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Autore: Ottoperotto    04/02/2013    1 recensioni
«Non è giusto, Atlas!»
Atlas sospirò, divertito ed al tempo stesso rassegnato: sapeva che il ragazzo non si sarebbe dato per vinto così facilmente.
«Ne abbiamo già parlato, Sora...» rispose, senza smettere di preparare la sua sacca di logoro cuoio sbiancato «E mi sembrava di averti convinto...».
Sora sbuffò, imbronciato.
«Non è giusto, però...» rincarò, passando al più anziano il cilindro metallico in cui aveva riposto le delicate fiale di vetro da portare con sé «Lo sai che ci tenevo...».
“Eccola...” pensò Atlas “Adesso cerca di farmi sentire in colpa, il diavoletto...”.

Breve racconto sulle conseguenze d'una disobbedienza d'un Sora "apprendista" stregone.
Nota importante: In questa storia è presente un severo castigo corporale inflitto ad un ragazzo; se leggere di ciò crea problemi a qualcuno per qualunque motivo, passate tranquillamente oltre.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Sora
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Nota importante: In questa Fan Fiction è presente un severo castigo corporale inflitto ad un ragazzo; se leggere di ciò crea problemi a qualcuno per qualunque motivo, tornate tranquillamente indietro.

Nota: Questa è la versione “originale” di un'altra storia pubblicata in questo sito (Categoria [Originali]). Nella Fan Fiction che state per leggere, il ruolo dell'”apprendista” stregone è ricoperto da Sora (leggermente OOC, per cui l'avvertimento, mi direte voi se ho fatto bene a segnalarlo o è ancora IC), mentre in quella pubblicata nell'altra categoria il ragazzo si chiama Zeru (che, stranamente, significa “cielo” in euskara/basco), mentre il personaggio dello stregone viene interpretato da un Altro Personaggio, rispettivamente Atlas e Haroon. Visto che la stesura originale vedeva il nostro brunetto come protagonista, ho deciso di postarla nella sezione adatta. Se ciò rappresenta un problema, segnalatemelo. Per terminare, l'ambientazione è AU come da indicazione. Buona lettura!

 

Il prezzo della disobbedienza & dell'amore...

 

Il castigo meritato è una fiaccola che illumina e un balsamo che risana.

              Giovanni Faldella

Spank!

 

«Ah!» si era lasciato sfuggire.

Il gemito lasciò la sua gola più per la sorpresa che per il dolore.

Si aspettava che facesse male, l'aveva dato per scontato, ma... Non pensava così tanto!

Non ebbe però tempo di realizzare troppo la situazione che la mano dell'altro calò con forza sull'altra natica con un rumore sordo.

 

Spank!

 

«Mm...»

Questa volta si era trattenuto, limitandosi ad un mugugno sommesso...

Mi sta bene...” pensava, mentre il rosso segno delle cinque dita lasciato dal primo colpo cominciava solo ora a delimitarsi sulla parte alta del sedere “Mi sta solo bene...”.

Il braccio dell'altro si stava nel frattempo alzando di nuovo, caricando il terzo scapaccione.

Non lo aveva mai, mai visto così arrabbiato. Mai.

Tuttavia, il ragazzo sapeva di essersi meritato quella sculacciata. Era andato troppo oltre, questa volta.

 

Spank!

 

«Mmm!»

Stringendo leggermente i denti per non gemere con più forza, incassò il terzo colpo, abbattutosi praticamente sopra il precedente accentuando il bruciore che già si irradiava da quello.

Me lo merito! Me lo merito proprio!” cercava di dirsi per resistere al male, mentre già la mano del più anziano tornava a levarsi “È giusto!”.

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

«Non è giusto, Atlas!»

Atlas sospirò, divertito ed al tempo stesso rassegnato: sapeva che il ragazzo non si sarebbe dato per vinto così facilmente.

«Ne abbiamo già parlato, Sora...» rispose, senza smettere di preparare la sua sacca di logoro cuoio sbiancato «E mi sembrava di averti convinto...».

Sora sbuffò, imbronciato.

«Non è giusto, però...» rincarò, passando al più anziano il cilindro metallico in cui aveva riposto le delicate fiale di vetro da portare con sé «Lo sai che ci tenevo...».

Eccola...” pensò Atlas “Adesso cerca di farmi sentire in colpa, il diavoletto...”.

«Devo ricordarti cos'è successo l'ultima volta che ti ho portato al mercato di Pian della Selva?»

«Uffa...» Sora incrociò le braccia dietro alla nuca «Ti ho già detto che non ho fatto di proposito!».

«Sora...»

«La prima volta, almeno!» si affrettò ad aggiungere il brunetto «Chi se lo aspettava che sarebbero scappate così?» disse a mo' di scusante.

«Bhé, in effetti, era strano che fossero chiuse in gabbia, quelle galline...»

«Ehm... Ma le ho recuperate tutte, però!»

«Oh, sì!» rise lo stregone «Ma non avevi molta scelta... O riprendevi quei pennuti starnazzanti, o le prendevi dal mercante a cui appartenevano...».

«Ehm...»

«Ah,» ridacchiò ancora Atlas, chiudendo la sacca «la verità fa male...».

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

Spank!

Spank!

 

«MM!»

Quei due scapaccioni li aveva sentiti, oh, se li aveva sentiti! Erano caduti uno su un globo, uno sull'altro, ma così ravvicinati che erano stati come uno solo!

Cominciava a avvertire il calore che si irradiava dalla pelle alla carne, soprattutto dove i colpi si erano sovrapposti.

«A-Atlas, mi fai male...» mormorò, anche se sapeva che, come sempre, l'uomo non si sarebbe lasciato convincere a fermarsi. Non ci sarebbe riuscito, a convincerlo. Non ci riusciva mai...

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

Non era riuscito a convincerlo.

Ma questo, Sora se lo aspettava. Non ci riusciva mai... Atlas era una persona disposta a discutere anche per ore, prima di prendere una decisione, ma quando l'aveva presa, neppure gli Dei erano in grado di fargli cambiare idea...

Il ragazzo si rassegnò con un sorriso ed un sospiro, accompagnando l'altro fuori dalla capanna costruita tra le radici della quercia secolare, cresciuta ai bordi della foresta...

«Mi raccomando, Sora,» cominciò Atlas, caricando la sacca assieme all'altra sulla sella del suo destriero «fai il bravo mentre non ci sono, d'accordo?».

«Come sempre, Atlas...».

Lo stregone alzò gli occhi al cielo. Era la risposta che temeva...

Quando aveva trovato quel fagotto di stracci fra i resti della barca incagliatasi giù all'ansa del fiume, mai avrebbe immaginato che il neonato che avvolgeva gli avrebbe reso la vita... Bhé, più movimenta, quattordici anni dopo...

