Capitolo V
Un caso per due
Areoporto di
Heathrow
Londra
Il
volo era stato lungo, noioso e
abbastanza agitato. Mac non soffriva il mal d’aria, ma avevano
incontrato del
brutto tempo e, di conseguenza, l’aereo aveva “ballato” un po’.
Adesso
però era a terra e, nell’attesa di
recuperare il bagaglio, telefonò a Clay incurante del fuso orario. Le
mancava
molto e si era già pentita di non avergli chiesto di seguirla anche a
Londra:
lei avrebbe lavorato e insieme si sarebbero goduti un’anticipazione
della luna
di miele.
Lui
rispose al secondo squillo.
“Ciao”,
lo salutò teneramente.
“Ciao
quasi moglie”, ricambiò il saluto
l’uomo. “Tutto bene?”
“Più
o meno. Un po’ di brutto tempo, ma
alla fine sono atterrata.”
“Dove
alloggi?”
“Al
Grosvenor House, così sono più vicina
al palazzo del Comando.”
“Caspita!”
esclamò lui. “Il JAG non ha
lesinato spese… il Grosvenor è uno degli alberghi più lussuosi di
Londra.”
“Il
Segretario e il Presidente Bush
ritengono che questo sia un caso della massima importanza”, rispose Mac.
Webb
aveva ottenuto l’informazione che
cercava: conosceva l’albergo dove avrebbe pernottato Mac e così avrebbe
potuto
allertare qualcuno dei suoi a Londra e tenerla d’occhio. C’era
parecchia gente
che gli doveva favori nella City, e adesso era venuto il momento di
riscuotere
quei crediti. Prese anche l’appunto mentale di farle trovare qualcosa
di
speciale al suo arrivo.
“Mi
manchi Clay, non vedo l’ora che tutto
questo sia finito.”
“Anche
tu mi manchi Sarah, ma vedrai che
tutto si sistemerà e nel giro di due settimane al massimo saremo di
nuovo
insieme.”
“E
pronti per imbarcarci nella nostra
avventura”, rispose lei entusiasta.
“Un
bacio mia bellissima rosa”, la salutò.
“Ti
amo.”
Mac
chiuse la conversazione e si apprestò a
ritirare la valigia dal tapis roulant.
Residenza del
Visconte di Norwich
Londra
“Se
aveste tra le mani un
pugnale, non esistereste ad ucciderlo, vero?”
La
voce inconfondibile e ormai
nota, che la tormentava da settimane, la sorprese mentre stava
osservando
l’entrata di Cedric Hewitt al ballo di Lord e Lady Norwich: era
vicinissima,
troppo vicina al suo orecchio.
Lentamente
Lady Sarah si voltò,
trovandosi a pochi centimetri dal volto di Nicholas Thornton. Fece due
passi
indietro, inspirando profondamente, per mantenere il controllo delle
sue
emozioni. Da dieci giorni si preparava mentalmente all’inevitabile
incontro
che, era certa, prima o poi sarebbe avvenuto. Lui era tornato altre tre
volte a
cercarla, ma lei aveva sempre fatto dire ad Albert che non era in casa.
Non
aveva alcuna intenzione di incontrarlo di nuovo, ma sapeva che prima o
poi l’inevitabile
sarebbe accaduto. Se non fosse stato per la necessità di raggiungere il
suo
obiettivo, avrebbe fatto volentieri a meno di restare a Londra e farsi
vedere
in società, ma purtroppo non poteva: il tempo stava passando troppo
rapidamente
e lei doveva riuscire a trovare le prove necessarie per incastrare
Hewitt.
Quando
si fu calmata, si rivolse
al futuro Duca di Lyndham sfoggiando un’aria leggermente annoiata e
porgendogli
la mano affinché lui potesse salutarla come si conveniva.
“Lord
Thornton, che piacere
rivedervi” disse a beneficio delle due matrone che li stavano
osservando.
