Le pretese del consiglio di amministrazione della
famiglia Price divennero pressanti.
Arrivarono perfino a convocarmi.
Mio
padre non fu presente a quell’incontro.
Non mi feci minimamente
intimidire.
Non avrei mai lasciato Kim.
E non avrei abbandonato una
brillante carriera calcistica, non ancora al suo apice!
Tornai casa, sfinito
da tre ore di lunga ed inconcludente discussione.
Kim aprì la porta e mi
sorrise.
A quella vista la stanchezza passò di colpo "Mmmm, accidenti!" disse "Quasi
quasi ti convinco io a mollare il calcio per il lavoro d’ufficio! Sei bellissimo
in giacca e cravatta!" e mi saltò al collo baciandomi con passione.
Quando
riuscii a liberarmi, rimasi un poco ad osservarla: le lentiggini sulla pelle
chiara, il viso leggermente ovale, le labbra morbide, i lunghi capelli
rosso fuoco. Era piccola, leggera, si perdeva tra le mie braccia, la sollevavo
senza quasi accorgermene! Mi accorsi meccanicamente in quell’istante, che
ultimamente pareva ancora più leggera.
"Ti sei incantato?" mi chiese con un
sorrisetto furbo.
“Si, a guardare te!”
Erano già diversi mesi che stavamo
insieme.
Quella storia del matrimonio combinato mi aveva irritato e
preoccupato non poco, ma ora… al diavolo mio padre, l’azienda e la
famiglia!
"Ehi, Price, ci sei?"
"Settimana prossima sono a giocare una
partita in Italia, vieni anche tu?"
"Come?" era esterrefatta "Di
solito non mi vuoi in giro quando giochi! Cosa succede?" mi guardò strizzando
gli occhi, con il suo solito fare scherzoso, inclinando la testa da un
lato.
"Ti va di venire, si o no?"
"Ho scelta?"
"Tu che dici?"
le detti un bacio, dal quale si staccò sospirando "No. Come sempre, mio
signore!"
Arrivammo a Milano il giovedì mattina. Era una partita di
triangolare, quasi più un divertimento che lavoro serio, ma avremmo incontrato
la squadra di Mark…
Era molto che non giocavo contro di lui, ero curioso
di vedere come se la sarebbe cavata. Le sfide con Lenders mi mettevano sempre
parecchia adrenalina addosso.
Lui e Karl si fronteggiarono a
centrocampo. Mark sbruffone come sempre, il Kaiser freddo e sprezzante. Tecnicamente
non c’era e non c’era mai stato paragone. Ma il mio connazionale ha sempre
avuto dalla sua una risolutezza ed una forza d’animo veramente invidiabili, che
lo rendono un rivale temibile, non solo per me!
La palla toccò agli
avversari. Lenders partì con la solita grinta, riuscendo, in un primo momento,
ad eludere il contrattacco di Karl. Shuster riuscì a fermarlo con una bella
scivolata ed a passare la palla in avanti. I primi venti minuti furono
abbastanza equilibrati. La difesa riuscì a contenere le avanzate della Tigre,
che però arrivò mai ad essere pericoloso. Poi Mark si riscosse. Riuscì ad
intercettare un bel passaggio di Brennan a Karl, e partì verso la mia porta. Mi
lasciò sorpreso: non tenne la palla per se, ma creò un bel gioco, passando a
Vivier, il quale si smarcò abilmente dall’onnipresente Shuster, fece un
passaggio raso terra all’indietro per Di Lisa, il quale, saltando Muller, passò
a Mark che, abilmente, aveva evitato di trovarsi in fuori gioco ed attendeva il
pallone. Era solo davanti a me. Il suo sguardo violento, infuocato di voglia di
vincere. Era al limite dell’area. Era la sfida di sempre. Il Tiger Shot arrivò
violentissimo, alla mia sinistra. Era un tiro prevedibile, ma di una forza
incredibile. L’unico ad eguagliare una tale potenza era Karl. Saltai ed afferrai
il pallone, stringendolo per non dare possibilità agli avversari di essere
nuovamente pericolosi. Lo rimisi in gioco, scambiandomi un’occhiataccia con
Lenders. Ci avrebbe riprovato.
