Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Blue_moon    06/02/2013    5 recensioni
Secondo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia, è necessario aver letto la prima parte, Prigioni.
Loki è fuggito con il Tesseract, portando con sè Khalida.
Ma qual'è la vera missione della donna?
E cosa sta architettando veramente il Dio dell'Inganno?
Qual'è la vera natura del Tesseract?
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccomi qui con il sesto capitolo.
Non ho molto da dire, ci stiamo avvicinando alla conclusione e credo che si capisca dal tono che i capitoli hanno presto. questo sarà l'ultimo relativamente "calmo"...
Ci vediamo a fine capitolo.



Khalida non aveva mai pensato seriamente alla sua vita fuori dall'istituto dove il governo l'aveva parcheggiata all'età di quattro anni. In una sorta di meccanismo di autodifesa, aveva sempre creduto che sarebbe rimasta tra quelle polverose mura per sempre, prigioniera della routine cui i suoi genitori l'avevano condannata.
La realtà le si era imposta quando, alla soglia dei quattordici anni, le era stato comunicato che l'istituto non poteva più ospitarla.
In quel paese straziato dalla guerra e dagli stupri, c'erano troppi orfani e troppe poche adozioni.
Sprofondata in uno stato molto simile alla disperazione, Khalida aveva soppesato per giorni interi le sue opportunità.
Le cellule terroristiche accoglievano volentieri giovani sbandati, ma lei non aveva intenzione di seguire le orme dei suoi genitori. Avrebbe potuto vivere per strada, ma sapeva di non avere la durezza necessaria, era troppo compassionevole nei confronti dei più deboli. Non sarebbe mai riuscita nemmeno a rubare un pezzo di pane per sfamarsi, considerando che le uniche vittime dei suoi furti sarebbero state persone sfortunate quanto lei.
La carriera militare non l'aveva mai presa in considerazione. Non era una persona violenta, detestava fare del male anche ad un cane troppo invadente e quando troppe volte aveva difeso i bambini più piccoli dai bulli, ne era uscita con molti lividi e qualche frattura, pur di non reagire.
Ma quando quel reclutatore dell'esercito, bellissimo nella sua divisa perfettamente pulita, era venuto a visitare l'istituto, Khalida era rimasta affascinata dalla rigida disciplina, dall'ordine maniacale, dalla definita linea di comando.
A confronto con il caos violento e anarchico della sua infanzia, l'esercito le era apparso la sua strada, la sua vocazione e la sua redenzione.
Era un mondo con delle regole precise, che non andavano infrante.
Sentì che avrebbe potuto trovare finalmente uno scopo, scrollandosi di dosso l'infamia dei suoi genitori, servendo il suo paese e combattendo persone che avrebbero tentato ogni giorno di creare orfani come lei.
Con la cieca speranza dell'adolescenza, Khalida si era gettata anima e corpo nell'accademia, lasciando che la sua natura venisse stravolta dall'addestramento, plasmata dalla disciplina e contaminata dalla violenza. Quando era stato chiaro che, a causa dei suoi limiti fisici, Khalida non avrebbe mai potuto essere un soldato esemplare, aveva accettato di entrare a far parte dei servizi segreti e con anni di studi si era specializzata nella psicologia del prigioniero. Al suo attivo, nonostante la giovane età, aveva due lauree, una in criminologia, l'altra in psichiatria, più una specializzazione riguardante la tortura, in particolare le reazioni della psiche alle sue forme più svariate.
Anche se malvista per il fatto di essere musulmana, Khalida era di fatto l'agente più istruito e preparato di tutta la sua divisione.
Nessun caso che le era stato affidato era finito con un fallimento, prima di Manaar.
Ora, Khalida si sentiva come se tutto stesse ricominciando da capo.
Sin da quando Loki aveva ricambiato il suo bacio per la prima volta, sotto la pelle le si era infilato qualcosa di molto simile al senso di colpa.
Una sensazione che aveva sepolto a lungo dentro di lei, tanto da risultarle del tutto inedita.
Intrattenere relazioni intime con i propri obiettivi non era proibito dalle regole comportamentali dello S.H.I.E.L.D. Anche se non era considerata la linea ufficiale di azione, quando poteva portare alla conclusione della missione, era una pratica accettata, se non incoraggiata.
I rimorsi che Khalida stava fronteggiando non erano dovuti al fatto che era venuta meno alla sua etica professionale, ma a quella che si era imposta come essere umano. Per quanto potesse sembrare assurdo, lei ne aveva sempre avuta una.
Per tutta la sua carriera aveva avuto a che fare con uomini che non erano nemmeno degni di essere chiamati tali. Con loro Khalida non si era mai finta ciò che non era.
Anche se era stata addestrata all'arte della manipolazione e dell'inganno, con tutte le sue vittime non era mai stato necessario metterla a frutto.