“Lady
Sarah…” rispose lui,
baciandole la mano inguantata e trattenendola tra le sue.
Le
due matrone si allontanarono
chiacchierando e non appena se ne furono andate, Lady Sarah gli rivolse
uno
sguardo severo, liberando la mano dalla presa dell’uomo.
“Cosa
volete?” chiese secca.
“Esporvi,
finalmente, la mia
proposta…”
“Vi
dissi che non mi interessava.”
“Come
potete sapere che non vi
interessa, se non avete idea di quello che sto per dirvi?”
“Vi
ripeto che, di qualunque
cosa si tratti, non mi interessa. E ora, se volete scusarmi…” replicò,
decisa
ad andarsene. A parte il fatto che non voleva più stare accanto a Lord
Thornton, non voleva neppure che Hewitt la scorgesse alla festa: non
sapeva se
lui l’avrebbe riconosciuta, erano anni che non la vedeva, poiché era
sempre
stata attenta a non farsi sorprendere a seguirlo, ma non poteva esserne
sicura
e aveva notato che Hewitt si stava dirigendo dove si trovavano loro due.
Nicholas
Thornton intercettò lo
sguardo preoccupato di Lady Sarah e capì al volo la situazione.
“Venite…”
e così dicendo, la
trascinò rapidamente fuori, sul terrazzo, facendola uscire da una porta
finestra proprio dietro di loro.
A
differenza della sera del loro
primo incontro, l’aria della notte era fredda e pungente, evidente
segno che la
primavera in Inghilterra era mutevole quanto il clima in una sola
giornata: era
facile uscire di casa con il cielo sereno, ritrovarsi bagnati poco dopo
e
nuovamente accarezzati dal sole nell’arco di un’ora.
“Ma…”
“Qui
non potrà vedervi” disse
Lord Thornton, mentre si levava la giacca e gliela posava sulle spalle,
per
scaldarla.
“Chi?”
domandò lei con un
sussurro, incapace di dire altro. Il suo profumo la stordiva.
“L’uomo
che doveva diventare
vostro marito… Cedric Hewitt” rispose lui, stupendola.
“Come…
come sapete?”
“Vi
dissi che avevo una proposta
che avrebbe potuto interessarvi!”
Areoporto di
Heathrow
Londra
Alla
fine Harm non se l’era sentita di
mandare qualcuno dello staff a prendere Mac all’aeroporto, non solo ma
quando
aveva accennato questa sua intenzione a Beinda, lei si era arrabbiata.
“Ma
come?!” aveva esclamato incredula. “Una
vecchia amica, anzi di più, la collega con la quale hai lavorato per
nove anni
viene a Londra e tu mandi a prenderla un tirapiedi?! Sei incorreggibile
Harmon!”
Lui
le aveva spiegato le circostanze del
loro rapporto, come era nato, cosa era stato per entrambi e come, alla
fine di
tutto, si erano lasciati.
“Qualunque
cosa sia accaduta fra di voi non
si merita di trovare uno sconosciuto ufficiale ad attenderla al suo
arrivo, ma
un viso amico”, aveva replicato un po’ seccata la donna.
E
così, più che altro per farle piacere,
Harm era andato di persona a Heathrow a prendere Mac. Non solo, ma
Belinda gli
aveva fatto promettere che, prima di accompagnarla in albergo, avrebbe
pranzato
a casa loro.
Ed
ora si trovava nell’ampio salone degli
arrivi extra UE ad attendere quella che, Belinda esclusa, era stata la
donna
più importante della sua vita.
Mac
ritirò la valigia e si mise
pazientemente in coda per il controllo dei passaporti.
Era
un po’ ansiosa, lo doveva ammettere.
Rivedere Harm dopo tutto quel tempo non sapeva esattamente che effetto
le
avrebbe fatto. Confidava nella più totale indifferenza.
Avanzò
di qualche metro.
