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Autore: Hi Ban    05/02/2013    2 recensioni
[Oguri Shun]
«Ottimo lavoro, Oguri san» si complimentò immediatamente, con un mezzo inchino, sorridendogli felice.
Come poteva avere ancora tutte quelle forze? Era chiaro che lui non aveva come compagni di avventura quegli iperattivi di Toma e Maki o sarebbe stremato anche lui.
Che poi, quello non era proprio l’agente di Toma?
Shun fece un mezzo sorriso e mise la borsa in spalla, ringraziando.
«Sai, dopodomani iniziano le riprese dell’ultima puntata, perciò noi pensavamo di andare a festeggiare, cosa ne pensi?»
Piuttosto mi butto sotto un treno in corsa, sarebbe stata la simpatica e diplomatica risposta di Shun, ma aveva ancora un po’ di dignità e decoro.
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Kono fanfiction wa fiction desu :D Io non conosco – disgraziatamente – il reale carattere di questi personaggi e, pertanto, quanto scritto qui corrisponde a finzione.




Boh, la vuole fessa chan ‘sta storia, perciò io la scrivo, ma questo non vuol assolutamente dire che dietro ci sia senso, logica e trama. C’è demenza, Dio solo sa quanta ce n’è, ma per il resto non garantisco nemmeno una virgola. Che poi, lei mi ha chiesto una storia su Oguri Shun, io per salvaguardare la resistenza del mio stomaco l’ho circondato di altra gente: Toma, giuro, non volevo sacrificarti, davvero, ma… eri l’unico sacrificabile ò___ò
Ora, comunque, ho un nuovo obiettivo: quando andrò in Giappone mai sarà mio compito andare a cercare questo tal Moshimoshi~ ecchissenefrega che me lo sono inventato io, ‘sto bar. Bene, la seduta è tolta.
No, scherzavo, senza la storia non si va da nessuna parte! E…
Ah, stupido Ogurin, che esistendo mi ha costretto ad un’esperienza massacrante ed abominevole quale scrivere sulla sua infedele (Yamadaaaa non mi riferivo a te assolutamentennnoooooo~) persona! Non so se voglio davvero appiopparlo a Tomacchan, non vorrei che poi anche a lui spuntasse un palco di corna degno di un qualsivoglia cervide artico :D Massì, dai, tanto, cornuti qua, cornuti là, almeno Shun passa il tempo in allegria! ... Tomaaaaa! Scappaaaaaa! Il peso delle corna ti ucciderààààà!

Aehm.


101 bicchierini di sakè




Set di Hanakimi, camerini, 19:46




Ah, finalmente anche quell’eterna giornata era finita. Non che Shun ritenesse pesante o non interessante il recitare e tutto il resto, ma certi giorni erano davvero stressanti, per cui non vedeva l’ora di tornarsene a casa, farsi una doccia ed andare a dormire.
Hanakimi si era rivelato un drama piuttosto divertente, i suoi colleghi erano davvero persone simpatiche, perciò davvero non aveva nessun motivo per non adorare il lavoro che gli era stato assegnato in quel periodo.
Eppure quel giorno era così stanco: agognava solo la porta da varcare per uscire…
Sfortunatamente per lui, proprio mentre raccattava la sua roba sparsa a destra e a manca per il camerino, giunse il manager di uno degli attori – non ricordava proprio di chi potesse essere, ma pace.
«Ottimo lavoro, Oguri san» si complimentò immediatamente, con un mezzo inchino, sorridendogli felice.
Come poteva avere ancora tutte quelle forze? Era chiaro che lui non aveva come compagni di avventura quegli iperattivi di Toma e Maki o sarebbe stremato anche lui.
Che poi, quello non era proprio l’agente di Toma?
Shun fece un mezzo sorriso e mise la borsa in spalla, ringraziando.
«Sai, dopodomani iniziano le riprese dell’ultima puntata, perciò noi pensavamo di andare a festeggiare, cosa ne pensi?»
Piuttosto mi butto sotto un treno in corsa, sarebbe stata la simpatica e diplomatica risposta di Shun, ma aveva ancora un po’ di dignità e decoro.
Non era possibile, per una questione di rispetto, rispondere in quel modo, ma comunque il concetto era lo stesso: non ne aveva proprio voglia.
Dinnanzi alla faccia sorridente ed emozionata di quello che, forse, tentando di ricordare alla bene e meglio, doveva essere Hiratsuka san, Shun si trovò a fare un breve inchino, mormorando qualcosa che era simile ad un ‘mi dispiace molto, ma…’.
