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Autore: Ziggie    05/02/2013    2 recensioni
It's never too late to mend, perchè non è mai troppo tardi per redimersi. Un'avventura per i fratelli Blues lunga una vita, ma al loro fianco non vi era solo la Banda, ma anche Ziggie. Recensite se vi va :) Buona lettura.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Scusate l'attesa, ma tra impegni vari riesco solo ora a finire questo capitolo, uno dei più duri, lunghi e difficili mai scritti. Chissà i successivi!!!! Non voglio dire molto, svelandovi il tutto, quindi mi soffermerò ad un buona lettura e, per chi è debole di cuore, preparate i fazzoletti.
Al prossimo capitolo.
Ile                                               


                                                     26.Giorno di visita

Quante volte avevo visto il retro di quelle mura.

Quante volte avevo guardato il sole splendere e battere contro le sbarre.

Quante volte ho contato i giorni che mi mancavano ad uscire.

Vedere Joliet dall'altra parte del cancello, da fuori, era tutto un altro effetto.

E il groppo alla gola cresce perchè rimembri gli istanti in cui hai perso tutto e ti sei ritrovata con poco e niente. Varcando quel cancello, sai che un pugno allo stomaco farebbe meno male, che tre anni sono lunghi a passare, come sai che sei la loro unica speranza di tenere duro. Più volte avete lavorato insieme, più volte la triade dei Blues si è fatta forza a vicenda: occorreva solo proseguire per quella strada.

- Ziggie Miller! Non credevo ti mancasse così tanto Joliet! - mi accolse un secondino.

- Ogni persona che mette piede qui dentro, una volta fuori lo rimpiange. Non lo sapevi, Frank? Eppure tu torni qui tutti i giorni! - gli lanciai la dovuta frecciatina abbassandomi appena gli occhiali da sole, voce diretta, ferma.

- Per chi sei qui? - mugugnò imbronciato.

- Elwood Blues e Joliet Jake, pensavo fosse ovvio -

- Joliet Jake Blues è in cella di isolamento -

- Ma può ricevere visite, è scritto nel regolamento, anche se in orari diversi da quelli degli altri detenuti - lo freddai subito, non me ne sarei andata senza averli visti entrambi.

- Il regolamento, tsè, non lo legge mai nessuno! Vuoi solo impressionarmi -

- E' una lettura stimolante, Frank e, se avessi voluto impressionarti, ti avrei elencato tutte e venti le regole basilari più norme aggiuntive, ma non penso che ce ne sarà bisogno, sai bene che ho ragione - il secondino brontolò qualcosa tra sè e sè, prima di ordinare ad un collega di andare a prendere Elwood; fortuna che avevo letto qualcosa sul regolamento, altrimenti quella balla azzardata non avrebbe retto!

- Hai dieci minuti con lo spilungone dopodichè ti condurrò dal cicciottello. Ed ora sparisci, la sala colloqui è poco più avanti -.

- Sei di una gentilezza squisita, Frank - lo apostrofai incamminandomi ed entrando in quella che sembrava una stanza di addestramento, divisa da un blocco unico di banchi, a loro volta divisi da un vetro. Mi sedetti nel vano che mi era stato destinato ed attesi l'arrivo di El. Così vicini, così lontani.

Il cigolio in lontananza mi annunciò l'apertura della porta e il suo imminente arrivo.

Quindici anni lontani, quindici anni senza più uno sguardo, solo parole mute intrappolate nelle lettere. Quindici anni e le sbarre sono le uniche ad averci visto crescere.

Lo attesi con lo stomaco in subbuglio da agitazione e eccitazione; lo attesi con gli occhi lucidi dietro gli occhiali da sole; lo attesi nella nostra divisa di ordinanza, nero su bianco, nessun altro colore.

- Avete dieci minuti - ricordò il secondino, facendo segno ad Elwood di accomodarsi in quel piccolo vano dietro il vetro di fronte a me, prima di farsi da parte.

Jeans, camicia dello stesso tessuto e giacchetta blu con tanto di nome sopra.

Eccolo di fronte a me il mio uomo. Uomo si, eravamo adulti ora.

