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Autore: Shu    28/08/2007    11 recensioni
"Watanuki-kun, ma... non sono mai venuti clienti maschi nel negozio di Yuuko?"
Genere: Triste, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kimihiro Watanuki , Yūko Ichihara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Storia scritta per il concorso estivo sulle "Storie inquietanti" indetto da Harriet sul forum di EFP; potrete trovare qui il topic e il regolamento del contest.
Approfitto di questo spazio per ringraziare la suddetta promotrice di quest'iniziativa, ma anche alcune persone che frequentano questa sezione e che sono state così gentili da lasciarmi delle recensioni che mi hanno riempito di gioia! Grazie davvero, Kuri, Renki-chan, Selia, Freakishly_strong, e naturalmente anche a Kairi e alle mie amiche! Spero che anche questa storia possa essere di vostro gradimento; e siccome qui si tratta di un caso "da Holic" inventato, se qualcosa vi sembra poco plausibile o voi dareste diverse interpretazioni alla cosa, come sempre ogni discussione con me è la benvenuta!]

 

 

Tsuki

 

 

Cosa c’era di meglio di una pausa pranzo sotto gli alberi, nell’angolo più tranquillo del giardino, con tutte le cose che gli piacevano da mangiare, e con una ragazza carina e adorabile come Himawari?

C’era, eccome se c’era.

Mangiare sotto gli alberi, nell’angolo più tranquillo, le sue cose preferite, con Himawari… senza quell’idiota di Doumeki.

Watanuki si lasciò andare a un melodrammatico sospiro, ad uso e consumo del ragazzo seduto davanti a lui, ma siccome quello non sembrava recepire il messaggio, pensò che in fondo era meglio lasciar perdere, e dedicarsi alle molto più interessanti polpettine.

“Come mai sospiri, Watanuki-kun? Non ti senti bene?”

“Ma no!! Mai stato meglio, Himawari-chaaan!” trillò immediatamente lui, e per chiarire il concetto sventolò le braccia in una bizzarra danza. Quando però un paio di polpettine se ne rotolarono via e Himawari fece udire una risatina, si riafflosciò mestamente sul suo pranzo.

“Non ti sarai stancato troppo?” insistette poco dopo la ragazza. “Lavori quasi tutti i pomeriggi… e lì nel negozio di Yuuko-san capitano sempre cose così strane… A proposito… poi non ci hai più raccontato come è finita con quella cliente della fotografia stregata!”

“Ah… già, è vero… era un sacco di tempo fa, però poi ci sono state diverse cose nel mezzo e…” Watanuki tacque, un po’ imbarazzato. Diverse cose nel mezzo… che includevano tutta la vicenda del ragno, una cosa così grossa che ancora non sapeva bene come affrontarla o cosa dire, specialmente a Doumeki. Ma per fortuna, lui non commentò.

“Allora, quella storia?” si limitò a sollecitare, chino sul suo bento.

Lieto del cambio di argomento, Watanuki raccontò cos’era successo alla strana fotografia e alla sua proprietaria. “Incredibile!” esclamò alla fine Himawari a bocca aperta, ma lui a ripensarci si sentiva solo rabbrividire. Ogni tanto Yuuko era così… tremenda… Non che quella donna non se lo fosse meritato, ma la cosa era tremenda lo stesso.

Scese un po’ di silenzio fra i tre. Himawari era rimasta con le bacchette in mano, pensierosa. Doumeki si girò verso di lei. “Tutto ok?”

“Oh, certo, Doumeki-kun, grazie!” si riscosse lei, sorridendogli; gli occhi di Watanuki mandavano saette. “Stavo solo riflettendo… Watanuki-kun, ma non sono venuti mai clienti maschi nel negozio di Yuuko? Oppure sono io che non me ne ricordo, o tu che non ce ne hai mai parlato?”

Anche Watanuki smise di mangiare, un po’ sorpreso della domanda. “Ah… non so… però, in effetti, ora che mi ci fai pensare, da quando ci lavoro io, vediamo… c’è stata la ragazza dell’anello, con il vizio di mentire…”

“Chi?” chiese Himawari, ma il compagno di classe era perso dietro al suo ragionamento.