Ad un tratto, proprio mentre si accingeva a salvare la sua serata , stanco com’era, sentì quelli che erano colpi di tosse palesemente finti. E vista la lunga convivenza che quel drama stava creando tra lui e varie altre persone, ebbe anche modo di indentificare subito la fonte di quell’inquinamento acustico poco credibile.
Cielo, era un attore, poteva almeno fingere un po’ meglio.
Ogurin alzò immediatamente la testa e vide che alle spalle del manager c’era proprio Ikuta Toma, che si stava sbracciando in maniera non troppo normale.
Shun inarcò un sopracciglio: era diventato stupido? Ok, diventato forse era il termine sbagliato.
Hiratsuka san lo osservava senza capire, probabilmente non avendo nemmeno udito l’accenno di Shun di poco prima.
Per favore!” era ciò che stava mimando il ragazzo poco più in là, con le mani giunte ed un’espressione di totale implorazione. Intanto, chi passava di lì lo osservava come il peggiore degli idioti sulla faccia della terra: nella migliore delle ipotesi speravano fosse ancora calato nel personaggio di Nakatsu, perciò non agiva nel pieno delle sue facoltà mentali.
Shun aveva imparato a capire che no, lui era esattamente così, semplicemente il regista del drama aveva scelto la persona migliore esistente in Giappone per interpretare quell’altra perla di furbizia che era Nakatsu Shuichi.
L’interprete di Sano Izumi assottigliò lo sguardo, intento a mandargli un chiaro messaggio che diceva “te lo puoi anche scordare”, ma Toma non sembrava voler desistere.
Shun sbuffò seccato e Hiratsuka san, allora, intuendo che forse stava succedendo qualcosa alle sue spalle – i manager li sceglievano in base all’intelligenza dell’attore di cui si occupavano? – si voltò.
Prontamente, Toma si nascose dietro una piglia lì vicino e Hiratsuka rimase ancora più confuso. Scosse la testa e pensò che, probabilmente, si era immaginato tutto, anche le occhiate irritate che Shun lanciava in giro. Certo, magari era soltanto un suo segno di non apprezzamento verso la parete lì in fondo…
Era stanco anche il manager, suvvia, era stata una giornata intensa pure per lui.
«Allora, Oguri san? Possiamo contare sulla sua presenza?»
Da dietro la piglia comparve nuovamente la chioma sgargiante di Toma e Oguri iniziò ad intuire vagamente che la sua serata sarebbe stata tutto fuorché all’insegna del riposo e della libertà. “Ti prego!” disse senza voce e Shun si chiese perché diavolo fosse tanto urgente che andasse anche lui.
Rendendosi malvolentieri conto che solo andando avrebbe potuto interrogare – e magari insultare, perché no – il ragazzo sul perché fosse tanto accorato nel richiedere la sua presenza, infine accettò.
«Va bene, sì, ci sono. Passo a portare la roba in macchina e vi raggiungo» fu la risposta così piena di entusiasmi che perfino un morto si sarebbe dimostrato più interessato a partecipare. Dietro il manager, Toma si diede ad una serie di esultazioni silenziose, in cui girava in tondo, alzava le braccia al cielo e muoveva le labbra, intento a dire solo lui sapeva cosa.
«Oh, bene! Ne avevo già parlato con il tuo manager, perciò non ci resta che incontrarci lì! Vado a cercare Ikuta san» disse sorridendo, mostrandosi l’unico interessato all’iniziativa, ma la cosa non sembrava rattristarlo molto.
Proprio mentre Hiratsuka san si voltò per andare a cercare il suo scapigliato protetto, Ikuta fece finta di giungere proprio in quel momento, con la faccia meno convincente che Shun gli avesse mai visto fare.
Seriamente, quello doveva essere un attore? Davvero? Giusto per essere pienamente credibile, si era messo anche a fischiettare, come il più finto degli innocenti. Beh, quella sua performance avvallava solo la sua teoria sull’assegnazione dei manager: Hiratsuka san non diede cenno di aver notato nulla.
«Ah, Ikuta san! Proprio lei cercavo!»
«Che coincidenza!» fu l’accalorata risposta.
Al che, Shun si fece forza – fisica, morale, psicofisica, di qualsiasi genere – e si diresse alla macchina.