Poco meno che trentenni prima, poco più di quarantenni ora. Ed i segni dell'età adulta si notavano sul corpo. Le prime rughe, corpo più flaccido, occhi stanchi, capelli leggermente sfoltiti: ecco quanto vidi in quegli attimi di silenzio. Istanti in cui ci guardammo spiazzati, alla ricerca del nostro vecchio io sotto quella nuova scorza. Istanti in cui il cambiamento aveva prevalso sulla vista, in cui il cambiamento aveva prevalso sul momento.

Avevo un uomo davanti, non più il ragazzo di sempre che avevo perduto quando avevamo messo piede lì dentro. Perduto, già, ma solo e lievemente nella forma, la sostanza era sempre la stessa. Si, perchè sotto quello sguardo stanco e non più coperto dagli occhiali da sole, sotto quelle lievi rughe e quella pancetta accennata, c'era il ragazzo a cui avevo donato il cuore, il ragazzo con il quale ero cresciuta, il mio uomo, il mio Elwood.

Una lacrima mi rigò il volto, la felicità prese il sopravvento e un sorriso si distese sul mio volto. Tolsi gli occhiali e lo guardai innamorata, come la prima volta.
Potevo immaginare cosa vedeva El, l'avevo visto io stessa nel suo volto e nello scatto che, avevo fatto del mio, la sera prima. Vedevamo entrambi le stesse cose, l'età adulta che aveva preso il sopravvento, i troppi anni lontani, la spossatezza. Ma, dietro tutto quello, dietro quegli sguardi e la nostra nuova corazza, eravamo sempre gli stessi, gli stessi ragazzini che erano cresciuti insieme in quel dell'orfanotrofio, gli stessi che si erano dichiarati e amati.

Sentimenti che prevalevano e volti che si distendevano, così come i sorrisi. Afferrai la cornetta di fianco a me e gli feci segno di afferrare la propria, prima di prendere un profondo respiro e, con voce più ferma che mi riuscì, dire: - buongiorno, signor B -.

Aveva la mano che tremava e lo sguardo fisso nel mio, afferrò la cornetta mezzo titubante, sedendosi in seguito. Sorrise al mio saluto, sorrise al mio sorriso ed io sorrisi con lui, i nostri sguardi si erano già detti tutto quello che le parole faticavano ad emettere. Mi osservò in silenzio, muovendo appena le labbra, come se stesse cercando un modo per iniziare il discorso, impacciato. Il silenzio durò ancora per qualche secondo, finchè il suo sguardo sfociò in una nota decisa.

- ... Sei... Sei bellissima, bimba - mi disse allungando una mano e appoggiandola sul vetro, simulando una carezza che arrivò dritta al mio volto. Posai io stessa la mia mano contro quella superficie fredda, che ci divideva, ed immaginai il calore trasmesso di ogni volta che ci tenevamo stretti.

Ancora qualche istante di silenzio, poi le parole scivolarono libere, ma il breve tempo a nostra disposizione non permise di andare troppo oltre e ci si fermò al semplice: come va? Una domanda che raccoglieva di più che una semplice risposta breve. Non importava non aver parlato molto, i nostri sguardi si erano già detti tutto.

Alzarmi da quello sgabello fu difficile, una stretta allo stomaco mo lo contorse, mentre il magone saliva, ma dovevo essere forte, perchè piangere se l'avrei rivisto tutti i giorni?

- Dovevo darmi una mossa - arricciò il naso Elwood.

- E non goderti il momento? - gli sorrisi, ormai in piedi, ma con la cornetta ancora stretta in mano - ne avremo da parlare, signor B! Ti verrò a trovare tutti i giorni - lo rassicurai mentre i secondini premevano il suo ritorno in cella e la mia uscita di scena.

- Ti amo, bimba - mi mimò oltre il vetro con un sorriso, prima di sparire dietro la porta. Sorrisi a mia volta, assaporandomi quelle parole mute che tanto mi mancavano. Sorrisi, ricacciando indietro le lacrime.

- Il cicciottello non lo incontrerai qui, Miller - mi accolse, Frank, quando uscii dalla stanza.

- Non mi importa dove vorrete farmelo incontrare, Frank. L'importante è vederlo, altrimenti il mio culo non si muoverà da qui - specificai molto gentilmente.