“…quella mamma che stava troppo al computer…”

“E vi ricordate la nostra tirocinante?” fece turbata Himawari.

“…le gemelle, lo Spirito della Pioggia…”

“…e quella signora.” intervenne Doumeki. Watanuki girò la testa da un’altra parte, di nuovo imbarazzato; anche senza precisazioni aveva capito benissimo a chi si riferiva l’arciere.

“Insomma…” concluse il ragazzo. “è vero, non mi ricordo di nessun uomo che sia venuto al negozio. Ma dai, sarà un caso, no?” Finì la frase sorridendo, per alleggerire un po’ l’atmosfera. Himawari ricambiò, e attaccarono a parlare dei compiti.

“Un caso…” ripeté Doumeki tra sé e sé, ma gli altri non lo sentirono.

 

 

Erano quasi le sette quando Watanuki uscì di casa sconsolato per recarsi al suo cosiddetto “part time”. Ne avrebbe fatto proprio volentieri a meno, quella sera: non aveva finito i compiti e la mattina dopo avevano pure un’esercitazione. Gli sarebbe toccato studiare dopo cena, accidenti… e gli era appena venuto in mente che non si era stirato la tuta da ginnastica… Il tintinnio delle campane del vento appese alla porta di Yuuko coprì i suoi borbottii di malumore.

“Ehi, di casa! Eccomi qua…”

“Tu…” lo accolse una voce da oltretomba.

Mentre Watanuki faceva un salto all’indietro, Yuuko si materializzò davanti a lui, ancora con una specie di camicia da notte addosso, struccata, i capelli sciolti e un bicchiere in mano.

“Ragazzino” gli puntò contro un indice accusatorio. “non sei venuto a preparare il pranzo! E neanche la merenda! E qui c’è un sacco da fare!” se ne uscì scocciata, facendo un gesto verso il cesto della roba sporca e gli asciugamani da stendere buttati su una sedia. 

Watanuki esplose. “Si dà il caso che io oggi avevo scuola anche di pomeriggio, lo sai benissimo! Quindi sono rimasto a mangiare lì, e siccome non ho il dono dell’ubiquità…”

La maga liquidò le sue proteste sventolando una mano e sparendo dietro lo shoji di camera sua. Il ragazzo aveva ancora una bella lista di cose da urlarle contro, ma parlando con lei si era ricordato la conversazione di qualche ora prima. Sospirò, nel tentativo di calmarsi, e si mise a raccogliere gli asciugamani.

“A proposito, sai, oggi a pranzo ero con Himawari-chan e lei mi ha domand…”

“E non c’era per caso anche Doumeki?” Uno spiraglio della porta scorrevole si aprì sul sorrisetto malizioso della donna.

“Yuuuuko-san!!” Mollò la roba a terra per andare a strozzarla, ma lei aveva già richiuso lo shoji sghignazzando, e l’unico risultato fu che gli toccò raccattare daccapo tutto.

“Dicevo… oggi Himawari-chan mi faceva notare che finora ho visto solo clienti donne qui al negozio… Ma ci saranno venuti anche uomini, no?”

“La cara Himawari-chan ha sempre a che fare con cose un po’ particolari…” disse sibillina la voce da dietro lo shoji. “Però, se ben ricordi, sono venuti qui anche quei viaggiatori… Shaoran e i suoi compagni.”

“E’ vero!” esclamò a bocca aperta Watanuki. “Non ci avevo pensato! Anche se… insomma, in realtà io per ‘clienti’ intendevo più…”

“Ho capito. Pensavi ai clienti più… diciamo così… ordinari, non è vero? Comunque, certo, ce ne sono stati anche di uomini.”

“Ah, allora avevo ragione, è solo una coincidenza…”

“Coincidenza… caso…” cominciò la voce, e Watanuki si pentì immediatamente di essersi lasciato sfuggire quella parola fatale. Per risparmiarsi la tiritera sull’Hitsuzen recuperò in fretta tutti gli asciugamani e scappò a stenderli fuori.