Aveva avuto il suo bel da fare, per tirare su un bambino da solo, sprovvisto com'era della benché minima idea di come si dovesse agire. E, in quei casi, la sua magia, salvo bloccare gli oggetti pesanti che rischiavano di cadere in testa al piccolo, poteva ben poco.

Con gli anni, i problemi non erano diminuiti, erano solo cambiati, così com'era cresciuto il neonato, facendosi prima bambino ed infine il ragazzo che era oggi...

Un piccolo diavoletto con un cuore più grande dell'intero cielo di cui portava il nome...

«Sora...»

«Vai tranquillo, Atlas,» continuò Sora «non darò a fuoco la casa!» finì con una risata.

«La cosa doveva rassicurarmi?»

«Vai, vecchio stregone!» rise l'altro «Vai, o arriverai che non ci sarà più nessuno a cui vendere i tuoi intrugli...».

L'incantatore lanciò un'occhiataccia al giovane, che di occhiataccia aveva solo il nome. La sua magia lo stava tenendo in vita da più d'un secolo, ma dimostrava sempre ventun anni o giù di lì... Pertanto, non si sentiva «vecchio»...

«Va bene... Partirò tranquillo... Ma tu fa le pulizie!» disse Atlas, montando a cavallo.

«Cucina e camere da letto, come sempre!»

«E soprattutto – » fece lo stregone.

«Non provare a fare magie...»

Il volto del ragazzo si era impercettibilmente rabbuiato, ma all'altro non era sfuggito. Era da quando aveva dovuto, o voluto, ancora non lo sapeva, rivelare a quel bambino dagli occhi color del mare come mai non invecchiasse mai e cos'erano tutti quei libri con parole complicate che aveva nel suo studio, che Atlas si diceva che non era ancora tempo di insegnare a Sora la sua arte...

«Sora... La magia non è un gioco...» tentò di spiegargli per l'ennesima volta «Può essere pericolosa, molto pericolosa e – ».

«E non farò magie, lo prometto...»

Troppo facile. L'istinto di Atlas cominciò a suonare quella campanella d'allarme che trillava ogni volta che il ragazzo si dimostrava così arrendevole.

«Sora...»

«Ti do la mia parola d'uomo d'onore che non entrerò nel tuo studio per farci magie...» ripeté serio il giovane. Lo stregone lo fissò per un istante.

«Me lo prometti?» chiese.

 

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Spank!

 

La mano di Atlas menò la sesta sculacciata al ragazzo.

«Mmmmmmm!»

Sora inarcò leggermente la schiena nell'incassare il colpo, che lo aveva percosso proprio al centro del sedere, che si stava già arrossando.

«Non lo faccio più, Atlas!» gemette. Tutto ciò che ottenne in risposta fu che lo stregone gli calò ancora di più i pantaloni di stoffa scura e sollevò più in alto la maglia chiara, scoprendo maggiormente il fondoschiena del ragazzo.

L'imbarazzo non fece in tempo a tingere di rosso le guance del giovane, che la sculacciata successiva fece lo stesso sulla natica sinistra.

 

Spank!!

 

«Ah!» si lasciò sfuggire. Aveva preso una parte non ancora colpita prima, ma la forza con cui aveva inferto quello scapaccione era stata maggiore delle precedenti!

«Non lo faccio più, Atlas!» ripeté, vedendo già l'uomo che lo teneva sulla ginocchia alzare il braccio destro «Non lo faccio più, te lo prometto!».

 

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«Te lo prometto, Atlas...»

Lo stregone guardò un istante il giovane uomo. In quasi tre lustri, aveva imparato a riconoscere quando diceva le bugie, ma l'ultima che aveva detto, di grave, era stata quasi sette anni prima, quando aveva dato la colpa ad un orsacchiotto goloso, per giustificare il vaso di miele rotto e sparso sul pavimento della cucina...

«Va bene...»

Atlas accarezzò il collo del suo cavallo, facendogli capire che era ora di andare...

«Almeno, portami uno di quei dolcetti che fa la vecchia Maria, per favore!» rise Sora, facendo per rientrare i casa.

«D'accordo... Ma, sul serio,» sospirò il più anziano «stai attento alla magia...».

«Te l'ho promesso, Atlas.» il ragazzo si voltò di nuovo verso l'uomo.

«Va bene... Perché, altrimenti,» e così dicendo, Atlas si concesse un sorriso «questa volta, non la eviti, una sculacciata, monello! Questa volta, aspetto finché non scendi!».

«Eh-eh-eh!» il giovane incrociò le braccia dietro la nuca, offendo ad Atlas una sincera risata da monello «Non è colpa mia, se in tutti questi anni, non hai mai imparato ad arrampicarti su una pianta di castagno...».

«Fa il bravo, terremoto!» lo salutò lo stregone, incitando il suo destriero a partire. Sora guardò l'amico sparire dietro al tornante del sentiero che portava al villaggio, ad un paio d'ore di cammino da lì.

«Ok...» si disse poi «Hai del lavoro da fare, Sora... Non restare con le meni in mano!».

 

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Spank!

 

La mano di Atlas era calata con forza sul gluteo destro del ragazzo, colpendolo esattamente dov'era caduta la seconda sculacciata.

«Ah! Fa male!!»

Il gemito trattenuto malamente tradiva il dolore che il diffuso senso di bruciore dell'intera parte fin'ora trattata stava inviando alla testa di Sora.

 

Spank!

Spank!

 

I due scudisci dati in rapida successione, entrambi sulla natica sinistra, prima nella parte alta, poi al centro lo fecero scalciare per la prima volta.

«Ah! Ah!!» Sora chiuse gli occhi, mordendosi un labbro per non gridare di più «Atlas, mi dispiace!!».

Il tentativo di placare la rabbia dello stregone fallì miseramente. E il fallimento fu punito con un colpo particolarmente forte al globo destro, che, come il gemello, ora cominciava sul serio ad apparire ben arrossato.

 

SpAnK!

 

«AH!» il grido lasciò la gola del giovane che spalancò gli occhi «T-ti prego, Atlas!!».

Cominciava a non riuscire più a trattenersi e per la seconda volta scalciò, tentando istintivamente di sottrarsi al supplizio, ma la mano sinistra dell'altro premeva con forza al centro della schiena, tenendolo giù, steso prono sulle ginocchia dello stregone, mentre la destra era salita ancora una volta. Per poi tornare in basso con tutta la forza che il braccio dell'uomo le aveva impresso.

 

SpAnK!

 

«AH!! No! Basta, per favore!» supplicò Sora, la faccia contatta in un'espressione di dolore trattenuto a stento «Farò il bravo! Farò il bravo!!».

