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Autore: saltlordofold    03/02/2013    1 recensioni
Northwest, Canada. Davanti a loro si apriva un gigantesco mare di neve, reso quasi fosforescente dal contrasto con l' orizzonte ancora azzurrita dagli ultimi fiacchi raggi di un sole scomparso da ore, e interrotto da alcuni boschi di sottili conifere. Il silenzio assoluto si scontrava con il ronzare dei motori a doppio giro, che rimbombava amplificato fra i tronchi dei pini quando attraversavano una macchia di vegetazione. [...]Sono Lucifero caduto in picchiata dal paradiso, bruciandosi le ali per l' attrito, piombato con tutta la sua furia sull' uomo, lo stupido, insignificante e insolente essere umano.
Un' alleanza fra B.S.A.A e Governo degli Stati Uniti sta per affrontare, ancora una volta, il suo incubo infinito.
Questa fanfiction è dotata di alcune scadenti illustrazioni, e dopo l'uscita di Re6 è diventata di forza una 'What If?', siccome il Canon si è trovato in contraddizione con il contenuto della trama.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chris Redfield, Leon Scott Kennedy
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Resident Evil: Never Ending Nightmare

[Undead Snow Queen]


Chapter 10: Welcome Back in Black





Sherry Birkin.

Leon sapeva di camminare sul bordo scivoloso di fango di un dirupo fin troppo familiare. Un passo falso e tutti i cazzotti di Chris non sarebbero riusciti a tirarlo fuori dall'abisso. E sapeva fin troppo bene cosa l'aspettasse alla fine della caduta.

Aveva l'impressione che se si fermava ora, non si sarebbe mai più mosso. Doveva mettere tutta la distanza possibile fra lui e quello schermo, e al più presto.

Decesso.

Mutazione degenera.

Sherry.

Le lettere tremolavano, impresse sulla sua retina, e il suo muro di controllo valeva quanto un foglio di carta da sigarette messo di fronte a un incendio.


Spalancò la porta di fronte a lui un po' troppo bruscamente, senza prendere le precauzioni necessarie. Aveva fretta.

Chris era alle sue spalle. Avvertiva il suo corpo muoversi nell'aria bruciante. Anche senza vederlo, Leon poteva immaginare fin troppo bene il suo sguardo azzurro corrucciato in un'espressione perplessa.

Non proprio quello che gli serviva, adesso.


Luce, pareti bianche, pavimento di corta moquette grigia. Un grande tavolo ovale al centro dell'ampia stanza rettangolare, circondato da una ventina di comode sedie da ufficio. Una grande saracinesca di acciaio chiaro sulla sua destra. Un proiettore su un muro, casse audio in ogni angolo e quattro telecamere sul soffitto. Il peso dell'M4 sulle sue braccia e quello del suo zaino sulla schiena.

Era quello ciò di cui aveva bisogno.


“Una sala per conferenze.” disse, e si congratulò per il tono freddo della sua voce


Chris lo sorpassò, annuendo. La sua espressione non era poi tanto preoccupata. Sembrava assorto nell'osservazione di questa nuova stanza. Leon gli indirizzò una muta parola di ringraziamento.


“C'è un'altra porta in fondo.” disse il moro con un cenno del mento.


Leon seguì il suo sguardo e notò a sua volta la stretta porta bianca, quasi invisibile sullo sfrondo dello stesso colore. Con il fucile alzato, Chris cominciò a dirigersi verso quella stretta uscita.


La sirena d'allarme si zittì di colpo. Dopo essersi abituati al suo ululato continuo, il silenzio improvviso parve assordante ai due agenti. Si scambiarono un'occhiata nervosa.


“Forza, qui non c'è nulla.” disse Chris fra denti stretti “Non abbiamo molto tempo e dobbiamo trovare...”


“Chris.”


Le parole del Redfield gli morirono in gola, come se i polmoni gli si fossero svuotati di botto. Leon si girò di scatto, incollando l'occhio al mirino. La voce estranea era risuonata senza fonte precisa. Scandagliò la stanza, ma questa era sempre vuota. Gettò un'occhiata a Chris. Il sangue gli batteva alle tempie. La voce aveva chiamato il nome del moro. Perché?


“Chris ...”


Questa volta la voce aveva sussurrato il nome dolcemente, con un tono quasi divertito, come un gatto che fa le fusa alla preda che tiene fra le zampe.