Era il tramonto, e il cielo sfumava in sciabolate di rosso e arancio, diffondendo un velo d’oro nell’aria e sulle cose. In alto, dove era ancora azzurro, già si vedeva biancheggiare appena accennata una falce di luna.

Non si era allontanato che di pochi passi dalla porta quando notò che qualcuno si era fermato davanti al cancello, esaminandolo incerto. Appena vide il ragazzo, la persona attraversò di corsa il cortile, e in un attimo fu davanti a lui.

“Mi scusi, magari mi sbaglio… ma è forse questo… il negozio dei… desideri?”

Era un uomo.

Un uomo sulla trentina, non alto ma robusto, piuttosto scialbo come aspetto se si escludeva la particolarità dei capelli quasi biondi, color paglia, che non parlavano chiaramente la stessa lingua degli occhi neri a mandorla. Chissà come mai, ma Watanuki si stupì delle origini miste che dimostrava quel tipo prima del fatto che fosse proprio… un uomo.

“E’ questo? Per favore?”

…oh, santo cielo, era un cliente… incredibile… e dire che ne avevano parlato solo quel pomeriggio, e solo due minuti prima con Yuuko… incredibile…

“Sì, è questo il negozio…”

Gli occhi di lui si illuminarono. “Grazie! Grazie, avevo veramente bisogno di lei, mi avevano parlato di questo posto che si può vedere solo se…”

“A-aspetti un momento” lo interruppe Watanuki. “guardi che non–”

“Oh, la prego, ho assolutamente bisogno di…”

“Mi faccia parlare! C’è un errore, in realtà non sono…”

L’uomo s’immobilizzò di colpo. “Come, un errore?”

“Sì, se aspetta un attimo le– “

“Non è possibile!” urlò lui. “Non è possibile, il posto è questo, me l’hanno detto!” E tutto d’un tratto aveva afferrato il ragazzo per la camicia, e lo strattonava. “Ne sono sicuro! E’ questo, deve per forza essere questo il posto che mi serve, hai capito? Devi dirmi…”

“Il negozio è questo, ma sono io la proprietaria. Sono io colei che esaudisce i desideri.”

Yuuko era apparsa sulla soglia, altissima, splendida, avvolta in un kimono rosso.

L’uomo lasciò andare Watanuki, e alzò gli occhi verso la donna, improvvisamente senza fiato e senza parole. Chissà se era per la sua bellezza, o per la cascata di quella stoffa dall’aria così preziosa, o se per l’aura di potere che vibrava visibilmente attorno alla sua persona, come aria increspata dal calore, o come un profumo intenso. Quando lei gli fece cenno di seguirla, restò ancora un poco immobile, poi si decise ad avviarsi dentro.

Watanuki si risistemò la camicia, raccolse gli asciugamani che gli erano caduti a terra. Infine, con un sospiro, andò anche lui dietro alla maga e al cliente. In realtà, la sua idea era quella di chiudersi in cucina: quell’aggressione inattesa l’aveva lasciato piuttosto scosso, e continuava a sentire addosso la sgradevole sensazione delle mani dell’uomo, simile a quelle impressioni che rimangono dopo un incubo a macchiarti, in qualche modo, tutta la giornata. Ma appena entrato nella sala, Yuuko, già seduta al solito tavolo, gli ordinò “Il tè, Watanuki, grazie.”

Sbuffando, il ragazzo si trascinò in cucina. Si aspettava di trovare Maru, Moro o qualche altra creatura pronta a rompergli le scatole, ma invece la stanza era vuota –anzi, pareva che l’intera casa fosse vuota, non si sentiva un rumore. Beh, meglio, poteva preparare il tè in santa pace, e metterci più tempo possibile.

Tornò poco dopo per portare intanto tazze e biscotti, e l’uomo si era appena seduto. Si fissava le mani e non sembrò nemmeno accorgersi del ragazzo, ma del resto, anche Yuuko non lo degnò di uno sguardo, impegnata com’era ad accendersi la pipa. C’era tensione nell’aria, e Watanuki pensò che era meglio sbrigarsi a rientrare in cucina.