MoshiMoshi~ bar, sala 3B, 22:27




«Si può sapere perché mi hai costretto a venire?» si informò a denti stretti Shun, mentre il suo compare, il tal Toma, sorseggiava quel che aveva nel bicchiere e dispensava sorrisini imbarazzati ogniqualvolta qualcuno facesse accenno a lui o si complimentasse.
«A dire la verità, io ti ho solo implorato, tu hai deciso di venire e poi… beh…» e terminò la sua vaga risposta lanciandogli un'occhiata eloquente e facendo cenno, con una mano, alla tavolata a cui appartenevano.
Shun bevve quel che aveva nel bicchiere e si schiarì la gola.
C’era un motivo se tutti e due erano giusto un po’ nervosi e, come dire, si sentivano un po’ fuori posto. Si sentivano come in quei drama in cui c’erano tutti quei salariati di mezz’età che passavano una serata insieme a bere, lamentandosi del più e del meno, annodandosi le cravatte in testa e finendo con il cantare canzoni della loro passata gioventù.
Oguri e Toma speravano come non mai di non dover mai assistere ad una cosa del genere, non sarebbero sopravvissuti psicologicamente e dubitavano seriamente che il produttore li avrebbe pagati per il pessimo lavoro che avrebbero messo su sul set di Hanakimi, al ricordo di quella brutta esperienza. Sano doveva anche baciare Mizuki, se le vomitava addosso sotto il peso delle reminiscenze tutto sarebbe andato a farsi benedire.
Solo Hiratsuka san, al momento, aveva la cravatta un po’ troppo allentata per rimanere al collo ancora per molto. Probabilmente sarebbe stato il primo di una lunga fila.
Comunque, Toma e Shun erano gli unici due di età sotto i trent’anni in quell’astrusa compagnia e il motivo era per lo più sconosciuto ai due.
Alla giustissima e a ragione domanda di Shun, Toma scosse la testa rassegnato, segno che non lo sapeva nemmeno lui.
Il karma, forse? Chi dei due aveva scuoiato furetti in una vita precedente e ora si trovava costretto a subire una così ingiusta sorte?
«Quando Hiratsuka san è venuto a chiederti se ci saresti stato io ero già stato incastrato e praticamente solo i manager degli altri avevano dato la loro disponibilità» disse con tono scoraggiato, mentre Shun si chiedeva perché diavolo fosse toccato proprio lui, in tutto il mondo. «Avevano intuito il pericolo» mormorò a voce bassissima.
«E tu, invece di salvare me sapendo cosa mi sarebbe aspettato, hai deciso di immischiarmi per salvare te?» chiese vagamente scocciato e perlopiù allibito.
Toma parve pensarci un attimo su e poi annuì convinto. «Non volevo stare da solo!» si giustificò, notando l’immensa felicità dell’amico.
«Certo che tu ci sei sempre per gli amici, eh» commentò con sarcasmo Ogurin.
«Sempre e comunque, Guri chan.»
Shun non sapeva esattamente quanto fosse passato da quando aveva messo piede in quella sottospecie di bar, che aveva un odore poco sopportabile. Si trovavano in una saletta che sembrava molto simile a quella che avresti potuto trovare andando in un karaoke – in cui, magari, l’odore non sarebbe stato così nauseabondo –, con l’unica differenza che lì non si cantava. Che diavolo di posto era, poi, uno che si chiamava Moshimoshi~?
In sottofondo c’era una vecchia canzone enka dai toni allucinanti e Shun sperava ardentemente che quel motivetto non gli si fissasse in testa. Premeditava già di togliersi la vita tramortendosi con il flacone dello shampoo se, il giorno seguente, mentre si faceva la doccia, avesse preso a canticchiare senza accorgersene quella melodia.
No, prima sarebbe passato a trovare il suo caro amico Toma, giusto per tenere fede al principio delle pari opportunità.
«Suvvia, Shun, lo hai fatto per cameratismo nei miei confronti! So che mi vuoi bene, non è stato un caso che finissimo in questo drama a recitare insieme! Anche i nostri personaggi sono amici!» sproloquiò per un po’ Ikuta, cercando di tirare su il morale di Shun, che aveva preso ad osservare con fare ossessivo le tre o quattro bottiglie di sakè ancora in piedi sul tavolo. Il suo intento era quelle di svuotarle con il pensiero, forse, perciò era inutile concentrarsi su quelle quattro o cinque già finite sul pavimento. Magari se il sakè finiva la serata si chiudeva e lui poteva tornare a casa… No, probabilmente ne avrebbero ordinate altre.
“Il tempo passa quando ci si diverte” non era sicuramente una frase da dire a Shun in quel momento.
«All’inizio nemmeno si sopportavano» fu la laconica risposta di Oguri, a cui Toma rispose con una risata priva di motivazione.
Ikuta sapeva che Oguri Shun o era allegro o era irritato. Cioè, ogni tanto mostrava anche una via di mezzo, ma lo scorrimento del tempo con lui dipendeva in particolare da come prendeva la cosa fin dal principio. Certo, se durante accadeva qualcosa che gli faceva cambiare idea la questione era diversa, ma in genere capitava solo se si trattava di passare dallo stato allegro a quello irritato.
Perciò, se Shun partiva con il piede giusto andava tutto bene, se vedeva tutto nero a prescindere era inutile tentare di convertire le sue idee, probabilmente avrebbe finito solo con l’irritarsi di più. Ah, che bel carattere gli aveva dato, sua madre. Da irritato era seriamente intrattabile, si passava così spesso la mano nei capelli che presto sarebbe rimasto senza, ma c’era da dire che quando era di buon umore era davvero una bella persona. Per non parlare poi di quel suo lato un po’ impacciato che tirava fuori qualche volta… sua madre sapeva di aver creato una persona bipolare o ne era anche lei all’oscuro?
Comunque, Toma pensava di conoscerlo piuttosto bene, dopo tutte le riprese fatte insieme e il rapporto che si era instaurato tra di loro. In più, chi poteva conoscerlo meglio di colui che lo aveva baciato ben dodici volte?
«Per farmi perdonare…» parve pensarci su, eh, giusto perché era chiaro che voleva fare le cose per bene. Shun attese, era seriamente curioso di scoprire come il ragazzo si sarebbe fatto perdonare per quel colpo basso.
«Ti pago un caffè» concluse infine e Oguri fu tentato di far incontrare la sua testa contro il tavolo.
«Come minimo dovresti perderti i prossimi dieci concerti di quel gruppo per cui stravedi tanto, i Gray, quel che sono loro…» buttò lì, sapendo che il giovane sarebbe stato prossimo ad un infarto, anche solo sentendo una cosa del genere.
«I Glay, Oguri, i Glay, impara il verbo» e detto ciò si rifiutò di commentare la possibilità offerta dall’amico. Aveva i brividi solo a pensarci.