Leon poté vedere il moro rabbrividire, il suo viso farsi rapidamente esangue sotto gli strascichi color ruggine che lo ricoprivano, una goccia di sudore scintillare fra le sue sopracciglia scure. Le sue labbra erano semiaperte e i suoi occhi spalancati. Le sue spalle erano talmente contratte che si misero a tremare. Il suo respiro era fischiante, le sue mani rese bianche dalla stretta che infliggevano al suo fucile. Chris deglutì lentamente, stringendo i denti, e alzò la testa con lo sguardo di qualcuno che sta per vomitare.


“Non è possibile.” disse, e la sua voce di solito così ferma era ridotta quasi a un gemito


Sorta da nessuna parte e da ovunque, una risata bassa, gutturale, rimbombò nelle orecchie di Leon. Chris serrò le palpebre con una smorfia avrebbe potuto essere di dolore e fu scosso da un altro brivido.

Sherry, e ora questo. Leon non capiva cosa stesse succedendo, ogni suo senso era in allarme. Si sentì sommergere da un incendio di rabbia e adrenalina.


“Basta con queste stronzate!” gridò, scandagliando di nuovo la stanza “Fatti vedere!”


La parete alla sua destra si illuminò e Leon si voltò di scatto nella sua direzione. Per un secondo credette di lasciar cadere il fucile. Chris girò il viso con un gesto meccanico, gli occhi sempre spalancati, vacui.


“Non è possibile.” ripeté con un soffio


Labbra sottili e pallide si incurvarono in un sorriso ferino, una testa bionda dagli zigomi taglienti si inclinò sul lato con fare predatore, il nero di due lenti scurissime si fissò sui due agenti, due portali su un abisso insondabile.


“Impossibile?”


La voce tagliava come una lama di rasoio, lasciando una scia sanguinante attraverso la mente. Il sorriso si allargò, rivelando una fila perfetta di denti a forma di pietra tombale.


“Non essere ridicolo, Chris. Davvero pensavi che le tue gesta a Kijuju avessero dato risultati tanto... straordinari? Fammi il piacere di non sopravvalutarti.”


“Albert Wesker” ringhiò Leon, abbassando rabbiosamente il mirino e piantando due occhi di ghiaccio sullo schermo, dimenticando che era solo un riflesso, che non poteva congelare la persona che aveva di fronte solo guardando la sua immagine.


Il sorriso di Wesker si allentò un poco, come se l'interruzione gli fosse stata sgradita.


“Agente Kennedy.” disse, solo un tono più freddo “Non abbiamo ancora avuto il piacere di presentarci.”


Una bolla di puro furore eruppe nel ventre di Leon. Dal fiotto di ricordi indistinti che lo stava assalendo, alcuni si imponevano con una forza inarrestabile. Raccoon City, le macchine in fiamme, il rantolo dei non-morti, Claire, Krauser, Luis, Ada, Ashley, Sherry... Sherry.


“Non c'è bisogno di presentazioni.” ringhiò di nuovo “ So perfettamente chi sei, brutto figlio di puttana.”


Wesker alzò le sopracciglia, lasciandosi andare contro lo schienale della sua larga sedia.


“Un tipo focoso, il tuo nuovo partner, Chris.” disse sul tono della conversazione “ Non mi sorprende. Dopo tutto, hai sempre avuto compagni di un certo carattere.”


Il sorriso tornò, espandendosi lentamente con ovvia delizia.


“A proposito,”sussurrò di nuovo Wesker con lo stesso tono dolciastro di prima “come sta la cara Jill?”

Il colore tornò di botto al viso di Chris. Strinse i pugni e distolse lo sguardo, tremante, rifiutando la provocazione. I pochi secondi che seguirono passarono nel silenzio più pesante che Leon avesse mai vissuto.


“Va bene.” sospirò finalmente Wesker.


Il sorriso era scomparso.


“Se è così che vuoi metterla, vedrò di essere conciso.”


I due agenti sussultarono nel sentire un botto violento seguito da uno stridio metallico. Misero il dito sul grilletto all'unisono. La saracinesca metallica in fondo alla stanza prese ad alzarsi con un ronzio snervante. La parete di acciaio lasciava spazio a una distesa bianca, accerchiata da muri di cemento grigio, della dimensione di un campo di pallacanestro.


“Sono come sempre impressionato dalla tua tenacia, Chris.”


Un secondo stridio metallico si fece sentire. Era un suono di metallo sventrato, e veniva dalla loro destra. Dalla stanza dei cilindri che avevano lasciato pochi minuti prima. Leon strinse i denti.


