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Autore: Ryo13    05/02/2013    3 recensioni
Storia della follia a cui può spingere l'amore, narrata nella forma di un racconto. Adam e Amelia non possono vivere l'uno senza l'altro, ma questo li spingerà ad intraprendere un cammino oscuro, che rompe i limiti della vita, della morte, della morale.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
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Come noterete già dall'inizio, ecco il famoso "salto" che avevo preannunciato qualche commento fa ^^
Sono passati molti anni... la situazione sembra sempre la stessa di come l'abbiamo lasciata, forse addirittura più tragica per via della stanchezza di Amelia. E ora che succederà? Alle porte della conclusione, come farà Amelia a risolleversi? Oppure soccomberà ad Adam e a ciò che rappresenta?
Spero di emozionarvi anche con questo 11° capitolo ;')

zl7kok

 

[7 anni dopo]

Ecco che si trovava un’altra volta alle prese con la folle idea di una fuga.
Amelia stava dritta, il borsone alla mano, davanti la stazione del treno. Aspettava che ne passasse uno che la portasse il più lontano possibile da quel luogo. Ancora una volta si era costruita una risoluzione che tuttavia cominciava già a vacillare: si sentiva in colpa ad abbandonare Adam, ma ogni volta che arrivava al limite non poteva fare a meno che credere che quella fosse l’unica soluzione per restituirsi una vita che meritava di avere, e per fuggire dall’ombra di un passato che avrebbe dovuto ormai essere morto e sepolto.
Così quasi tutte le mattine da quando aveva finito il college, Amelia andava alla stazione, equipaggiata con una valigia pronta in mano, in attesa del momento in cui la sua risoluzione sarebbe stata totale e si fosse decisa a compiere quel passo.
Ogni mattina, tuttavia, il passato la ghermiva in una morsa stretta e crudele che le ancorava i piedi al pavimento freddo e anonimo della stazione e le impediva di muoversi, di fare un passo verso la libertà, verso l’ignoto.
Un attimo prima era determinata, si vedeva già prendere posto sulla poltrona bitorzoluta del vagone, e via verso un’altra città; l’attimo dopo vedeva arrivare il treno, svuotarsi di passeggeri che correvano frettolosamente in tutte le direzioni e riempirsi di nuovi anonimi ospiti, mentre, come di lontano, udiva l’altoparlante annunciare un nuova corsa e intimare di prestare attenzione alle linee gialle di sicurezza. Pochi minuti che si allungavano come un’eternità e che pure passavano con la frequenza di un lieve battito di ciglia. E Amelia era rimasta immobile, paralizzata, dilaniata dalla terribile scelta, da quel costante senso di colpa. Col tempo aveva imparato a vedersi come l’unica su cui Adam potesse fare affidamento perché era vero: lui non aveva al mondo che lei. E lei, torturata dai sentimenti contrastanti, aveva solo lui, unico baluardo in una notte oscura; figura di padre e di carnefice assieme.
E poi c’era quel momento… quello della quiete che si ode assordante dopo un forte e prolungato rumore: il treno partiva, la stazione ora era vuota e silenziosa, poche persone nei paraggi, ognuno troppo impegnato ai fatti propri per badare a chi avesse attorno.
Amelia lasciava andare il respiro che aveva inconsapevolmente trattenuto e rivolgeva lo sguardo verso lo spazio vuoto, prima occupato dalla locomotiva, e verso la direzione da essa intrapresa: sola, senza di lei.
Abbassava lo sguardo verso il borsone ancora saldamente trattenuto in mano e lo lasciava scivolare sul pavimento con un tonfo.
Questa era una scena che si ripeteva ormai spesso, quasi fosse diventata una routine dello stesso ambiente ferroviario, che la faceva propria.
Una di quelle mattine, tuttavia, Amelia non rimase – come suo solito – lì in piedi per qualche minuto per poi tornare stancamente a casa propria. No, quel giorno si trascinò su una panchina, l’ultima e la più isolata, a guardare fissamente l’infinito oltre le rotaie.
Dopo pochi istanti, la vista ondeggiò e si offuscò a causa delle lacrime che non riusciva più a trattenere. Lacrimò silenziosamente, quasi non ci facesse caso, poiché era passato da un pezzo il tempo del pianto arrabbiato, urlato, scosso da tremiti convulsi: aveva ormai capito che nessuno avrebbe mai potuto salvarla. Era intrappolata in una sorta di limbo e solo lei possedeva la chiave per uscirne una volta per tutte. Solo… non ne aveva la forza. Che fosse per paura di ciò che lasciava o di ciò che avrebbe trovato, non riusciva a fare un passo né nell’una né nell’altra direzione.
Adam non faceva domande su dove lei si recasse ogni giorno. Amelia aveva preso il pretesto di un lavoretto per assentarsi da casa e sperare, ogni volta, che quella fosse l’ultima volta che vi metteva piede. Ma finora non era successo: faceva puntualmente ritorno, quasi fosse diventata a sua volta un automa.
All’inizio Adam non capiva perché Amelia desiderasse lavorare, soprattutto non capiva perché lo facesse in un negozio di fiori (era quello, appunto, il pretesto): dal suo punto di vista, avevano già abbastanza denaro per poter vivere più che agiatamente – Adam, infatti, aveva avuto modo di accumularne un bel po’ – e godersi semplicemente la compagnia l’uno dell’altra; ma in secondo luogo, pensava che la scelta avrebbe dovuto ricadere naturalmente su un lavoro in ambito scientifico.
Quale che fosse lo schema di comportamento che si aspettava, comunque, ormai Adam considerava Amelia come la sua vera creatrice: nel suo sistema, aveva integrato ormai del tutto l’immagine del vecchio e del nuovo per cui aveva progressivamente abbandonato tutti gli atteggiamenti che in passato erano stati simili a quelli di un “genitore” verso la propria figlia.
Amelia aveva dunque dovuto combattere contro tutti i tipi di avances di Adam, rifiutandosi sempre di cedere a ognuno di essi. Adam non capiva ma accettava tutto ciò come il volere della sua Amelia e lo rispettava.
Ad un certo punto, un sfruscio alle sue spalle la costrinse a voltarsi. Dietro di lei stava un ragazzo coi capelli spettinati dal vento e la barba leggermente incolta. Aveva il colore degli occhi e dei capelli di un anonimo castano ma, stranamente, possedeva uno sguardo piuttosto penetrante. Bastò un’occhiata per far inquietare la ragazza, infatti, che si preoccupava soprattutto di essere rimasta sola con lui in quel posto desolato.
Il ragazzo restò per un po’ in piedi in silenzio: prima la fissò negli occhi, leggendovi dentro con una profondità sconvolgente, successivamente osservò il viso rigato dalle lacrime appena versate, la bocca rosea, la figura snella un po’ nascosta da vestiti ingombranti. Piegò il capo di lato, su una spalla, e la fissò ancora interrogativo.
Amelia era rimasta ferma davanti all’esame di quell’estraneo, lo guardava a sua volta aspettando che egli facesse o dicesse qualcosa per rompere quel momento che, in un altro contesto, sarebbe risultato un tantino imbarazzante.
Il ragazzo non proferì parola ma prese posto sulla panchina, vicino a lei. Amelia, dopo un attimo di confusione, distolse lo sguardo da lui e preferì a sua volta non dire niente.
Passarono così alcuni minuti, ma anche se Amelia voleva ignoralo e tornare a riflettere sul da farsi – o meglio, a rimproverarsi per la sua mancanza di coraggio –, non riusciva a cancellare dalla sua mente il momento in cui si erano guardati negli occhi e, anzi, si chiedeva con sempre maggiore curiosità, chi fosse mai quell’individuo e perché le si fosse seduto accanto e continuasse ostinatamente a tacere.
Seccata da quel moto di interesse per una persona che non conosceva, decise di alzarsi, raccolse le sue cose e abbandonò la stazione. Sarebbe sicuramente riuscita a partire il giorno dopo.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫


