siediti pure e mettiti a tuo agio. Arrivo subito.”.

Mac si sedette su uno dei comodi divani.

Convivente, pensò. Decisamente Harm si era dato più da fare in cinque-sei mesi a Londra con quella ragazza che non in nove anni negli States con lei. Ma del resto cosa aveva sperato? Di trovarlo solo e disperato? Era logico che si fosse costruito una vita, anche affettiva, in Inghilterra esattamente come lei aveva fatto a Washington.

Girò lo sguardo nella stanza e intravide Harm che baciava sulla punta del naso Belinda con un’espressione che mai gli aveva visto in faccia.

E’ innamorato, senza dubbio. Buon per lui” si disse.

Lui tornò poco dopo, in borghese, reggendo un vassoio con due bicchieri.

“Belinda non si unisce a noi?” chiese.

“Preferisce controllare che l’arrosto non bruci. Suppongo tu non abbia ripreso a bere” le disse poi sedendosi di fronte e porgendole il bicchiere con l’acqua tonica.

“Supponi bene marinaio” rispose.

“Simpatica la tua ragazza” osservò poi.

“Un vero tesoro, senza di lei sarei perso” rispose. E Mac si accorse che era sincero, anche se quelle stesse parole, tempo addietro, le aveva rivolte a lei.

Prima che avessero il tempo di aggiungere altro, Belinda irruppe nel salone annunciando che il pranzo era pronto.

 

 

 

Residenza del Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra

Aprile 1858

 

Il mio cuore non vi apparterrà mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre…

Le parole di Lady Sarah continuavano a ritornargli in mente, senza tregua.

Era rientrato da più di un’ora dalla festa, eppure non riusciva ancora a prendere sonno. Quella frase lo stava tenendo sveglio.

Si era buttato sul letto senza neppure svestirsi completamente, con la camicia slacciata sul petto e con indosso ancora i pantaloni; aveva trovato solo il tempo per versarsi un abbondante bicchiere di whisky che ora stava centellinando, mentre immagini di lei lo riempivano di desiderio… l’avrebbe voluta lì, con lui, nel suo letto… allora sì che avrebbe evitato la compagnia solitaria del liquore.

Poteva sentire ancora il suo profumo; poteva immaginare la levigatezza della sua pelle, la morbidezza dei suoi capelli… era in grado persino di assaporare con la mente le sue labbra invitanti. Nei suoi sogni la stringeva tra le braccia appassionatamente, mentre lei gli rispondeva con il medesimo trasporto…

Doveva smetterla!

Doveva smetterla, o non avrebbe più chiuso occhio. Ma non l’aveva mai desiderata tanto quanto quella sera, così bella e terribilmente irraggiungibile.

Il mio cuore non vi apparterrà mai…

Quello avrebbe anche potuto accettarlo: sapeva quanto fosse ribelle ed indipendente ed era disposto a lasciarle tutta la libertà che desiderava, una volta sposati, purché lei gli appartenesse. 

Che ironia! Voleva che fosse sua eppure, pur di averla, era disposto a concederle la più ampia libertà… quasi un controsenso!

Ma sarebbe stato l’unico modo affinché almeno una piccola parte di lei fosse sua.

… E’ di un altro uomo e sarà suo per sempre…

Era questo, invece, che non riusciva a tollerare! Che il suo cuore appartenesse ad un altro.

E non importava neppure chi fosse l’altro uomo. Il solo sentirle pronunciare quella frase lo aveva reso geloso.

Era normale tutto questo?

No, non lo era affatto.

Ma era abituato a queste sensazioni, ormai. Fin da quando l’aveva incontrata per la prima volta, si era pazzamente innamorato di lei… e da allora, quando mai con quella donna si era comportato come era suo solito fare?

 



 

  
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