Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -6 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 6°°§
Le persiane erano sbarrate e
la luce filtrava appena tra le fessure.
Socchiuse la porta spiando con circospezione verso la strada.
Non c'era nessuno e il buio circondava la via permettendogli di nascondersi
nell'oscurità sebbene la temesse più di ogni altra cosa.
Deglutì.
Non era quello il momento di farsi prendere dal timore. Era tardi per tornare
indietro.
Fece un passo fuori dalla propria abitazione. Piccola. Bastava appena per una
persona sola e per i suoi dipinti che iniziavano ad esser troppi.
Eppure nessuno di essi valeva qualcosa.
Erano inutili quadri uguali a tanti altri. Erano spazzatura!
Corse veloce sulla strada, premendosi quanto più poteva contro i muri delle
abitazioni che la costeggiavano.
Sarebbe cambiato tutto quella notte.
Avrebbe finalmente ottenuto i riconoscimenti che meritava.
Sarebbe divenuto il migliore!
Un sorriso incurvò le sue labbra, respirò a pieni polmoni fermandosi un attimo a
riprender fiato.
Finalmente l'avrebbe fatta pagare a quei maledetti Hikari!
E riprese la sua folle corsa nella notte.
Corpi scivolati
nei secoli.
Accarezzati dal tempo che sfuggiva correndo all'impazzata e sottosopra.
Lancette di orologi portate indietro velocemente.
Date alla rinfusa e anni che si sgretolavano come se non fossero mai passati.
Quando Satoshi riaprì gli occhi quello che vide non fu più il tetto della
scuola.
Ma il grigiore era lo stesso.
Pietra bigia tutto intorno, eppure nessuna scuola.
Nessun edificio, cortile, o strade che lui avesse potuto riconoscere.
Scosse la testa premendola con la mano, gli doleva e forse il colpo era stato
troppo forte quando era caduto.
Ma cos'era successo?
Chiuse gli occhi.
Soltanto per un momento.
Silenzio intorno a sè.
Silenzio anche dentro di sè.
Com'era possibile?!
Non sentiva più la voce di Krad!
Quella voce che non lo abbandonava mai, che era come un'ossessione dolce e amara
allo stesso tempo.
Invece nulla.
Silenzio.
Riaprì immediatamente gli occhi voltando il capo in ogni lato alla ricerca di
qualcosa di famigliare.
Le vie erano deserte e la notte era calata su una città che, a dirla tutta, non
sembrava nemmeno Tokyo.
A fatica si rimise in piedi, stranito.
Sotto ai piedi non vi era più l'asfalto delle strade, ma pietre accostate tra
loro in modo quasi casuale e i segni dei carri le tracciavano in tutte le
direzioni.
Dov’era finito?
Ricordava di essere sul tetto
della scuola. Aveva visto Risa Harada, o quella che un momento prima aveva
creduto tale, abbracciata ad un ragazzo dai capelli rossi e, per un solo
colpevole istante, aveva avuto il timore che potesse trattarsi di Niwa. Ma Niwa
era con lui...
Niwa era salvo.
Balle.
Harada, o chiunque fosse stata in quel momento, aveva fatto loro qualcosa!
"Niwa!" come un fulmine a ciel sereno la sua mente fu attraversata da un flash.
"Niwa!" urlò ancora cercandolo, per poi trovarlo sdraiato a poca distanza da sè.
Sospirò sollevato, premendo due dita alla base del collo del rossino.
Respirava ancora.
Stava bene.
"Niwa." lo chiamò ancora scuotendogli una spalla.
"Niwa svegliati!"
Daisuke mugugnò qualcosa, volgendo il volto dalla parte opposta.
Era nero. Era tutto nero, lì.
E di chi erano quegli occhi blu?
Erano quelli di Risa? Quelli che aveva visto, mentre lei uccideva quel ragazzo?
Erano suoi?
Socchiuse appena le palpebre.
Chi è che lo chiamava?
Di chi erano quegli occhi di zaffiro?
“Hi…Hiwatari?” sussurrò, rinvenendo, trovandosi a fissare gli occhi preoccupati
del compagno di classe.
Era sveglio. E stava bene.
Scuotendo il capo, si mise a sedere, appoggiando poi una mano al pavimento per
evitare di cadere di nuovo.
Si guardò intorno.
Dove diavolo erano?
“Hiwatari… dove siamo?” mormorò, rivolto al ragazzo, tornando a fissarlo con i
grandi occhi color sangue.
"Non ne ho idea." commento l'altro scuotendo il capo.
Ma ad occhio e croce non erano più a scuole, su questo non c'era dubbio.