Con gli uomini di violenza aveva sempre parlato la loro lingua, avendo successo la maggioranza delle volte. Era inutile utilizzare i sentimenti, con uomini che non ne provavano.
Con Loki le cose erano state fin da subito diverse, e adesso Khalida sapeva di aver oltrepassato il limite. Stava camminando sul difficile terreno dei sentimenti, delle emozioni e della fiducia, utilizzando e torcendo ogni sfumatura del proprio comportamento e delle proprie azioni.
Ma ormai era così dentro la propria finzione che stava iniziando a capire quanto non lo fosse.
C'era una parte, dentro di lei, che si fidava veramente di Loki, in modo masochista ed illogico.
Per lavoro aveva mentito ed ucciso, al servizio di bugiardi ed assassini peggiori di lei*, ma Khalida aveva sempre detestato la falsità, soprattutto con sé stessa.
Non poteva mentirsi.
Quando aveva accettato la missione si era detta che per riappropriarsi della sua vita avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma ora le sue certezze vacillavano.
Quello che stava facendo, non era più giusto.
Tra lei e Loki c'era qualcosa, un rapporto che non era più quello di un prigioniero con il suo carceriere. Non sapeva definire esattamente cosa fosse, ma esisteva, anche se era fragile come un castello di vetro costruito su un lago ghiacciato.
Al minimo sussulto, tutto sarebbe andato in frantumi, e Khalida era certa che quella che si sarebbe fatta più male sarebbe stata lei.
Quel castello l'aveva costruito lei con le sue mani, e adesso c'era imprigionata dentro, vittima della sua stessa strategia. L'unico modo per uscirne era distruggerlo, tagliandosi le mani e il cuore.
Lentamente, Khalida scivolò sott'acqua, lasciando che si chiudesse sopra di lei, il silenzio divenne soffocante e intenso.
Tutti quelli che consideravano Loki degno di biasimo non si erano mai preoccupati di dimostrarsi migliori di lui. Lei stessa non era stata altro che una bugiarda manipolatrice quanto lui.
Non aveva mai davvero considerato la sua vita più degna di quella di Loki, e non poteva più fingere il contrario.
Non che temesse per la sua sicurezza, Loki era perfettamente in grado di difendersi. Se lo S.H.I.E.L.D. fosse piombato a sorpresa, dubitava che sarebbero riusciti a catturarlo.
No, quello che la preoccupava era il fatto che lei sarebbe diventata l'ennesima persona ad averlo preso in giro, ad aver finto dei sentimenti non sinceri.
Loki non se lo meritava, non da lei.
Le aveva salvato la vita due volte, senza avere in cambio niente.
Era un gesto che aveva sempre trascurato, volutamente. Da subito quella consapevolezza le aveva turbato la coscienza che da anni seppelliva dentro di lei.
Non voleva più ignorarla.
Che lui non fosse il mostro sanguinario dipinto dai media e dagli stessi Vendicatori, l'aveva già capito da tempo, forse dalla prima volta che l'aveva visto.
Lei con i veri mostri ci aveva avuto a che fare.
E adesso, un peso le schiacciava il respiro ogni volta che lui la guardava.
Loki non la considerava una minaccia, tollerava la sua presenza, niente di più, convinto di avere il controllo della situazione.
Dimostrargli che in realtà lei non aveva mai smesso di essere un'agente che doveva interrogarlo, che si era fidata di lui solo perché il suo ruolo glielo imponeva, non perché lo ritenesse degno, la faceva sentire una persona orribile, più di tutte le altre azioni ignobili che aveva compiuto in tutta la sua vita.
Khalida riemerse di colpo dall'acqua, aggrappandosi ai bordi di metallo della tinozza e lasciando che rivoli d'acqua le scorressero negli occhi. Respirò profondamente per espandere i polmoni che aveva privato di ossigeno per troppo tempo.
Si scostò i capelli dagli occhi con un gesto secco, rabbrividendo per lo spiffero umido che proveniva dalle profondità della grotta.
Khalida sapeva cosa doveva fare, come l'aveva saputo con un istinto primordiale non appena aveva puntato la pistola contro Mannar, troppo tempo prima.
Il problema era che stava per scendere a patti con il suo senso di giustizia a discapito, con ogni probabilità, della sua stessa vita.
Forse Loki aveva ragione.
Era una stupida e debole sentimentale come tutti gli altri esseri umani.
Facendo leva sulle mani, Khalida si mise in piedi nella tinozza, avvolgendosi nell'asciugamano.
Lo sguardo le cadde sugli abiti che aveva abbandonato per terra.
Quelle riflessioni non avevano senso.
Aveva già deciso.
Con pochi gesti bruschi, fece cadere a terra l'asciugamano e indossò l'armatura asgardiana.
Il cristallo in cima a Match si illuminò non appena strinse le dita intorno all'asta di metallo.
La sua luce intensa e pulsante, le diede un minimo di incoraggiamento.
Sul fondo della tinozza, come un presagio, l'anello con all'interno il segnalatore brillò, colpito da un raggio di sole.