Moshimoshi~ bar, Sala 3B, 00:16




«Neh, dici che ce ne possiamo andare?» si azzardò a chiedere Ikuta, non trattenendo nemmeno un rumoroso sbadiglio, che comunque non venne sentito se non da Shun, a pochissima distanza da lui.
Ovviamente, la cosa era degenerata, i manager si erano lasciati prendere la mano, le cravatte erano volate a destra e a manca e il sakè era scorso a fiumi, in quella sala maledetta di quel bar altrettanto maledetto. Shun era indeciso se chiedere il licenziamento del suo agente, visto che anche lui ora stava ridendo in maniera indecorosamente sguaiata, ma infondo aveva tentato di trattenersi. Lui ci aveva provato, il suo caro manager Shinobu san, ma alla fine aveva ceduto anche lui.
«Non ne ho idea» borbottò Shun, che era sul punto di chiudere gli occhi e dormire. Sognarsi lontano da lì sarebbe stata in cima alla lista dei suoi sogni, ma per il momento doveva accontentarsi dell’incubo reale.
In verità, Oguri se ne sarebbe andato molto volentieri, ma solo a costo di poter lasciare Toma lì. Era tutta colpa sua se a quell’ora non poteva essere a casa sua, nel suo letto, a guardare la sua televisione a schermo piatto, in attesa che il sonno se lo prendesse per un paio d’ore.
«Ah, ho troppo sonno» ancora uno sbadiglio e Toma si passò una mano tra i capelli, tentando di darsi una svegliata. Come azione non aveva un senso in sé, infatti il giovane continuava ad avere sonno e aveva solo i capelli rossi più scompigliati.
Ormai, anche se non se lo erano detto esplicitamente, tempo altri dieci minuti ed entrambi se ne sarebbero andati; probabilmente gli ossan lì presenti nemmeno se ne sarebbero accorti, troppo ubriachi e intenti a centrare il bicchiere con la bottiglia di sakè.
Ad un tratto, poi, mentre i due giovani tentavano di eclissarsi da quel tumulto di voci, uno dei presenti si voltò verso di loro, ridendo.
«Ohi, ragazzi! Perché non vi unite a noi~?» lo colse un singhiozzo improvviso proprio mentre parlava loro e sia Ikuta che Oguri temettero che potesse vomitargli addosso da un momento all’altro.
Per un normale istinto di sopravvivenza, sia per togliersi da davanti a lui sia per allontanarsi da quel pessimo odore di alcol, Shun e Toma si strinsero uno accanto all’altro.
«No grazie, Shimatta san» disse Ogurin, tentando di essere quanto più diplomatico; le risate che provenivano dal ragazzo di fianco a lui gli fecero alzare un sopracciglio.
Il tizio palesemente ubriaco scoppiò in una risata e tornò a parlare con il compare seduto di fianco a lui. Toma rise più forte.
«Che diavolo hai da ridere?» bisbigliò Shun, che davvero non capiva cos’avesse da ridere l’amico.
«Proprio Shimatta san? Che io sappia quello è Kusaka san» e continuò a ridere; Oguri suppose fosse per lo stress emotivo dovuto al fatto di trovarsi in un luogo del genere. Non faceva poi così ridere. Lo aveva solo chiamato Dannazione san, dov’era il problema? Eh, appunto.
Finalmente anche la crisi di risate di Toma cessò, ma proprio in quel momento il tal Kusaka san tornò all’attacco con la sua santa bottiglia di sakè.
«Massì, dai! Fate un altro giro!»
Ondeggiava da seduto, cosa che la diceva lunga sul suo stato di ubriachezza attuale.
Oguri voleva solo tornarsene a casa, possibile che proprio tutte a lui dovessero capitare?
A denti stretti si sforzò di rispondere senza insultare quel tizio, che non conosceva e che era quasi certo di non voler conoscere. Supponeva fosse anche lui l’agente di qualche sfortunato attore e non voleva nemmeno sapere di quale, visto che molto probabilmente sarebbe stato tendenzioso anche nei suoi confronti.
«No grazie, Kuso san» e di nuovo Shun non capiva perché Toma ridesse.
A quel punto Ikuta stava direttamente singhiozzando per l’ilare scena che gli si era posta davanti, perché se prima era Dannazione san, ora era diventato poco elegantemente Merda san, cosa che non era per niente lusinghiera.
Shun alzò gli occhi al cielo e fu davvero tentato di alzarsi ed andarsene. Tanto nessuno si sarebbe ricordato di niente il giorno dopo, sarebbe addirittura potuto passare e sputare in un occhio a tutti e tanto non ci avrebbero nemmeno fatto caso.
Oh, piove.
Ecco.
Ma era evidente che le sue disgrazie, per quel giorno, non erano destinate a concludersi.
«Oh, Oguri san, Ikuta saaaan! Bevete con noi, bisogna festeggiare! Presto il drama si concluderà e voi sarete pieni di soldi!»
Chi diavolo era che parlava?
Non si capiva molto bene, ma probabilmente era uno di quelli stesi per terra, perciò non valeva nemmeno la pena di controllare.
Toma tentò con qualche vana negazione sparsa, come «no, no, davvero, stiamo bene così», ma fu ascoltato come viene ascoltato qualcuno che non parla.
Shun non era dell’umore giusto per tirare avanti quella tiritera.
Stava giusto per far sapere alla comitiva che se ne tornava a casa, quando qualcuno, di nuovo non meglio identificato, parlò.
«Neh, neh, Oguri san~ non è che anche tu non reggi l’alcol come Sano kun~?»
Risate generali tornarono a riempire l’aria e qualche commento di assenso alla battuta precedente giunse fino alle orecchie di Shun.
Se c’era una cosa che l’Oguri non riusciva a sopportare erano quel genere di battute, in cui lo si prendeva in giro. Certo, si poteva semplicemente definire come permaloso, ma era davvero qualcosa che lo irritava.
Toma vide l’espressione di Shun farsi sempre più scura e temette il peggio non a cattiva ragione.
«Probabilmente è per questo che non ha bevuto quasi niente, il nostro Oguri chan~!»
«La nostra principessina astemia!»
«Solo acqua minerale per lui!»
Che poi non era nemmeno che Shun non bevesse mai, ma era chiaro che quando era in sé lo faceva con moderazione. Poi, se era di cattivo umore era anche capace di ubriacarsi e picchiare qualcuno, ma in genere si tratteneva.
«Shun…» lo richiamò Ikuta, ma non venne minimamente preso in considerazione.
Invece di fare una strage in pieno stile Crows Zero, che forse gli avrebbe anche restituito molta più dignità, afferrò la bottiglia che Insulto-a-caso san gli stava sventolando davanti e si riempì il bicchiere.
Una volta.
Due volte.
Tre, quattro, cinque, sei.
«Shun… Guri chan… ehi…»
Sette, otto, nove, dieci e ancora, ancora, ancora.
Toma deglutì, prevedendo il peggio del peggio.