Karl ricevette il rinvio, si portò in avanti,
determinato a segnare. E segnò. Da fuori area. Mark non la prese bene. Tornò
all’attacco, la sua squadra, a quel punto, martellò la nostra difesa. Tirò in
porta almeno tre volte ancora. Ma non passò.
Vincemmo il
triangolare.
Quella sera ero euforico.
Portai Kim a cena. Proprio nel posto
dove mi hai portato tu… Già, per quello sono rimasto imbambolato a guardare
la porta. Passai una serata splendida in quel locale. Kim era bellissima,
sprizzava gioia da tutti i pori. Non riuscivamo a prenderci molte vacanze,
era un’occasione speciale! E lei non sapeva ancora quanto speciale.
La
mattina seguente ci alzammo di buon’ora. La squadra sarebbe ripartita nel primo
pomeriggio e volevamo goderci un po’ di quella vacanza.
Venimmo in
centro.
Hai ragione, di sera è più tranquillo.
Girammo qui in torno e poi
giungemmo in piazza. Kim rimase estasiata. Restò per un bel pezzo col naso
all’insù, rimirando la tua bella cattedrale. Nel frattempo pensavo a come dirle
quello che dovevo.
"E’ stupendo! Bellissimo! Ma sai una cosa, sono proprio un
po’ stanca!"
Aveva un sorriso radioso ma si vedeva che era
affaticata; il viaggio, l’euforia della partita, la cena, la lunga passeggiata.
Mi guardai intorno e vidi un gruppetto di ragazzi seduti sugli
scalini.
"Vieni." la portai qui, esattamente qui, e la feci sedere.
Poteva continuare a guardarsi attorno e, nel frattempo, riposare. Ed io potevo,
finalmente, parlarle in tranquillità.
"Kim..."
"Mmm?" aveva gli occhi
che splendevano. Presi fiato. Era davvero l’unica donna ad avermi messo in serie
difficoltà. E non era facile quello che stavo per dirle.
"Mi vuoi sposare?"
avevo parlato tutto d’un fiato, cercando di non staccare i miei occhi dai suoi.
Per un attimo non respirò. E non parlò. Mi parve un’eternità.
"Si."
Probabilmente non avevo respirato neppure io per quel lasso di tempo.
"Ti amo, Benjiamin Price!" mi buttò le braccia al collo e mi baciò.
Ora
capisci, perché questo posto è tanto importante per me?
Tornammo in
Germania.
Kim iniziò ad occuparsi dei preparativi, cercando però di tenere la
cosa più privata possibile.
Lo seppero i miei compagni di
squadra, naturalmente, poi Tom, Ed, Mark, Julian, tutta la Nazionale giapponese e, in
testa a tutti, Oliver, che volevo come testimone, insieme a Karl.
Lo dissi
anche ad un’altra persona: mia madre. Le ho sempre voluto bene, e l’ho anche
sempre ritenuta vittima come me del lavoro di mio padre.
Sospirò alla
notizia, temeva le conseguenze, ma disse che, per quello che la riguardava, era
felicissima che avessi trovato una ragazza dolce come Kim.
Qualche giorno
dopo, mio padre si presentò al campo del Bayern. Non osò interrompere il mio
allenamento, rimase al limite del campo ad osservarmi. Provai una vecchia
sensazione: erano anni che Richard non assisteva ad un mio allenamento, né,
tanto meno, ad una partita..
Quando ebbi terminato, mi si avvicinò con
calma "Benjiamin, dovrei parlarti."
"Parla." mi piazzai davanti a lui a
braccia conserte.