"Alzati, non possiamo rimanere qui." continuò alzandosi a sua volta, muovendo
qualche passo in una direzione a caso per poi ascoltare i rumori che vi
provenivano.
Silenzio.
La notte ingoiava ogni minimo rumore.
"Come ci siamo finiti qui...?" domandò a sè stesso poco prima di intravvedere
una figura umana attraversare la via di corsa.
Correva -o fuggiva- verso un edificio dismesso dall'altra parte della strada. Il
corpo coperto in gran parte da un mantello scuro che ne celava la forma e il
sesso.
Satoshi la vide guardarsi intorno, per controllare che nessuno la seguisse,
dopodichè spinse con forza la porta cigolante dell'edificio e vi entrò.
Non c'era nessun altro a parte quella figura e, uomo o donna che fosse stata,
tanto valeva chiedere a lei spiegazioni.
"Niwa!" lo chiamò per attirare la sua attenzione.
Non aggiunse altro, si limitò a correre dietro la sagoma sparita al di là della
porta.
“Eh?”
Daisuke si alzò di scatto in piedi, mettendoci qualche secondo per capire cosa
avesse detto Satoshi.
Be’, lo aveva solo chiamato.
… e ora dove diavolo stava andando?!
Accidenti!
“Ehi, Hiwatari! Aspettami!” esclamò, iniziando a seguirlo, correndo.
Ma tu guarda…
Corsero, seguendo quell’uomo col mantello che si era fermato, davanti ad una
casa vecchia e abbandonata, quasi.
“Finalmente…”
Lo sentirono sussurrare, nella voce una vena di follia.
Si fermarono dietro ad un muretto, per non farsi vedere.
L’uomo entrò dentro la casa, e subito loro s’affacciarono alla porta lasciata
aperta.
Non doveva vederli.
E invece l’altro si voltò verso di loro.
Ecco. Finito. Finish.
“…eh?” domandò Daisuke, per l’ennesima volta. Stupito.
Non aveva detto loro
niente.
Anzi, non li aveva neanche guardati.
Come se…
…come se non li vedesse.
Satoshi tirò per un braccio Daisuke, trascinandolo a forza dietro ad un muro
quasi completamente sbriciolato.
Anche lui si era accorto che l'uomo non li aveva visti, ma un'altra cosa ancora
lo aveva colpito.
Non erano soli.
Non più.
Gocce d'acqua cadevano dal soffitto mangiato dai tarli infrangendosi in una
piccola pozza sul pavimento sporco.
Gocce che cadevano con un ritmo monotono.
Lentamente.
Una dopo l'altra.
Non si udiva nient'altro.
Soltanto le gocce e il respiro affannato dell'uomo -ora potevano vederlo bene-
entrato prima di loro che si volgeva a destra e sinistra come un topolino alla
ricerca di una via d'uscita.
"Che diavolo sta aspettando...?" sussurrò il ragazzo, le dita strette in quelle
di Daisuke con cui lo aveva obbligato contro di sè. L'altro braccio gli
circondava le spalle e la mano era premuta contro la sua bocca per farlo tacere.
Il rossino poteva perfino sentire il battito leggermente accelerato del cuore di
Satoshi, ma non era quello il momento di pensare a certe cose.
Con la schiena completamente premuta contro la fredda parete, il ragazzo dagli
occhi di zaffiro si sporse appena per scoprire cosa stava accadendo.
E lo vide.
Li vide.
Occhi scuri creati nell'oscurità e apparsi dal nulla: blu era il loro colore,
intenso e scurissimo, ma troppe erano le loro sfumature perchè li si potesse
riassumere con un colore soltanto, ed il rosso alle volte si accendeva in quelle
iridi, ardendo come lava in un vulcano.
Un brivido passò per le spalle del ragazzo.
Un vecchio ricordo gli era tornato alla memoria guardando quegli occhi, parole
che un giorno qualcuno gli disse. Sua madre... anche se non la ricordava.
Il blu è il colore che il Dio Creatore proibì per la sua bellezza malefica.
Il blu è il colore degli occhi del Diavolo.
Trattenne il respiro quando, dopo i suoi occhi, vide le labbra muoversi per
formulare una frase rivolta all’uomo fin lì giunto.
“Sapevo saresti arrivato.”
Voce d’oltretomba.
Quella era LA Voce.
La voce del Demonio.
Fredda e affilata come pugnali di ghiaccio.
Delicata ed ipnotica come cristalli insanguinati.
Fredda, bassa, eppure estremamente sensuale, languida. Ti trascinava fino al
Paradiso, facendoti vedere gli Angeli.. e poi ti buttava tra le fiamme
dell’Inferno.