“Allora, se sei qui, significa che c’è qualcosa che desideri.” sentì esordire la maga.

“Io…” L’uomo alzò gli occhi a guardarla, sembravano ansiosi, supplichevoli. “Lei… è vero che può esaudire qualsiasi desiderio?”

“E’ vero.”

“Qualunque cosa?” insistette, gli occhi più spalancati ancora.

“Qualunque cosa.”

“Io… desidero… una donna. Una donna che non posso avere.”

L’aveva detto con un filo di voce, lo sguardo si era spento ed abbassato di nuovo. Mentre gli voltava le spalle, Watanuki sentì una specie di delusione sciogliersi dentro di lui. D’accordo, ‘delusione’ era un po’ esagerata come definizione, però… da quel tipo si era aspettato qualcosa di… diverso, di più. Cioè, aveva urlato in quel modo, lo aveva preso per il bavero, e poi c’era quella tensione nella stanza… pensava che il suo desiderio sarebbe stato qualcosa di terribile, o pericoloso, come con quell’insegnante e la Zampa di Scimmia… e invece, si trattava solo un innamorato non corrisposto. In qualche modo, la cosa non sembrava così grave.

“Perché dici che non la puoi avere?” interrogò Yuuko, lo sguardo impassibile.

“Perché… beh, perché lei non mi vuole. Io la amo… da sempre, sono anni, dalla prima volta che l’ho vista. Era una sera, in un locale… era così bella. Si chiama Tsuki, come la luna.” La voce si era persa in un sussurro. Ci fu una pausa, poi lui riprese, sempre senza guardare la maga. “Ci ho provato. Decine di volte, ci ho provato. Ma è testarda. Dice che sono simpatico, e tutto, però non ha intenzione di stare con me. Nemmeno provarci. Ma io… non posso rassegnarmi, non posso… la penso… tutto il giorno, tutti i giorni.”

Watanuki posò i cucchiaini e si allontanò col vassoio sottobraccio. Adesso gli era tornata la sensazione di prima. C’era qualcosa di… sbagliato in quell’uomo. Non sapeva dire cosa. Ci pensò mentre preparava il tè. Non avvertiva niente di soprannaturale in lui, però certo, era lecito chiedersi… Perché mai non aveva lasciato perdere quella donna dopo tutto quel tempo, quando era così chiaro che non lo ricambiava? Ce n’era di gente strana, al mondo… E poi diceva che lei era testarda… e lui cos’era, allora?

Il bollitore fischiò, e al ragazzo passò un pensiero nella testa, chiarissimo. Forse quell’uomo non era solo testardo, era… ossessionato. C’era una bella differenza. Un’ossessione. Quella parola gli faceva venire la pelle d’oca. Perse un sacco di tempo a trafficare col bollitore.

Poco dopo, però, sentì che di là i toni della discussione si erano accesi, la voce maschile si era alzata di nuovo. Un po’ allarmato, Watanuki si affrettò ad uscire dalla cucina, con la teiera sul vassoio.

L’uomo era in piedi, i pugni sul tavolo. Yuuko lo guardava dritto negli occhi, stringendo la pipa tra le labbra.

“Come sarebbe a dire?”

“Sarebbe a dire” Il profilo della maga si perse dietro lo sbuffo del fumo. “che l’amore non si può creare. Nessuno può fare in modo che quella donna si innamori di te.”

L’uomo le rise in faccia. “E questo me lo chiama ‘realizzare qualunque desiderio’, eh?”

Lei non rispose, ma girò lo sguardo su Watanuki, che si affrettò a riempire le tazze.

“Non mi sembra poi una cosa così… difficile, o strana.” riprese il cliente. “Credo che un sacco di gente vorrebbe stare con persone che non può avere.”

“Senza dubbio. E qualcuno è anche venuto qui.”

