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Autore: Nanek    04/02/2013    3 recensioni
Questa è la storia d’amore di James e Charlie, una storia d’amore come tante, forse, ma unica e perfetta per loro due; una storia d’amore che è stata fermata dalla guerra, la guerra del Vietnam.
Ma in questa storia d’amore, c’è anche un altro personaggio: Billy White, soldato semplice, al primo anno di guerra, amico di James.
Ma perché ci deve essere un altro ragazzo in una storia d’amore? Beh, Billy sarà colui che li salverà entrambi.
Tratto dal primo capitolo:
"Caro James,
mi manchi, e sono ormai ripetitiva, te lo scrivo in ogni lettera che mi manchi, ma non credo mi stancherò mai di farlo; amore mio, aspetto la tua risposta ogni giorno, una risposta che non arriva mai, e che mi sta spaventando"
“Cara Charlie,
mi scuso per le mancate risposte, ma qui si fa la guerra, il tempo scarseggia, e i miei soldati hanno bisogno di me.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 3

Summer of 58

6 gennaio 1972

-Billy? Billy sveglia!- lo chiamava quella voce.
-Billy? Sono Paul! C’è posta!- continuava a ripetergli.
-lasciala lì Paul.. dopo la leggo..-
-negativo soldato, tra venti minuti devo ripartire con le risposte!-
-perché non l’hai detto subito?! Ora mi muovo- balzò in piedi il ragazzo dagli occhi smeraldini, stiracchiandosi.
Aprì la busta, contenente il papiro scritto da Charlie, sapeva bene di non poterlo leggere, e sapeva che in venti minuti non sarebbe riuscito a rispondere come la volta precedente.
Mise da parte la lettera, e cercò di formulare qualcosa.
-Paul che le scrivo in venti inutili minuti?! Mi ci vuole come minimo un’ora!-
Paul stava consegnando le buste ad altri soldati, e gli fece cenno di uscire dalla camerata.

 
Passarono circa dieci minuti, quando Paul lo raggiunse.
Billy sedeva per terra, la testa fra le mani, la macchina da scrivere sulle gambe, il foglio bianco.

-manca l’ispirazione soldato?- lo derise Paul.
-spiegami come faccio a sembrare il caporale in dieci minuti!- sbottò istericamente Billy.
-dovevo prepararmi la riposta con anticipo! Sono un idiota.- continuava a rimproverarsi.

Paul sembrava pensarci un po’ su, si allontanò, lasciando Billy in preda dalle sue ansie.
Cosa poteva fare in quel momento?

Non poteva rispondere a monosillabi, non sarebbe stato cortese, non sarebbe stato da James: lui o rispondeva o evitava di farlo.
Potrei non rispondere, pensava Billy tra sé.
No, non posso farlo ora, povera Charlie, le spezzerei il cuore.
Ci voleva una soluzione in qualche modo.

Paul tornò indietro, e lo chiamò, facendogli segno di seguirlo.

Lo portò in una stanzina, vicino alla mensa, abbastanza appartata, piuttosto insolita, che Billy considerava lo sgabuzzino della base.
Aprì la porta, non servì la luce, la finestra illuminava abbastanza bene: dentro c’era solo un tavolino e una sedia, le pareti.. dipinte.
Sembrava di essere su una collina, o in un posto abbastanza alto: il panorama davanti ai suoi occhi era qualcosa di unico; c’era disegnata una valle, l’erba verde, il fiume che scorreva, gli alberi tutti intorno, poi si apriva verso un campo di grano, le spighe erano talmente perfette da sembrare vere, come se si potessero toccare, c’erano delle farfalle, che sembravano circondarlo e posarsi su di lui, colori incredibilmente vivi per essere solo dei semplici disegni.

