Quel giorno,
me lo sentivo, sarebbe stato un gran giorno.
Mi svegliai piuttosto tardi, a dire il vero, già il sole penetrava
con raggi orizzontali attraverso le serrande, colpendo i miei poveri e stanchi
occhi. Quella era la mia “sveglia naturale” , certo,
non era raffinata come quelle di certe dame che riproduceva il canto dell’Uccello
del Paradiso, non diceva neppure “Ben svegliato” in dieci lingue differenti,
come andava di gran moda alla corte. Però era
economica, questo bisogna ammetterlo. E non aveva
bisogno di riparazioni, mai.
Mi alzai a
stento, rischiando una o due volte di inciampare sui libri, le centinaia di
libri, sparsi sul pavimento. L’ordine non è il mio forte,
devo ammetterlo.
Dopo essermi
vestito in fretta, mi diressi verso la porta, fischiettando un allegro
motivetto.
Ma mi devo ancora presentare: io sono Jykhaniel O’Brien, ma tutti mi
chiamano Jyk. E il mio sogno, sin da quando ero
bambino, è stato quello di fare una grande scoperta: non una qualunque, ma una
che verrà ricordata per sempre. Sono un ragazzo sui
19, benché tutti mi dicono che ne dimostro molti di meno. Ho ereditato da mia
madre gli occhi scuri e dolci, ma un po’ troppo malinconici, da mio padre i
capelli color miele, che tengo piuttosto corti.
Le strade della
Capitale, soprattutto nella sua parte più povera, sono fangose ed è un’impresa
camminarci attraverso senza sporcarsi completamente. Un
impresa in cui nessuno è mai riuscito.
- Desidera una
collana per una signora? – mi chiese una vecchietta rugosa dai
capelli bianchi, legati in una modesta
treccia.
- No grazie… -
continuai per la mia strada, allegramente. Mi sarei messo a cantare… ma poi
sarei passato per matto, quindi risparmiai a tutti la mia
performance.
- Ehilà! – mi salutò
Peya, una ragazza che conoscevo da sempre… eravamo praticamente cresciuti insieme nel Vicolo, giocando
in mezzo al fango… bei tempi, quelli!
- Salve Pey, come va? – la salutai, di fretta. Mi sarebbe piaciuto
fermarmi, ma quel giorno avevo da fare… molto.
Percorrendo il
Vicolo in tutta la sua fangosa lunghezza , si giunge
dinnanzi ad un’imponente porta di legno sempre sorvegliata da un paio di
guardie.
Quello era il
confine tra il Vicolo, la parte più povera della città, e la Zona Residenziale,
dove solo i ricchi o i nobili vivevano.
I soldati in
armatura mi guardarono con sospetto, mentre varcavo la porta, ma succedeva
sempre. Quando qualcuno entra nella Zona viene sempre
scambiato per un ladro o un truffatore.
Passai dal
fango delle stradine alla ghiaia delle grandi strade del centro, al lastricato
di una grande piazza, al cui centro sorgeva la statua
di Ihnne, la famosa guerriera che, durante la Seconda
Guerra sconfisse l’Esercito di Liyimne, portando così
il Regno alla Vittoria. Quella statua in particolare lo aveva
sempre incuriosito: a grandezza naturale e di marmo, il volto dell’eroina,
però, era nascosto da un grosso elmo. La leggenda voleva, infatti, che Ihnne fosse una delle donne più brutte mai vissute e che
fosse impossibile guardarla per più di cinque minuti, per questo motivo in
tutti i quadri o statue portava sempre il volto
coperto.
“Ihnne protettrice degli audaci” diceva la targa di bronzo sotto
la statua.
“Allora
proteggimi…” commentò il ragazzo, scuotendo il capo e riavviandosi.
Arrivò davanti
ad una casa bianca, dalle numerose finestre e dall’ampio giardino, circondato
da un alta recinzione in ferro battuto. Un fumo color
della polvere usciva dal camino, o meglio, da uno dei camini.
“E’ tornata”
sospirò di sollievo il ragazzo. Se la “Dama” non si fosse trovata in casa avrebbe fatto un viaggio a vuoto…
- Ehm ehm – tossicchiò, cercando di attirare l’attenzione del
guardiano del cancello, che stava dormendo, seduto su
una comoda poltrona, con la testa abbandonata sul petto e una bottiglia
semi-piena in mano.
- Ehi!
Sveglia! – perse la pazienza Jyk, sventolando una
mano attraverso le sbarre del cancello.
- Uh… - aprì
assonnato gli occhi quello – Oh.. aaaah!
– si stirò quello, sollevando le braccia sopra la testa. Si alzò e si avvicinò,
aprendo il cancello – Conosci la strada, vacci da solo
– esordì. Immaginai che fossero due i principali motivi :
il primo era che effettivamente io conosco la strada per andare nella Sala
degli Ospiti della villa, e poi dubito che il guardiano avrebbe abbandonato la
comoda poltrona e la scorta di vini tanto facilmente.
