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Autore: lavale85    05/02/2013    1 recensioni
Quello che credevi, davvero, era di aver eliminato le lacrime dalla tua vita; non per sempre magari, ma per un po’ di tempo ancora.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non  credevi ci volesse così poco, davvero, a intaccare il bilancio di un anno più che positivo.
Quello che credevi, davvero, era di aver eliminato le lacrime dalla tua vita; non per sempre magari, ma per un po’ di tempo ancora.
Invece è bastato un segno di debolezza fisica ed eccole lì, cominciano pizzicando l’angolo interno dell’occhio destro, mentre in tv c’è Floris, ti fanno strizzare le palpebre per aprirsi meglio la strada e iniziano a scivolare sulle guance.
Le prime che scendono sono delle pioniere, fanno attrito sulla pelle accaldata dalla febbre, a volte incontrano qualche difficoltà, sembra che si fermino, ma hanno la forza di gravità dalla loro, e alla fine arrivano alla meta: il i tuoi capelli sparpagliati sul cuscino; quelle che le seguono devono solo adeguarsi a percorrere i sentieri già tracciati dalle coraggiose compagne, senza più ostacoli ormai, scorrono copiose – splendido aggettivo, peccato venga principalmente associato alle lacrime.
Rigagnoli, ruscelli, torrenti, fiumi, cascate: hai perso totalmente il controllo delle tue emozioni. Istintivamente ti domandi: “Perché diavolo sto piangendo?”, ma ovviamente né il tuo subconscio, né tanto meno il tuo conscio, ne hanno la più pallida idea. Fai resistenza, per una frazione di secondo provi ad opporti, ma quelle piccole bastarde hanno dalla loro parte quella maledetta forza di gravità e sai perfettamente che non potrai mai vincere.
Anche il primo singhiozzo esce a fatica, rimane incastrato tra la lingua e il palato, perché resti sempre una guerriera e non cederai senza lottare. Ne arriva un altro, ma con un’abile mossa riesci a convertirlo in un sibilo prima che veda la luce. Respirarespirarespira. Prendi un fazzoletto, asciugati gli occhi e soffiati il naso, passa velocemente una mano sul collo, elimina la goccia che si è incastrata nell’orecchio, tirati su e riprendi il comando prima che sia troppo tardi, prima che arrivi, prima che…
Sei stata troppo lenta, tanto per cambiare, sei stata troppo lenta, cazzo, e adesso hai perso. Lo senti nascere adesso, e lo riconosceresti tra mille, quel dolore, anche se non vi incontravate da tempo. Quando era un fedele compagno delle tue notti amavi paragonarlo al taglietto provocato dalla carta: insignificante, ma difficile da ignorare; impossibile da ignorare se ti colpisce in quella parte vulnerabile situata all’altezza dello sterno, dove si annida l’anima, o il cuore, non l’hai mai capito bene.
Così ti abbandoni, e muori.
Foglietto, lametta, coltello, mannaia: non vedi nemmeno più la stanza intorno a te. Ora non importa nemmeno più perché piangi, lo fai e basta, come se da questo dipendesse la tua sopravvivenza: la voce non ha più impedimenti, e ti lamenti, e ti lamenti. Le braccia stringono il corpo, cercando di ripararlo dagli attacchi continui, ancorandoti a te stessa per non finire troppo troppo giù.
All’improvviso, quando ormai ogni cellula di te è colata a picco, cominci a risalire, ed è quasi un’esperienza extracorporea, il momento in cui rinasci, perché finalmente, di nuovo, respiri. Una volta, due volte, tre quattro cinque volte. E ridi, per cacciare via anche l’ultimo fantasma di gemito, ancora con le braccia allacciate alla vita, ma con un significato diverso stavolta.
Ti rimetti a sedere e anche un po’ in sesto, ti viene l’ispirazione per scrivere qualcosa – non succedeva da un anno, è da un anno che sei serena -  e pensi due cose.
Che allora è proprio vero che la felicità non è per niente produttiva per gli scrittori – poveri scrittori, e anche che l’aver eliminato tutto quel muco farà sicuramente molto bene al tuo raffreddore.
  
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