Gli occhi verdi del giovane Billy cominciarono a seguire quelle figure, quelle ali, le seguiva con lo sguardo, come se stessero volando davvero, e lo costringessero a non perderle di vista; era incantato da quelle ali, come un bambino che per la prima volta guardava in cielo… e poi, in mezzo a quello splendore, c’era una linea grigia, una strada forse, una via da seguire.

Quella strada portava vicino al lago.
Billy si ritrovò a guardare un’altra parete: il colore dominante era l’azzurro, in tutte le sue sfumature, non ci impiegò molto a capire che James aveva rappresentato il cielo e il lago di Chicago.
L’azzurro del lago sembrava combaciare con il cielo, come se fossero la stessa cosa, la linea dell’orizzonte era quasi impercepibile, era come stare su uno scoglio, ad ammirare quella meraviglia.

I gabbiani in cielo, la spiaggia con delle impronte di piedi, le onde disegnate con piccoli tratti più bluastri, ogni singolo dettaglio era presente, ogni tratto di quel disegno non sembrava fatto con un pennello, era tutto troppo reale per essere un dipinto fatto dalla mano umana, era troppo perfetto nei dettagli, sembrava una fotografia, sembrava di essere davvero lì.
Poi, l’immagine si avvicinava, come se, il paesaggio stesso, si stesse avvicinando all’osservatore, come per travolgerlo, come per trascinarlo dentro; ma non era quella l’intenzione del caporale, l’immagine era vicina, il lago e il cielo erano più lontani, per dare spazio a un nuovo primo piano, dove si potevano scorgere due schiene: quella di un uomo, dalle spalle larghe e i capelli biondi, e una ragazza, la maglia rossa e i capelli lunghi e lisci raccolti in una treccia.

Le loro mani intrecciate, e sotto di queste, una firma “JP 25.12.62”
-il caporale lo chiamava “macchina del tempo”, l’unica via per tornare a casa e isolarsi dalla guerra- disse Paul, mentre Billy rimaneva estasiato da quel dipinto.
Paul lo spinse verso il tavolo e lo incitò a guardare attentamente.
Sulla superficie, c’erano delle scritte, fatte con un’indelebile abbastanza grosso.

Perdonami, perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire. William Shakespeare

L’eternità era nelle nostre labbra e occhi. William Shakespeare

Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri? William Shakespeare

Eravamo insieme. Tutto il resto del tempo l’ho scordato (W.Whitman)

Perché l’amavo? Perché era lei; perché ero io (Montagne)

Non oso chiederti un bacio, non oso mendicare un sorriso, per timore che, ottenendo l’uno e l’altro, io possa diventare superbo.
(Herrick)


E così continuavano, a non finire, su tutto il tavolo.
-a James piacevano le poesie.. forse le dedicava anche a Charlie, no?-

Billy non sapeva che rispondere.

Davvero al caporale piacevano?

A quel tipo duro come un sasso che rideva dei soldati fragili che volevano fare gli scrittori?

James che amava le poesie?

Non poteva essere vero, le cose non tornavano.

Per la prima volta, Billy si trovò in difficoltà: non sapeva quale fosse la risposta.

Come poteva essere sicuro?

Non sapeva neanche di quel nascondiglio, non sapeva di quel disegno, come poteva sapere se dedicava quelle poesie a Charlie o le condivideva solo con se stesso?

-Billy?- lo scosse Paul.
-io.. sei sicuro che sia stato lui a fare tutto questo?- domanda scontata, ma Paul annuì.
-e sei sicuro che le inviasse a Charlie?-
-pensavo fossi tu il migliore amico del caporale.. come posso saperlo?- chiese Paul confuso.
-forse mi sfugge qualcosa.. ma io ti giuro non sapevo nulla di tutto questo, è un bel casino non sapere tutto dannazione!- alzò la voce.
-senti Billy.. io dovrei essere già in viaggio, senti, rischia! Che ti devo dire, scrivile queste frasi e basta, e poi, se la fortuna è con te, magari gliele dedicava veramente.. se no.. beh, presto o tardi lo avrebbe scoperto.. non credi?- concluse Paul, informandolo che lo aspettava all’uscita.