 

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Era stato bravo, si disse...

Sora si era messo di buona lena a far ciò che Atlas gli aveva chiesto e, recuperata scopa di saggina e rimboccatesi le maniche, aveva attaccato prima la cucina, che lo aveva tenuto occupato fino al mezzogiorno, per poi passare alle stanze. Quella dello stregone non era stata così ardua, da rassettare. La sua, invece, gli aveva richiesto quell'attimo in più, portandolo a terminare il tutto quando il sole aveva lasciato il suo apice da un paio d'ore o poco più.

Il ragazzo era soddisfatto: il lavoro fatto era veramente buono, Atlas non avrebbe avuto nulla da ridire (ma tanto, non ne aveva mai).

Sora ripose la ramazza nel ripostiglio ricavato da due radici che si incrociavano in un angolo della cucina e si concesse una mela di ricompensa.

Poi, il suo sguardo cadde nuovamente sulla porta socchiusa che conduceva allo studio dello stregone. Atlas la lasciava sempre aperta, da quando gli aveva rivelato quale fosse la sua arte: sapeva che il ragazzo non sarebbe entrato in sua assenza e, se mai lo avesse fatto, non avrebbe mai tentato di praticare la magia.

Il giovanotto morse distrattamente il frutto che stava mangiando. Quella dannatissima porta era stata come una sirena per tutto il tempo, tentandolo a varcarla e entrare dove avrebbe potuto trovare quello che cercava e che Atlas non gli aveva concesso...

Aveva resistito per tutto il tempo, cercando di distrarre la mente con le pulizie che doveva fare, ma ora quel pomo color rubino non era sufficiente a zittire il richiamo che quella stanza lanciava silente al ragazzo.

Ingoiando l'ultimo morso e gettando il torsolo della mela, Sora cedette.

I cardini gemettero per il poco olio con cui lo stregone malamente li curava, quando il ragazzo spinse il massiccio legno della porta.

«Solo una sbirciatina, e poi...» si disse, cercando di convincere sé stesso che quel ''e poi...'' sarebbe stato un ''Uscirò da qua e farò come se nulla fosse''... Il vedere tutti quegli oggetti fantastici, qui cristalli, quelle erbe messe ad essiccare ed altre a macerare in giare di rame o di coccio, diedero un duro colpo a tale tentata convinzione.

Ma come vide quello, il tentativo fallì su tutta la linea.

«No... No, lo ha fatto apposta...» si disse, senza riuscire a togliere gli occhi di dosso al pesante tomo rilegato in cuoio che faceva bella mostra di sé sul tavolo appoggiato alla parete alla sua destra «Non può essere che lo abbia dimenticato lì, per caso...» continuò, mentre si avvicinava al librone spalancato, l'unico che non era riposto con cura assieme ai suoi compagni...

La tentazione era immana...

«No, Sora!» il ragazzo scosse il capo, come per scacciare tale pensiero «Hai promesso! Hai promesso ad Atlas che non saresti entrato nel suo studio per farci magie!».

 

«Ma no ho mai detto che non vi sarei entrato per prendere un libro di incantesimi per poi uscirvi e provare fuori casa...» ridacchiò, posando il libro su un grosso sasso piatto, posto nel prato che circondava la capanna.

Sora sapeva che stava rischiando. Atlas sarebbe anche potuto tornare in quel mentre...

«Oh, su!» borbotto, come se dovesse convincere un altro oltre che sé stesso «Atlas tornerà solo fra un po'... Una magia sola...».

Le pagine del libro scorrevano rapide, mentre il ragazzo cercava una magia che non richiedesse ore di preparazione e una caterva di materiale. Qualcosa di semplice, come...

«Eccola!» esultò, trionfante, rimirando il disegno che illustrava l'incanto descritto nella pagina accanto «Evocare una sfera di fuoco... Sì, sì...».

Ci mise un po', a decifrare la grafia dell'amanuense che aveva gravato la formula ma quando ci fu riuscito... Le dita di Sora si mossero rapide, mentre le sue labbra pronunciavano la formula che stava leggendo, avvolgendosi solo da un lieve fumo grigio...

«No, aspetta... Ah, ok, qua c'è scritto cofc e non cocf...»

Non appena le parole corrette lasciarono la sua gola, Sora riuscì la sua prima, primissima magia! Il ragazzo ammirava euforico la fiamma che danzava sopra il suo palmo destro, avvolgendosi su sé stessa come una serpe che si morde la coda.

Le dita della mano sinistra sfiorarono le lingue di fuoco che sfuggivano dal globo. Era come diceva il libro: non bruciava!

 

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SpAnK!!

 

«AH!»

Per Sora, quell'ultimo colpo, ricevuto al centro delle sue indifese terga, era parso come se Atlas avesse appoggiato un sasso scaldato a viva fiamma, tanto bruciò.

Tentò di sollevare il busto, ma la mancina dello stregone lo teneva ancorato alla sua incomoda e penitente posa, con il fondoschiena, su cui ora il rosso delle precedenti sculacciate fioriva completamente, più intenso dove i segni del palmo e delle dita si sovrapponevano, sommando il dolore che portavano con loro, sollevato rispetto al resto del corpo, con le gambe che scalcinavo e il torso costretto all'immobilità dalla decisa pressione della gemella che straziava la carne del sedere.

«Atlaaaaaaaaaassss!» implorò, gli occhi ora lucidi «Ti pregoo! Smettila!».

Atlas, il volto rabbuiato, strinse il pugno in un gesto d'ira, per poi riaprirlo e sollevarlo più in alto di quanto non avesse fatto fin'ora.

 

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Il volto di Sora era raggiante!

Ci era riuscito! Aveva appena imparato la sua prima magia! E lo aveva fatto tutto da solo!

«Atlas sarebbe orgoglioso!» si disse quasi senza pensarci «... Uhm, no, aspetta...» si corresse qualche istante dopo, quando la ragione tornò a farsi sentire «Forse è meglio aspettare una buona occasione, per dirglielo... In fin dei conti, non avrei dovuto farlo...» borbottò, chiudendo il pugno ed estinguendo la fiamma magica.

«Oh, bhé, dai...» cercò di convincersi «È andato tutto bene, no? Non ho neanche dato fuoco alla casa!» rise poi, ricordandosi le sue stesse parole «Ok, adesso, però,» riprese, tornando serio «meglio riportare questo libro al suo pasto, o questa è la volta buona che Atlas mi sculaccia per davvero...» finì, concedendosi un sorriso.

