- Ali rosse
-
…passione
assassina, il colore del peccato…
Rosso era il
colore,
nere le
stelle.
La vidi in
lontananza,
con il cielo dipinto
di scarlatto.
E mi cadde
accanto,
mentre con la sua
veste tesseva lino.
quella era la seta
del destino.
E con quegli occhi
color neve,
osservava il sangue
grondare dal mio corpo.
E il suo cuore emise
un sussulto,
un pulpito di nero
terrore.
Quando la osservai
per l’ultima volta,
vidi le sue ali
tingersi di rosso,
mentre dal bianco
nascevano lacrime scarlatte.
E le sue ali si
chiusero, sporcandola di morte.
Che
lei era un angelo, lui, lo aveva sempre saputo.
Che
era diversa lo aveva capito da molto tempo.
Che
non avrebbe fatto mai del male a nessuno, ne era
consapevole.
Eppure, lui, l’aveva sempre odiata. Perché era la
capostipite di una famiglia troppo prestigiosa persino per lui.
E
con ripudiato disgusto Neji attraversava quell’ insieme di putrefatto sangue
ogni giorno. Percorreva lento quelle mura bianche dipinte di rosso. Sembrava che
la villa piangesse la sua esistenza. Le pareti colavano sangue invisibile,
lacrime dai colori così scarlatti da essere incorporei.
E
quello era il destino di Neji. Per sempre immerso in quel sangue. Per sempre
costretto ad osservare quello spettacolo perverso, che solo lui riusciva a
vedere.
Perché i suoi occhi erano vivi. E stentavano in quei
panni maculati.
Ed
ogni volta Neji sentiva il tatami sporco al suo passaggio.
Il sangue
colava dalle pareti.
Lui
camminava nel sangue, consapevole che il pavimento fosse sgombro. E vedeva
sempre la servitù lucidare quello sporco legno. Eppure le macchie non se ne
andavano, incastonate nei suoi occhi.
Forse quel
sangue lo vedeva solo lui.
Ecco perché Neji ripudiava quella vita. Era troppo
sanguinaria persino per un ninja come lui. Eppure andava avanti, senza uno scopo
preciso.
Nemmeno lui
sapeva chi era veramente.
E
ormai Neji si era abituato al rosso scarlatto della sua vita. Lo vedeva ovunque,
e quando lo percepiva, il suo gusto era orrendo. Quel sapore gli impiastrava la
bocca, senza dar segno di cessare. Quello era il gusto del sangue. Lui se lo
portava sempre appresso.
Quello era il gusto della morte.
Ti piace,
Neji, il sapore del sangue?
E
poi ogni giorno lui lo sentiva, quell’aroma nauseabondo. Quello gli dava le
vertigini ogni maledetta volta. Quello era l’effluvio del peccato. Quello era
diventato il suo odore.
Che buon odore
che hai Neji? Cos’è?
Morte.
E
così la storia si ripeteva. Ormai lui non percepiva nemmeno più l’odore dei
ciliegi in fiore. Non sapeva più nemmeno che profumo avessero. Adesso li vedeva
rossi e sporchi. Una pioggia di scuro amaranto.
Una pioggia di
petali di sangue.
Ma
ogni volta riusciva a percepirlo. L’unica macchia chiara tra il nero e il
rosso.
O forse la più
nera.
Era
profumo di fiore. Inebriante fiore. Un fiore bellissimo,
ma stava per
appassire.
Lo
vedeva ogni giorno, immerso nel sangue. Non rosso,
non nero.
Bianco.
Ed
era anche l’unico spiraglio di luce, che brillava. Ma ancora una volta solo Neji
riusciva a vederla, quel chiarore.
E
mentre il tempo passava, e così gli anni, Neji iniziò a chiedersi come aveva
potuto odiare una creatura simile.
Peccato che quella creatura,
danzasse nel
sangue.
E
la vedeva sempre volteggiare, in quei corridoi. Passava con divina eleganza,
sfiorando appena il sangue del pavimento.
Il sangue non
osava toccarla.
Ed
era bellissima, in quella veste di seta bianca. Quella era la sua luce. O almeno
lo era diventata.
Lei, era solo la macchia bianca in quella coltre di
nero. Perché nella famiglia Hyuga, non c’è spazio per gli angeli. Ma Hinata
Hyuga era un angelo, e lo era sempre stata.
E questo,
Neji, lo aveva capito.