“Quando ho ricevuto il rapporto di quel fastidioso incidente nella base secondaria, sapevo che il governo e la B.S.A.A avrebbero ficcato il naso. “


Il mezzo sorriso di Wesker mentre incrociava le dita davanti al viso fece venire voglia a Leon di sparare al fottuto proiettore, per quanto la cosa fosse inutile.


“Non speravo, però, che avrebbero mandato te. Mi spiace molto non essere lì con voi. Ero felice di aver potuto stabilire questa connessione ma, “ sventolò la mano in un gesto noncurante “visto che non vuoi discutere, ne approfitterò per mostrarti qualcosa. Ma non dilunghiamo l'attesa, ho ben altro di cui occuparmi. Divertitevi.”


L'immagine proiettata sul muro scomparse, gli altoparlanti si zittirono, lasciando Leon e Chris soli con il suono dei loro respiri.


“Che persona adorabile.” disse Leon con voce atona


Chris non rispose.


Leon mosse le mani sul fucile per assicurare la presa, puntandolo nervosamente verso la vetrata che la saracinesca aveva rivelato.


“Non per fare lo scassapalle, ma...” riprese schiarendosi la gola.


Aveva l'impressione di aver inghiottito qualcosa di molto grosso che non voleva andare giù.


“Wesker non doveva essere mort...”


“Non lo so', cazzo!”


Il volume della voce di Chris lo fece trasalire. C'era un pizzico di isteria in quella voce mentre proseguiva:


“L'ho visto morire con i miei occhi un anno fa! L'ho visto sprofondare nella cazzo di lava! Cosa credi, che me lo sono sognato?! Gli ho sparato un fottutissimo RPG in faccia!”


Leon fu scosso dal misto di panico, incomprensione e rabbia che poteva vedere nell'azzurro degli occhi che il compagno piantò per un secondo nei suoi. Mentre li distoglieva, proseguì con tono sempre più alto, sottolineando ogni parola con un gesto violento della mano:


“L'ho visto, Sheva lo ha visto, il pilota lo ha visto, Jill...” si interruppe per una frazione di secondo e ringhiò riprendendo “E ora eccolo di nuovo, un anno dopo, in mezzo alla fottuta tundra, con quella sua maledetta faccia strafottente di merda e il suo 'Chrissssss' sibilante del cazzo e non ho la più pallida idea di cosa...”


“Chris!”


Il moro si interruppe, ansimante, e rivolse i suoi occhi lucidi verso il collega.


“Devi calmarti.” enunciò Leon, cercando di dare alla sua voce l'intonazione più solida che potesse “Conosco i metodi di Wesker abbastanza per dire che gli piaceva fottere con la tua testa. Forse non è lui, magari era una registrazione, o qualcosa. È una cosa che potrebbe fare, no?”


Leon sapeva di aver appeno sparato una balla gigantesca: anche se non aveva tutti i dettagli dei fatti accaduti a Kijuju, il rapimento di un'agente BSAA da parte di Albert Wesker aveva fatto notizia nel settore, abbastanza almeno perché i suoi capi gli avessero trasmesso l'informazione. E se quella di prima fosse stata una registrazione di prima che Wesker morisse, perché avrebbe chiesto a Chris di Jill, come se non fosse più fra le sue mani?

Ma malgrado l' ovvia bugia, Chris capì comunque il suo maldestro tentativo e prese un grande respiro, chiudendo gli occhi e alzando il viso verso il soffitto nell'intento di controllarsi.


“Comunque sia” proseguì Leon, rassicurato nel vedere il tremore delle spalle del compagno fermarsi e il colore tornare alle sue mani “ abbiamo problemi più urgenti da sistemare. Quel rumoraccio di prima non mi è piaciuto per niente. Vediamo di trovare quella sala comunicazioni e un modo per andarcene da qui al più presto, okay? Potremo investigare quanto ci pare, una volta usciti da questa trappola. Sei con me?”


“Hai ragione.” disse Chris passandosi una mano sul viso, prima di ripetere con voce un po' più ferma “Hai ragione. Andiamocene via di qui.”


Fecero solo due passi verso la porta prima di voltarsi di scatto verso la vetrata. Delle grida di panico sembravano provenire da oltre lo spesso strato di plexiglas, soffocate dallo spessore ma comunque distinte.

Leon e Chris si scambiarono un'occhiata e corsero insieme verso la vetrata. Leon si chinò con il viso a pochi centimetri dalla superficie trasparente, socchiudendo gli occhi per via del riverbero della neve, abbagliante dopo i neon soffusi dell'ufficio, e Chris vi appoggiò una mano per scrutare gli angoli del cortile.

