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Autore: nals    04/02/2013    1 recensioni
Poco fa è scoppiata la caffettiera e hai visto le pareti scrostate della cucina e il fornello e il pavimento e tutto il resto macchiarsi di marrone e scalogna.
Hai spento la tv; poi è stato come volersi mettere a ridere
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marrone scalogna.
 
 

 
 
 
Il bottone giallo della camicetta blu a pois è saltato – l’hai sfilata troppo in fretta.
Lui ci giocava, invece, quando tu avresti voluto solamente che quelle dannate asole si allargassero così per magia e che la stoffa scomparisse senza inutili sforzi, e imprecazioni, e odiosissimi minuti di tempo perso. C’era il suo ghigno a due centimetri dal tuo naso. Era consapevolmente stronzo, lui.
Sono le otto e cinquantatrè minuti e forse è tardi. La tizia alla tv sta blaterando qualcosa e sorride strano; sbadigli. Febbraio sarà un gran mese, pensavi. È la solita merda, decidi ora. Come quella che hai pestato in cortile troppi giorni fa. “Porta foruna.”
Porta fortuna, certo.
Pioveva – ha fatto piovere lui, lo sai – e gli ombrelli li odi.
Come odi il sushi e quei dannati bastoncini che non sai tenere in mano, ma per i suoi sorrisi... per.
Per.
Pioveva – ha fatto piovere lui.
Lui che non sa mentire, o forse sì. Ma alla fine cosa cazzo importa?
Ha sussurrato tutte le sue ragioni senza prendere aria, stringendo un calice di vino tra le dita. Ha sussurrato le sue ragioni, sì, che forse son scuse rattoppate male – non ha mai saputo tenerlo in mano, un ago, tu nemmeno – e non riuscivi a distogliere lo sguardo dal ragazzino del tavolo affianco.
Gli mancavano i denti davanti e non urlava. “Vorrei un figlio così,” hai pensato. “Vorrei.”
“Mi ascolti?”
Hai annuito. Due volte o forse tre, assecondando quel torrente di verità lasciate ammuffite in pancia troppo a lungo. Ti si è rivoltato lo stomaco. Sarà stato il riso.
“Non odiarmi”
Sì.
“È successo. Non volevo.”
Sì.
“Capisci?”
Sì.
“Dico sul serio.”
Sì.
Hai rovesciato la brocca d’acqua e osservato la chiazza d’umido allargarsi sulla stoffa chiara dei suoi pantaloni.
“Ti voglio bene. Te ne vor...”
Sei corsa via senza il cappotto.
Capisco.
 
Pioveva – ha fatto piovere lui, lo sai –  e i piedi son diventati presto pesanti e freddi.
Hai rivisto le sue labbra rosse sussurrarti sul collo.
Va’ al diavolo.
Il bottone giallo della camicetta blu a pois è saltato. Ti tremavano le mani e la stoffa stringeva troppo ed è stato come soffocare. Agognavi ossigeno, ma non ce n’era più. E tu inspiravi, inspiravi, riempiendo i polmoni di vuoto.
Poi ha squillato il telefono e l’aria è tornata. E il telefono ha squillato ancora. Diciotto “driiin” più due e un terzo, ma non ricordavi come ci si mettesse in piedi. Il “pronto” soffiato al buio, l’hai sentito solo tu, e il gatto.
Ti sei svegliata all’ingresso, raggomitolata poco più a destra della scritta “WELCOME” ricamata sul tappeto.
 
 
Poco fa è scoppiata la caffettiera e hai visto le pareti scrostate della cucina e il fornello e il pavimento e  tutto il resto macchiarsi di marrone e scalogna.
Hai spento la tv; poi è stato come volersi mettere a ridere.
Hai masticato un biscotto al cioccolato e guardato il suo adorato televisore al plasma disintegrarsi al suolo dopo una decina di metri di piroette venute abbastanza bene.
 
 
CAPISCO.
   
 
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