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Autore: Dahmer    05/02/2013    2 recensioni
-Mamma, papà! Mi hanno presa! Mi hanno presa!- esultò esaltata.
Rylee era figlia di una graziosa coppietta di Canton, Ohio. La madre era casalinga e il padre un piccolo commerciante. Aveva due fratelli. Il più grande, Derek, impegnato nell’esercito americano da due anni e l’altro Jeremy all’università. Lei era l’unica rimasta con i genitori. Era una ragazza modestamente alta e magra, dalla pelle olivastra che faceva risaltare gli occhi verde smeraldo attorniati da lunghe ciglia nere. I lineamenti del viso erano delicati, il naso era leggermente alla francese e le labbra moderatamente carnose e sul labbro inferiore sfoggiava un piccolo anellino d’argento. Aveva i capelli mossi lunghi fino alle ultime costole e il loro colore noce accentuava gli zigomi alti.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Goodmorning Sheffield !-
 

- Ry, sono le otto, l’aereo parte tra un’ora- la voce dolce del padre la svegliò da un bellissimo sogno, un sogno che tra poco sarebbe diventato realtà.

Era agitatissima. Non aveva mai visitato l’Inghilterra e moriva dalla voglia di andarci. Le sue valige erano già caricate in macchina sin dalla sera precedente.

Solitamente era difficile farla alzare dal letto la mattina presto, ma in quell’occasione non lasciò al padre nemmeno il tempo di finire la frase, che era già in piedi, vestita con dei pantaloncini inguinali stracciati e una canotta bianca.

-Vado a sistemarmi, mi lavo, mi trucco e arrivo- annunciò, senza mai far scemare il sorriso allegro che aveva caratterizzato il suo risveglio. 

Si lavò i denti e il viso, si spalmò la crema idratante, si truccò gli occhi applicando velocemente il mascara e si passò sulle labbra un burrocacao al mirtillo che diede alla sua bocca un dolce sapore di frutti di bosco che si mescolò con quello del dentifricio alla menta. Si pettinò e rimise con cura tutti gli oggetti nel beauty, pronta a partire.

Scese al piano inferiore, dove la madre la stava aspettando per salutarla e augurarle buona fortuna. L’abbracciò.

-Buon viaggio, tesoro. Fammi sapere quando arrivi e come va l’incontro-

-Si mamma, lo farò. Ti voglio bene-

-Anch’io-

Dall’esterno dell’abitazione si sentì il clacson della Ford Ka strombettare all’impazzata. Aaron la stava incitando ad uscire. Rylee avrebbe potuto giurare di averlo sentito imprecare, se non fosse stata sicura della devozione del padre.

Salì in macchina, per la prima volta sprovvista di i-pod.

-Non ascolti quell’aggeggio?- chiese sorpreso il padre notandolo. 

-Mh?!- fece lei, totalmente persa nei suoi pensieri, tutti relativi alla Drop Dead.

-Chiedevo come mai oggi non ascoltavi la tua musica- ripeté lui.

-Oh! Scusa, è che sono molto agitata. Insomma papà, faremo un viaggio in Inghilterra, noi due insieme, è la prima volta che siamo soli, e poi sto per diventare modella e sto per conoscere i BMTH!- proferì la frase senza intervallare le parole con delle pause, così dovette respirare profondamente per riprendere fiato ed evitare il collasso.

-Non ho idea di cosa tu abbia farfugliato alla fine, ma anch’io sono contento di passare del tempo con te e sono fiero di te. Stai realizzando il tuo sogno, a cui hai lavorato duramente. Sono davvero orgoglioso.- le sue parole furono di grande conforto per la figlia. Era contentissima che il padre l’appoggiasse.

L’auto si fermò in prossimità dell’aeroporto. I due scesero. Scaricarono le valige dal bagagliaio e s’imbarcarono sull’aereo.

Rylee si accomodò vicino al finestrino. Le sue gambe iniziarono a tremare, si ricordò solo in quel momento di avere paura di volare, sia da quando era piccola. Percepì l’apparecchio accendere i motori e prepararsi al decollo. L’aria si fece soffocante, si sentiva il cuore battere nelle tempie. Impallidì notevolmente. L’aereo cominciò a sollevarsi da terra. Ry sentì l’atmosfera comprimerle la testa e i polmoni accartocciarsi su se stessi. Strinse la mano a pugno per riuscire a sopportare la situazione. Chiuse gli occhi strizzandoli forte, ma i rumori divennero più intensi. Il respiro le si troncò in gola, stava per avere un attacco di panico. Sentì una mano posarsi delicatamente sul suo ginocchio. Si calmò. Riaprì gli occhi e si voltò verso il padre seduto accanto a lei. Lo sguardo di Aaron era preoccupato.

-Va tutto bene?- le domandò.

Il viso di Ry recuperò colore. La vista smise di essere annebbiata e le gambe cessarono di tremare. Tornò a respirare normalmente.

-S-Si- balbettò ancora scossa.