Sora sapeva che Atlas diceva così solo per spaventarlo e che in realtà non lo avrebbe mai fatto. Non perché non lo meritasse, anzi, delle volte il ragazzo si era stupito che lo stregone lo avesse solo mandato a letto senza cena (salvo poi fargli trovare una scodella di latte, miele e qualche spezia accanto al letto), invece di scaldargli prima le terga. Atlas si giustificava dicendo che sarebbe stato ingiusto dargli due castighi per la stessa colpa, che in generale erano monellerie più o meno gravi. La sola volta in cui aveva assaggiato la mano dello stregone sulla parte più tenera del suo corpo era stata quelle volta in cui si era perso nella foresta mentre cercava lamponi: dopo averlo cercato per ore, Atlas aveva trovato il bambino in lacrime e una volta raggiuntolo, gli aveva rifilato uno scapaccione di quelli che avrebbero fatto muovere un bue, prima di abbracciarlo, pure lui in lacrime...

A parte quella volta, il più anziano non lo aveva più punito corporalmente ed anzi, aveva sempre preteso che se un altro s'apprestava a farlo, di consegnarlo a lui, che se ne sarebbe occupato, dando ad intendere che avrebbe inflitto lui lo stesso castigo, salvo poi commutarlo in giornate di confinamento in casa.

Ad ogni buon modo, non era il caso di scherzare col fuoco, in tutti i sensi...

Immerso nei suoi pensieri, il ragazzo si accorse della bestia solo quando già era arrivata al limitare della foresta!

 

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SPANK!

 

Il dolore che gli inflisse quella volta il palmo di Atlas fu atroce. Non resistette e lanciò un grido senza tentare neppure di trattenerlo.

«Ahhhhh!!»

Lo aveva colpito al centro, ma più un basso rispetto ai colpi precedenti. E con una forza mista a rabbia che non aveva ancora sfoggiato prima.

«B-basta! Ti prego!!» Sora lo supplicò, dimenandosi per liberarsi dalla presa «Basta! Non lo faccio più ma non picchiarmi più!!» gridò con la voce incrinata, facendo per tentare di levarsi. Si pentì all'istante di aver osato tentarlo...

Lo stregone lo ricacciò giù con ambo le mani, con furia, facendogli cozzare il costato contro le sie gambe, togliendogli il fiato tanto il colpo fu violento. Poi, con una mossa rapida e tenendoselo sempre sulle ginocchia col la destra, gli afferrò il braccio sinistro per il polso e, con un gesto secco, glielo piegò dietro la schiena, immobilizzandolo al centro di questa, torcendolo finché non sentì i muscoli tendersi. Il ragazzo non gridò dal male solo perché non aveva ancora recuperato il fiato...

E fece appena in tempo a procurarsi quello necessario all'urlo che seguì la sculacciata successiva, che lo raggiunse sulla natica destra, alla stessa altezza della precedente e con ugual forza.

 

SPANK!

 

«Aaaahhhhh!!! Atlas, ti prego bast – »

 

SPANK!!!!

 

«AAAHHHHHHH!!!!»

Il grido di dolore interruppe la supplica.

Atlas aveva calato un colpo fortissimo, dritto al centro del martoriato fondoschiena di Sora, dove il colore originale della carne era quasi scomparso, sostituito da quell'ombra sempre più cupa di scarlatto, che tutto diceva sul dolore che doveva provare il ragazzo, di cui il volto, rosso se possibile come i quarti dal tanto gridare, era ormai solo una maschera.

 

SPANK!

 

«AHHH!!!»

Il ragazzo scalciava come un cavallo, mentre anche il diciassettesimo colpo raggiungeva chi l'aveva preceduto, abbattendosi su quelle natiche brucianti, facendolo urlare come una bestia.

 

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Una Belva di Hadaham!

Erano il flagello delle campagne che confinavano con la foresta.

Erano la spada di Damocle di chi viveva i quelle ultime.

Erano creature maledette dagli umani e dagli Dei.

A metà strada fra l'orso ed il lupo ma con la carne e il sangue dei vegetali, quei demoni erano state un tempo delle semplici piante, su cui la pazzia della mente dell'uomo, per mezzo delle arti occulte, si era accanita, senza riflettere su cosa stesse facendo.

E il sonno della ragione genera mostri...

E, dato che il destino, quando si mette a giocare, gioca pesante, le Belve di Hadaham avevano preso l'appetito di luce delle piante che erano state, ma la brama di carne dei predatori che non erano ancora. Qualunque carne, ma se tenera, ancora meglio.

E il ragazzo, benché magrolino, era decisamente una prelibatezza, per quelle dannate bestie!

Sora indietreggiò spaventato. Non si erano mai spinte così vicino alla capanna: sapevano che lo stregone era in grado di tener loro testa, sebbene a fatica.

Ma adesso, Atlas non c'era...

Forse era quello che l'aveva attratta. O forse la magia usata dal ragazzo, alla quale quelle belve erano sensibili, essendo nate da una loro sorella. O, molto più semplicemente, l'odore della carne di Sora...

Il giovane ricordava bene cosa gli diceva sempre lo stregone, quando era piccolo e sentivano l'ululato di quelle fiere, nelle freddi notte invernali:

«Solo uno stupido, affronta le Belve di Hadaham da solo... Se per caso una di loro si avvicina troppo alla capanna e tu sei fuori, corri più veloce che puoi dentro e spranga la porta e le finestre! Non affrontare mai una di quelle belve da solo, Sora!»

Il ragazzo indietreggiava sempre lentamente, così come lentamente la bestia avanzava verso di lui...

Nel coprire la distanza che lo separava dalla capanna, lui era sicuramente più veloce, il passato da piante pesava, su quelle fiere...

Ma non lo fece.

Aprì il pugno, dove già la fiamma sfrigolava...

 

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SPANK!!

SPANK!

 

«AAHHH!! AAAAHHH!!!»

Altri due colpi, altre due fiamme nei quarti, altri due urli...

Sora non tentava più neppure di fermare Atlas, limitandosi a lanciare gridi di dolore. Ormai, riusciva a malapena a distinguere dove cadesse il colpo, se era nella parte alta delle natiche: se le sentiva come un fuoco unico e, ne era convinto, benché solo chi lo stava punendo poteva confermarlo, ne avessero anche lo stesso colore...

Prese a singhiozzare, appena ripreso fiato, tanto per la sofferenza che per per l'imbarazzo di essere là, nudo dalla cintola in giù e preso a sculacciate come un marmocchio della metà dei suoi anni.

I singhiozzi aumentarono, vedendo l'ombra del braccio muoversi, araldo del prossimo imminente scapaccione, doloroso come fiamma...

 

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La bestia si ritrasse, ringhiando dal dolore, quando la fiamma la colpì.

Aveva provato ad assalire il giovane che, stranamente per lei, non stava scappando, ma questi si era difeso in maniera inaspettata, scagliandole contro la sfera appena evocata!