Non c’era tempo per ragionarci sopra.

Billy non ci pensò troppo a sfidare nuovamente il destino: prese in corsa la macchina da scrivere, e batté quelle frasi, concludendo quella minuscola lettera con un “un bacio a voi, le mie donne” sperando che Charlie capisse cosa voleva trovare nella sua prossima risposta.
Consegnò la busta a Paul, e lo salutò, ringraziandolo, e augurandogli un in bocca al lupo per il suo ritorno.



 
Quella mattina doveva andare in missione, in una zona non ancora stata colpita dai bombardamenti, doveva andare a controllare i villaggi, controllare che ci fossero solo civili, per evitare un attacco diretto.
Billy era confuso, quella mattina.

Continuava a essere sotto ipnosi, come se quella stanzetta l’avesse sconvolto, come se l’avesse spaventato, come se quel disegno gli avesse detto in faccia che del caporale Phillips sapeva ben poco.

Si sentiva tradito, in parte, da James; insieme avevano condiviso così tanto, si erano confidati i segreti più nascosti, le loro paure, le loro incertezze: com’era possibile che in realtà, James non era stato completamente sincero con lui?

Come aveva potuto tenergli nascosto certe cose? Come aveva potuto allontanarlo così tanto da lui? Non erano forse amici loro?

Evidentemente, James non si fidava troppo di Billy.

Questo è un problema, si ripeteva mentre camminava fissando il terreno polveroso.

Se mi ha tenuto nascosto altre cose, è la fine, rischio davvero di farmi smascherare da Charlie.

Di nuovo il panico nelle vene, al pensiero della sua lettera, inviata quella stessa mattina all’alba.
Alzò gli occhi al cielo, e cominciò a fissare le nuvole grigie di quel giorno, e come se fosse impazzito, si lasciò scappare un urlo.

-volevi a tutti i costi che lei sapesse che te ne sei andato vero?! Dimmelo che è così James!! Sei un idiota caporale lo sai?! Perché mi neghi la possibilità di aiutarla eh?! Lei è un idiota!-
Urlava contro il cielo, contro le nuvole, come se James fosse davvero lì, seduto su una nuvola, ben nascosto, ad ascoltarlo.

-sembra davvero che tu voglia lasciarla sola caro James! Sembra che tu voglia abbandonarla davvero! Sembra che tu voglia essere dimenticato!- continuava ad urlare, con gli sguardi di tutti puntati contro.
-ma mi spiace per te, caro caporale, non è ancora finita, io sono più furbo di lei, e io so che lei tornerà!!- concluse, per poi esser distratto da un boato.




 
Calò la notte, cessarono i colpi, e Billy era ancora vivo.

Solo un graffio in viso, in piena guancia, provocatogli da quel cecchino “bendato”, che lo stava puntando mentre lui ringhiava contro il cielo.
Un cerotto e nulla di grave.
Un’altra volta era stato in bilico, sul filo di un rasoio, un’altra volta qualcuno, dal cielo, lo aveva protetto, facendo sbagliare quel cecchino, e procurandogli solo un graffio.
Un graffio e una ramanzina di un’ora e mezza da parte del tenente per il suo essere irresponsabile, un nulla, rispetto ad alcuni suoi compagni, feriti alle gambe, o alle braccia: nessuno morto quel giorno.

Un attacco debole, da parte di appena venti nemici, un attacco che per quel giorno, aveva risparmiato le loro vite.
Si mise disteso, con le braccia incrociate dietro la testa, e nel farlo, sentì il rumore di carta stropicciata; si alzò leggermente, e la trovò lì, la lettera di Charlie, che non aveva ancora letto, la lettera che aveva aspettato da mesi, la lettera che raccontava del famoso 16 luglio del 1958.