-Rilassati e pensa che tra poco saremo in Inghilterra, fai un bel respiro e riposati un po’, ti sveglierò quando siamo arrivati-

Ry si limitò ad annuire, poi si abbandonò sul sedile, cercando di stare tranquilla. Si assopì.

Dopo poco più di sette ore di volo Aaron svegliò la figlia.

-Stiamo per atterrare- le disse dolcemente.

L’aereo toccò il suolo e questo la rincuorò definitivamente. Quella tortura era finalmente finita, Tirò un sospiro di sollievo. Fu la prima a scendere, precipitandosi giù. Voleva sentirsi stabile di nuovo, voleva poggiare i piedi sul suolo.

Una volta a terra si piegò sulle ginocchia, facendo dei lunghi respiri. La canotta bianca le si incollò al petto, pressandolo. Proseguì nell’aeroporto a testa bassa, con il terrore di vomitare se l’avesse alzata. Uscì da quel luogo affollato mano nella mano con il padre. Finalmente alzò lo sguardo sulla città. Sheffield.

Quel posto era davvero stupendo, era talmente bello che le fece dimenticare il viaggio e il suo malore. L’avventura poteva cominciare.

-Papà, siamo in Inghilterra!- gioì abbracciandolo.

Il padre prese dalla tasca dei pantaloni il foglietto su cui aveva segnato l’indirizzo del negozio.

Chiamò un taxi e riferì all’autista le coordinate, intanto Ry si infilzò gli occhiali da sole tra i capelli, raccolti in una coda scomposta.

L’auto si fermò davanti a un negozio che riportava sulla vetrata il gattino della Drop Dead. Erano arrivati. Scesero e si diressero verso l’entrata.


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Ry si fermò all’improvviso, era a un passo dalla realizzazione del suo progetto. Prese coraggio e entrò. Fu accolta da un’ondata di aria fredda, proveniente dai ventilatori che rinfrescavano il locale in una calda giornata di giugno. Erano quasi le cinque del pomeriggio del 15 giugno. Cominciò a ispezionare il nuovo luogo. Sui muri vi erano moltissimi schermi che trasmettevano foto dei vari modelli. Rimase meravigliata dalla grande quantità di vestiti e di accessori che traboccavano dagli attaccapanni. Cominciò ad esaminare una maglietta bianca con la stampa di un gatto vestito in stile Mickey Mouse con il dito medio alzato, la lingua penzoloni e il cervello che colava sul viso.

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-Ti piace?- si sentì chiedere. Si voltò di scatto, incrociando lo sguardo con un ragazzo dai capelli bruno scuro, lunghi fino alle spalle, palesemente piastrati, in pieno stile Oliver Sykes. Il corpo esile era coperto da un paio di jeans scuri e da una canotta bianca con la scritta “I <3 Drop Dead”.  I suoi occhi color azzurro intenso si rallegrarono alla vista della bella ragazza.

-Aspetta, tu non sei Rylee Jackson?- domandò senza lasciarle il tempo di rispondere alla prima domanda. La ragazza annuì. Il modello l’aveva riconosciuta senza nemmeno averla mai vista di persona prima d’allora. Era il primo passo verso il successo.

-Piacere, sono Matt Godfrey- si presentò.

-Beh, il mio nome lo sai già, chiamami Ry- confermò lei sorridendo.

-Io sono il padre, Aaron, piacere- si intromise il padre, porgendogli la mano.

-Salve- fece il ragazzo ricambiando la stretta.

-Venite con me, posate un momento le valige- consigliò poi dirigendosi verso l’entrata, era il momento di chiudere il negozio, erano le cinque in punto. La grande vetrata smise di far passare il sole del tardo pomeriggio.

I due poi seguirono Matt nell’ufficio dietro allo store. Un grande spazio, leggermente spoglio, dalle pareti bianche e il pavimento grigio con vari poster appesi qua e là. Ai lati erano posizionati moltissimi divani in pelle nera, su cui erano accasciati parecchi ragazzi. 

-Un momento di attenzione, lei è Rylee Jackson- annunciò Godfrey attirando l’interesse degli altri. Tutti si alzarono, avvicinandosi a lei, osservandola come un critico d’arte osserva un dipinto di Picasso. Aaron indietreggiò, sentendosi a disagio, mentre Ry non si sentì affatto sotto pressione. Fece come se nulla fosse, poggiò il borsone a terra, liberandosi di quel peso eccessivo che, fino a poco prima, le gravava sulla spalla tatuata. L’ansia che aveva caratterizzato il viaggio era magicamente svanita nel nulla. Si sentiva a casa.

-Tu allora sei la famosa Rylee- attaccò un ragazzo guardandola attentamente, come se la conoscesse da una vita. Era un bel ragazzo, come tutti in quella stanza. Alto, ben impostato fisicamente, o quasi, con i capelli corti castano chiaro e gli occhi azzurro fioco.

-Famosa non proprio, ma il nome è giusto- sorrise lei, facendo brillare il piercing argenteo sotto la luce della stanza.