- Sempre così malinconicamente aggressivi, gli ex detenuti! -  ironizzò.

- Sempre così falsamente aggressivi i secondini! - lo ripagai con la stessa moneta ed incassò il colpo con una smorfia.

- Portatela al braccio 9, cella 226, isolamento. Dieci minuti e non un minuto di più -.

I ricordi di quindici anni là dentro prevalevano percorrendo quei corridoi, nonostante in quell'ala non ci fossi mai stata. Che cosa avrei detto a Jake? Dove lo avrei visto? Ci avrebbe diviso un vetro come con Elwood?

Corridoi diversi, più porte, colori più grigi rispetto alla mia vecchia ala. Il secondino mi fece segno di aspettare poco distante le sbarre di entrata. Un momento! L'avrei incontrato direttamente così? In quella cella strana con le sbarre solo alla porta e un muro a dividerla dalle altre? In quella cella fredda in cui lo avevano confinato?

La chiave girò nella toppa e una voce ben conosciuta mi diede la risposta alle mie domande, almeno lui lo avrei potuto riabbracciare.

- Alla buon'ora ragazzi! Il mio stomaco iniziava a brontolare -

- Hai una visita, Blues - tagliò corto il secondino.

- Una visita? - parve stupito - significa qualche manicaretto nuovo? - ci scherzò sopra, ma il secondino non gli diede risposta e mi fece segno di entrare.

- Possibile che pensi sempre a mangiare? - chiesi divertita sorridendogli, mentre mi sfilavo gli occhiali e li infilavo in tasca.

E doveva essere cambiato? Ingrassato lo era di certo, sciupato, occhi un pò più infossati e volto stanco ed ingiallito. Purtroppo trovai la conferma alle parole scritte da Elwood, ma non riuscivo a guardarlo come, ormai, facevano tutti; non riuscivo ad additarlo come drogato, non lo avevo mai fatto fuori, non avrei iniziato ora. Le parole udite erano le parole del vero Jake, della canaglia che avevo conosciuto in quel dell'orfanotrofio, del mio fratellone.

- Ziggie!? - sgranò gli occhi, rimanendo stupito nel vedermi - e il tuo pigiama a strisce? Non mi dire che sono già passati quindici anni! Non sei invecchiata di una virgola - commentò ridacchiando, seriamente stupito di vedermi in tenuta blues, piuttosto che quella del carcere.

- Ha parlato l'eterno giovane in punizione - lo canzonai, usando lo stesso suo tono divertito, andandomi poi a sedere sul suo letto.

- Ehy Joe! Guarda che io ci conto per il manicaretto tutto nuovo, eh! - puntualizzò riferito al secondino fuori di cella, prima di raggiungermi. Sapevo che stava sviando cercando un modo per distrarmi, ma quel giochetto con me non aveva mai funzionato, eravamo in due a saperlo e avevo dieci minuti per cercare di rimetterlo in riga - Elwood sa che sei fuori e che sei anche più bella del solito? -

- Sapeva che uscivo, sa che sono fuori e abbiamo notato entrambi i piccoli cambiamenti dovuti all'età adulta - gli confermai con un lieve sorriso - l'ho appena visto -.

- Oh! - abbassò appena il capo - quindi tu... - fece per dire, ma non lo feci finire.

- So già tutto si. Elwood me lo ha raccontato tramite lettera. So come sono andati i fatti, a grandi linee, così come so che non sei a conoscenza della durata del soggiorno qui dentro -

- Diciamo anche che mi trovo qui non per mio piacere personale, ma perchè, vedila come vuoi, mi hanno incastrato. Qui dentro fanno quasi tutti uso di neve, secondini in primis - ammise piano, un pò seccato.

- E come al solito tu ti sei messo in mezzo e ti sei cacciato nei guai - conclusi la frase per lui - pensavo che avessi smesso, pensavo che Joliet poteva metterti la testa a posto, in qualche modo -.

- Ho vissuto gran parte della mia vita tra Joliet e istituti minori e sono uscito più canaglia di prima, sempre! - ribadì, forte delle sue ragioni - perchè pensi che ora dovrebbe essere diverso? - alzò la voce, ma mantenni alta la guardia.