"Ho una proposta da farti.Una proposta che, penso,
potrebbe interessarti."
Era di fronte a me, una mano in tasca, l’altra
appoggiata a quel bastone che era ormai compagno fedele dopo l’incidente d’auto
di alcuni anni prima, lo sguardo freddo e tranquillo.
"Sentiamo."
"Nel 2010 ci saranno i Mondiali. Quell’anno compirai trent’anni..."
"E allora?" non capivo dove voleva andare a parare.
Respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. Si stava evidentemente trattenendo "Diciamo così.
Non ho intenzione di troncare ora la tua carriera. Comunque, non ritengo di
avere bisogno di te adesso in azienda. Più avanti, sì."
Ero esterrefatto, ma non lo
diedi a vedere.
"Continua."
"Ti
propongo questo: al compimento del tuo trentesimo
anno di età, prenderai il tuo posto, prima accanto a me, poi, più
avanti, sostituendomi alla guida della Price Corporation. Avrai così il tempo di
finire la tua carriera in bellezza, credo, da come stai andando in questi anni,
senza alcun rimpianto."
Mi prese alla sprovvista. Poteva anche essere, tutto
sommato, una proposta ragionevole. Ma…
"Per quel che riguarda Kim?"
"Vi state per sposare, no?" lo disse tranquillamente, come se per lui fosse un
dato di fatto assolutamente appurato.
"Si. Qualcosa da ridire?"
"No."
non potevo crederci!
"Ma non più tardi dell’anno scorso..."
Il suo
sguardo si addolcì, accennò perfino un sorriso "La tua fidanzata mi ha fatto
riflettere. Su un piccolo particolare al quale non avevo mai pensato. Mi chiese
cos’avrei fatto se tua madre non fosse stata una ricca giapponese. Ebbene, avrei
fatto esattamente quello che stai facendo tu ora: l’avrei sposata, pur contro il
parere della famiglia!"
Lo fissai per un lungo momento. Quello era mio padre.
Il Richard Price che ricordavo.
"Hai la mia benedizione figlio, che tu
la voglia o no! Sposati, sii felice, ma ti prego di prenderti le tue
responsabilità quando sarà il momento. Accetti la proposta?"
Non
risposi subito "Fammici pensare."
Tornai a casa con i pensieri
in subbuglio.
Descrissi a Kim la conversazione avuta con mio padre.
Mi guardò seria "Cosa vuoi fare?"
Ricambiai il suo sguardo "Tu cosa
dici?"
Eravamo nuovamente sul divano, l’uno accanto all’altra. Il suo sguardo sereno
ma preoccupato. Non che la lasciassi, no. Ma che facessi qualche follia
per lei di cui mi sarei pentito in seguito. Ad un certo punto prese le mie mani
fra le sue e si sedette in terra davanti a me, fissandomi con quegli occhi verdi
smeraldo nei quali amavo perdermi.
"Tra non molto ci sarà la Coppa d’Asia.
Tu, Oliver e gli altri vi state seriamente preparando per vincerla. E ce la
potete fare. Tra tre anni il Mondiale in Sud Africa. E anche in quello sarete
protagonisti di certo. La carriera di un portiere può andare ben oltre i
trent’anni, e tu lo sai bene. Col Bayern stai giocando una stagione più bella dell’altra.
Il calcio è la tua vita. Non voglio che tu abbia rimpianti per colpa
mia!"
Il calcio è la mia vita… forse era vero fino a qualche anno prima. Ma
da quando c’era lei… No, non era più tutto!
Non avrei rinunciato alla
carriera, no. Ma l’avrei conclusa in bellezza, per poi dedicarmi appieno a
quella donna. E anche ai doveri verso mio padre.