Moshimoshi~ bar, Sala 3B, 1:19




«Shun… Shun, mi senti?» chiese Toma, tirando una ciocca di capelli all’amico.
Il ragazzo era riverso sul divanetto su cui prima erano stati seduti entrambi, poi Ikuta era stato simpaticamente scacciato dal compare perché quest’ultimo aveva sostenuto che «ho male al sedere, spostati!»; no, stava tutto fuorché bene, era letteralmente fuori di sé. E non perché fosse impazzito da un minuto all’altro, ma perché Shun aveva dato un brillante esempio di intelligenza mancata e, offendendosi per i commenti di una manica di ossan ubriachi, si era ubriacato anche lui.
“Tzè, figurarsi se non reggo l’alcol”, Toma lo aveva sentito piuttosto distintamente dire quella frase più o meno quando dal tredicesimo bicchierino era passato allo stracolmo quattordicesimo. Non aveva la più pallida idea di quanti ne avesse buttati giù, ma di lì in poi la situazione era degenerata.
Gli altri erano nella fase di relativa calma, in cui biascicavano qualche parola di tanto in tanto, ma non facevano più il casino di poco prima. Una buona parte se la dormiva sonoramente, perciò era questione di tempo prima che si svegliassero da soli e decidessero di tornare a casa.
Come, nessuno voleva saperlo.
Toma non era esattamente sobrio, si poteva dire che era il meno ubriaco tra tutti; era un po’ più di brillo, ecco. Riusciva ancora a camminare decentemente, distingueva i contorni degli oggetti e non sentiva l’irrefrenabile bisogno di iniziare a ridere per un nonnulla.
Beh, per Ogurin le cose stavano decisamente messe peggio.
Eppure a vederlo da fuori appariva come una persona decisamente assennata, come poteva farsi incastrare da giochetti del genere? Fatti da gente che non sapeva nemmeno più scrivere i kanji del proprio nome, poi. Ora nemmeno Oguri ne era in grado, non era nemmeno cosciente per poterne essere fiero.
Se degli altri commensali, comunque, non gliene importava granché di come se ne tornavano a casa, Toma era piuttosto preoccupato per Shun; era stato lui che se lo era praticamente portato dietro ed aveva finito per ubriacarsi. Sì, si era ubriacato da solo, ma in senso lato si poteva anche dire che era un po’ colpa sua. Aveva il complesso della vittima, fantastico, ma quella non era una cosa che doveva appurare in un momento del genere.
Oguri continuava a dormire, nonostante i suoi richiami. Aveva la faccia premuta contro lo schienale del divanetto e le gambe penzolavano fuori: come faceva a non svegliarsi da solo, scomodo com’era?
«Ohi, Oguri! Guri chan, svegliati… dai, ti porto a casa» continuò scuotendolo e finalmente ottenne una reazione.
Dall’attore più anziano provenne qualche mugugno sconnesso, forse un semplice suono imprecisato o il risultato mal riuscito del tentativo di dire qualcosa. Toma lo girò praticamente di peso e in un attimo si trovò uno Shun che lo osservava piuttosto assonnato. Aveva gli occhi lucidi, probabilmente non era nemmeno completamente sveglio.
Di secondo in secondo, comunque, sembrava riprendersi sempre di più, fino a che non prese ad osservarlo con insistenza, gli occhi decisamente più aperti di prima.
Che diavolo aveva da guardare? Non era che doveva vomitare, vero?
«Shun, dai, andiamo-» non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere una singola parola che il ragazzo prese a ridere in maniera del tutto incontrollata.
Rideva come mai lo aveva visto fare ed era quasi certo che presto si sarebbe ammazzato da solo, incapace di fare due cose insieme, ridere e respirare.
Doveva portarlo fuori di lì, a casa sua, dopodiché lui se ne sarebbe tornato alla propria e avrebbe fatto finta che nulla fosse realmente accaduto.
Al momento, comunque, Shun gli si era aggrappato ad un braccio, continuando a ridere con le lacrime agli occhi.
Angosciante a vedersi.
Toma fece leva sul suo lato autoritario – non ne aveva realmente uno, se lo era inventato sul momento – e si alzò in piedi, prendendo Shun per un braccio e trascinandolo fuori dalla saletta.
Non oppose grande resistenza, cosa che gli fece tornare un barlume di speranza.
Come si dice, la speranza è l’ultima a morire, ma questo semplicemente perché crepa prima quello che spera e, in sequenza, la speranza bastarda che poi si è rivelata pure inutile.
«Prendiamo almeno la bottiglia» biascicò tra una risata ed un’altra, tentando di afferrare il contenitore del sakè.
«Nah, non credo ti possa essere utile, ora, Shun, che ne dici se andiamo solo a casa?» disse di rimando, usando un tono accondiscendente, ma che servì a poco.
«Ma io ho sete!» protestò, con quel suo tono e atteggiamento infantile che non gli si addicevano neanche un po’. Cioè, aveva vent’anni passati, non era più un bambino!
Poi Toma vide la faccia, con quell’espressione da cagnolino bastonato che era certo di non aver mai visto, e si chiese da dove venisse fuori un essere del genere.
«Scordatelo, berrai a casa» la sua autorità scemò sotto il peso della demenza da sbornia di Ogurin, che era destabilizzante. Ikuta lo conosceva solo nella sua versione sobria, quella parte di lui sperava di non doverla vedere mai più. O, al limite, avrebbe potuto sopportarla solo se anche lui fosse stato ubriaco.
«Dai, Toma chan, dai~» e Shun prese nuovamente a sporgersi verso il tavolo, rischiando di far cadere entrambi. Il più giovane dei due si sforzò enormemente per trattenere l’altro, ma non era esattamente poco forzuto, il giovane.
Poi quel Toma chan era stato agghiacciante.
Ad un tratto, Shun smise di muoversi spasmodicamente verso il liquore e si fermò di colpo. Anche le mezze risatine cessarono e Ikuta temette due cose: o si era addormentato o era morto.
Nessuno dei due, constatò allungandosi per vederlo in faccia, ma scoprì che aveva un’espressione spaventosamente seria. Gli ricordava un po’ le scene che faceva con Sano Izumi, quando diventava estremamente scazzoso, giusto per rendere bene l’idea.
«Shun?» chiese, ma non ottenne risposta.
Poi il ragazza gli diede un mezzo spintone e Toma imprecò per la sorpresa.
«Devo prendere la bottiglia» asserì Oguri con estrema serietà, impiegando quanta più forza aveva in corpo per liberarsi dalla presa di Toma.
Giusto per precisare, nessuno dei presenti diede cenno di vita, erano tutti collassati.
Fantastico, meno male che il giorno dopo era domenica.
Dannazione, gli aveva pestato un piede. Cos’aveva ai piedi, ferro?
«No che non devi, Guri, sembri un pazzo psicopatico con crisi di… di… d’identità!»
Calò nuovamente un silenzio agghiacciante, in cui Shun si calmò nuovamente.
Che altro raptus gli sarebbe preso quella volta?
Un bel pianto liberatorio, magari? In una scena molto alla Nakatsu, si immaginò un terribile scenario in cui Oguri piangeva disgrazie di gioventù e lui lo rincuorava chiamandolo amore della mamma. Voleva morire solo per averlo pensato.