Autoritaria. Suadente. Perfetta.
Era la stessa voce che Eva aveva sentito nell’Eden. La stessa voce dalle mille
sfumature d’inganno.
E di quella figura vedevano solo gli occhi. Almeno per il momento.
Si voltarono ad osservare l’uomo.
Quello stava guardando quella figura –o quell’illusione?-. Il respiro affannato,
gli occhi spalancati, lucidi di follia.
“Sì.. ti… ti stavo aspettando…” mormorò, avvicinandosi all’altro.
“Dimmi cosa vuoi”
Quella voce.
La sua voce.
“Voglio sconfiggere loro… voglio sconfiggere gli Hikari. Voglio essere il
pittore migliore.” rispose, con un sorriso di pura pazzia sulle labbra.
Tutto per sconfiggere una famiglia.
Tutto per diventare un bravo pittore.
Tutto per diventare Il Migliore.
Il giovane che lo guardava sembrò come riflettere.
Si chinò a raccogliere un pennello malandato, che però non sembrò neppure
sfiorare quelle dita affusolate ricoperte da pizzo nero.
Un’espressione annoiata negli occhi proibiti.
“E sia.” Mormorò, infine.
Mosse qualche passo verso il pittore, porgendogli il pennello quasi rotto.
“Dipingi, ora. E diverrai il migliore.” sussurrò, lasciando scivolare la voce
nella stanza, impregnandola di lussuria soffocata e di promesse che sarebbero
state infrante.
Perché il Diavolo non regala mai qualcosa senza ottenere niente in cambio.
Povero, povero stolto quell’uomo, ad essersi fidato di Lucifero, che una volta
era l’Angelo più splendente e potente del Paradiso, e che ora non era altro che
il Re degli Inferi.
L’uomo fece per prendere il pennello ma quello gli cadde per l’ansia che lo
aveva invaso.
Stupido e patetico.
Si chinò immediatamente per raccoglierlo tremando di fronte a chi gli aveva
promesso fama e gloria.
Stupido ed ingenuo.
Era solo un uomo in fondo.
“Ti... ti ringrazio.” Blaterò prodigandosi in un goffo inchino per poi fare un
passo indietro.
“Ora va.”
Sia l’uomo che Satoshi videro quella mano avvolta nel pizzo muoversi con
un’eleganza quasi femminea, incitando l’altro ad andarsene prima che gli fosse
venuto a noia.
“S-sì... grazie, grazie ancora!”
Ma i suoi ringraziamenti giunsero ad una stanza vuota perchè colui con cui aveva
parlato, il Diavolo, o chiunque egli fosse stato, non c’era più ed il silenzio
era tornato a circondarlo con prepotenza.
Si voltò correndo velocemente verso la direzione dalla quale era arrivato,
impaziente di provare ciò che gli era stato donato.
Desideroso di mettersi all’opera.
“Dannazione!” imprecò Satoshi a bassa voce, schiacciandosi completamente contro
la parete quando quello gli passò a pochissima distanza.
Aveva dimenticato che tanto non avrebbe potuto vederlo.
Aveva dienticato che, per lui –e forse non solo- non era altro che vento tra i
capelli.
Sospirò sollevato, ricordandosi finalmente di avere ancora Daisuke abbracciato a
sè.
Abbassò lo sguardo a lui, rossi capelli si mischiavano con la propria maglia di
un azzurro forse più simile al grigio, e la guancia del ragazzino premeva a
forza contro il proprio petto. Lo riscaldava.
“Sarà meglio seguire quell’uomo.” Affermò senza alcuna intenzione di liberarlo
dall’abbraccio. Si era limitato a parlare guardandolo, in attesa che il compagno
di scuola alzasse gli occhi.
Daisuke alzò lo sguardo, annuendo placidamente.
Sentiva il cuore di Satoshi. Batteva forte. Tanto forte.
Ed era caldo. Stava così bene, lì...
Si riscosse solo quando anche l’altro si decise a seguire l’uomo.
Sentiva freddo, ora. Molto freddo.
Tremò quasi. Dov’era finito il calore di prima?
Insieme, seguirono quell’uomo, che aveva appena fatto letteralmente un Patto col
Demonio.
Quello era finito in un’altra casa. Appena migliore della prima.
“Finalmente… potrò.. battere quel dannato… Hikari..” ansimò, ridendo tra sé.
Folle. Ecco cos’era. Folle.
C’era già un cavalletto con una tela perfettamente bianca sopra.