Continuò a fissarmi seria
"Ma non dimenticare tuo padre…"
"Kim, io…"
"Lasciami finire! Ci sta
dando un’opportunità. Ma sta anche cercando di far vivere il suo sogno. Ha lavorato
anni, sacrificando i suoi affetti, per recuperare un’azienda che, tu mi dici,
era praticamente collassata. Il suo sacrificio, il suo lavoro, ha aiutato molte
persone. Tutte quelle che lavorano per lui. Pensa anche a questo, facendo la tua
scelta."
Le sue mani strinsero forte le mie "Non sei uno stupido. Non hai
la testa vuota come tanti tuoi colleghi! Altrimenti non ti amerei! Ho fiducia
che tu faccia la scelta giusta, senza poi pentirtene in futuro…"
Avevo già
preso la mia decisione.
"Accetterò la proposta di mio
padre. E’ vero, trent’anni sono pochi per un portiere, ma da qui ad allora ho
molto da dare. Campionati, Champions, Coppa d’Asia, i Mondiali… Se devo
ritirami, allora farò in modo che il mondo del calcio non dimentichi facilmente il
nome di Benjiamin Price!" mi alzai e le cinsi la vita "E per quello che riguarda la Price
Corporation, beh… tra qualche anno mio padre si dovrà ricredere sulle mie
capacità di dirigente!"
Mi sorrise dolcemente "Non vedo l’ora di
assaporare le tue vittorie, SGGK!"
Il giorno dopo mi recai da mio padre e
gli comunicai la mia decisione.
Non dissi nulla ai ragazzi della squadra, e
neppure a Tom, il quale giocava già da anni in Francia e saltuariamente, veniva
a trovarmi.
La coppa d’Asia si avvicinava. Fui convocato come portiere titolare.
Iniziarono i ritiri con i miei vecchi amici. E le partite di qualificazione.
I nostri avversari, in quegli anni, erano cresciuti molto, tecnicamente
e tatticamente. Mi impegnai a fondo per portare la mia nazionale
alla vittoria. Nessuno violò la mia rete e il Giappone fu l’unica squadra a
portare a termine il torneo senza aver subito alcun goal. Neppure in finale,
contro la fortissima Corea. Fu una partita combattutissima, ma prima Mark e poi
Oliver segnarono le reti della vittoria. Al termine della partita mi sentii come
quando avevamo vinto il Word Youth. Eravamo di nuovo sulla vetta.
Quando
rientrammo negli spogliatoi, euforici, Freddy mi prese da parte. Aveva
un’espressione grave, il viso tirato.
"Freddy, che succede? La partita…"
"La partita non c’entra Benji…"
"E allora?" fui colto da un’angoscia
inspiegabile, ora che ci ripenso, quasi profetica.
"Al termine del secondo
tempo, Patty mi ha avvisato che ti avevano cercato dalla Germania…"
Avvertii un tuffo al cuore "Kim..."
"Era a sbrigare del lavoro alla sede della
squadra ed è svenuta. E’ successo prima dell’inizio della partita, ma quando, poco dopo
il risveglio, le hanno detto che ti volevano avvisare, li ha fermati. Ha voluto
a tutti i costi farti giocare tranquillo."
Mentre Marshall mi parlava, mi ero
appoggiato alla parete, la fronte contro il pugno chiuso.
"Freddy, io
parto stasera. Scusami coi ragazzi. Vado in albergo e poi cerco una coincidenza
per Monaco." sentii la sua mano sulla spalla.
"Ci penso io. Vai." e andò
dagli altri. Mi conosceva meglio di mio padre. Sapeva che non c’era altro da
dire.
Tornai a Monaco col primo volo e mi precipitai al Policlinico, dov’era
ricoverata Kim.
Quando arrivai e chiesi di vederla venni intercettato dal
primario.
"Signor Price! Avrei urgente bisogno di parlarle." Era un uomo
alto, brizzolato, sulla quarantina.
"Mi scusi dottore, vorrei vedere la mia
fidanzata prima…"
"Mi
spiace, ma sarebbe meglio se prima scambiassimo quattro chiacchiere.
Prego, venga con me."