Entrambi strinsero i denti quando da una porta di metallo sulla destra uscirono correndo due soldati vestiti di nero, fucili in mano. I soldati si guardarono intorno e fecero segno che la via era libera. Tre scienziati in camice bianco entrarono a loro volta nella distesa di neve che gli arrivava a metà stinco, rabbrividendo e stringendo alcune cartelle contro il loro petto. Correndo con tutte le loro forze, si diressero verso un'altra porta uguale alla prima ma situata dalla parte opposta del cortile. L'ultimo della fila, una donna con una spessa capigliatura riccia che gli arrivava alle spalle e che non smetteva di coprirgli il viso, si girava tutti i tre passi per gettare oltre la sua spalla uno sguardo di puro terrore. Il gruppo passò davanti ai due agenti senza vederli. O il vetro era un falso specchio o roba simile, suggerì Chris, oppure erano troppo occupati a fuggire per fare attenzione a due agenti in uniforme BSAA appoggiati a un vetro che li guardavano correre con aria perplessa.


“Ma fuggire da cos...?” cominciò Leon, prima di spalancare gli occhi nel sentire un nuovo stridio metallico, molto più vicino stavolta, lacerare l'aria.


Il gruppo nel cortile lasciò sfuggire alcuni gemiti di orrore e smise di correre per fissare, pietrificati, qualcosa sul lato destro del cortile.

E allora i due agenti lo videro.

Un lungo artiglio incideva lo spesso metallo della porta, scendendo in diagonale con una lentezza esasperante e un rumore simile a mille unghie su mille lavagne. La porta si divise in due parti e cadde, seguita a ruota da un corpo che rovinò pesantemente nella neve del cortile.

I due soldati fecero cenno agli altri di correre verso la porta e alzarono i fucili, piantandosi solidamente quasi davanti a Leon e Chris. Premettero i grilletti, e l'aria intorno alla porta destra si trasformò presto in un muro di spruzzi di neve e schegge di cemento.

La donna dai capelli ricci, intanto, era arrivata con gli altri all'altra porta e tentava di aprirla, senza successo. Uno dei due uomini in camice la spintonò di lato e si avventò contro il metallo con tutto il peso del corpo, riuscendo solo a farsi molto male alla spalla. I tre si voltarono a guardare i soldati. I loro visi erano maschere di disperazione.

Presto i due in nero finirono le pallottole e si misero a cercare freneticamente nelle loro tasche alla ricerca di caricatori. Chris e Leon si avvicinarono ancora al vetro, che si ricopriva di condensa sotto i loro respiri tesi. Leon asciugò con la manica la superficie davanti a loro e sgranò gli occhi.


Sì.


Nella neve ridotta in poltiglia dalle pallottole, distesa sui resti taglienti della porta, vi era una donna.

Era nuda, se non per le ciocche dei suoi lunghissimi capelli biondi sparsi disordinatamente sulla sua schiena e intorno alla sua testa, come un'aureola dorata. Con la coda dell'occhio, Chris vide uno dei due soldati farsi scivolare un caricatore e gettarsi a quattro zampe nella neve per cercarlo.

La donna mosse un braccio.

La sua mano si contrasse in un singulto, prima di scivolare nella neve fino all'altezza della sua spalla, dove si appiattì. Prendendo appoggio su di essa si alzò, tirando le ginocchia sotto di sé per sedersi.

Quando alzò il viso, ciocche di finissimi capelli biondi essiccati dal gelo vi scivolarono sopra, aprendosi lentamente come un sipario e cadendo intorno al petto magro mentre la creatura arcuava la schiena, gettando indietro la testa. Le sue braccia caddero, inermi, lungo il suo corpo, e la donna mise un piede per terra, poi l'altro, e si alzò in un unico movimento fluido.

Si raddrizzò, e i lunghissimi capelli -gli arrivavano a metà coscia- si riversarono giù per la sua schiena. Era magrissima. La sua pelle era coperta di chiazze bluastre di carne congelata. Elegantemente, girò la testa verso la sua sinistra, facendo ondulare la capigliatura resa ruvida dal gelo, verso il vetro, verso Leon e Chris.