Una sedia che non sembrava per nulla solida. Eppure il Pittore Maledetto si
sedette e, intingendo il pennello nei primi colori, iniziò a dare vita alla sua
opera.
All’Opera della sua Vita.
All’Opera del Diavolo.
Daisuke e Satoshi si affacciarono alla porta.
“Entriamo, Hiwatari..? Tanto non ci può vedere..” mormorò Daisuke, rivolto al
compagno di classe.
Chissà se lo avrebbe abbracciato ancora.
Chissà…
Satoshi annuì.
Soltanto.
Entrando.
Entrambe le mani libere, non lo stringeva più, non lo toccava più in nessun
modo.
Lo sguardo di zaffiro puntato avanti a sè e la mente subissata dai pensieri.
Aveva sentito perfettamente la frase che il pittore aveva pronunciato, parlava
degli Hikari... parlava della SUA famiglia!
Adesso sapeva dove erano finito, o meglio, a che periodo.
Perchè in realtà erano tornati indietro nel tempo, nei giorni in cui la sua
famiglia lavorava al dipinto per cui divennero i più famosi in tutto il mondo.
Per raggiungere il pittore dovettero fare le scale che non cigolarono nemmeno
sotto i loro passi, probabilmente perchè non le stavano mai salendo ma era
soltanto la loro immaginazione. Esattamente come quel luogo. Illusione.
Ma a quale scopo?
"Finalmente tutti riconosceranno la mia bravura."
Tendendo bene le orecchie Satoshi riuscì a percepire la voce incrinata dalla
follia del pittore.
Rideva anche, con un suono gutturale che metteva i brividi, e la sua mano
stringeva convulsamente il pennello con cui dipingeva.
Lo intinse nella tavolozza dei colori alla ricerca di un castano ramato che
riportò fedelmente sulla tela non più bianca.
Ed il dipinto prese vita.
Letteralmente.
Scie d'argento, oro e porpora si abbatterono sul quadro, soffocandolo con i loro
colori e brillando intensamente di una luce sinistra ed inquietante.
Satoshi non staccò mai gli occhi dal dipinto. La prima cosa che vide fu una
mano.
La pelle candida come neve e dita lunghe e affusolate che si spingevano ad
uscire dal ritratto.
I capelli erano raccolti in una cascata di boccoli castani dai riflessi del
rosso rame e la bocca incurvata in un sorriso.
Dolcissimo.
Troppo dolce per poterlo essere davvero.
"E' bellissima. Bellissima. E' assolutamente perfetta!" borbottò il pittore che
continuava imperterrito a dipingere.
Per lui quella bellissima ragazza non era mai uscita dal dipinto, così
continuava nel suo lavoro arricchendola di particolari.
Il colore delle labbra. Mele rosse del giardino dell'Eden.
La perfetta rotondità del seno e le sue forme, splendide in ogni dettaglio.
Gli zaffiri incastonati in un volto delicato ed ammaliatore.
Ed infine...
Parve dipingerle persino la voce.
Dolce, maliziosa, suadente, innocente, peccatrice, ingenua.
Una voce di sirena in bocca ad un angelo crudele.
Spalancò gli occhi di stupore Satoshi Hiwatari nel riconoscerla.
Era lei.
Era la ragazza che aveva visto sul tetto insieme a Daisuke e proprio il rossino
avrebbe dovuto riconosere in lei lo stesso viso del quadro che al museo aveva
incantato lui e Risa Harada.
Ed infatti, Daisuke aveva la bocca aperta dallo stupore.
Non solo per la bellezza del quadro, così delicata, così eterna, così…surreale.
Ma perché era lo stesso quadro che avevano visto.
E soprattutto, perché l’espressione negli occhi color cielo della ragazza, era
la stessa –anche come colore- di quella che aveva avuto Risa prima di cercare di
baciarlo. E prima di uccidere quel ragazzo.
“Ma.. ma quella..” mormorò, di fianco a Satoshi.
Non l’aveva abbracciato.
Anzi, l’aveva decisamente ignorato.
E per un attimo, Daisuke ci rimase male.
“Hiwatari… quel quadro.. è lo stesso che c’era alla mostra…” sussurrò, sebbene
il pittore non li potesse né vedere né sentire.
Non li avrebbe notati comunque, perché era troppo concentrato nel suo quadro
che, lentamente, sembrava come prendere vita.
“E’ perfetto.. assolutamente perfetto…” continuava a dire, tra sé, come in
trance, gli occhi uguali a quelli di un innamorato.
E lui era innamorato, di quel quadro, di quella ragazza raffigurata che tendeva
una mano verso di loro, come ad invitarli nel suo Eden, nel suo Paradiso, fatto
di sensi carnali, mani bianche e occhi blu.