La prese, e si avviò verso la stanzetta segreta di James per leggerla, lontano da occhi indiscreti.


“Caro James,
non ti smentisci mai eh? Pure le date ti ricordi, ogni volta sorrido come un’adolescente.

16 luglio 1958.. e chi se la scorda una data così? Una data che mi fa.. ridere come una scema, e Ashley mi guarda strana, per poi ridere anche lei.
Ricordo talmente bene quel pomeriggio.. che potrei scrivere un articolo, intitolato “il tempismo di James Phillips”..
Quel pomeriggio ero a casa mia, appena tornata dalla partita di pallavolo, ero esausta, e sudata come pochi, che caldo in quella dannata palestra, le finestre chiuse poi.. lasciamo perdere questo argomento o ricomincio con la polemica!

Per la precisione quel pomeriggio ero in vasca, bella piena e riempita con acqua fresca, bagnoschiuma alla lavanda, perfetto per rilassarmi un po’.
Mi ero appena immersa, in modo tale da bagnare anche i miei capelli, mi misi comoda con la schiena appoggiata alla vasca, e chiusi gli occhi.
Che goduria, ero così rilassata, i miei pensieri erano ancora fissi sulla partita, ma l’acqua fresca era così perfetta sulla mia pelle, non troppo gelida da ibernarmi, né troppo calda per peggiorare la situazione, ero in paradiso.

Sentivo entrare dalla finestra il cinguettio degli uccellini, sentivo passare qualche camion, ma nulla mi disturbava, ero sola, solo io e la mia anima rilassata e beata.
Ma ovviamente, nulla dura in eterno, no?
E ovviamente il campanello suonò, sul mio pensiero più bello: tu.
Stavo proprio pensando a te in quel momento, stavo pensando che era ormai un anno che non vedevo il tuo viso, era da un anno che continuavamo a sentirci via lettere e basta, e questo, mi piaceva troppo.

Il campanello suonò una seconda volta, e io sbraitai un –arrivo dannazione!- la mia finezza quel giorno era alle stelle.
Mi misi l’accappatoio di mio padre,  color verde acido, cappuccio in testa, ciabatte al volo, e dire che allagai casa mia, non è un’esagerazione: lasciai una scia d’acqua assurda.
Corsi giù per le scale, cercando di non scivolare, e, letteralmente, mi precipitai alla porta.

Aprii, e senza rendermi conto di chi avessi davanti, esclamai un gentile –che diamine volete?!-
Quando mi ritrovai i tuoi occhi puntati contro, diventai color pomodoro.

-ciao anche a te, Charlie!- , la tua risposta.

E io, ti chiusi la porta in faccia, facendoti ridere come uno scemo.
Mi appoggiai con la schiena alla porta, imbarazzata al massimo, con l’accappatoio verde, e le ciabatte degli orsetti.

-dai Charlie non è educato lasciare fuori un ospite!- mi incitavi tu, ma io ero troppo presa dal mio stato di imbarazzo totale, per aver fatto una figura da chilo con colui che definivo, nei miei pensieri, “il mio principe azzurro”.

Il tuo tempismo era stato davvero pessimo.

Continuavi a bussare, mentre io continuavo a disperarmi.
Decisi di sfidare me stessa.

Aprii nuovamente la porta, e con scatto felino, corsi nuovamente su per le scale: dovevo vestirmi e cambiarmi nell’arco di almeno un minuto!

-Charlie? Ma dove sei?- mi chiedevi tu dal piano di sotto.
-entra James! Dammi due minuti e arrivo!-
-ma, non è un problema.. cioè.. ehm, okay ti aspetto.. qui.. sul divano.. posso?-
-vai, vai! Io arrivo, perdonami!- urlavo, mentre asciugavo per terra, mi pettinavo e nello stesso tempo mi vestivo.