Neji aveva
diciassette anni adesso. E ancora la osservava, avido. Ogni notte si concedeva
di contemplare quei sedici anni di infinito splendore, ammirando la sua bellezza
eterea.
Ma il tempo
passava, e quell’angelo diventava sempre più inquinato, sempre più
macchiato.
E
Neji riusciva a vederla, quella piccola macchiolina nel bianco kimono. Quella
macchia rossa, che non riusciva ad andare via.
E
forse lei la percepiva, Hinata sapeva di quella minuscola chiazza, ma faceva
finta di niente. Aveva preferito il silenzio. Aveva preferito abbassare lo
sguardo, che ammettere quell’ insulso sangue sulla sua veste. Quella macchia che
lentamente si estendeva, ma che nessuno vedeva.
Nessuno a
parte Neji.
E
in quella nottata, quando tutta villa Hyuga riposava, sopra quell’ ingente color
sangue, Hinata era sveglia, a cercare di levare quella macchia.
Eppure sapeva
che non ci sarebbe riuscita.
E
anche Neji Hyuga era sveglio, in quella fredda notte d’inverno. Lui aspettava in
trepidante attesa, che il suo angelo si addormentasse.
Eppure fu sempre quella sera, che la bestia di sangue,
iniziò a bramare la creatura celeste. Basta sguardi fugaci, basta osservare da
lontano quella bellezza segreta. Lei doveva essere sua. Lui la voleva ad ogni
costo.
Lui
era un angelo nero,
Un angelo
della morte.
Lei, il suo opposto.
Bianca come la neve. Candida come il suo
cuore.
O forse era il
contrario.
E
in quella tarda serata di gennaio, Neji si ritrovò davanti alla porta di lei, il
suo angelo. Rimase immobile per molto tempo, lì davanti, odorando quel tenue
odore di fiore fresco, e godendosi le chiare pareti.
Non più
immerse nel sangue.
Ma
riusciva comunque a vederlo, il sangue che lo raggiungeva, quasi fosse vivo.
L’orrore correva per i corridoi, di muoveva furtivo, e piangeva la sua triste
forma, da quelle bianche pareti, screziate di scarlatto.
E per la prima
volta nella sua vita, ebbe paura di quel rosso.
Ebbe terrore del sangue, del peccato che si avvicinava
furtivo, sentenziando la sua fine.
Stentava, ma quello che stava per fare era il suo
desiderio da anni. Assetato di un cielo più nero che bianco. Smanioso di quella
vanità peccatrice.
E
fu il desiderio, che in quella gelida notte, dove anche le tenebre tacevano
stanche, lo spinse ad aprire quella porta, così vicina da essere
irraggiungibile.
Ma forse era
riuscito a raggiungerla.
Rimase gelido, ad attendere accanto alla stipite,
infrangendo i battenti con i occhio più chiari del cielo. E percorreva famelico
quelle curve perfette, quell’ angelo dalla divina eleganza.
Così bella da
abbagliare.
“Nee-chan… cosa ci fai qui?”
Un bisbiglio,
un sussurro trasportato dal vento, intrappolato dal
sangue.
Lei
lo fissava con estranea curiosità, non nascondendo quel pizzico di paura che
ancora provava verso il cugino. La sua mente era solo una vacuità di domande.
E
forse era quel vestito così ristretto, o forse quell’ avidità da peccatore, ma
sentì il tepore trasformarsi in passione, quasi follia.
Il
terrore pervase il piccolo angelo quando vide Neji avvicinarsi velocemente,
sbattendola quasi furioso contro il muro. Le teneva immobilizzati i polsi,
incosciente del dolore che le procurava.
E
quando Hinata riscontrò il suo
sguardo impassibile, notò le iridi nivee colorarsi di passione e sgomento, quasi
pazzia.
Adesso, Hinata, tremava.
Terrorizzata da uno sguardo troppo penetrante per il suo
vestito spoglio, e troppo dolce per essere vero.
Non
capiva cosa pensare, non capiva se essere onorata o spaventata da quel corpo
così premuto al suo, che sembrava voler osare più di quanto
potesse.
Ma
Neji non voleva farle del male. Era soltanto infuocato dalla passione. Passione
assassina.
E
mentre sentiva un calore nascosto pervadergli la pancia, come un brivido di
piacere, Neji incatenò i loro sguardi, degustando quegli occhi che sapevano di
neve. Fresca e candida. Una parte di lei. Pura come l’angelo che aveva
dentro.