Guardò
l’anello che portava all’anulare
sinistro e le si scaldò il cuore. Ben presto sotto quel solitario dal
centomila
dollari ci sarebbe stata una sottile vera di platino con all’interno
incisa una
data e un nome.
Subito
dopo aver saputo del trasferimento a
San Diego e della missione a Londra, lei e Clay avevano anticipato
tutto: si
sarebbero sposati il 25 Maggio prossimo nella cappella dove il Rev.
Turner
teneva il suo sermone natalizio, e la cerimonia sarebbe stata celebrata
dallo
stesso reverendo Turner.
Sue
testimoni sarebbero state Harriet e
Chloe, mentre Clay aveva chiesto a due colleghi.
Non
avrebbero fatto un viaggio di nozze,
non subito almeno e per un po’ di tempo Clay sarebbe rimasto a Langley,
ma il
suo trasferimento a San Diego era ormai cosa fatta, mancava solo il
visto del
Direttore che sarebbe rientrato proprio alla fine del mese di Maggio,
al
massimo ai primi di Giugno.
Avevano
scelto anche la casa, un
confortevole cottage nella periferia residenziale della città, con due
camere
in più per i figli che certamente, dopo la sua guarigione
dall’endometriosi,
sarebbero arrivati di lì a poco. Durante la sua permanenza a Londra
Clay avrebbe
portato avanti i lavori di ristrutturazione e al rientro di Mac negli
States
tutto sarebbe stato pronto.
Immersa
in questi lieti pensieri e nei
progetti per il futuro, non si era accorta di essere arrivata al desk
dove una
compita impiegata inglese attendeva per il controllo del passaporto.
Un
“Madam” appena accennato la riportò alla
realtà.
“Mi
scusi”, disse estraendo dalla borsa il
documento e mostrandoglielo.
“Buona
permanenza nel Regno Unito”, le
rispose con un sorriso la donna del desk.
“Grazie”,
e si avviò verso l’uscita
trascinando seco il trolley.
Harm
la scorse subito, del resto era abbastanza
facile essendo l’unica donna in mezzo a quella folla che indossava la
divisa
dei Marines.
Rimase
colpito dal suo aspetto: sebbene
fosse rimasta la stessa gli parve dimagrita, i lineamenti del viso si
erano
fatti più dolci, rilassati e… sì, Mac era radiosa. Sembrava che le si
fosse
accesa una lampadina dentro. Conosceva troppo bene Sarah Mackenzie per
non
coglierne ogni mimino cambiamento nella persona e nell’umore: era
cambiata,
apparentemente era rimasta la stessa, ma qualcosa gli diceva che non
era più la
medesima donna che aveva lasciato quella sera in un appartamento di
Georgetown
invaso da rose rosse.
“E
non è solo cambiata”, pensò mentre si muoveva per andarle
incontro. “E’ stata anche promossa”,
aggiunse tra
sé notando i gradi da Colonnello sulla giacca della divisa.
Fendette
la folla che andava in senso
contrario e le si avvicinò.
Residenza del
Visconte di Norwich
Londra
“Come
sapete?” domandò di nuovo,
sconvolta.
Lo
guardò in viso, confusa,
rendendosi conto per la prima volta che Nicholas Thornton conosceva del
suo
passato molto più di quanto lei sapesse del futuro Duca di Lyndham.
Prima
di risponderle, egli tirò
fuori un sigaro e fece per accenderlo.
“Vi
dà fastidio?” chiese, prima
di portarselo alle labbra. Attese la sua risposta e, quando lei scosse
il capo
dandogli tacito consenso, lo accese e aspirò lentamente.
“Conosco
tutta la storia…”,
disse mentre assaporava l’aroma del tabacco, “ e so anche che,
nonostante la
mia frase infelice quando l’altro giorno mi avete schiaffeggiato, avete
tutti i
motivi per odiare Hewitt.”
“Ma…
come…”
“Non
ha importanza come lo so.
Lo so e tanto basta. E desidero aiutarvi ad incastrare quel bastardo.”