«Agente Barton!», chiamò un giovane analista, alzandosi dalla sua scrivania.
Clint sollevò lo sguardo dalla registrazione dell'ultima perlustrazione aerea della zona.
«Sì?», domandò.
«L'ultimo pacchetto di dati proveniente dall'agente Sabil è... preoccupante, signore», spiegò il ragazzo, portandosi una mano alla nuca con fare imbarazzato.
«Definisci preoccupante», lo incitò Barton.
L'analista deglutì. «Bé, la posizione del GPS è rimasta identica, ma i segni vitali...», la voce tentennò ancora.
Clint si spazientì. «Per la miseria, agente! Cosa diavolo è successo?», sbottò, alzandosi in piedi.
«I segni vitali sono spariti», concluse l'analista.
Occhio di Falco si immobilizzò per una frazione di secondo.
«Cosa significa?», domandò la voce di Rogers, dietro di lui.
Il capitano lo aveva raggiunto da qualche giorno nella base di monitoraggio nel deserto, in previsione del recupero dell'agente Sabil fissato per tre giorni dopo.
Clint si passò una mano sul viso, prima di premere un tasto sull'auricolare.
«Significa guai, Cap», rispose, voltandosi verso il compagno.
“Sì, agente Barton?”, rispose contemporaneamente la voce piatta dell'agente Hill all'altro capo dell'auricolare.
“Devo parlare con il Direttore”.
“Vi metto subito in contatto”, annuì la donna, premendo una sequenza di tasti.
“Spero che abbia un buon motivo per svegliarmi a quest'ora, agente”, sbottò la voce roca di Fury dopo qualche istante.
Barton alzò gli occhi al cielo. “Sissignore”, iniziò. “Il trasmettitore dell'agente Sabil ha smesso di inviarci i suoi segni vitali. La missione potrebbe essere compromessa, signore”.
Fury si fece immediatamente più attento.
“Da quanto tempo non ricevete i suoi dati?”.
Barton consultò il computer davanti a lui. “Un'ora fa era tutto regolare, pochi minuti fa è arrivata la nuova trasmissione, vuota”.
“La posizione?”.
“Invariata, signore”.
Fury sospirò pesantemente. “Intervenite immediatamente”, ordinò, e il suo tono cupo lasciava intuire che il Direttore era preoccupato.
“Come dobbiamo comportarci con l'agente Sabil?”, chiese Clint, facendo un gesto al suo secondo.
“Al primo segno di tradimento, siete autorizzati a sparare”, sentenziò Fury. “Buon lavoro agente”, concluse, chiudendo la comunicazione.
Clint guardò negli occhi Rogers, che aveva ascoltato tutta la conversazione.
Il Capitano si alzò.
«Meglio che metta l'armatura».

