Sherlock e Irene camminavano uno affianco all'altra.
Chiunque li avesse visti non avrebbe avuto alcun tipo di sospetto.
Era infatti uno spettacolo abbastanza consueto vedere quella donna aggirarsi per la città in compagnia di persone sempre diverse, spesso dall'aspetto poco raccomandabile.
Sherlock si passò una mano sulla leggera barba non fatta.
«Pensieroso come tuo solito, vero?» disse Irene.
«Ovviamente. C'è un uomo che ci segue da quando siamo arrivati sulla strada principale» rispose lui a bassa voce, gettando una rapida occhiata alla vetrina di un negozio.
Riflesso in essa c’era l’immagine di un uomo piccolo dalla faccia simile a quella di un topo che si trovava proprio alle loro spalle.
«Credi sia un uomo di Jim?»
«Chi altri? Lo conosci?» s’informò Sherlock.
Irene imitò il gesto del detective, poi annuì lentamente, senza farsi vedere.
«Solo una pedina minore, comunque. Un rapinatore da quattro soldi che Jim usava per creare diversivi».
Sherlock tossì.
«Dobbiamo capire se ha scoperto la mia identità. Al prossimo negozio ci fermeremo e staremo a vedere che succede».
E così fecero.
L'uomo si fece avanti.
«Miss Adler! Non ero certo che si trattasse proprio di lei!»
«Oh, Percival. Non l'avevo notata».
La donna si guardò intorno.
«Qualche problema?» chiese a bassa voce.
L'ometto si guardò intorno anch'egli, scorgendo lo sguardo di Sherlock fisso su di lui.
«Forse è meglio parlarne lontano da orecchie e occhi indiscreti» mormorò, accennando al detective.
Irene seguì il suo sguardo.
Gli occhi di Sherlock stavano ancora studiando il rapinatore.
«Il mio amico qui non avrà certo problemi ad ignorarci, non è forse così?».
Non ricevendo risposta, la donna si protese verso il detective e lo schiaffeggiò.
«Non è forse così?» ripeté, vagamente divertita.
D'altronde, doveva far credere a Percival O’Brian che Sherlock non fosse altro che uno dei suoi tanti amici…
L'uomo la fulminò brevemente con lo sguardo, ben attento a non essere visto da O'Brian.
«Sì, signora» sibilò a denti stretti.
O'Brian sembrò più rilassato.
«Ha saputo di quanto accaduto agli altri?» le chiese.
«No, che è successo?»
«Il governo britannico li ha beccati».
Irene sgranò gli occhi, sorpresa.
Come una perfetta attrice.
«Come è potuto accadere?» chiese, fingendosi sconvolta.
«Non si sa. Ma una cosa è certa. Qualcosa non torna»
«Che vuol dire?».
«Alcuni di noi si sono convinti che ci sia sotto qualcosa. Questa caccia alle streghe è iniziata dopo la morte di quel ficcanaso; di quello Sherlock Holmes. Moran è dell'idea che sia successo qualcosa, quel giorno»
«Qualcosa di che tipo?».
L'uomo scosse il capo.
«Non è sicuro parlarne qui. Posso passare al suo appartamento più tardi, per metterla al corrente di tutto».
«Benissimo. Allora a più tardi, O'Brian. La chiamerò io per avvisarla dell’orario».
L'uomo le baciò servilmente la mano, poi sparì tra la folla.
Irene e Sherlock si avviarono nuovamente per la loro strada.
La Donna studiò per un po’ il detective.
«Doveva apparire una scena credibile» disse improvvisamente.
Sherlock alzò gli occhi su di lei.
«Per lo meno mi hai risparmiato il naso e i denti. A quanto ricordo, significa che la persona che mi colpisce tiene a me. Devo essere lusingato, Miss Adler?»
«Ti dissi anche che mi sarebbe piaciuto schiaffeggiare quegli zigomi fino a ferirmi».
«Quindi devo dedurre che la motivazione sia questa? »
«Non la ritieni plausibile? »
«Non dico questo».
«E cosa dici, allora? »
«Che non ci riproverei, fossi in te».
«Oh... Picchieresti una donna, Sherlock?»
«Una donna no. Ma tu non sei una donna. Tu sei La Donna. Fa un enorme differenza».
Irene Adler scoppiò a ridere.
«Perché non mi colpisci, allora?».
Sherlock ghignò.
«Perché so quanto ti farebbe piacere, se lo facessi».
Si trattenne dal sollevarsi il bavero del cappotto - evitando così di tradirsi con un gesto che ormai tutti collegavano alla sua vecchia vita - e si avviò verso l'appartamento della donna.
*
Molly Hooper sussultò, quando scoprì John Watson all'interno dell'obitorio.
«Oh, ciao» disse nervosamente.
Avrebbe preferito cento volte "la visita" di Lestrade, piuttosto che quella del medico.
Era già difficile riuscire a mantenere il segreto sulla reale sorte toccata a Sherlock con l'ispettore, figuriamoci fare la stessa cosa con il suo migliore amico.
«Ciao. Ascolta, so che è un argomento di cui non ami parlare - così come me - ma...».
John si schiarì la voce.
«Hai fatto tu l'autopsia a Sherlock, vero?».
Molly impallidì.
Sperava che mai nessuno le avrebbe rivolto quella domanda.
In un attimo temette di crollare, ma si fece forza.
Sherlock le aveva affidato letteralmente la sua vita, chiedendole di mentire per lui.
E lei non l'avrebbe deluso.
Non poteva!
«Sì... Sì, sono stata io».
«Hai fatto un esame approfondito oppure...».
John tentava in tutti i modi di non pensare ad altro che alle domande da rivolgere alla donna.
Doveva semplicemente fingere che non si trattasse di Sherlock.
Tutto qui.
«Intendi se ho controllato che non ci fossero altre possibili cause della morte?»
«In parte. Ma mi riferivo al fatto di aver controllato se aveva polvere da sparo sulle mani, o…».
Molly scosse il capo, cercando di non scoppiare a ridere di fronte a quella situazione surreale.
«L’avrei fatto» iniziò, la voce che le tremava.
“Se solo fosse morto”.
«Ma non mi sembrava rilevante, data la mancanza di ferite da arma da fuoco o di un qualsiasi indizio contrario all'ipotesi di un suicidio».
Vide John annuire, non contento.
«Il problema è che dobbiamo sapere se Sherlock ha sparato a qualcuno, prima di gettarsi dal tetto» mormorò questi.
Scosse nuovamente il capo, sconfortato.
«Odio anche solo il pensiero. Ma dobbiamo disseppellire il corpo di Sherlock».