Il
tono deciso e duro che egli
usò la sorprese non poco. Sembrava quasi che anche Lord Thornton avesse
motivi
validi per odiare il barone di Wiltshire…
“Ha
truffato anche voi?” chiese
all’improvviso.
Lui
la osservò per un attimo,
prima di rispondere, quasi indeciso se dirle o meno la verità.
“No,
al momento non ancora. Ma
ha fatto del male ad una persona cui tengo moltissimo…” aggiunse lui,
quasi tra
sé.
“Cosa
intendete con ‘al
momento non ancora’?” domandò Lady Sarah.
“Che
faremo in modo che presto
accada.”
“Non
capisco…”
“E’
molto semplice: voi cercate
prove per incastrare Hewitt e per dimostrare che fu lui a portare alla
rovina
vostro padre con un imbroglio. Io sarò la prossima vittima
‘inconsapevole’ di
Mr. Hewitt… in questo modo riusciremo ad incastrarlo.”
“Noi?”
chiese lei, stupita.
“Sì,
noi. Ascoltatemi, è
perfetto! Sono il futuro Duca di Lyndham, erede di una delle più
prestigiose e
nobili famiglie d’Inghilterra, per di più ricco sfondato. Ma sono
straniero…
mio zio è anziano e io… be’, io sono un po’ ribelle… appena tornato
dalle
Indie, dove ho combattuto valorosamente durante la rivolta dei sepoy…”
“E’
lì che avete perso
l’occhio?” lo interruppe lei.
Lui
la guardò di nuovo
intensamente, prima di rispondere:
“Sì...”
Poi, scrutandola se
possibile con ancora più attenzione, le chiese in un sussurro: “Mi
trovate
tanto inguardabile?”.
“Non
vedo questo cosa c’entri
con il nostro discorso”, rispose lei, imbarazzata per avergli posto
quella
domanda, facendogli credere di trovarlo ripugnante. Il problema era
tutto il
contrario: quell’uomo non le piaceva; lo riteneva maleducato, arrogante
e
presuntuoso, nonché troppo sicuro di sé e sfuggente… eppure, forse a
causa
dell’incredibile fatto che, in qualche modo e chissà per quale
misteriosa
ragione, le ricordava André, oppure perché i suoi sensi, risvegliati
dall’amore
per il bel Conte francese, stavano facendole ricordare dopo mesi di
essere una
donna, doveva riconoscere, almeno con se stessa, che Nicholas Thornton
la
turbava parecchio e non lo trovava per nulla inguardabile. Anzi! Più lo
conosceva e osservava il suo volto, più lo trovava intrigante e
seducente…
c’era un’innegabile attrazione tra loro…
No!
Che andava a pensare?
La
consapevolezza di trovarlo
affascinante, nonostante tutto, la turbò parecchio: lei era ancora
innamorata
di André…
Si
rese conto che non aveva
ancora risposto alla sua domanda, perché lui la stava fissando. Lo
sguardo di
Nicholas Thornton era improvvisamente diventato freddo e la sua voce
sarcastica.
“Capisco…”
lo sentì dire e si
rese conto che aveva frainteso.
“No…
non vi trovo inguardabile,
e neppure ripugnante, se è questo che state pensando” si affrettò a
chiarire.
Lui
fece un cenno di sorriso.
“Ma
non vedo cosa c’entri questo
con quello che mi stavate dicendo” aggiunse lei.
“Nulla,
in effetti…” rispose lui,
poi continuò: “Tornando alla mia proposta… mi fingerò l’ingenuo ricco
rampollo,
erede di un’immensa fortuna, ma sciocco al punto giusto da essere
ritenuto
un’ottima preda per un truffatore come Hewitt… in questo modo potremo
incastrarlo
e voi potrete conservare il titolo e restituire l’onore alla vostra
famiglia.”.
“E
perché voi dovreste fare
tutto questo per me?” domandò lei, sospettosa.