Ma i giorni successivi a quello, si ripeterono tutti uguali. Amelia continuava a perdere un treno dopo l’altro, bloccata dalla sua stessa indecisione. Tuttavia, un nuovo elemento si era inserito nella routine: il misterioso ragazzo.
Quando infatti la stazione rimaneva vuota e Amelia si abbandonava malinconica su quella stessa panchina, ecco che compariva come un’ombra, le si sedeva accanto e le faceva silenziosamente compagnia.
La ragazza non sapeva che pensare: lui non faceva mai nessun tentativo di instaurare una conversazione con lei mentre lei non aveva il coraggio di aprirsi, tanto era il tempo passato dall’ultima volta che aveva intessuto un normale rapporto sociale.
Così se ne stavano seduti nella stessa panchina per pochi minuti al giorno: ogni volta era lei a decidere di mettere fine all’incontro, abbandonando il suo posto e fuggendo via senza nemmeno salutare o voltarsi indietro: percepiva su di sé il suo sguardo, almeno fino a quando non svoltava l’angolo d’uscita.
Col passare del tempo, Amelia cominciò ad andare alla stazione più per l’aspettativa di un nuovo incontro con quel ragazzo – sperando tutte le volte che finalmente qualcosa cambiasse –, piuttosto che nella speranza di prendere effettivamente il treno.
Di pari passo alla curiosità, però, crebbe anche l’impazienza.
“Che cosa aspetta a rivolgermi la parola? Mi sta sempre seduto vicino e ogni volta che viene mi guarda fisso negli occhi, come se mi leggesse dentro e conoscesse tutti i miei segreti! Eppure non è possibile perché non mi sono mai lasciata sfuggire nulla con nessuno… non l’ho mai neppure visto!” Continuava a fare di questi pensieri e ogni tanto anche qualche congettura sul suo strano comportamento. Ma non veniva mai a capo di nulla, com’era naturale che fosse.
Fu per questo che un giorno, molte settimane dopo quel loro primo incontro, si decise a dire qualcosa lei per prima.
“Almeno posso appurare se sappia parlare o meno…” si diceva.
«Perché…?» cominciò tentennante.
Il ragazzo la fissò incuriosito, in ascolto.
«Perché stai sempre seduto qua?» finì la frase, con voce più alta e ferma.
Il ragazzo rifletté sulla domanda talmente a lungo che Amelia credette per un momento che non le avrebbe risposto.
«Sono curioso.» disse infine, semplicemente.
Amelia attese che aggiungesse altro, ma non lo fece. Così prese di nuovo coraggio.
«Di cosa?»
«Di te.»
A quelle parole le mancò un battito. Le guance le si imporporarono e per alcuni attimi non udì altro che il suono del proprio cuore che batteva freneticamente.
Pensò di andarsene ma qualcosa la tratteneva incollata alla panchina.
«Sei sorpresa?» le chiese.
Amelia si guardò attorno ma non scorse nessuno nei dintorni. C’era solo una vecchia vicino agli uffici.
«Beh, sì. Un po’.»
Il ragazzo sorrise. «Lo sarei stato anch’io al tuo posto, ma non potevo esserne certo.»
«Che vuoi dire?»
Amelia lo fissava cercando di capire tutto ciò che diceva. Ogni parola sembrava, infatti, nascondere un altro significato più profondo.
«Aah…» ora appariva quasi imbarazzato. «Il fatto è che… ti ho osservata.»
Questo, quantomeno, lo sapeva: erano giorni che si presentavano ogni mattina a quella specie di tacito appuntamento.
«Ogni volta che ti vedo, mi chiedo sempre a cosa tu stia pensando. Hai un’aria così triste…» continuò questi.
Amelia si turbò: non le piaceva che le persone cercassero di entrare nella sua mente…. Sia in senso letterale che lato! Aveva imparato ad aver timore di chiunque si interessasse a lei per via del segreto che doveva proteggere.
«Non dici nulla?» le domandò con una punta di delusione.
Amelia scollò le spalle. «Non so che dire…»
«Risponderesti solo a una domanda?»
«Dipende.» concedette sospettosa.
Il ragazzo sorrise di nuovo, quasi si aspettasse quella risposta.
«Ti dà fastidio che stia qui a farti compagnia?»
Amelia rimase un po’ spiazzata da quella schiettezza. «N-no. Non mi dai fastidio.»
Tacque imbarazzata, ma lui sembrava soddisfatto così. Però volle aggiungere: «In realtà, la tua presenza è stata un sollievo.»
Il ragazzo sgranò leggermente gli occhi. «Da-davvero?»
Amelia annuì.
«Ne sono contento.» disse, e lei distolse lo sguardo, di nuovo rossa in viso.
Dopo qualche momento, Amelia gli chiese: «Risponderesti anche tu a una domanda?»
«Certo.»
Esitò qualche secondo, ma poi si decise. «Come ti chiami?»
Il ragazzo scoppiò a ridere brevemente, divertito che tra tutte le domande che potesse fargli, avesse scelto quella più semplice e scontata, data la situazione.
«Sebastian. Il mio nome è Sebastian.»
«Io sono Amelia.» gli disse e gli tese la mano.
Lui la strinse per un tempo più lungo del necessario continuando a sorridere.
«Era da un sacco di tempo che desideravo parlare con te, Amelia.»