Mi avevi colto alla sprovvista, che figuraccia, che situazione.
Raccolsi i capelli in un chignon, mi misi il vestito azzurro che mi ero preparata, fondotinta leggero sulle guance per concludere, in tre minuti esatti mi ero sistemata, non ero perfetta, ma ero sicuramente più presentabile di prima.
Mi misi le infradito bianche, non troppo imbarazzanti.
Scesi le scale velocemente, e mi catapultai in soggiorno.

E tu eri lì.

Seduto, dritto come se avessi un bastone nella schiena, immobile, la mani sulle gambe, come se avessi paura di rompere o sporcare qualcosa: adorabile.
I capelli biondi, alzati in una crestina, i pantaloni corti e beige, la maglietta con il collo tirato su, bianca, la tua pelle abbronzata, il tuo profumo invadeva tuta la stanza.
-ciao- riuscii a dire, facendoti girare verso di me, i tuoi occhi azzurri, glaciali, mi fecero abbassare lo sguardo.
Mi avvicinai a te, che ti eri già alzato pronto a salutarmi, ci abbracciammo, e io diventai ancora più rossa.

-ciao a te Charlie, come stai?-
-che ci fai qui?- chiesi io, facendoti ridere.
-il bello di voi ragazze è che non sapete rispondere senza fare una domanda- il tuo sorriso stupendo.
-ehm, sto bene grazie- risposi frettolosa-tu? Stai bene? Che ci fai qui? Vuoi da bere? Hai fame?- il nervosismo.

Continuavi a ridere di me –devo rispondere a tutte queste domande?-

-ovvio- risposi, ridendo a mia volta.

Il tuo viso così pensieroso, mentre cercavi una risposta per ogni mia domanda.
-allora, sto benone, non ho fame, né sete.. e sono qui perché..- lasciasti la frase in sospeso.
-perché vorrei invitarti a fare un giro in bicicletta- e scoppiasti a ridere, io non capivo.
-ehm, sì.. in bicicletta, va bene.. prendo le chiavi allora..- e mi avviai a prendere borsa e tutto l’occorrente; lasciai un post it per i miei e quando venni a cercarti in soggiorno, tu eri già uscito.

Chiusi la porta, e quel che vidi, mi fece sentire scema.

Tu, seduto per terra, mentre ti mettevi un paio di pattini.

-e questa sarebbe una bicicletta?- chiesi io, presa dal panico, io e i pattini non avevamo una bella relazione.
-le strade di questo posto sono troppo belle per non essere sfruttate dai pattini- vidi la tua mano passarmi dei pattini rosa –tieni, spero ti vadano bene, ma a occhio e croce, direi che è la taglia giusta- e ti vidi sorridere di nuovo.

Ero stanca morta, dopo la partita, eppure non mi sono mai sentita così tanto in forze in vita mia.
Una volta indossati quegli attrezzi di tortura, mi sollevai, cercando l’equilibrio di cui avevo bisogno, ed annunciai –sono perfetti- facendoti sorridere.
-ti vedo incerta Charlie- tu e il tuo essere così perspicace.

-meglio così- commentasti abbassando lo sguardo, e lasciandoti sfuggire un lieve rossore.
Mi misi vicina a te, e tu, furbo, avvicinasti la tua mano alla mia, fino ad intrecciarla.
-beh, dai allora, ti tengo io, hai voglia di.. un gelato?-
-effettivamente fa un po’ caldo, vada per il gelato-
-così festeggiamo!- esclamasti tu.
-festeggiamo cosa?- chiesi io, facendoti arrossire.
-oggi compio sedici anni cara Charlie- ennesima figuraccia, la seconda, alla quale avrebbero susseguito molte altre quel giorno.