I suoi occhi erano ricoperti dal velo azzurro e opaco che i due agenti conoscevano così bene, sprovvisti di iride, vuoti, freddi, morti. I tratti del suo viso, incorniciati da ciocche disordinate e rigide, erano ricoperti da una patina di ghiaccio, le sue labbra violacee e semiaperte in un'espressione vuota. Mostruosa. Ipnotica. E stava guardando dritto a loro.


Finalmente.


Una sventagliata di semiautomatico la colpì in piena faccia, interrompendo il contatto e facendogli voltare la testa di lato e indietreggiare di un passo, come uno schiaffo. La creatura si girò di scatto, e, senza un tempo morto, con la stessa espressione vacua, cominciò a ucciderli tutti.

Il primo a morire fu il soldato che aveva sparato. La donna tese il braccio verso di lui e un lungo tentacolo fischiò con una velocità spaventosa nella sua direzione. Lo attraversò da parte a parte in un'esplosione di sangue che eruppe in getto dal foro di uscita, dalle narici, dal naso e dalla bocca del militare. Gli scienziati urlarono e si spintonarono a vicenda, martellando la porta contro la quale si erano rifugiati con colpi disperati. Il primo morì sfracellato contro di essa dal peso del cadavere che la creatura gli aveva lanciato addosso. La donna dai capelli ricci cadde indietro, indietreggiando freneticamente, gli occhi sbarrati e pieni di lacrime fissi sull'appendice insanguinata che sembrava fissarla, ondulando rapidamente nella sua direzione. Urlò mentre il tentacolo si attorcigliava intorno alla sua gamba. Urlò più forte quando la creatura strinse la presa e la sollevò, frustando l'aria con il suo corpo e scontrandolo con una forza mostruosa contro l'ultimo scienziato, che fù proiettato in aria e si schiantò al suolo come una marionetta disarticolata.

Il corpo della scienziata pendeva, inerme, a mezz'aria. La creatura non si era mossa di un millimetro.


Eccomi.


Una nuova sventagliata di pallottole esplose, colpendo la neve intorno ai suoi piedi. L'ultimo soldato era riuscito a ricaricare l'arma e ora strisciava sulla schiena urlando e svuotando la sua arma tremante, incapace anche solo di aggiustare la mira.

Il tentacolo si arcuò elegantemente e scattò con un fischio. La gamba della scienziata rimase stretta nella presa della mostruosa appendice, il corpo invece colpì un muro con la testa per prima. Esplose toccandolo e lo dipinse di rosso e grigio. Alcune ciocche ricce rimasero appiccicate al cemento mentre il resto scivolava lentamente nella neve.

Il soldato continuava a urlare sparando, e non si fermò finché la creatura, spostandosi con una velocità mostruosa, non corse verso di lui e gli si avventò addosso.

Le grida di terrore si mutarono in grida di dolore, di agonia e infine in una serie di gorgoglii e singhiozzi spezzati mentre la neve intorno al suo corpo si colorava di rosso, prima di spegnersi definitivamente e lasciare spazio al suono viscido della carne strappata.


Chris e Leon non si erano mossi di un millimetro, osservando tutta la scena con occhi sgranati. Il massacro non era durato più di una decina di secondi, e il cortile era ora una scena surreale, un cimitero di corpi smembrati e pozze di neve rossa.

I loro sguardi erano fissi sulla creatura che, alzatasi, sembrava respirare quell'aria satura di sangue, anche se il suo petto era immobile e che nessuna condensa usciva dalla sua bocca semiaperta, dalla quale sgocciolava a gocce pesanti un sangue scuro e denso.


Esisto.



Lentamente, la creatura girò la testa verso di loro.

Senza fretta, alzò un piede nudo e lo abbatté con un suono umido nel petto del cadavere, compiendo un pesante passo nella loro direzione.


Sono io.


Chris tese un braccio davanti a Leon come per costringerlo a indietreggiare.


Eccomi.


“Corri.” disse, con gli occhi ancora fissi sullo sguardo vitreo che scorreva lentamente da lui al suo compagno, mentre la bestia cominciava ad accelerare la falcata.


Sono vivo.


Fece qualche passo indietro, trascinando un Leon ancora immobile con lui, e distolse finalmente lo sguardo, voltandosi e costringendo il compagno ad accompagnare il suo movimento.


“Corri, corri, corri!” gridò, e qualcosa sibilò, e del vetro esplose, e il suo respiro fischiava e lo zaino non pesava nulla e la sua mano era sulla spalla di Leon per spingerlo in avanti.


Sono nato.

Finalmente.

Esisto.

Sì.

Sono io.





Arrivo.




   
 
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