Sora non ebbe il tempo di gioire dell'accaduto.

La Belva di Hadaham, resa ancora più feroce dalla ferita subita, prese a caricarlo. Il primo assalto andò a vuoto.

Ma il secondo, scagliato quando Sora tentava di generare un'altra fiamma, andò a segno...

Il ragazzo, colpito da una zampata della fiera, venne gettato a terra, picchiando la tempia contro la dura terra, ferendosela.

Un secondo più tardi, la bestia vi si avventò contro per assalirlo!

 

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SPANK!!

SPANK!!

 

La natica desta fu colpita così violentemente che quasi non sentì la seconda colpire al gemella e gettò un solo urlo per entrambe, ma così straziato da restare senza fiato!

«AAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHH!!!»

Il petto del ragazzo era scosso dai singhiozzi che frammentavano i gridi quando prese a piangere...

Le lacrime solcarono leste le guance arrossate da tutte le grida lanciate.

Nel vederle cadere a terra, lo stregone cessò un istante di punire Sora...

Un istante solo, poiché riprese subito, con forza anche maggiore di quando s'era fermato.

 

SPANK!!

SPANK!!

 

«BAAAAHHHHHHSTAAAHHHHHHH!!! FERMAAAAAAAHHHTI!!»

 

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«FERMA!!!»

Se non fu il l'ordine gridatole, ad arrestare la bestia fu la fiammata color ametista che la centrò tra le spalle.

La creatura, ruggendo dal dolore, si voltò di scatto, dimenticandosi del giovane uomo sul quale si era lanciata. I suoi occhi color smeraldo iniettati di sangue traslucido, incrociarono l'onice di quelli di Atlas.

Sora, pulendosi la tempia dal sangue che vi era uscito dal graffio procuratosi nella caduta, fissò il più anziano, il cui volto sembrava di pietra, serrare e riaprire le mani, evocando altre fiamme color indaco che ora danzavano nei suoi palmi dischiusi.

La Belva di Hadaham, riconoscendo in quel fuoco incantato la fonte del dolore che le lacerava il dorso, ruggì di nuovo e questa volta caricò lo stregone.

Le fiamme magiche di quest'ultimo non furono sufficienti ad arrestarne la corsa.

«Atlas!»

Il ragazzo guardò con orrore l'amico venir gettato al suolo con un gemito, preso di striscio dalla bestia. La quale, come ricordatasi di chi l'aveva offesa per prima, soffiando inviperita, si lanciò nuovamente contro di lui!

Non lo raggiunse mai.

Il suo corpo venne scagliato lontano contro un albero dalla strale ametistina scagliatale contro da Atlas!

Come il morso del fulmine la lasciò, la fiera, dalla cui carne già si levava un lieve ed acre fumo color cenere, batté in ritirata con la coda fra le gambe, sparendo nel folto della foresta...

Lo stregone, ferito dal colpo infertogli dalla fuggiasca e sfinito dalla magia appena lanciata, cadde in ginocchio sul prato, ansante.

«Atlas!!»

Sora, tiratosi in piedi, corse dal più anziano, che tentava di sorreggersi sulle gambe. Ma come gli fu vicino...

«Sora!!!» inveì Atlas, afferrando il giovane per i vestiti.

«M-mi dispiace, i-io – » fu tutto ciò che riuscì a proferire il giovane con un filo di voce.

Ma lo stregone non lo aveva neppure ascoltato e prima che potesse anche solo proferire un altra pAtlasla...

«A-Atlas?! C-che vuoi – » balbettò Sora, quando il più anziano prese a trascinarlo verso il bordo della foresta «A-Atlas?!?!»

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

SPANK!!

 

«ATLAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHS!» si sgolò il povero ragazzo, quando anche quella volta il palmo della mano dello stregone offese la sua tenera carne «T-ti p-prego!!» implorò fra le lacrime, la voce rotta dal pianto e frammezzata dai singhiozzi che lo scuotevano «T-ti prego, n-non lo f-farò m-m-mai più, m-ma ti p-p-prego, s-s-sm-met-tila! S-smettilAAAHHAHAH!!!».

«CHE NON LO FARAI PIÙ È SOTTINTESO, GIOVANOTTO!!!!» sbraitò il più anziano.

E appena l'ultima lettera aveva lasciato la sua gola, lasciò il braccio del ragazzo per poter mettere il suo appena liberato attorno alla vita del più giovane, facendo sì che il suo fondoschiena si alzasse ancora di più di quanto già non fosse!

 

SPANK!!

 

«NOAHHHHHHHHHHHH!!!! TI PREGO BAST –»

 

SPANK!!

 

«AHHHHHHHH!!! NONVOLEVOTISCONGIUROSMETTIL –»

 

SPANK!!

SPANK!!

 

«AHHHHHHHHHHHH!!!»

Sora, tra pianto e urla comprese in quell'istante che Atlas si sarebbe fermato quando lo avrebbe deciso lui. E si arrese...

Li lasciò andare alle lacrime ed ai singhiozzi come un bambino piccolo, mentre lo stregone continuava a sculacciarlo senza pietà sulla parte bassa delle natiche, nel punto in cui queste ultime si attaccavano alle cosce, dove, se già di per sé essere presi a scapaccioni faceva più male del resto del sedere, il dorso della destra di Atlas si abbatteva ora con forza triplicata rispetto a quella con cui aveva offeso il resto del fondoschiena ormai cremisi...

 

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

«A-Atlas!»

Senza rispondere al ragazzo terrorizzato che trascinava con sé, Atlas raggiunse un piccolo spiazzo proprio al limitare della foresta, dove trovò quello che cercava.

Lasciò andare Sora con talmente poca grazia che questi per poco non cadde a terra. Senza badarvi, lo stregone prese da una tasca del suo vestito un coltello.

«A-Atlas?!»

«Taci!»

La voce del più anziano era talmente incrinata dalla rabbia che il ragazzo se ne spaventò.

«I-io non volevo... N-non...»

Atlas non lo ascoltò neppure e si diresse alla pianta di nocciolo che aveva cercato. Con un colpo deciso, recise un giovane ramo senza ancora fiori della lunghezza di un un buon metro e prese a spellarlo. Quando ebbe finito, osservò la verga che aveva ottenuto: completamente liscia, fatta eccezione per un unica foglia che aveva lasciato in cima.

E allora si voltò verso Sora.

La rabbia che questi vi vide nel volto dell'altro gli fece più paura della canna.

«A-Atlas, t-ti prego... Non – »

Lo stregone, senza dire nulla, si sedette su una roccia lì accanto e posò la verga in terra.