“Ve
l’ho detto: Hewitt ha fatto
del male ad una persona cui tengo moltissimo…”
“Sì,
lo avete detto. E non mi
sorprende, conoscendo Hewitt. Ma questo non spiega perché non agite da
solo… avreste
potuto mettere in atto il vostro piano senza che io ne sapessi nulla e
senza
che ne ricavi alcunché in cambio. Perché avete deciso di aiutare anche
me?”
“Perché
non dovrei farlo,
sapendo della vostra disgrazia?”
“Perché
nessuno fa nulla per
nulla… soprattutto voi uomini.”
“Non
avete una grande opinione
del sesso forte!” scherzò lui.
“Forte?”
domandò presuntuosa Lady
Sarah, sollevando un sopracciglio.
Nicholas
Thornton se ne uscì con
la sua risata fredda e beffarda, che gli saliva dal petto, senza
arrivare allo
sguardo, limitandosi ad una lieve increspatura delle labbra.
Lei
comprese che quello era il
suo modo usuale di ridere: sarcastico e controllato. E si disse che
quell’uomo
nascondeva di se stesso molto più di un occhio ferito. La cosa la
turbò, ma non
seppe dire se per paura o per desiderio di farlo uscire allo scoperto.
“No,
in effetti non ho una
grande opinione del cosiddetto sesso forte” confermò, sottolineando con
il tono
della voce le ultime due parole e al tempo stesso stupendosi di come un
gentiluomo inglese le avesse usate in sua presenza in maniera tanto
disinvolta.
Ma si disse che il futuro Duca di Lyndham non era né inglese, né tanto
meno un
gentiluomo!
“Non
avete risposto alla mia
domanda…” gli ricordò.
“Credete
che voglia qualcosa in
cambio?”
“Tutti
lo vogliono. E… caro Lord
Thornton vorrei farvi notare che, per la seconda volta, non avete
risposto alla
mia domanda.”
“Siete
davvero caparbia e adorabile
come vi ho immaginata non appena vi ho visto la prima volta…” sussurrò
lui, perdendosi
nei suoi occhi. Poi aggiunse, come a voler precisare: “… inguainata in
quel
provocante abito rosso…”.
Pur
turbata da quello sguardo
penetrante e da quelle parole, lei non desistette:
“Comincio
a pensare che non
serve che mi rispondiate… credo d’aver capito da sola cosa vi aspettate
in
cambio per il vostro aiuto.”.
“E
cosa dovrei volere, secondo
voi?” domandò lui.
“Quello
che vogliono di solito gli
uomini”, rispose Lady Sarah. Poi aggiunse tra sé, ripensando con
rimpianto ad
Andrè: Tutti, tranne
uno…
“E
cosa vogliono?” domandò
Nicholas Thornton.
Lei
lo squadrò dapprima in
silenzio, ormai infastidita per aver capito che era esattamente come
tutti gli
altri; poi finalmente disse:
“Volete
possedere il mio corpo…”.
“Vi
sbagliate, Milady. Io non
voglio quello… non solo, almeno.” Fece una pausa, scrutandola con
attenzione. Quindi
aggiunse: “Io voglio sposarvi.”.
“Sposarmi?”
domandò lei,
allibita.
“La
trovate una cosa tanto
assurda? Siete una bellissima donna, per quale motivo non dovrei
desiderarlo?”
“Ma…
ma voi non mi conoscete
neppure! E io nemmeno…”
“Vi
conosco più di quanto
immaginiate…” sussurrò lui, prima di aggiungere: “E sono innamorato di
voi fin
dalla prima volta che vi ho veduta.”.
Quelle
parole le procurarono uno
strano brivido, che si costrinse a reprimere immediatamente.
“Io
non vi amo…” disse lei.
“Oh,
questo è un fatto
irrilevante! Sarà un piacere conquistare il vostro cuore.”
La
sua sicurezza la fece arrabbiare
e decise di sbattergli in faccia la verità:
“Il
mio cuore non vi apparterrà
mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre.”.