“Sì… tu sei la Perfezione, mia cara… tu sei.. sei…”
Continuava a ripeterlo, idolatrandolo.
“…Tu sei Eve…”
Eve. Eva.
Lo stesso nome della Prima Donna.
Lo stesso nome della Prima Peccatrice.
Lo stesso nome di colei che aveva compiuto il Peccato Originale.
“…Sei la Musa del Diavolo…”
Il nome che l'uomo scelse per il quadro non poteva essere più giusto.
Satoshi trattenne il fiato mentre Eve concesse un sorriso al pittore.
Il suo creatore.
Pazzo.
Davvero si credeva in grado di compiere tali meraviglie?
Illuso! Il desiderio di vendetta gli aveva dato alla testa!
La mano diafana di Eve si mosse posandosi sul capo dell'uomo. Una carezza fredda
come il vento.
Si abbassò sfiorandogli l'orecchio con le morbide labbra.
"Fanne un altro." sussurrò. Suadente. Incantatrice.
"Sì. Un altro. Devo.. devo farne un altro! Ne farò a decine... a centinaia!!!"
esclamò l'uomo.
Malato.
Perso in larbirinti di pensieri che lo avrebbero inesorabilmente condotto
all'autoannientamento.
Subito scostò il quadro prendendo una nuova tela ed iniziando a dipingere anche
quella. Ne avrebbe fatti tanti altri, e poi li avrebbe sbattuti davanti alla
faccia stupita ed umiliata di quel maledetto Hikari, suo rivale da sempre.
Sempre un passo davanti a lui. Primo in tutto.
Maledetto!
Ma ora non era più come prima!
Era tutto cambiato. Tutto. Tutto quanto!!!
"Ahahahah!!! Adesso sono io il migliore!!!" gracchiò con voce roca, raschiando
la gola con la sua insana risata.
E ancora dipinse.
Per tutta la notte mentre, accanto a sè, Eve sorrideva.
Spaventosa nella sua innaturale bellezza.
"Dobbiamo..."
Era stato Satoshi a parlare, a fatica persino.
"Dobbiamo andarcene da qui..." mormorò ancora rabbrividendo.
Non gli piaceva quella donna.
Non gli piaceva affatto.
Si volse verso Daisuke con aria seria.
"Dobbiamo allontanarci. Subito!"
“Ma… Ma Hiwatari…” balbettò Daisuke, venendo però subito trascinato via dal
compagno, per un polso.
Corsero giù per le scale, senza un motivo –almeno secondo Daisuke- , mentre
ancora la risata folle del pittore li tormentava.
“Hiwatari! Perché stiamo scappand…”
Ma la loro “fuga” fu interrotta.
Entrambi si fermarono.
Dinnanzi a loro, stava lo stesso uomo che avevano visto prima.
Le stesse iridi blu, pregne di mille e mille sfumature.
La stessa espressione annoiata, maliziosa.
Gli stessi occhi di chi è destinato all’Eternità.
La stessa carnagione diafana.
Le stesse morbide labbra inclinate in un sorriso appena accennato, che regalava
sogni di vetro infranti.
La stessa bellezza immortale ed unica.
La stessa potenza irreale.
Lo stesso Diavolo.
“Voi non dovreste essere qui” sussurrò, con tono morbido, che li accarezzò come
un velo di seta.
Eppure Daisuke tremò.
Non gli piaceva quel tono. Era troppo dolce, troppo suadente…
“Forse, dovreste tornare da dove siete venuti.. mh?”
Sorrise, quell’eterno ragazzo dagli occhi di zaffiro.
Sorrise, e l’Eden immaginario scese su di loro.
Sorrise, e si ritrovarono circondati dalle fiamme dell’Inferno.
“Che diavolo…” sibilò Daisuke, guardando attraverso quelle fiamme che, invero,
li stavano circondando.
“Fai bene a parlare del Diavolo, Daisuke Niwa…” sussurrò ancora quello,
socchiudendo appena le palpebre di neve, e stringendo il cerchio di fiamme.
Iniziarono a sentire il calore degli Inferi.
Daisuke chiuse gli occhi.
Appena in tempo per vedere Lucifero sorridere, come un bambino che strappa le
ali ad una graziosa farfalla.
Ma le farfalle erano loro, adesso.
Le fiamme si avvicinarono.
E fu solo buio e tenebra.
E in tutto quel nero, continuò a vedere solo due occhi simili allo zaffiro più
puro.
†6° CAPITOLO FINE†