“E allora?” sbottò, i pugni sempre più serrati.

“Ho sempre cercato di far capire loro che… stavano sbagliando a formulare il loro desiderio.”

L’uomo sbatté la mano sul tavolo. I cucchiaini tintinnarono, e stavolta il commesso intervenne.

“Ehi!”

“Ma come si permette?” gridò quello, dando l’impressione di non aver nemmeno sentito il ragazzo. “Come può dire che sto sbagliando, che questo non è quello che dovrei chiedere? Ma che diavolo ne sa, lei? Questo è il mio vero, il mio solo desiderio!”

“Evidentemente non hai capito quello che intendevo dire.” disse Yuuko, e il fumo finalmente si disperse, per rivelare la sua espressione serissima. “Non ho niente per te, solo un consiglio. Esci, e non tornare, perché questo non è posto per te.”

“Mi sta buttando fuori?” chiese, con aria di sfida.

“No, no ti sto buttando fuori. Ti sto solo dicendo che qui non puoi trovare nulla che possa renderti… felice.” rispose lei, sottolineando l’ultima parola, come se fosse molto importante.

“Questo non è forse il posto dove ‘si esaudiscono i desideri’?” Il tono canzonatorio della frase non piacque per nulla a Watanuki, che si ritrasse.

“E’ così, te l’ho già detto.”

“E allora le ho già detto anch’io che il prezzo non è un problema! Darei tutto, tutto, perché lei mi amasse!”

L’uomo boccheggiava. Watanuki si ritrasse ancora, gli sembrava che dovesse succedere qualcosa, da un momento all’altro… ma Yuuko si limitò ad aspirare un’altra boccata dalla pipa. Soffiò via il fumo, l’aria si caricò ancora di più di quell’aroma denso, che annebbiava i pensieri… Emergevano soltanto gli occhi penetranti, indecifrabili della maga, e le sue labbra dipinte di rosso, che si dischiusero per sussurrare…

“Ripensa meglio al tuo desiderio. E non tornare più qui.”

 

 

_________________________

 

 

Nonostante fosse già autunno, e lui si trovasse già a dover spazzare foglie gialle e fruscianti dal cortile, quel giorno faceva un caldo quasi da estate. Probabilmente, rifletté Watanuki, era per quello che la sua datrice di lavoro si era messa addosso quel pezzetto di stoffa che con sforzo d’immaginazione si poteva definire ‘minigonna’. Per ora, Yuuko se ne stava distesa lì fuori sulla sdraio a lamentarsi dell’afa, ma Watanuki sperava che non avesse in programma di uscire, almeno non vestita in quel modo… forse sarebbe stata più fresca lei, ma avrebbe fatto venire le caldane a tutti gli altri. E si sentiva già sprofondare sottoterra al pensiero di doverla accompagnare e di sostenere le occhiate della gente e lo spasso di quella pazza d’una maga…

Oh, no, ecco, l’aveva fatto. Si era alzata. Guai in arrivo, guai in arrivo. Il ragazzo si schiarì la voce, cercando di farla suonare il più possibile naturale.

“Ehm… Yuuko-san… che fai, esci?”

Ma lei si diresse invece verso la casa. Arrivata sulla porta si fermò, si girò verso il ragazzo con un’espressione che lui non riuscì a capire. Di certo non sorrideva, però.

“No, non esco. Abbiamo un cliente.”

Mentre lei spariva nell’ombra dell’ingresso, Watanuki d’istinto si guardò alle spalle.

Guai in arrivo.

Al cancello, i capelli color paglia mossi da un soffio di vento, c’era quell’uomo.

 

 

Quando Watanuki entrò, Yuuko aveva già preso il suo posto al tavolo nell’angolo, e il cliente stava sedendosi anche lui. Come l’altra volta.

L’altra volta, dopo che lui se n’era andato di corsa sbattendo la porta, Yuuko era rimasta là un bel po’ di tempo, a finire lentamente il suo tè. Il suo commesso le aveva fatto qualche domanda, ma senza ottenere granché. Infine, si era risolto a chiederle la cosa che gli era rimasta più impressa di tutte.