Camminando per
il viale alberato cercai di sistemare l’abito che indossavo, la camicia
spiegazzata e rammendata in più punti, gli stivali e i pantaloni sporchi di
fango fino al ginocchio.
“Beh, dovrà
bastare…” mi disse, ripensando al lusso e allo sfarzo della casa della Dama.
Una vecchia conoscenza, Kevin Tirrip
O’Dirk, Dama del Regno.
L’avevo
conosciuta molti anni prima, quando chiesi di poter studiare le mappe delle Terre,
conservate, appunto, nella sua vasta e impolverata biblioteca, in cui nessuno
aveva messo piede da anni.
Oggi, però,
ero lì per una diversa ragione.
Entrai nella
villa, con un timido “permesso”, dirigendomi subito verso quella che era stata
battezzata “La Sala degli Ospiti”.
Benché tutta la casa fosse incredibilmente
ricca, in quella stanza la Dama si era sbizzarrita.
Quadri alle
pareti, tappeti preziosi per terra, tende di velluto alle finestre, il
pavimento era di marmo, dal soffitto pendevano numerosi lampadari di cristallo.
Sedendomi su
una sedia ricordai quella ragazzina viziata, che avevo imparato ad ammirare per
la sua testardaggine e che, da giovanissima, aveva ricevuto in eredità dal
padre morto prematuramente, quella casa e un ingente patrimonio, da dividere
con un fratello e una sorella che non avevo mai visto perché, come diceva Kevin, “adorano viaggiare”
Ricordavo una
ragazza vestita sempre in modo elegante, dalle maniere impeccabili e i modo
fini.
- Jyk!! Che piacere!! – esclamò Kevin... “Ma è davvero Kevin??”
La Dama
portava i capelli bruni legati in una treccia, proprio come le donne del
popolo, indossava una camicia decisamente troppo
grande, appartenuta, probabilmente, ad un minatore viste le macchie d’olio e di
carbone, la gonna troppo corta che le sfiorava con l’orlo i polpacci, sporca di
fango e i calzari di cuoio che avvolgevano i piedi, che spuntavano da sotto la
gonna.
Attorno all’esile
collo, bianco e forse un po’ troppo lungo, non c’era neppure una collana, ma
solo un fazzoletto blu.
“Ma che succede??” mi chiesi, incredulo.
- Jyk! Mi hai preceduto… dimmi, come hai fatto a sapere che
ora va di moda lo “Stile Povero”? Insomma, credevo che fosse un’anteprima la
mia! Me lo ha detto un’ancella della regina… nonché una
mia informatrice! –
Le avrei volentieri spiegato che quello che lei definiva abito in “stile
povero” era in realtà quello che io indosso sempre, così come tutti gli abitanti
del Vicolo. Ma non avevo voglia di litigare e tanto,
da nobile che mai era uscita dalla Zona Residenziale quale era lei, non ci
avrebbe certamente creduto…
- Lascia stare…
comunque ben tornata,com’e andato il tuo viaggio? –
chiesi, certo della risposta. Ovviamente era andato bene.
- Benissimo
grazie – sorrise lei. - E tu, dimmi, qualche nuova
scoperta? – continuò, divertita. Solo perché qualche anno fa avevo combinato un
piccolo pasticcio, continua a prendermi in giro! Neanche fosse
colpa mia…
- Certo… negli
ultimi due anni ho continuato con le ricerche… sono
certo, questa volta la mia teoria è esatta… - sognai, con aria estasiata,
evidentemente divertente, visto che Kevin cominciò a
ridere
- Due anni?!? Jyk caro, hai proprio bisogno di una ragazza! – esclamò,
continuando a ridere divertita
- Mooolto spiritosa, Kev. E’
importante! – risposi. A volte non la capivo… non prendeva
mai nulla sul serio!!
Assunse un’espressione
offesa, incrociando le braccia al petto e gettandosi la treccia dietro alla
schiena, con un gesto annoiato.
- Allora, se è
così seria, dovrai parlarmene durante una cena, no? –
- Aspetta Kev…! –
- Niente “ma”
una cosa semplice… appena un centinaio di invitati! Mm…
dovremo acquistare delle lingue di fenicottero e delle orecchie di elefante… avanti, non mettere il broncio, piccolo! – scherzò – Così conoscerai i miei fratellini, no? Sono appena
arrivati e ci tengono tanto a conoscerti! E magari ti
trovi anche una bella ragazza, no? – detto questo uscì di corsa dalla stanza,
ridendo con allegria e urlando ordini a destra e a manca, a tutti i camerieri
o, più semplicemente, a tutti coloro che le capitavano
a tiro.
“Io ad un
ballo?Non ci posso credere!” mi dissi, io che non sapevo neppure ballare ad un
ballo? Non era un pochino una contraddizione? E poi
quando avrei trovato il tempo di parlarle a quattr’occhi?