Contro ogni terribile e nefasto filmino mentale di Toma, Shun semplicemente scoppiò in una nuova ondata di risate.
«Cosa, questa volta?» si informò, anche se non sapeva quanto potesse essere di qualche utilità la risposta data da un ubriaco che non si reggeva nemmeno in piedi; non per altro era completamente abbandonato addosso a Toma.
«Ah… ahah, non ti veniva la parola!» Toma si trattenne a stento dal fargli notare che non faceva ridere: era inutile parlare con lui in quello stato.
Ikuta non sapeva esattamente se sarebbe stato un bene o un male che Shun ricordasse tutto il giorno seguente.
«Dai, vieni, su» lo esortò, ma invano: dovette trascinarlo fuori lui, mentre in Ogurin si alternavano momenti di irrefrenabile ilarità e momenti di completo silenzio.
Riuscì ad arrivare fino alla sala principale del bar, in cui, peraltro, non c’era quasi nessuno: perfetto, era un posto dal nome strano, puzzolente e poco frequentato. I loro agenti sapevano davvero quel che facevano, non c’era che dire.
«Dai, Shun, tirati su» lo incitò, ma il ragazzo non sembrava volerlo ascoltare più del dovuto. Ora sembrava parzialmente addormentato, ma tempo dieci minuti e si sarebbe ripreso. Meglio darsi una mosse ed andarsene.
Sfortunatamente per lui, però, proprio mentre stava per uscire la sua attenzione venne richiamata da quella che doveva essere la gestrice del bar o una barista, non lo sapeva nemmeno lui.
Quando era entrato, svariate ore prima, non aveva fatto molto caso a cose o persone, era stato troppo concentrato a disperarsi da solo per l’enorme sfortuna che gli era capitata quel giorno.
Era dietro al bancone alla sua sinistra, voltata di spalle, perciò vedeva solo la testa coperta da una lunga chioma di capelli scuri.
«Andate già via?» chiese, con voce sommessa, mentre lucidava un bicchiere.
Sembrava l’inizio di una scena da film horror, chi era l’assassino lì dentro?
«Ahm, sì, siamo stanchi» rispose, mentre Shun emetteva sibili poco incoraggianti. Se si era davvero addormentato Toma era pronto ad ucciderlo.
«Non volete fermarvi un altro po’? Vi offro da bere, così mi fate un po’ di compagnia!» tentò di convincerli e Toma cercò parole gentili per rifiutare.
Shun era ancora bellamente morto sulla sua spalla.
«No, davvero, sarà per la prossima» il giorno in cui Toma avrebbe rimesso piede lì dentro sarebbe stata anche la fine del mondo, perciò non aveva di che preoccuparsi.
«Ah, è un vero peccato… che dici, almeno il tuo nome posso saperlo?» chiese con fare civettuolo e Ikuta sentì un brivido di freddo percorrergli la schiena.
Non era esattamente intenzionato a dirglielo, ma non sapeva trovare un modo gentile per rifiutare quell’innocente richiesta. Cioè, solo il nome… l’unica alternativa era scappare letteralmente, ma preferiva cercare una soluzione migliore.
Comunque, non ebbe tempo di pensare ad altro, visto che la barista si voltò verso di lui, parlando per prima.
«Il mio nome è Joruri, dolcezza!» e gli mandò un bacio volante che Ikuta vide schiantarsi letteralmente addosso a sé.
A quel punto, comunque, non sapeva più se quello fosse un barista o una barista, ma alla fine, poco lucidamente, giunse alla conclusione che quello era un travestito, cosa che faceva di lui un barista travestito.
Sì, iniziava a risentire anche lui dell’ora tarda e del sakè che, volente o nolente, aveva bevuto. La tal Joruri, comunque, continuava ad osservarlo sbattendo le sopracciglia con fare allusivo e si accarezzava la faccia con almeno mezzo centimetro di barba; era il fine settimana anche per lei.
«Allora? Niente compagnia?» si informò ancora, languida.
Toma non sapeva cosa rispondere, infatti balbettò un paio di cose senza senso.
«Mh, no, non credo…»
«E il tuo compagno cosa ne pensa?» domandò ironicamente, adocchiando l’addormentato Shun, che in quel preciso istante Ikuta scoprì non essere addormentato.
Toma lo osservò e gli vide in volto un’espressione piuttosto seria, quasi irritata. O forse lo si poteva anche definire solo molto concentrato.
«Shun?» bisbigliò, ma il ragazzo continuava a fissare la donna. La donna Uomo. Joruri, ecco. La fissava spudoratamente e dall’espressione Toma non capiva se volesse sputarle in un occhio o farla entrare di testa nel lavandino. Aveva perfino una ruga tra gli occhi, sul naso.
Stava esagerando; in compenso Joruri rideva tranquilla.
Toma non sapeva cosa era in grado di fare Shun da ubriaco, perciò era meglio farlo uscire subito prima che facesse qualcosa di sconsiderato.
«Guri chan, andiam-»
«Stiamo un altro po’» decretò infine, iniziando a muoversi vero il bancone con rinnovata forza. Tre secondi prima non stava dormendo completamente addossato a lui?
E poi, cosa? Stiamo un altro po’ cosa? Toma era allibito.
Si aspettava che la picchiasse, non che volesse restare.
Shun era fin troppo strano per i suoi gusti.
«Ah, il ragazzo sa il fatto suo! Bravo Shun chan, vieni a farmi compagnia!» civettò Joruri, facendo segno al ragazzo di avvicinarsi ed, in risposta, Shun prese a muoversi con più forza nel tentativo di liberarsi da Toma, che a sua volta provava a trattenerlo.
Era esattamente come prima per il sakè, solo che ora smaniava per tenere compagnia ad una donna con dieci centimetri di barba. Fantastico.
«Shun… davvero… non è il caso» provò ancora, ma non voleva proprio dargli ascolto.
«Ah, che disfattista il tuo amico! Non vuole proprio lasciarti divertire!» ci si mise anche lei a girare il dito nella piaga.
Finalmente, Shun riuscì a liberarsi da Toma che aveva tentato fino all’ultimo di trascinarlo verso la porta trattenendolo per la camicia.
Ikuta fu sul punto di buttarsi sul pavimento e rotolare. Era angosciante vedere Shun comportarsi in quel modo, spaventoso a modo suo.
Oguri si diresse fino al bancone, dove si appoggiò con le mani. E si sporse. Si sporse ancora e ancora e Ikuta temette il peggio – voleva baciarla? Cielo, voleva baciarla, baciarlo, quel che diavolo era! –, mentre invece Joruri pensava di aver vinto alla lotteria.
Poi si fermò di colpo.
«Ah. Ma sei un uomo. Ah. Ah, scusa, Joruri kun» detto ciò tornò da Ikuta, mentre l’animo sensibile e delicato di Joruri veniva dilaniato dalle spassionate e disinteressate parole di Shun. Che insensibile.
Ikuta non sapeva se ridere, piangere, essere sollevato o triste per la cattiveria di Oguri verso Joruri. Poteva avere un po’ di tatto, eh.
Un attimo dopo, comunque, Shun era di nuovo addossato a lui, che lo fissava con fare poco reattivo.
«Andiamo a casa» biasciò un attimo dopo, dandogli qualche colpo con la mano.
Non era un cavallo, eh. Comunque, Toma lo trascinò fuori, tra le lacrime di Joruri – «Screanzato! Non ti sposerai mai con quel tuo caratteraccio! Buzzurro!» – e la sua disperazione: quando sarebbe finita?