Cominciammo a muoverci, a pattinare insieme, e io mi sentivo un’autentica idiota: come avevo potuto scordarmelo? Come poteva essere successo? Dimenticarsi del tuo compleanno, continuavo a ripetermi che alla fine di quella giornata non ti avrei più rivisto, chi si dimentica il compleanno del proprio “principe azzurro”? : io, ovviamente.
Continuavo a stare in silenzio, a pensare a un modo per rimediare a quel pasticcio, ma non mi veniva in mente nulla, troppo agitata, troppo arrabbiata con me stessa per averti fatto una cosa simile.
Quando arrivammo alla gelateria, mi offrii per pagare quello che avresti preso, come per poter rimediare alla mia dimenticanza; ma tu, ti sentivi offeso nell’orgoglio per tale offerta.
-da quando un uomo si lascia pagare il gelato da una donna? Sei matta? Pago io, compio io gli anni, non tu- mi dicesti con tono quasi scioccato.
 
 
-vado a tenere il posto su quella panchina, Charlie, riesci a ordinare i gelati senza farli cadere?- mi chiedesti tu, prendendomi in giro.
Ti mostrai la lingua –certo che ce la faccio, antipatico, che gusti vuoi?-
-stupiscimi mia bella.- la tua risposta, lasciandomi lì, su quei pattini, con quella banconota, in preda dal mio pessimo equilibrio.
Ordinai e presi in mano il resto e i due coni, e cercai di non uccidermi, avvicinandomi a te.

E meno male che non feci cadere nulla, pensavo, ma l’ennesima figuraccia era dietro l’angolo.

-che gusti hai scelto allora?-
-ho preso cioccolato e fragola per me, e per te, cioccolato e pistacchio! Come piace a te- sorrisi, convinta delle mie idee..
La tua richiesta, in seguito, mi stupì.

-facciamo così, per oggi, io mangio quello che hai preso per te, e tu quello che hai preso per me, stop alla monotonia, bisogna essere di larghe vedute, non trovi?-
Ti guardai male, sembravi davvero uno scemo, ma data la mia dimenticanza, se quel giorno mi avessi chiesto di buttarmi dal ponte io l’avrei fatto; e fu così che ti porsi il mio gelato, e io mi mangiai il tuo.

-devo essere sincera, è buono il pistacchio!- ti dissi entusiasta, era buono davvero.
-eh.. io ho gusti raffinati, buona anche la fragola comunque- mi sorridesti, quanto eri gentile.

E nuovamente eravamo lì, a parlare, di nuovo, dopo un anno, alla luce del sole.
Mi parlavi di scuola, di sport, ti lasciavo parlare quel giorno, ero talmente triste per non averti regalato nulla, che non mi permettevo di fermarti, ti lasciavo parlare, a raffica, e tu parlavi, gesticolavi, con gli occhi che brillavano.

Quando calò il silenzio, ti porsi quella domanda, -ma come mai vieni qui solo dopo un anno?-
Era una domanda che mi tenevo da troppo tempo, e se avessi saputo la risposta, non te l’avrei mai fatta.
-ehm.. ho avuto problemi..-
-di che tipo?- chiesi curiosa.
-ehm.. devo essere sincero con te vero?- mi spaventasti con quella domanda.

 Annuii.

-vedi.. ehm, io.. quando ero al campo.. ehm, stavo.. con una ragazza- sbiancai, ti avrei tirato dietro un sasso, o direttamente il gelato, o i pattini, o la panchina.
Ma tu, riprendesti il discorso, come per rassicurarmi –non fraintendermi, te lo posso giurare che ora non la vedo più, te lo giuro, non sarei qui se non fosse vero, lei non è più nulla-

Ti guardavo negli occhi, e.. mi misi a ridere.

La tua faccia continuava a essere come in bilico, non sapevi se ridere o se aspettarti un ceffone da parte mia; ma quel giorno, avevo fatto troppe figuracce per potermi permettere un gesto simile, ed inoltre, mi fidavo troppo di te.
Per me, quella visita inaspettata, era la dimostrazione del tuo interesse per me; ero talmente affascinata da te, che non riuscivo a pensare a te come un ragazzo sciocco che si prendeva gioco degli altri; i tuoi occhi erano la mia sicurezza, il tuo sguardo mi diceva di fidarmi di te, e credo che questo sia il motivo per cui ti ho sposato e che credo che tornerai da questa guerra.