Il suo tono era gentile ma
perentorio. Lo seguii nel suo ufficio.
"Prego si sieda."
Ubbidii.
"Signor Price, suppongo che per telefono non le abbiano detto
tutto..."
"Tutto cosa? Si spieghi, dottore!" la paura mi attanagliava lo
stomaco.Volevo correre da Kim, capivo che quello che il medico stava per
dirmi non erano buone notizie…
"La signorina Ryan ha disgraziatamente subito
un aborto naturale…"
Mi colpì come una pallonata in pieno petto. Aborto? Ma
allora?...
"La vedo sorpreso. Si, la signorina era in stato interessante.
Probabilmente non gliel’ aveva detto perché non era del tutto sicura. Era solo
al secondo mese…"
"Oddio" pensai "Stavo per diventare padre!" mi sentii
scivolare in un baratro. Mio figlio, non c’era più…
"Signor Price, mi
dispiace doverle dare un’altra brutta notizia..."
Quelle parole mi riportarono
alla realtà. Quale altra brutta notizia?
"Kim..." lo guardai con
apprensione.
"In realtà l’aborto è stato scatenato da qualcosa di più grave.
Mi spiace doverglielo dire così, ma freuilein Ryan è affetta da
linfoma."
Smisi di respirare per un attimo e chiusi gli occhi. E mi
apparvero quelli di lei. Verdi, immensi. Il suo sorriso. La nostra vita
insieme.
"Cosa…"
"In parole povere si tratterebbe di un tumore linfatico.
Non colpisce un organo in particolare, ma la linfa ed il sangue..."
Avevo smesso di ascoltarlo "Lei lo sa?"
"Si."
Andai da lei. Era
piccola, minuscola in quel letto bianco.Stava dormendo. Mi sedetti accanto a lei,
in silenzio, prendendole la mano. Si svegliò, voltandosi verso di me. I suoi
occhi sembravano ancora più grandi. Sorrise "Ehi, SGGK, complimenti!"
Era sempre
la stessa. "Grazie..."
"Cos’è quel sorriso triste, campione?"
Il
suo coraggio, la sua sconsideratezza, mi fecero quasi arrabbiare "Smettila, Kim,
ti prego!"
Puntò il suo sguardo su di me. Quando voleva poteva essere molto
dura, a volte perfino più di me!
"Siamo qui, amore. Temevo che avrebbe
potuto succedere. E’ la stessa malattia che mi ha portato via mia madre. Si può
solo affrontare. Così." e mi fece un sorriso dolce, inclinando il capo da una
parte.
Il dolore mi sopraffece. Le strisi forte la mano, portandola
alle labbra "Nostro figlio…"
La sentii sospirare "I primi tre mesi
di una gravidanza sono i più difficili. Avrebbe potuto accadere comunque.
Sto solo cercando di farmene una ragione…" disse, incrociando il mio sguardo
disperato "Non ero sicura di essere incinta. Lo desideravo tanto. E adesso…" gli enormi
occhi verdi si riempirono di lacrime. L’abbracciai, beandomi ancora una volta
del suo profumo, del suo calore.
Da li in avanti sarebbe cominciato
l’inferno.
Ma non avevo nessuna intenzione di arrendermi. Non l’avrei mai
abbandonata.
Iniziarono, gli esami, le terapie.
Dovetti rinunciare a parte
degli allenamenti, per portarla in ospedale, per stare accanto a lei nelle
lunghe ore durante e dopo la chemio.
Non volevo mollare, se c’era una pur
minima possibilità di salvarla, l’avrei trovata.
Abbandonammo anche,
temporaneamente, pensai io, i preparativi per il matrimonio.
Poi, un giorno,
mi fece una richiesta inaspettata.