- Eravamo con te stavolta, c'era persino il contratto discografico -.

- Con me, certo! Tu in un'altra ala, la banda che pian piano scontava la pena e Elwood con cui litigavo sette giorni su sette. Davvero pensi che non fossi a conoscenza di non essere solo? Non credo che a El facesse piacere litigare, eppure per aiutarmi faceva di tutto per farmela sparire quella merda! Ma no, io ci devo ricadere sempre! Sono sempre il solito e la droga fa parte della mia fottuta vita, vero? - diede un pugno alla testata del letto, alterandosi maggiormente  - il contratto discografico, tsè! Chi credi che ascolti un disco registrato in prigione, eh! -.

- Ti ho forse mai additato in quel modo? Ti ho mai giudicato? Lo vedo come stai, Jake. Come uno a cui hanno tolto tutto, confinandolo qui, come una roccia che sta franando pian piano -.

- Ho sempre saputo cavarmela da solo e sarà così anche stavolta! - ribadì con tono fermo, secco, ma sapevo che non erano parole sentite, nonostante volessero fare male.

Stetti in silenzio per qualche istante, guardandolo, non ci credeva nemmeno lui a quanto aveva appena detto, vedevo quanto gli mancava il fratello, vedevo quanto moriva dalla voglia di darmi un abbraccio.

- Ho conosciuto un ragazzo una volta. Un leader, una persona con la battuta sempre pronta, grande cantante, grande appassionato di musica. Una vera canaglia che non andava mai troppo oltre e, se superava il limite, cercava una via d'uscita, perchè quest'ultima la trovava sempre. Entrando da quella porta credevo di aver ritrovato quel fratello che mi era tanto mancato, quella persona che, anche di fronte alle difficoltà, rideva e mi sono detta: no, non è cambiato! Purtroppo però le cose sono cambiate davvero. E, allora, mi chiedo: avrà intenzione di giocare duro ancora una volta o lasciare che tutto quanto prenda il sopravvento? - gli diede una pacca sulla spalla e, mi alzai, avendo udito il secondino battere sulle sbarre della porta, indicandomi ancora due minuti - la polvere bianca è la via più facile per tutto, ma entrambi sappiamo bene che non hai bisogno di quella per risultare una persona forte. Più di una volta ti ho chiesto di riguardarti e te lo chiedo ancora, non mi importa se mi manderai a fanculo o mi insulterai, non sei solo fratello! -.

Stette in silenzio ad ascoltarmi e accennò un lieve si col capo, aprendo e chiudendo le labbra per dire qualcosa che, a quanto pare, non era importante, ma voleva essere solo uno sfogo come i precedenti. Sapevo che non avrebbe preso alla lettera quelle parole, glielo leggevo negli occhi, ma sapevo anche che non era mancanza di volere, bensì, una volta entrati nel tunnel, era semplicemente difficile uscirne. A Joliet, tra detenuti e secondini, la polvere bianca girava ed era impossibile, nonostante l'isolamento, che questa non arrivasse a lui, ma, purtroppo, quanto potevo fare l'avevo fatto, dovevo solo sperare che quelle parole non risultassero troppo vane.

- Miller, devi uscire! -

- Arrivederci Jake - lo salutai con un lieve sorriso, ma, mentre stavo avviandomi alla porta, lui mi si parò davanti regalandomi l'abbraccio, che gli avevo visto nascondere poco prima negli occhi.

- Se proverò a riguardarmi, avrò l'onore di un'altra visita? - si azzardò a dire, temendo, forse, che le parole dette prima mi avessero ferito in qualche modo. Gli sorrisi ricambiando quella stretta, tanto mancata - parola di Blues sister - gli sussurrai all'orecchio, dandogli un bacio sulla guancia.

- Salutami Elwood - mi disse in ultimo, con un lieve sospiro. Io annuii avviandomi alla porta.

- Ah! A proposito, io so di un disco che va per la maggiore giù a Calumet City. L'ha inciso una banda di galeotti, che è stata in grado di far ballare Joliet e l'intera Chicago -.
 
  
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