Loki non capiva.
Aveva perfino attinto alla sapienza del Tesseract, ma ovviamente il manufatto non era stato creato per rispondere a interrogativi tanto inutili e trascurabili. Eppure, la sua mente lavorava frenetica, elaborando decine di domande, senza trovare neppure una risposta.
Il giorno prima non aveva acconsentito alla richiesta di Khalida con l'intenzione di suscitare in lei sentimenti di comprensione, o per farle veramente conoscere ciò che aveva vissuto.
Non era interessato ad essere capito.
Troppi avevano detto di farlo, e nessuno c'era mai riuscito.
L'aveva fatto perché sperava, con tutte le sue forze, di veder spuntare negli occhi neri della donna una scintilla di pietà. Almeno avrebbe avuto un ottimo motivo per ucciderla seduta stante.
Ma Khalida l'aveva contraddetto per l'ennesima volta.
Si domandava cosa trovasse di tanto affascinante nel mettere a rischio la sua vita provocandolo.
Aveva avuto fegato, gliene dava atto.
Nei suoi occhi profondi come la notte non era passato nemmeno uno sprazzo di sentimento. Impassibile nel volto, i suoi gesti erano stati eloquenti, con la sincerità disarmante dell'arresa incondizionata. Gli si era concessa con un calore che l'aveva scottato più in profondità di quanto volesse ammettere.
Loki era una creatura cresciuta nell'oscurità, assuefatta alla solitudine.
Quando aveva compreso la sua vera natura, aveva anche accettato che non sarebbe mai uscito da quella spirale di solitudine che l'aveva sempre accerchiato e soffocato. Aveva imparato, a costo del suo stesso passato, a farne la sua forza, la sua corazza.
La solitudine era come una scheggia di vetro conficcata nel palmo della sua mano, troppo in profondità per essere tolta senza dolore e sangue.
Loki era stanco di soffrire, non aveva intenzione di farlo ancora, inutilmente.
Soprattutto, non a causa di un'umana.
Doveva farla finita, ormai aveva imparato a padroneggiare il Tesseract a sufficienza, abbastanza da non affaticarsi ogni volta che attingeva all'energia del Cubo.
Era arrivato il momento di porre fine a qualsiasi cosa stesse accadendo, o fosse accaduta, tra lui e Khalida. Entrambi erano stati abili spie l'uno dell'altra, scrutandosi l'animo e i sentimenti, in un gioco che si stava rivelando troppo pericoloso, probabilmente mortale.
«Loki».
La voce della donna gli arrivò distante, come attraverso una lastra di vetro.
Si voltò lentamente.
Sollevò le sopracciglia, quando si accorse che indossava l'armatura asgardiana e stringeva in pugno l'arma che le aveva dato.
Lei avanzò di un passo.
Qualcosa scattò dentro Loki. Un senso di pericolo, una sensazione familiare e antica, la stessa che aveva provato quando quel gigante di ghiaccio l'aveva toccato.
Riuscì a sentire la risata del destino, che si prendeva gioco di lui, ancora una volta.
«Dobbiamo parlare», disse Khalida, e la sua voce suonò rauca, come l'eco lontano di un vetro che si crepa e crolla in mille pezzi.

--------------------------------------------------

*Come non riconoscerla? citazione di quello che dice Loki a Natasha anzi, alla vulvetta lamentosa XD
Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Castle Of Glass dei Linkin Park.

Adesso di Khalida sappiamo tutto tutto tutto...
Cosa succederà?
Alla prossima settimana!

Nicole
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Blue_moon