Nicholas
Thornton reagì a
quell’affermazione molto diversamente da come si era immaginata.
Un
sorriso pigro gli increspò le
labbra più del solito, raggiungendo per un breve attimo lo sguardo
dell’unico
occhio sano.
“Questo
lo vedremo…”
Areoporto di
Heathrow
Londra
Mac
non vide subito Harm, ma qualcosa,
dentro di lei, percepì la sua vicinanza. Credeva che queste strane
sensazioni,
quel filo invisibile che li univa si fosse spezzato per sempre, ed
invece, con
sua grande sorpresa, ciò non era accaduto.
Quando
scorse il volto di Harm tra la
ressa, per un nanosecondo il suo cuore smise di battere, ma la parte
cosciente e
raziocinante della donna non registrò l’avvenimento. Le sembrò
invecchiato, ”Anche
un po’ ingrassato”, pensò con una punta di malignità, ma
non aveva certamente perso
il fascino e il magnetismo che lo caratterizzava, come poté notare
dalle lunghe
occhiate che gli venivano rivolte dalle signore di passaggio. Inutile
malignare, Harm era sempre bello e affascinante.
Si
incontrarono a mezza via.
“Ciao
Marine” la salutò lui.
“Ciao
Flyboy” rispose al saluto.
Rimasero
in silenzio per alcuni istanti, un
silenzio carico di imbarazzo: non sapevano cosa dirsi dopo tutto quel
tempo.
“Come
è andato il viaggio?” chiese Harm
alla fine.
“Bene”
rispose Mac. “Non mi aspettavo di
trovare te, il Gran Capo in persona.”
“Non
mi piaceva l’idea che fosse uno sconosciuto
ufficiale o sottufficiale ad accoglierti al tuo arrivo” rispose.
“Uh
uh, il solito cavalier servente” ironizzò
Mac.
“Piuttosto
vedo che sei stata promossa.”
“Una
sorpresa anche per me” rispose mentre
si incamminavano verso l’uscita. “Ma tutto ha un prezzo: sarò
trasferita a San
Diego al termine di questa missione.”
Fece
il gesto di prenderle la valigia, ma
lei rifiutò.
“Grazie,
faccio da me” rispose compitamente
e nello scostare il braccio di lui dalla maniglia del trolley un raggio
di luce
fece brillare il solitario.
Harm
vide l’anello e la sensazione che
provò era identica a quella che aveva provato quando, una vita prima,
in un
altro aeroporto agli antipodi del globo terracqueo, non seguendo il
saggio
consiglio dell’Ammiraglio, si era voltato indietro prima dell’imbarco e
aveva
visto Mac che baciava estasiata Brumby.
Lo
stomaco gli si riempì di farfalle.
“Chi
sarebbe il fortunato?” chiese, non
tanto sicuro di voler sapere. Ma di che accidenti si preoccupava? La
vita
privata di Mac non era affar suo dopotutto!
“Ah,
hai visto questo” disse lei alzando la
mano all’altezza del viso e fissando l’anello con aria sognante.
“E’
Webb” ripose poi con semplicità, sempre
mantenendo la stessa espressione.
“Vieni
ti accompagno” replicò Harm
preferendo glissare e non volendo conoscere altro della vita privata di
lei.
Sarebbero
stati, per l’ultima volta,
colleghi; avrebbero dato il meglio di sé nella conduzione delle
indagini, ma il
piano personale sarebbe stato tassativamente escluso dai loro rapporti.
Anzi si
era quasi pentito di aver accondisceso alla richiesta di Linda.
Senza
che Harm lo sapesse, ma com’era naturale
quand’erano insieme, anche Mac pensava le stesse identiche cose.