“Yuuko-san… cosa c’era di diverso con questo tipo? Voglio dire, non gli hai chiesto come al solito un prezzo per il suo desiderio… non hai esaudito quello che voleva… come mai gli hai dato solo un… consiglio?”

Un lungo sorso dalla tazza. Sul posacenere, la pipa ormai spenta liberava ancora un sottile arabesco di fumo.

“Perché ho voluto provare a dargli una possibilità. Perché ci sono cose che sarebbe meglio cercare di non far accadere, di evitare.”

“Ma tu non dici sempre che esiste solo l’Inevitabile?”

I grandi occhi di Yuuko, accesi di un riverbero rosso come il suo kimono, l’avevano guardato. E poi, lei aveva sorriso. Un bellissimo sorriso.

“Si direbbe che stai finalmente cominciando a imparare qualcosa, Watanuki! Un bicchiere di saké per festeggiare!”

Era stato un bellissimo sorriso, che l’aveva lasciato sorpreso ma anche inesplicabilmente contento. E poi quel sorriso si era trasformato in una risata, e poi avevano cominciato a litigare e poi era stato tutto come sempre.

Non era passata neanche una settimana, ed ecco daccapo quella scena. Identica, con l’uomo che guardava in basso e la maga seduta a gambe accavallate. Watanuki non capiva bene il perché, ma adesso non gli sembrava più provocatoria e altezzosa come poco prima. Aveva semplicemente indosso una gonna. Nera. E anche il suo top era nero, e così i suoi capelli, le sue ciglia ed i suoi occhi.

“Buonasera.”

Yuuko non rispose a quel saluto un po’ incerto; si limitò a voltarsi verso Watanuki, con uno sguardo che lui interpretò come ‘porta un tè freddo’. Avviandosi in cucina, sentì la voce alle sue spalle parlare di nuovo.

“Beh, se posso entrare in questo negozio, vuol dire che era destino, non è vero?”

Il tono di quel tizio non gli piaceva, non gli piaceva proprio per niente. Questa volta fece in fretta a portare i bicchieri e la caraffa, e anche se Yuuko lo congedò con un’occhiata, lui si infilò invece nell’altra stanza lasciando lo shoji socchiuso, per continuare a vedere e a sentire.

“Io… guardi che l’ho seguito, il suo consiglio. Ci ho ragionato bene, su quello che vorrei. Ma crede che non l’avessi già fatto? Che non ci sia stato a riflettere da millenni? Gliel’ho detto che penso a lei tutti i giorni, tutte le notti… Che consiglio stupido, non è cambiato niente in quello che voglio, è ovvio! Io voglio lei! Io voglio che lei stia con me!”

La maga sembrava giocherellare distrattamente con un ombrellino di carta che il suo tuttofare le aveva messo nel bicchiere. Quando rispose, anche la sua voce suonava lontana.

“A me non sembra, invece, che non sia cambiato niente.”

L’aveva detto in un bisbiglio, e nonostante il “prego?” di lui non aveva voluto ripetere.

“Oh, insomma, a che gioco stiamo giocando? Io le dico che questo è il mio desiderio… lei mi chieda un prezzo, e me lo realizzi! E’ così che funziona, no? Ci vuole così tanto?”

“Ti ho già detto che questo non è possibile.” Più che la voce di lui si alzava, più che quella della maga era, per contrasto, calma. “Perché non c’è nulla che possa fabbricare l’amore. Nulla che possa costringere una volontà a questo, che è uno degli atti più liberi. Non esiste un distillato d’amore, come non esiste per l’odio; non esiste nessuna forza in grado di manipolare le scelte degli uomini.”

Il fracasso della sedia spinta via, l’uomo si era alzato un’altra volta in piedi. “Perché non lo dice subito, che è una ciarlatana, invece di stare tanto a chiacchierare? Ormai l’ho capito, è inutile perdere tempo… lei non ha nessun potere, è chiaro come il sole.”