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫


Poche, semplici parole e tuttavia molto attese, a causa del lungo tempo che avevano trascorso l’uno accanto all’altro nell’aspettativa e nel silenzio. Continuarono a incontrarsi così, in quella stazione, e a sedersi a osservare il treno che si allontanava. E nonostante ciò, Amelia non aveva perso l’abitudine di trascinarsi appresso la valigia con dentro tutte le sue cose. Sentiva che sarebbe arrivato un momento in cui avrebbe raccolto il coraggio necessario; sentiva che cresceva di giorno in giorno l’aspirazione di prendere la sua vita e iniziare a plasmarla come desiderava lei, piuttosto che come avevano predisposto gli altri, in particolare Adam.
Non era affatto una cosa semplice, non era affatto una cosa immediata.
Era una risoluzione che costruiva giorno per giorno e l’amicizia con Sebastian le diede la possibilità di mettersi in contatto con un individuo che per lei rappresentava tutto l’opposto di Adam: la libertà di azione e di scelta, la naturalezza, la spontaneità, la gioia di vivere, il divertimento… e soprattutto l’umanità: l’umanità che traboccava dai gesti e dalle parole di Sebastian aiutarono Amelia a riscoprire la propria e a darle il giusto valore, la giusta importanza.
Così, spontaneamente, crebbe in lei anche un nuovo sentimento che aveva fino ad allora conosciuto soltanto in maniera fittizia, insana: conobbe l’amore per una persona che fosse amabile per i gesti e le piccole cose che rivolgeva a lei e a lei soltanto. Non un’ombra, un fantasma del passato, che incombeva con mestizia sulla sua vita e dalla quale non poteva liberarsi, ma l’affetto e la passione per qualcuno che le era vicino e che poteva toccare ogni volta che sollevava una mano.
Capì come fosse quella la cosa più bella, più rara e più preziosa del mondo.

 

[Continua...]


 

Grazie a tutti coloro che seguono e apprezzano questa storia! *^*
 

   
 
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