Neji avvicinò il suo volto al collo di Hinata, odorando
quell’irrequieta emanazione di fiori. Sospirò di piacere. Quell’aroma lo
inebriava come una fraganza di libertà.
E
improvvisamente tutto si fece sfuocato. Solo lei in quella stanza di vuoto. Le
pareti iniziarono a sanguinare ancora una volta, mentre Neji spezzava una barriera
invisibile, irrompendo fino al confine del proibito.
E
il sangue iniziò ancora una volta a dipingersi tra le pareti, raggiungendo denso
anche i loro corpi, allungandosi fino ai loro piedi. Eppure sembrava non
toccarli. Evitarli istintivamente, quasi fossero già
infetti.
Loro erano la
morte.
“Hinata-sama…” si concesse si mormorarle ad un orecchio,
prima di affondare le sue avide labbra sul collo della ragazza, degustando
quella candida pelle, liscia come seta.
Assaporava il gusto dolciastro di quel corpo, bagnandolo
con la sua lingua.
Una lingua che
sapeva di sangue.
Hinata non si mosse. Immobile, ad osservare il sangue
davanti a lei. Il sangue che la sfiorava senza toccarla. Quello era il gioco
della morte.
Cercò inutilmente di allontanare il corpo del cugino dal
suo, facendo leva sulle mani. Ma Neji assaporava il sapore del peccato, quel
peccato di nome incesto.
E
mentre lei iniziò a divincolarsi sempre di più, lui la strinse a sé, premendo
quell’angelo ancora di più a ridosso del muro.
E Hinata
soffriva in quella morsa di sangue.
Non
poté fare altro che aspettare. Aspettare di vivere, aspettare di morire.
Aspettare un perdono, che non saprebbe mai arrivato.
E
Neji si gustava la sua pelle, arrosata dal sangue.
Troppo
rosso.
Troppo
scuro.
Hinata sussurrò, una parola che sapeva di
preghiera.
“P-perché?”
E
le labbra di Neji frenarono quel banchetto di avarizia, dischiudendosi per
l’incompleta sazietà.
“Ti
amo…” la fissò negli occhi, così intensamente che Hinata credette di morire.
Perché quello sguardo sapeva di assassino.
Il suo
assassino.
Con
improvvisa pazzia penetrò le sue labbra, così morbide da essere panna. Percepiva
il dolore, il dolore di quel bacio. Non la sentiva sua.
Allora il
sangue parla.
Ma
Hinata si era lasciata soggiogare dalla pazzia. Adesso lei aveva osato amare, e
stava osando peccare.
Ricambiò
quel bacio, con la passione che li invadeva.
Hinata
piangeva sangue, mentre una barriera di nero l’avvolgeva, proteggendoli da quel
liquido scarlatto.
L’angelo
provò paura, mentre le lacrime le coloravano gli occhi di amaranto. Quelle iridi
una volta chiare, adesso rispecchiavano l’ombra del peccato, e mostravano un
angelo di nera intenzione.
E
Hinata sentì un formicolio alla pancia, un solleticare piacevole, mentre le mani
di Neji le si intrufolavano fin sotto gli abiti, intingendosi nella sua bianca
carnagione.
Neji si rimpossessò di quelle labbra e con movimenti
maliziosi lasciò scivolare l’abito bianco lungo la seta di quel corpo niveo, che
fremette dal freddo, congelato dal tocco del sangue.
Anche il
sangue osa.
La
adagiò furente sul letto, mentre infuocato dall’eccitazione, le sfilava gli
ultimi indumenti, lasciandola spoglia della sua vergogna.
Neji non capì il perché, ma in quel momento, sentiva la
colpa soffocarsi in gola, mentre con putrida irruenza osava tentare quel corpo,
filtrando una chiara purezza, irrompendo l’intimità di quella divina
creatura.
E
mentre lui sospirava per lo sforzo, invaso dal piacere, Hinata fremette dal
dolore.
Questo è il
dolore del peccato.
Fa male, vero Hinata?
Lei
sospirò, mentre piano il dolore si tramutò in piacere e malizia. Voglia di
peccare.
Sospiri, affanni, sussurri, gemiti… Tutto si confondeva
all’aroma del sangue, che non osava sfiorarli.
Dolore, piacere, passione, bruciore…ecco che il niente
si tramutava in ingente peso, e lo scarlatto diveniva
enfasi.