E, con uno scatto fulmineo, afferrò Sora per la cintura, tirandoselo vicino.

«Atlas...» tentò un'ultima volta il ragazzo, ormai conscio del suo destino...

Il tentativo fallì. Senza aprire bocca, il più anziano slacciò la cintura che reggeva i pantaloni di stoffa scura e fece abbassare il giovane, stendendoselo sulle ginocchia.

«Atlas, per favore, no...» lo supplicò ancora questi.

In tutta risposta, Atlas gli abbassò i calzoni, mettendo a nudo il fondoschiena del ragazzo.

E prima che questi potesse avere il tempo di provare imbarazzo, la mano dell'altro era già salita per dare la prima sculacciata, per colpire con forza sufficiente da lasciare un segno rosso sulla parte più tenera del corpo di Sora...

 

§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§–§

 

 

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

SPANK!!

 

«SIGH! AHHHH!!! SNIFF! SIGH!!! AHHH!!!»

Sora aveva perso il conta di quante Atlas gliene avesse dato da quando lo aveva afferrato per la vita... Ormai, non capiva neppure più dove lo colpisse: ogni scapaccione non faceva altro che aizzare nuovamente la fiamma che gli azzannava le natiche dall'attaccatura della schiena a quella delle cosce provocandogli fitte lancianti che sembrava che lo stregone lo trafiggesse con degli spilli incandescenti...

SPANK!!

 

«AHHHHH!!!»

Atlas si fermò.

Sora continuava a piangere e a singhiozzare, attendendo il prossimo colpo. Quando però si accorse che lo stregone aveva smesso si sculacciarlo, sollevò il capo verso di lui...

«A-Atlas, – sniff! – è-è finita? T-i prego – sniff! – n-non sculacciarmi più...» singhiozzò, con la voce che avrebbe fatto pietà ad un sasso...

Atlas gettò uno sguardo alle terga del ragazzo. Erano dello stesso colore della brace del camino quando la fiamma si era spenta, e ne avevano pure il medesimo calore.

Ma non aveva ancora finito...

Il ragazzo vide con la coda nell'occhio la mano dell'uomo stringersi attorno alla verga che si era preparato.

«NO!» gridò, gli occhi colmi di terrore «NO, TI PREGO, NON QUELLO! NON QUELLO HA –».

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

 

«AAAAAAAAAAATLAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHS!!!! AHHHHH!!!»

Era stato dieci volte peggio di quello che si era immaginato, ed almeno tre volte peggio dell'ultima sculacciata ricevuta! Una linea di fuoco gli attraversava la natica destra dal basso verso l'alto, inondando il cervello di un dolore atroce.

«NO, TI PREGO!» implorò «BAST – ».

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

 

«AAAAHHHHHHHHH!!!!»

Questa volta, la verga l'aveva colpito al centro, ripartendosi su entrambi i globi doloranti.

«Ancora sei, incosciente...» disse con voce atona Atlas, sollevando il ramo di nocciolo.

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

 

«AAAAAHHHH!!! NO! NO! BASTA, PER PIET –»

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

 

«AAAAHHHHH!!!!!!!!!»

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!!

 

«AAAAAAAAAHHHHHHHHHHHH!!!!!»

Gli ultimi tre colpi si erano incrociati tutti nella parte bassa del sedere martoriato del ragazzo, mentre le strisce delle prime due iniziavano a delinearsi, volgendo quasi al porpora, in mezzo a tutto il rosso che le circondava...

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!

 

«AAHHHHH!»

Mentre un altra linea incandescente gli azzannava la carne della natica sinistra, Sora strinse i denti, in attesa dell'ultimo colpo, temendo il peggio.

 

Swishhhhhhhhhhhhh......CRACK!!!

 

«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!»

Si era aspettato che sarebbe stato più forte rispetto agli altri, quando la verga si abbatté sul suo sedere per l'ottava e ultima volta, l'impatto fu talmente violento che la sola foglia rimasta venne strappata via dal resto del ramo.

Scosso dai singhiozzi, Sora si accorse che Atlas aveva allentato la prese del suo braccio attorno alla sua vita solo quando sentì due mani sollevarlo per le spalle e deporlo sulla pietra dove fino ad un attimo prima stava seduto l'uomo che aveva appena finito di impartirgli quell'atroce castigo.

Il ragazzo si prese il volto fra le braccia, abbandonandosi ad un piano liberatorio, steso prono sulla fredda pietra, in opposizione al fuoco divorante che gli bruciava i quarti color rubino, striati da venature color uva matura dove il ramo di nocciolo aveva offeso la pelle...

Lo stregone osservò il giovane per qualche istante, sentendone i singhiozzi. Poi si voltò, gettò a terra la verga con cui aveva appena punito il ragazzo e si diresse alla capanna, recuperando il libro ancora là nel prato...

Sora non lo sentì neppure allontanarsi, il rumore dei passi che si affievoliva era coperto dal suo pianto e dai suoi singhiozzi...

Rimase in quella posa, sdraiato prono sul sasso, con i pantaloni al ginocchio e il fondoschiena come un carbone ardente per più d'un ora, finché non si fu calmato a sufficienza per tentare di rialzarsi...

Una volta in piedi, malfermo sulle gambe che gli dolevano solo per tenerlo in equilibrio, arrischiò a volersi tirar su le braghe. Bastò che la stoffa sfiorasse la pelle arrossata per fargli vedere le stelle e strappare un gemito soffocato...

Attese in quello spiazzo ancora una mezz'ora buona, praticamente nudo dalla cintola in giù, prima di poter sopportare il contatto con l'indumento e potersi rivestire, stringendo la cintura il minimo necessario per non farli cadere...

Sgattaiolò dentro la capanna dalla porta che dava sulla tettoia sotto la quale riposava il cavallo che aveva portato lo stregone al mercato e ricondotto a casa appena in tempo, di modo da passare alle spalle della cucina e dello studio di Atlas... Non voleva vedere ancora quell'espressione di rabbia che in quattordici anni non era mai comparsa sul volto dell'uomo che lo aveva cresciuto...

Salì lesto le scale ed entrò nella sua camera. Una volta lì, raggiunse il suo letto, affondò la testa nel cuscino e lasciò che gli ultimi singhiozzi si sfogassero, prima di cadere in un sonno profondo e buio...

 

Sora fu ridestato da un leggero bussare alla porta della camera, ma, ancora intontito e non del tutto sveglio, aveva creduto di esserselo sognato...

Fu solo quando quel lieve odore di verdura bollita giunse alle sue narici, che aprì un occhio. Davanti a lui, in piedi, stava Atlas, con una ciotola di zuppa fumante.

La prima reazione del ragazzo fu, comprensibile, quella di svegliarsi del tutto, spaventato.