Uscirono
dal terminal e si diressero verso
una macchina scura che li stava attendendo. L’autista scese e prese la
valigia
di Mac riponendola nel bagagliaio, dopodiché le aprì la portiera
permettendole
di salire. Girò intorno all’autoveicolo e fece la stessa cosa con Harm,
poi si
mise alla guida uscendo dall’aeroporto e immettendosi nel traffico
caotico della
City.
“Si
vede che sei un pezzo grosso, adesso.
Persino l’auto con l’autista” considerò Mac sorniona.
Harm
non rispose.
Fecero
il tragitto in perfetto silenzio,
ognuno immerso nei propri pensieri. Non avevano nulla da dirsi, sebbene
solo
qualche mese prima non potessero fare a meno l’uno dell’altra. Per nove
lunghi
anni avevano lavorato insieme, ora uniti ora su fronti opposti, avevano
condiviso tutto l’uno della vita dell’altro, si erano dati reciproco
sostegno
nei momenti di bisogno e si erano salvati la vita vicendevolmente in
più di
un’occasione.
Si
erano anche amati alla follia, pur se a
modo loro e il fatto che nessuno dei due avesse saputo (o voluto?)
mantenere
una relazione duratura fino al distacco definitivo ne era la prova.
Ma
ora Harm e Mac erano due estranei e
nessuno che non li avesse conosciuti anche prima avrebbe potuto credere
che un
tempo erano stati così uniti.
“Ehi,
ma non stiamo andando in albergo!”
esclamò Mac quando si accorse che la macchina passava davanti all’hotel
senza
fermarsi.
“E’
vero, mi sono scordato di dirtelo: sei
a pranzo da me” rispose laconico Harm.
Perché
aveva parlato al singolare?
Dopotutto quella era casa anche di Belinda non solo sua. Cosa voleva
dimostrarle quando, inevitabilmente, l’altra le avrebbe aperto la
porta? Che anche
lui si era rifatto una vita? Che era indispettito per non avergli detto
di essersi
fidanzata con Webb?
L’autista
parcheggiò davanti ad un’elegante
palazzina in stile vittoriano e scese per aprire la portiera a Mac.
“Le
valigie del Colonnello le porti in
albergo sottufficiale”, ordinò Harm prima di scendere e aprire il
portone di
casa.
Il
sottufficiale annuì e rimontò in
macchina.
“Carino
qui” disse Mac entrando
nell’androne dal quale partiva una scala.
“E’
molto diverso la loft di North of Union
Station, ma confortevole.”
“E’
tutta tua la palazzina?” chiese lei
incamminandosi per la scala.
“Occupo
gli ultimi due piani.”
“Mi
sarei aspettata un super attico con uno
stuolo di domestici” osservò ironica.
“Mi
avevano proposto un castello in Scozia,
ma ho preferito una più modesta sistemazione qui a Hyde Park. Più
vicino al Comando.
E’ stata fatta costruita nel 1852 dal Duca di Lyndham…” rispose.
Mac
sorrise impercettibilmente.
Arrivarono
al piano e subito la porta
laccata di nero si aprì.
“Benvenuta!”
la salutò una florida ragazza
dalla folta chioma rossa e con un viso pieno di efelidi.
Gli
occhi verdi sprizzavano allegria e
cordialità, mentre le stringeva vigorosamente la mano: “Tu devi essere
Mac,
l’amica e collega di Harmon. Entra!” la invitò scostandosi per
lasciarla
passare
“Lei
è Belinda” risuonò alle sue spalle la
voce di lui.
Mac
era convinta di sbagliarsi, ma le era
sembrato di cogliere una nota di soddisfazione. Scosse la testa ed
entrò al
seguito della ragazza, la quale rivolse ad Harm un bonario rimprovero:
“Solo ‘lei
è Belinda’? Il solito orso! Mi hai detto che lei è la tua migliore
amica. Se
così è perché non le hai riferito del fatto che mi sono trasferita
qui?”.
Non
gli lasciò il tempo di replicare e
sollecitò Mac a seguirla nel soggiorno: “Accomodati e non far caso a
quell’orso
polare che è il mio convivente. Siediti pure e mettiti a tuo agio.