E
in quel momento loro sembrava avessero le ali. Grandi, bianche, spiegate… ed
erano così vaste da proteggerli, in quello sfondo di sangue, che propenso al
peccato colava dalle mura.
E
si vedevano le piume intingersi di rosso, colorarsi di nero. Scurivano il loro
puro tepore, e divenivano perfetta eleganza. Perfetta
oscurità.
Goccia per goccia lo scarlatto si adagiava su angeli
impossibili, intoccabili, quasi immateriali.
Eppure loro erano lì. Una cosa sola, immersi nel sangue
della loro vita.
“Non lasciarmi mai… Neji…”
“Mai… Hinata.”
Ma
neji continuava a vederlo, il colore del sangue. E ancora, quando passava per
quei ristretti corridoi, lui poteva ancora percepirlo, quell’amaranto acceso.
Eppure, nonostante quel sangue sembrasse aumentare, lui lo vedeva più chiaro,
quando di fianco a lui c’era quell’angelo.
E
la macchia di Hinata se ne era andata, scomparsa in un cielo di seta.
Ancora camminavano, di fianco, i due angeli celesti.
Nero e bianco. Pace e guerra.
Ma chi era il
bianco, e chi il nero?
Insieme combattevano, in quel mare di sangue. E mentre
la pioggia li avvolgeva, li ripuliva, li macchiava, loro osservavano felici, la
loro diseredazione.
Quella era la loro libertà.
E
piangevano silenziosi, la loro villa di sangue. Forse, quel sangue gli sarebbe
mancato.
Ad
entrambi.
Perché quella sera li avevano scoperti, e gli angeli
avevano lottato.
La
luna si era tinta di rosso, era diventata sangue fresco, e avvolgeva Konoha con
irrequieta disavventura.
E
il plenilunio aveva visto il sangue quella notte, ne era stato intinto. E
colava, gocciolava senza tregua. Goccia dopo goccia, vita dopo vita.
Forse, gli avevano strappato le ali, come trofei
impuniti.
E
adesso brillavano lontani, Hinata e Neji, verso le stelle del firmamento.
Lontani e vicini.
Percorrevano insieme la via lattea, dispiegando ali
invisibili, vivendo la loro vita conclusa.
E
osservavano da lontano, il pentimento dei dannati. Osavano mangiargli l’anima,
come divoratori dell’inferno.
Navigavano nello Stige, guidati da un finto Caronte,
sopra acque
inanimate.
E
da lontano il loro sguardo si fece di sangue, si intinse di rosso. E diventò
ferita e condanna.
Il
bianco si tramutò in scarlatto, divenne assassino. E quelle iridi, avevano
allontanato il loro passato, condannando i loro assassini.
Hyuga. Nome di
peccatori.
Perché quella sera, Hinata e Neji Hyuga, avevano perso
la vita, condotti da una via di
sangue. Avevano combattuto per il proprio amore, ed erano periti, per colpa di
quel maledetto colpo . Lo stesso colpo che in un secondo, aveva fatto scoppiare
i loro cuori. Adesso, il sangue si vedeva davvero.
Ed
erano caduti, insieme, uniti, mano nella mano, macchiati di un amore proibito,
sentenziato da macchie rosse.
Uniti anche
nella morte.
E
in un istante, Neji lo aveva sentito, quel maledetto odore di sangue. Il vero
sapore della sconfitta, trainata dal destino.
Quello, era
l’effluvio della morte.
Le sue ali brillavano di
notte,
colorate del colore della
morte.
Il vestito tingeva
colori,
di una arcobaleno di
canzoni.
Le labbra rosse sorrisero
indistinte,
mentre la voce creava parole
finte.
La vidi perdere il suo
splendore,
con il sangue a fare da
giudicatore.
E per un’ultima volta vidi quel
sorriso,
ma il suo sguardo era già dipinto
di grigio.
Allora…
mmmh… che ne pensate? =P Non so se è venuta bene, e non sono sicura che le mini
poesie vadano bene. Cmnq, spero di ricevere abbastanza commenti, visto che
nell’altra, Sea’s heart, ne ho avuti pochi ç.ç … sigh… beh, cmnq, adesso vi
saluto ^o^,
un gran salutone da Sofia, alias
Hinata-chan 6. =3
Baciottoli pottoli! =3 Kiss O__<
Allora, avete visto che mi sn creata un'accaunt tutto mio? Sn un genio, nn c'è che dire =P XDDDD Kiss davvero ^^''''