«Atlas!» disse con una certa paura, tirandosi istintivamente a sedere «AHIO!» gemette, poi, pentendosene all'istante, quando la sua parte lesa entrò in contatto con la, seppur morbida, spessa coperta del letto.

«Piano, Sora! Piano...» fece lo stregone «Te ne ricorderai per un bel po', della sculacciata di oggi, ragazzo...» aggiunse poi.

Il giovane, recuperato il cuscino e sedendocisi sopra con cautela, fissava l'altro uomo nella stanza... Il suo volto aveva perso la rabbia di quel pomeriggio, ma non era ancora tornato il suo solito, così come la voce si era epurata di tutta l'ira che l'incrinava quell'oggi, ma, sebbene calma, non era quella di sempre...

«Tieni...» continuò lo stregone, porgendo a Sora la ciotola da cui si levava un vapore che sapeva di carote e lenticchie «Ho pensato che avessi fame... E siccome è ora di cena...». Il più giovane, a quelle parole, gettò uno sguardo fuori dalla finestra: il solo stava sparendo dietro le montagne, inondando il cielo d'arancione e rosso (come il mio sedere, si trovò a pensare...). Aveva dormito senza sognare per più di due ore, evidentemente...

Il ragazzo prese la scodella che Atlas gli offriva, ringraziandolo con un gesto del capo. Seppur inversamente rispetto al solito, il più anziano continuava ad applicare la sua logica del non castigare due volte... E siccome lui si era appena preso una severissima sculacciata...

Appena vide la zuppa, però, Sora rimase perplesso. Era una zuppa di carote, lenticchie, cornetti e patate, a cui erano stati aggiunti dei crostini di pane secco dorati sul fuoco. La sua preferita.

Ma Atlas la preparava solo in occasioni speciali, come il suo compleanno (ossia il giorno dell'anno in cui Atlas l'aveva trovato) o le due-tre feste principali...

Perché l'aveva preparata ora? Proprio ora, il giorno in cui si era comportato talmente male da spingere la persona che, prima di alzare un dito contro un ragazzo questi doveva ferirlo con un pugnale rubato per rapinarlo, a...

Sora mangiò un paio di cucchiai di zuppa, mentre lo stregone si sedeva accanto a lui. Poi si decise a fare quella domanda.

«S-sei ancora arrabbiato, Atlas?»

«Sono deluso, Sora... Profondamente, deluso!» e nell'udire quelle parole, al ragazzo si formò un groppo in gola «Deluso dal fatto che sei venuto meno alla tua parola, quando mi avevi promesso che non saresti entrato nel mio studio per farci magie!».

Sora chinò il capo. Vista la situazione, non gli sembrò minimamente il caso di cavillare sul fatto che era entrato solo per prendere il libro ed era subito uscito a praticare...

«Certo, potresti obbiettare, cavillando sul fatto che sei solo entrato per prendere un libro e sei subito uscito...» aggiunse lo stregone «Ma vista la situazione, ti sono grato di non averlo fatto...» finì, ottenendo un sì fatto col capo da parte del ragazzo.

«Ma c'è un'altra cosa per cui sono ancor più profondamente deluso!» riprese l'incantatore, cercando lo sguardo di Sora «Sora, ma lo sai che oggi potevi morire?!» fece, freddo, «Ti avrò detto un milione di volte di mai affrontare una Belva di Hadaham da solo!! Ma che dico?! Un miliardo!!». Il giovane chinò ancora di più il capo.

«E tu, oggi, ne hai affrontata una e, come se non bastasse, usando la magia! Ma ti rendi conto,» fece Atlas «ti rendi conto che ho avuto io difficoltà a farla scappare?!?! E, credo tu lo sappia, in fatto di magia non sono il primo sprovveduto della strada!» lo stregone prese un profondo respiro «Spero che tu comprenda che è stata una dimostrazione di irresponsabilità. E grave, aggiungerei!».

Sora si lasciò sfuggire un altro singhiozzo. Evidentemente, lo stregone aveva voluto dividere la punizione in due parti: prima quella corporale (e se la sarebbe ricordata per un pezzo, oh, se se la sarebbe ricordata!) e adesso quella emotiva... E poteva far molto più male di una scudisciata sul sedere nudo...

«Ma tu mi domandavi se sono ancora arrabbiato, giusto?»

«Atlas...»

«La risposta è sì...»

«...»

«... Con me stesso...»

La risposta di Atlas sorprese Sora molto di più Sora che non se lo stregone l'avesse ripreso sulle ginocchia per fare il bis di quanto fatto ore prima...

«Atlas?» chiese, confuso. Il più anziano, prese un profondo respiro...

«Sora, sai perché ti ho sculacciato e preso a colpi di verga?» chiese, serio.

«Uh?» fece l'altro, sorpreso «Ma Atlas –».

«Rispondi alla domanda, per favore...»

Il ragazzo, benché sorpreso, posata la sua ciotola, si affrettò a rispondere:

«Perché sono entrato nel tuo studio, perché ho preso un libro dei tuoi e perché ho praticato la magia senza il tuo permesso...» mormorò, contrito.

«E...» incalzò Atlas.

«E perché sono stato irresponsabile...» finì Sora.

Lo stregone scosse il capo.

«A parte l'ultima cosa che hai detto Sora, sinceramente, te la saresti cavata con due scapaccioni sui pantaloni...». Il ragazzo sgranò gli occhi dalla sorpresa!

«Cosa?!»

«Già... Al massimo una decina, se mi girava male...» precisò l'altro con un sorriso «Andiamo! Se veramente avessi voluto che tu non praticassi la magia, avrei lasciato la porta aperta e un libro in piena vista?».

«Lo avevi lasciato in bella vista di proposito?!»

«Volevo testare, uno, la tua disposizione all'obbedienza... Bocciato, direi...»

«Ehm...»

«E due, la tua intraprendenza e capacità... E, bhé, diciamo che uno su due lo hai passato...»

«Ma...» Sora ora era confuso «Ma allora perché –» iniziò, passandosi il dorso della mano sulla parte posteriore dei calzoni sentendola calda e dolorante al tocco.

«...» e allora fu Atlas a chinare il capo «Perché ho avuto paura di perderti, Sora...».

Per qualche istante, nessuno dei due disse nulla, finché lo stregone non si decise a continuare.

«Ti ricordi l'ultima volta che hai ricevuto una sculacciata da me, Sora?»

«Sì... Era stata quella volta in cui mi ero –» il ragazzo ci mise quell'istante, a realizzare cosa stesse dicendo «Perso...» finì.