Arrivo
subito.”.
Mac
si sedette su uno dei comodi divani.
Convivente,
pensò. Decisamente Harm si era
dato più da fare in cinque-sei mesi a Londra con quella ragazza che non
in nove
anni negli States con lei. Ma del resto cosa aveva sperato? Di trovarlo
solo e
disperato? Era logico che si fosse costruito una vita, anche affettiva,
in
Inghilterra esattamente come lei aveva fatto a Washington.
Girò
lo sguardo nella stanza e intravide
Harm che baciava sulla punta del naso Belinda con un’espressione che
mai gli
aveva visto in faccia.
“E’ innamorato, senza dubbio.
Buon per lui”
si disse.
Lui
tornò poco dopo, in borghese, reggendo
un vassoio con due bicchieri.
“Belinda
non si unisce a noi?” chiese.
“Preferisce
controllare che l’arrosto non
bruci. Suppongo tu non abbia ripreso a bere” le disse poi sedendosi di
fronte e
porgendole il bicchiere con l’acqua tonica.
“Supponi
bene marinaio” rispose.
“Simpatica
la tua ragazza” osservò poi.
“Un
vero tesoro, senza di lei sarei perso”
rispose. E Mac si accorse che era sincero, anche se quelle stesse
parole, tempo
addietro, le aveva rivolte a lei.
Prima
che avessero il tempo di aggiungere
altro, Belinda irruppe nel salone annunciando che il pranzo era pronto.
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Il mio cuore non vi
apparterrà
mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre…
Le
parole di Lady Sarah
continuavano a ritornargli in mente, senza tregua.
Era
rientrato da più di un’ora
dalla festa, eppure non riusciva ancora a prendere sonno. Quella frase
lo stava
tenendo sveglio.
Si
era buttato sul letto senza
neppure svestirsi completamente, con la camicia slacciata sul petto e
con
indosso ancora i pantaloni; aveva trovato solo il tempo per versarsi un
abbondante bicchiere di whisky che ora stava centellinando, mentre
immagini di
lei lo riempivano di desiderio… l’avrebbe voluta lì, con lui, nel suo
letto…
allora sì che avrebbe evitato la compagnia solitaria del liquore.
Poteva
sentire ancora il suo
profumo; poteva immaginare la levigatezza della sua pelle, la
morbidezza dei
suoi capelli… era in grado persino di assaporare con la mente le sue
labbra
invitanti. Nei suoi sogni la stringeva tra le braccia
appassionatamente, mentre
lei gli rispondeva con il medesimo trasporto…
Doveva
smetterla!
Doveva
smetterla, o non avrebbe
più chiuso occhio. Ma non l’aveva mai desiderata tanto quanto quella
sera, così
bella e terribilmente irraggiungibile.
Il mio cuore non vi apparterrà
mai…
Quello
avrebbe anche potuto
accettarlo: sapeva quanto fosse ribelle ed indipendente ed era disposto
a
lasciarle tutta la libertà che desiderava, una volta sposati, purché
lei gli
appartenesse.
Che
ironia! Voleva che fosse sua
eppure, pur di averla, era disposto a concederle la più ampia libertà…
quasi un
controsenso!
Ma
sarebbe stato l’unico modo
affinché almeno una piccola parte di lei fosse sua.
… E’ di un altro uomo e sarà suo
per sempre…
Era
questo, invece, che non
riusciva a tollerare! Che il suo cuore appartenesse ad un altro.
E
non importava neppure chi
fosse l’altro uomo. Il solo sentirle pronunciare quella frase lo aveva
reso
geloso.
Era
normale tutto questo?
No,
non lo era affatto.
Ma
era abituato a queste
sensazioni, ormai. Fin da quando l’aveva incontrata per la prima volta,
si era
pazzamente innamorato di lei… e da allora, quando mai con quella donna
si era comportato
come era suo solito fare?