-Josh- fece lui.

Dopo di lui anche gli altri ragazzi si presentarono. Il primo dopo Josh fu Dani, un’altra copia del cantante dei Bring Me The Horizon, con gli occhi chiari e i capelli corvini, ragazzo dal sorriso dolce, molto gentile ed educato. Il suo viso ricordava quello di un bambino. La fidanzata, Layla, lo seguì. Era l’unica ragazza presente in quel momento. Capelli neri, occhi azzurri e piercing al naso. Il successivo fu Tommy, chioma scura, occhi castani e anche lui anello al naso. Un ragazzo solare e sempre allegro. Dopo di lui fu il turno di Tom Barnes, il fotografo che si occupava dei servizi. Un omone dai capelli e barba scuri e con due grandi occhioni color cielo. L’ultimo che si fece avanti fu Felix, l’unico modello completamente diverso dagli altri, dalla capigliatura noisette, con un ciuffo corto e con gli occhi azzurro pallido e con il naso all’insù, sembrava un ragazzo molto riservato, Rylee notò che parlava di rado e sorrideva ancora più raramente. Felix, come Ry, era americano, ma si era trasferito in Inghilterra per poter lavorare come modello.
Al termine delle conoscenze Rylee e il padre ricordavano solo i nomi di Layla e Felix, ma presto avrebbero imparato anche gli altri. Nessuno dei due però si era accorto che nel frattempo Godfrey aveva chiamato altre persone per conoscere Ry.

Partì un circolo vizioso di domande, incrementate dall’interesse verso una nuova futura icona dell’agenzia. Poco dopo la porta si spalancò, permettendo all’edificio di accogliere gli ultimi ragazzi. Jona, Lee, Matt, Matt Kean, il padre di Oliver e Tom, il più piccolo dei due fratelli e infine il cantante accompagnato dalla compagna, la modella Amanda. I due entrarono tenendosi per mano, scena troppo sdolcinata per l’americana che roteò gli occhi, contrariata. 

Le stava tornando la sensazione di angoscia. Era davanti ai BMTH ma il panico non era per quello, temeva altre presentazioni! E il suo incubo si effettuò.

-Ciao, sono Lee- fece il più espansivo, chitarrista solista della band. Ry notò che era ancora più basso di quanto appariva nelle foto. Ricambiò il saluto, passando ai due Matt, tentando di distinguere il batterista dal bassista e, a loro volta, dal modello, Godfrey, senza successo.

-Io sono Jona- s’introdusse l’altro chitarrista, sfoggiando un cordiale sorriso di benvenuto.

La famigliola felice fu l’ultima in assoluto. Per fortuna, a parere di Rylee, che stava iniziando a fare confusione. Il padre dei due ragazzi l’accolse molto affettuosamente, per poi dedicarsi ad Aaron, rimasto in disparte, non abituato a quella situazione.

-Rylee, giusto? Io sono Tom, Tom Sykes.-

-Tom?! Pure tu?! Avete tutti gli stessi nomi, anche Matt prima! Come vi distinguo?- osservò lei.

-Noi solitamente chiamiamo Godfrey e Kean per cognome e Matt Nicholls per nome. Mentre nel nostro caso io sono l’unico a mantenere il nome, mentre Tom Barnes viene chiamato per cognome- spiegò il ragazzo dagli occhi glauchi. Ora Ry era veramente sconnessa. Lo guardò stranita.

-Ci farai l’abitudine- la confortò l’altro.

Intanto Oliver, in un angolo con Amanda, sorrise inebetito alla reazione della nuova modella, provocando l’ira velata della fidanzata.

Si avvicinarono, senza mai lasciarsi la mano.

-Io sono Amanda- parlò per prima la ragazza, che sin da quando si erano conosciuti aveva imposto il suo comando. –E io Oliver- fece lui totalmente sottomesso.

-Rylee, ma chiamatemi Ry- fece lei squadrando la coppietta. Lo sguardo di Amanda era fermo su di lei. La ragazza non le toglieva gli occhi di dosso. Rylee iniziò a sentirsi sotto pressione. Odiava quando la gente la fissava, odiava la gente in generale, antropofobia, così l’aveva chiamata lo psicologo. Ry si era informata cercando in google la definizione della diagnosi e aveva trovato: forte paura delle persone e dei contatti sociali. L’americana ignorò completamente il pensiero dello specialista, considerandolo sbagliato: non aveva paura della gente, aveva schifo. E ora si stava preparando a stare quasi costantemente a contatto con un mucchio di persone. Perfetto.

 
Secondo capitolo :) una cosa soltanto: allora per chi non lo sapesse, tutti i nomi e le descrizioni dei modelli della Drop Dead non sono inventate, so che potrebbero confondere un po’ ma penso che prima o poi ci farete l’abitudine :) 
Grazie a chi mi segue già e a tutti quelli che hanno letto :) 
Beh direi che non c’è altro, per il momento :D grazie di cuore
*Black Devil*
            
  
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