«Tu non ti immagini nemmeno la paura che ho avuto, quel giorno... Paura di non sapere dove fossi, paura di non saperti più trovare, paura che fossi...» Atlas scosse il capo «Quando ti ho trovato alla fine, ero fuori di me dalla gioia... Non ragionavo più, mi ero abbandonato all'istinto... Ed è stato questo, a spingermi a fare quello che avevo fatto...»

«...»

«Per un istante, il mio istinto mi ha obbligato di proteggerci... Di proteggere te dal trovarti in una simile circostanza e proteggere me dal ripetersi di una situazione in cui avrei provato una paura simile... E per questo, dicendomi che dovevo impedire che ciò accadesse, dovevo impedire che tu ti perdessi ancora cercando lamponi...» lo stregone sospirò «e mi duole ammetterlo, in quel momento, stanco e per nulla lucido, il solo modo che mi era venuto alla mente era quello di darti una sculacciata, affinché, pur di evitarne un 'altra, non ti mettessi più nelle stesse condizioni che ti hanno fatto avere la prima...».

In quell'istante, Sora comprese tutto.

«E quando oggi, arrivando, ti ho visto lottare contro una Belva di Hadaham...»

«Hai fatto come l'altra volta...»

«Non ho ragionato un'altra volta, sì... Benché sapessi benissimo che l'altra volta era stata la pura di non poter più tornare a casa e non la sculacciata ad averti insegnato a non perderti, ho commesso ancora una volta lo stesso errore... E tra il fatto che questa volta il pericolo era una di quelle dannate fiere e che tu non eri più il bambino di sette anni... Sono stato più severo... Troppo...» Atlas si prese la testa fra le mani «Perdonami, Sora... Ho... Ho avuto paura...» lo stregone guardò il suo ragazzo «Ho avuto paura di perderti, Sora...».

Per un istante, il giovane non disse nulla. Poi scoppiò in lacrime.

«Sora?» fece l'uomo, sorpreso dalla reazione dell'altro.

«Scusami, Atlas!» singhiozzò il ragazzo «Sono stato un idiota!».

E allora, Atlas scuotendo il capo, abbracciò il più piccolo, che ricambiò all'istante, scosso dagli ultimi singhiozzi.

«Sono stato un idiota, Atlas...» ripeté Sora.

«Lo so...» sospirò l'altro «Ma non dovevo farti così male... Non dovevo usare la verga!».

«Atlas... La cosa che mi ha fatto più male, non è stata la verga...» il ragazzo si asciugò le lacrime «Ma il fatto che tu te ne fossi andato senza dire nulla... Senza farmi sapere se fossi ancora arrabbiato...».

Lo stregone si strinse a sé il giovane, scompigliandoli i capelli.

«Lo sai che non riesco a restare arrabbiato con te, piccolo diavoletto!»

Sollevando il capo, Atlas vide che Sora rideva di cuore.

«Sora?»

«Hai ragione, sono proprio un diavoletto... Ne ho anche il colore!» rise «O almeno una parte di me, ne ha il colore!».

I due scoppiarono a ridere come matti...

«Sora...» domandò lo stregone, dopo un po'.

«Sì, Atlas?»

«Dimmi la verità... Ti fa tanto male?»

«Da morire...» il ragazzo si stese di nuovo sul letto, dando la schiena al soffitto «Già solo stare su quel cuscino e vedevo le stelle...».

«Uhm... Se mi sbrigo, forse faccio ancora in tempo a trovare una Silene Crepuscolaris ancora aperta...» borbottò il più anziano «Qual fiore si chiude al tramonto, ma se ne trovo una ancora aperta, posso farci un unguento che ti cura in un paio d'ore e – ».

«No, Atlas...» Atlas guardò il ragazzo scuotere il capo «Credo di essermi meritato di diritto questa sculacciata... No! Ne sono convinto... Me la sono meritata, e devo subirne le conseguenze...» Sora si lasciò sfuggire un gemito «Foss'anche dover stare in piedi una settimana...».

«Domani sera sarà pronto l'unguento...»

«Atlas!»

«Poi, starà a te decidere se applicarlo o meno...» e lo stregone si lasciò sfuggire un ghigno sadico «Ma ho il forte sospetto che sceglierai di sì... Ti ricordi, vero, che tu non sai dormire senza rigirarti come uno scoiattolo? E, dal momento che la sola posizione dove il tuo sedere bello rosso non tocca nulla è quella che hai adesso, prevedo e senza magia, che non passerai una bella nottata...».

«Sob...» sospirò l'altro...

«Sora...» disse Atlas dopo un po'.

«Uh?»

«Io ti prometto di mai più castigarti come ho fatto oggi...»

«Grazie...»

«Ma voglio,» continuò serio il più anziano «voglio la tua parola di ragazzo... Del ragazzo che trovai da bambino... La tua parola, Sora, che non farai mai più una cosa del genere!».

«Te lo prometto, Atlas...»

«...»

«Parola di ragazzo, Stregone Atlas...» sorrise.

«Molto bene...» fece felice Atlas «Perché, altrimenti...» e prima che l'altro potesse reagire, gli diede un buffetto sulla natica destra.

«AHIO!!!»

«Vedo che hai afferrato il concetto, monello...» ridacchiò lo stregone. Poi, presa la zuppa, ormai fredda, mormorò una formula segreta: il contenuto della scodella riprese la sua temperatura di quando era entrato nella stanza.

«Ora mangia e poi cerca di dormire, disgraziato...»

«Posso chiederti perché questa zuppa? La fai solo nelle grandi occasioni o al mio compleanno...» domandò Sora, iniziando a mangiare «Volevi farti perdonare?».

«No... Ma hai ragione,» ammise Atlas, dirigendosi verso la porta della stanza «oltre che per il tuo compleanno, la faccio solo per occasioni speciali... Una di esse, fu quando tornai a casa con un piccolo monello di sette anni che si era perso a cercare lamponi...» e così dicendo, sorrise «Oggi è come allora, Sora... Non ti ho perso...» sospirò, facendo per chiudere la porta «Non ti ho perso...».

«Atlas...»

«Sì, Sora?»

«Ti voglio bene...» mormorò il ragazzo.

«...» lo stregone annuì «Anch'io te ne voglio, ragazzo mio... Non sai quanto...» finì chiudendo dolcemente la porta.

No, ti sbagli, Atlas...” pensò Sora, gettando uno sguardo alle sue spalle “Lo so... Almeno mille volte per ogni scapaccione che mi hai dato, vecchio stregone...”.

Il ragazzo, con il cuore più leggero di mille chili, riprese a mangiare la zuppa. Poi, provò a girarsi su un fianco...

«AHIO!» gemette, tornando sulla pancia «Ok... Credo che userò il tuo unguento, Atlas...» rise, tornando alla sua cena.

FINE

  
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