"Mi piacerebbe tanto tornare in
Irlanda! Lassù c’è mia zia Karol che manda avanti una piccola pensioncina. Vicino
al paesino dove abitavo una volta, e dove è sepolta mia madre…" si voltò a
guardarmi con lo sguardo terso e sereno che ormai la caratterizzava in quegli
ultimi mesi. Era incredibilmente tranquilla, mentre io non facevo che lottare
con me stesso e maledire il destino che ci aveva colpiti.
La pensione di Karol White era
molto semplice e molto accogliente.
Kim volle andare subito da sua madre.
Erano ormai sei anni che non l’andava a visitare. Le si inginocchiò accanto e
cominciò a pregare sottovoce. Rimasi in piedi, alle sue spalle. Il dolore mi
stava attanagliando l’animo. Non sopportavo l’idea di perderla. Non sopportavo
l’idea che potesse essere vittima dello stesso destino di sua madre.
Si alzò
e si votò verso di me. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Si avvicinò e si
appoggio al mio petto col viso e con le mani. La cinsi piano ed ascoltai il suo
respiro.
"Ti amo." disse.
"Lo so. Anch’io ti amo. Tantissimo." avvertii il suo
sorriso.
"Lo sai che sei un inguaribile testardo?"
"Sbaglio o è una delle
cose che ami di me?"
"Anche terribilmente egocentrico…"
"Idem."
Sospirò "Le saresti piaciuto. Molto."
Guardai quella semplice croce in mezzo ad un
prato verde, come gli occhi di Kim. Mi aveva parlato molto di sua madre. Della
sua malattia. Del dolore che aveva sconvolto il padre, portandolo prima
all’esaurimento e poi alla decisione di allontanarsi dall’Irlanda per farsi una
nuova vita.
"Avrei voluto conoscerla."
Sollevò il viso, sorridendomi.
"Ti sarebbe piaciuta. Anche se, conoscendovi, vi sareste scontrati più volte.
Non aveva un carattere tanto facile, sai?"
La strinsi forte. Era esile,
leggera, quasi trasparente. Eppure forte. Lei mi dava la forza di andare avanti.
Lei mi infondeva coraggio. Ero furioso, avrebbe dovuto essere il
contrario!
Mi guardò di nuovo, sorridendo appena. Mi diede un bacio leggero
e ripetè "Ti amo."
Tre giorni dopo tornai in Germania. Da solo.
Karl
era venuto in aeroporto a prenderci.
Quando mi vide arrivare solo, colsi il
panico nei suoi occhi.
"Kim?..."
Credo di avergli risposto in tono
assolutamente incolore… non avevo forza, non ero in me.
"Se n’è andata… per
sempre."
Il suo sguardo era sempre fisso sulla piazza, quella
piazza dove aveva chiesto di sposarlo alla donna più importante della sua
vita.
Gli occhi neri, tristi, profondi, lontani….
Eppure erano gli stessi
occhi che, gelidi e duri, mettevano in soggezione i più forti bomber del
campionato tedesco ogni settimana.
Rimase in silenzio per un po’.
Ripensai
alla sua storia, al dolore che doveva aver provato. Al fatto che non si era mai
sfogato con nessuno, che si era sempre tenuto tutto dentro. Alla corazza che si
era costruito tutt’intorno, tanto spessa ed impenetrabile da far pensare a tutti
che nel suo petto non battesse un cuore umano.
Pensieri. Emozioni. Tristezza.
Per quell’amico che aveva deciso di confidarsi con me. Perché, poi, lo sapeva
solo lui… Perché l’istinto non l’aveva mai tradito, mi aveva detto una
volta…
Sempre così severo, con gli altri e, soprattutto, con sé
stesso…
All’improvviso, un’idea… un’idea assolutamente folle ( ma cosa non
era pazzesco quella sera?) mi balenò per la mente…
"Benjiamin…. Kim non è
morta, vero?"
Chiuse gli occhi abbassando leggermente il capo. Poi lo
sollevò, sorridendo appena.
"Lo vedi? Il mio istinto non sbaglia
mai!"