A quella tua piccola confessione, mi limitai ad appoggiare la mia mano alla tua, per poi stringerla.
Alla fine di quel pomeriggio, pattinammo fino a casa mia, io fin troppo felice per tutto quello che avevamo fatto.
Ci salutammo fin troppo velocemente, ma tu dovevi prendere l’autobus, l’ultimo che passava, ci salutammo con un bacio timido sulla guancia, un bacio fin troppo vicino all’angolo della mia bocca, ci salutammo con un –vengo a trovarti presto-.

Ricordo di esser stata sveglia per tutta la notte quel giorno, il pensiero di te, che lasciavi un’altra per me, pensavo ai tuoi occhi sinceri, pensavo a quel pomeriggio, pensavo e sorridevo da sola, pensavo e sentivo i brividi sulla pelle, pensavo e il mio cuore batteva troppo forte.
Il giorno seguente, ti mandai per posta una busta di pistacchi, come regalo di compleanno, come rimedio per la mia dimenticanza.

Non dimenticherò mai la tua lettera per ringraziarmi, non dimenticherò mai il tuo “ps” finale: “Charlie, senza offesa, davvero non voglio offenderti, ma.. è meglio che tu lo sappia, piccolina: io sono allergico ai pistacchi”.

Grazie, amore mio, per avermi fatto sentire un’idiota.

Ma sappi una cosa, caro James, che non sei l’unico ad aver fatto un figurone quel giorno: per tua informazione, quei pattini erano troppo stretti, le vesciche non mi lasciarono un attimo di pace per cinque giorni.

Dopo questa breve confessione spero che ora tu ti stia mettendo a ridere di me, come fai sempre, e ti chiedo scusa, per non avertelo detto prima.
Caro amore mio, è bello pensare al nostro passato, mi riempie l’animo, e ogni volta che ricevo posta, vado in giro con il sorriso.

Sta volta non ti dico cosa voglio come tua risposta, voglio che tu mi stupisca, hai carta bianca mio bel caporale, e spero di riceverla presto.
Mi manchi James, ma noi ti stiamo aspettando, ricordatelo sempre questo.
Sempre tua,

Charlie”

Billy si lasciò scappare una risatina a quell’episodio, se lo ricordava, il caporale gli aveva raccontato del loro appuntamento, ma conoscere i retroscena e le figuracce di Charlie era davvero unico.
Sorrise, rileggendo quella frase:

“Sta volta non ti dico cosa voglio come tua risposta, voglio che tu mi stupisca, hai carta bianca mio bel caporale.”

Alzò lo sguardo verso il dipinto di James, e sempre sorridendo, si lasciò scappare un commento.
-ah, ora sì che dimostra di non volerla perdere, caporale- e alzò la mano alla tempia, come se James fosse davvero lì con lui.

 

Note di Nanek:
salve gente =) ecco, solito problema delle note finali dove non so cosa dire.. cioè.. che dite voi? Vi piacciono questi due piccioncini? ;) a me abbastanza, ma io sono di parte, e voglio bene ai miei personaggi, per questo faccio le domande a voi ;)
spero di non avervi annoiato, perché per l’ennesima volta sto capitolo è stra lungo -.- pessima che sono..
ad ogni modo, spero che vi possa piacere <3 e spero di trovare qualche recensione da parte vostra =) ringrazio come sempre la mia Tomma e la mia Malika (che l’ultima volta mi ha lasciato un papiro, che mi ha messo in profonda crisi per questo capitolo, quindi se ti fa schifo è colpa TUA U.U ) <3
ringrazio anche elspunk93 che sta seguendo questa storia =)
alla prossima care lettrici =)
Nanek

  
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