Casa Ikuta, camera di Toma, 2:36




Giusto perché la fortuna era dalla parte di Toma come la sobrietà era da quella di Shun, l’Ikuta si era reso conto troppo tardi che non aveva la più pallida idea di dove abitasse il ragazzo.
Certo, la sua idea era stata quella di portarlo a casa e, se necessario, smollarlo anche sul portico in attesa che qualcuno se lo portasse dentro, ma non sapeva nemmeno in quale via stesse, perciò i suoi piani erano falliti.
Alla ripetuta domanda di Toma «Dove abiti?» Shun prima non aveva risposto, poi aveva riso e infine se n’era uscito con un sorriso furbo, coronato da due fossette da bambino di cinque anni e gli aveva schiaffato in faccia un sarcastico «se-gre-to».
Simpatico, sicuramente molto.
Il tutto si era concluso con la mesta decisione di Toma di portarselo a casa sua, visto e considerato che non sapeva dove altro lasciarlo. Certo, in mezzo ad una strada sarebbe stata un’ottima ricompensa per la risposta deficiente di prima, ma aveva ancora abbastanza raziocinio da ricordare che era ubriaco fradicio, con più sakè in corpo di acqua.
Lo aveva caricato in macchina e, fortunatamente, quando aveva smesso di giocherellare con il condizionatore, si era addormentato.
Più sveglio che addormentato, lo aveva trascinato dentro casa, tentando di fare il minor rumore possibile, anche se con le continue risatine di Shun – si era svegliato, sì – non era stato semplice. Aveva iniziato a ridere con foga quando erano inciampati nei gradini fuori dalla porta, poi non aveva più smesso. Colpa sua, perché non si era degnato di alzare nemmeno un piede e per trascinarlo di peso Toma aveva rischiato di far cadere entrambi.
Non sapeva nemmeno lui, poi, come aveva fatto a guidare: gli occhi gli si chiudevano da soli. Appena arrivato in camera, piazzò Shun sul letto e decise che sarebbe andato a dormire immediatamente, senza neanche andare in bagno; alla doccia ci avrebbe pensato il giorno seguente.
Comunque, il suo piano si basava principalmente su quella che credeva una costante piuttosto sicura – più di tutto il resto, comunque: il fatto che Ogurin si sarebbe messo a dormire se non proprio subito, al massimo nell’arco di cinque minuti.
Lo aveva scaricato sul letto come un sacco di patate e si era adoperato per tirare fuori il suo futon, che piazzò di fianco al suo letto: era pronto anche a dormire per terra, pur di poterlo fare e basta.
Inizialmente non lo sentì nemmeno fiatare, cosa che lo aveva fatto sperare in meglio. Nell’oscurità non lo vedeva, ma era palese che dormiva già.
Toma si mise nel suo futon e chiuse gli occhi.
Attese.
Il silenzio c’era, il sonno pure, allora perché diavolo non si addormentava?
Doveva essere sicuramente la nottata peggiore della sua vita, peggiore perfino di quella in cui aveva passato i tre quarti della nottata in bagno, a causa di Dio solo sapeva cosa aveva mangiato a cena.
Comunque, forse era solo destino che non gli fosse concesso di dormire, perché oltre a non riuscirci di suo, ad un tratto ci si mise anche Shun.
Emetteva versi strani, come un sibilo sommesso interrotto da dei picchi più alti. Stava mica russando?
Beh, stava russando, cosa che Toma apprezzò più o meno come un calcio in uno stinco. Purché rimanesse addormentato, comunque, era pronto anche a farlo russare come il più rumoroso dei tromboni.
Russare, però, non era l’unica cosa nei suoi intenti, infatti ad un tratto prese a dire parole sconnesse, sempre che quei muggiti mal riusciti fossero reali parole.
Ikuta pensò giusto ad un paio o più di insulti, fermo ed immobile nel suo futon, prima di decidere che forse era il caso di accertare la situazione.
Continuava a mugugnare qualcosa, il caso umano.
«Shun? Sta’ zitto» disse Toma, che non pensava di poter sopportare oltre per quel giorno. Ad un tratto Oguri disse qualcosa con un tono un po’ più alto e un attimo dopo ci fu un tonfo. Era caduto dal letto.
Era caduto su di lui.
Per lo spavento, Toma piantò un mezzo urlo prima di coprirsi la bocca e darsi una calmata. «Shun? Sveglia, Shun!» sibilò con foga, nel tentativo di toglierselo di dosso.
Non era particolarmente pesante, ma era incastrato con la testa contro il comodino, il letto di fianco, la scrivania dall’altro e l’irritante questione in testa: perché non aveva messo il futon dall’altro lato, dove c’era più spazio?
«Shun, cavolo!» ma non si muoveva, nemmeno dopo le due o tre ginocchiate che gli aveva rifilato nel tentativo di spostarsi.
Ad un tratto, Toma gli afferrò la testa: magari se lo prendeva a schiaffi si svegliava, doveva avere qualche zona in cui era più sensibile e che lo portava a risvegliarsi, no?
Nel momento esatto in cui gli spostò la testa, ebbe il volto di Shun a mezzo centimetro dal suo, ma ciò che lo spaventò non fu la vicinanza. Cioè, anche, ma ciò che per poco non lo fece urlare di nuovo fu il fatto che gli occhi del ragazzo erano tragicamente spalancati.
Era spaventoso, inquietante.
Perciò era sveglio? E continuava a pesargli addosso come se nulla fosse? L’attenuante dell’ubriachezza iniziava a stargli un po’ stretta e presto non sarebbe più bastata a Toma per trattenerlo dal fargli fare una brutta fine. Che importava se uccideva uno degli attori più promettenti del Giappone? Se ne sarebbero tutti fatti una ragione, specialmente tutte le fan che si sarebbero suicidate a catena per seguire il loro idolo defunto.
«Shun, sei diventato stupido? Alzati, sei pesante!»
Non rispondeva.
Era morto?
Notando che non diceva nulla, Toma iniziò a temere che forse tanto sveglio non era. Spostandolo, con una certa difficoltà, di lato, prima a destra e poi a sinistra, vide che i suoi occhi rimanevano fermi.
Dormiva con gli occhi aperti? Davvero? Fantastico.
Ikuta riprovò ancora qualche volta a spostarlo da sopra di lui, nel tentativo, almeno, di togliersi lui da sotto, ma si era rivelata un’azione impossibile.
Si arrese all’evidenza e lo lasciò cadere di colpo.
Quello parve riuscire a svegliarlo: infatti prese a mugugnare parole sconnesse.
Lui stesso si tirò su sui gomiti e guardò confuso Toma. Continuò a fissarlo con quell’aria un po’ ebete, senza dire nulla.
«Non è che avresti voglia di alzar-» non ebbe tempo di terminare la sua spassionata e vitale richiesta.
«Anche tu sei un uomo, Toma chan» gli sorrise con quelle sue diavolo di fossette e Toma non parve capirci molto. «Va beh» concluse noncurante e detto ciò, dopo aver espresso la sua personale condizione sul sesso di Ikuta, decise che per chiudere bene la nottata tanto valeva baciarlo.
Anche se quella scena era già successa qualcosa come dieci o dodici volte, Ikuta non si sentì esattamente come tutte quelle volte. Forse perché fino a quel momento Nakatsu aveva baciato Sano, ora era Toma che baciava Shun.
Non risolveva molto la faccenda, quella considerazione, più che altro gli faceva capire che aveva ottime doti recitative.
Poi si staccò da lui e lo osservò, scoppiando a ridere.
«’notte.»
Così dicendo, si rimise a dormire.
Addosso a Toma.
Mentre il suddetto Toma era ancora intento a metabolizzare il tutto.
Ora avrebbe dormito in un batter d’occhio, sicuramente.


Un bel po’ di giorni dopo




«Ah, deve essere stata una bella esperienza girare Hanakimi, eh?» chiese estasiata l’intervistatrice, al fine delle domande di routine sul drama che avevano appena concluso di girare.
Toma e Shun annuirono sorridenti, sinceri come poche volte in vita loro. Giusto poco prima avevano finito anche un’intervista con Maki ed erano giunti alla stessa conclusione.
«La ripetereste?» chiese ancora la giovane donna, alla ricerca di informazioni salienti per le fan che attendevano trepidanti notizie sui due attori e il drama.
«Volentieri» fu la pacata risposta di Shun.
«Certo! So che è programmato uno special, perciò presto saremo di nuovo sul set!» commentò allegramente Toma, che non vedeva davvero l’ora. Inspiegabilmente il personaggio di Nakatsu Shuichi gli si era incollato addosso anche fuori dal set. Certo, non sarebbe stato ottimale in caso avesse deciso di interpretare un ruolo serio, ma ci avrebbe pensato poi.
«Bene, ultima domanda! Qual è stata la parte che vi è piaciuto recitare di più?»
L’intervistatrice rimase piuttosto perplessa alla risata in cui scoppiò Toma e al sorriso piuttosto divertito che le mostrò Shun.
«Il bacio» disse Ikuta mentre si calmava «Il bacio, il bacio, neh, Shun?» chiese conferma all’amico, che annuì di rimando.
«Che bacio?» chiese curiosa la donna.
«Quello tra Sano e Nakatsu. Quando Sano beve diventa un baciatore folle» commentò Oguri sorridendo e Toma per un attimo perse l’ilarità, visto il possibile parallelismo che si era venuto a creare.
Sano, Shun; il primo bacia, il secondo… beh, pure.
«Deve essere stata una cosa nuova per voi, vero?» commentò contenta la donna, felice di aver trovato il pezzo forte di quell’intervista. Le fan sarebbero morte dalla felicità e lei sarebbe morta ricca, cosa voleva di più?
«Sì, tanto nuova che l’abbiamo ripetuta piuttosto spesso!» esclamò divertito Toma e Shun non ci mise un secondo di più a fornire i dati esatti.
«Toma ha le labbra più morbide che io abbia mai baciato» asserì convinto, poi aggiunse: «Posso dirlo con una certa sicurezza dopo averti baciato dodici volte!»
No, no, erano tredici, peccato che l’ultima Oguri non se la ricordasse proprio.
Mentre l’intervista procedeva incentrata sui dettagli dei dodici baci di scena, Toma convenne che bastava che la ricordasse lui, la tredicesima, quella che non c’entrava con il set.


Aaaaah~ mondiù, ‘sta cosa mi ha sfinito psicologicamente. Ecco perché ho in mente una seconda shot vagamente collegata <3 incoerenza portami via XD
Ci sono più cose insensate qui che in un drama in cui ci ficcano per forza un finale felice anche quando non tiene per niente, ma va bene così, su, cosa ci sarebbe di divertente se no?u__u’ Mh, per la storia del riferimento a Crows Zero: sia Hanakimi sia Crows Zero sono stati fatti nel 2007, ma non so quale prima e quale dopo… visto il taglio di capelli di Oguri sarebbe più logico pensare che Crows è venuto dopo X’D, ma per esigenze di trama si fa questo ed altro!
Da qualche parte nel mondo esiste un Moshimoshi~ bar, quando andrò in Giappone – e ci andrò, dopo essermi laureata in Giapponese, sì, la speranza è l’ultima a morire – lo cercherò e… beh, se possibile scappo prima di trovare Joruri (il nome ha un perché, non l’ho messo a caso, uno dei miei traumi psicologici deriva da lì XD) tanto so che esiste pure lei **
Anche l’intervista è inventata *notare come ho fatto sparire Maki Horikita, voglio un oscar, thanks XD* ma la parte del bacio dato 12 volte e delle labbra morbide è vera X)
… appello random in una fanfic random: voglio una seconda seria di Hanakimi con Shun, Toma eh sì, non ne possiamo fare a meno, la Maki, non quella cosa che spacciano per un remake farlocco!ç___ç Nanba senpaaaai~
Ryokai, sloggio.
  
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