Watanuki sentì Yuuko far tintinnare il ghiaccio nel suo bicchiere; da quella distanza non poteva vederla, ma s’immaginava che ora avesse sulle labbra quel lieve sorriso inquietante che esibiva in certe situazioni.

“Oh, è vero, anche quello che credi è importante… se credi che io non abbia nessun potere, allora è proprio così… in effetti, non posso fare niente per te.”

“Ma che filosofia! Parole, soltanto parole! Lei usa la bella presenza e le chiacchiere per incastrare la gente, ma stavolta le è andata male!”

Adesso, anche il ragazzo riusciva a distinguere il sorriso enigmatico, inesorabile della maga.

“Di nuovo, hai ragione… spesso non sono che parole… spesso la loro potenza è più che sufficiente… anche se sembra strano che ne abbiano una, no? Sono fatte d’aria, di vento, leggere, le parole volano, come… come farfalle…”

E d’improvviso ci fu un esile bagliore, e la farfalla ricamata sulla maglia di lei si mosse, batté le ali, e un instante dopo era lì, vera, reale, a dondolarsi sul dito della donna…

L’uomo si allontanò di scatto, gli occhi sbarrati. Aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a trovare alcun suono… E allora corse via, fuori, lasciandosi alle spalle l’eco dei suoi passi sul legno, e il sussulto dei vetri della porta sbattuta.

 

 

Questa volta, aveva lasciato perdere le domande. Aveva deciso che era meglio non pensarci. Del resto, se doveva preoccuparsi di tutti i problemi di tutti i clienti di Yuuko… E così, Watanuki aveva preparato in silenzio la cena (riso freddo, se le avesse fatto qualcosa di caldo con quella temperatura Yuuko l’avrebbe ammazzato) e apparecchiato fuori, nel cortile (forse Yuuko si sarebbe lagnata meno della calura…). Adesso stava raccogliendo le sue cose per tornare a casa.

“Yuuko-san, io vado! Ti ho lasciato tutto lì fuori!”

Silenzio. Mai che si sprecasse almeno a rispondere…

Andò a cercarla, era nella sua camera, distesa a leggere.

“Ehi, Yuuko-san! Dicevo, è pronto, ho lasciato…”

“Ho capito, sai! A volte sei così assillante, Watanuki…” sbuffò lei con aria tragica. Buttò giù le lunghissime gambe dal letto, e si avviò alla porta.

Watanuki si trovava alquanto impegnato a stringere i denti e i pugni per non sbraitarle addosso, ma nell’attimo in cui lei gli passò davanti, qualcosa lo distrasse dalla sua ira. La farfalla… la farfalla era ritornata sulla maglia della maga, immobile, nulla più di un semplice ricamo di cui si vedevano bene i fili e i punti.

“Yuuko-san…”

“Che c’è?”

Si era fermata alla porta scorrevole, un vago sorriso sulle labbra.

“Anche se gli hai detto che non puoi fare nulla per lui… tornerà, quel tipo?”

“Watanuki, ma che orecchie grandi che hai… abbiamo origliato, eh?”

“Sei insopportabile!” L’odio verso Yuuko risalì immediatamente a toccare la tacca massima.

“Se tornerà? Forse sì, forse no…” disse lei, e uscì.

Il ragazzo sospirò, cercando di ignorare il fatto che il tono della maga non fosse stato per nulla leggero.

Mentre usciva anche lui, notò il libro che Yuuko stava leggendo prima lasciato su un tavolinetto. Era una raccolta di haiku: anche lui ne aveva letti alcuni per la scuola, ed era un genere di poesia che gli piaceva, per l’immediatezza e insieme l’intensità con cui riusciva a dipingere scorci di natura. Il libro era aperto ad una pagina: tre versi brevi, nero su bianco, semplicissimi.

 

Raggi tra le foglie
e sul mare buio, ma la luna
è sempre troppo lontana.

 

_________________________

 

 

Qualche giorno e un brutto voto in matematica dopo, Kimihiro Watanuki si stava incamminando verso il negozio, con la ridente prospettiva di passare il resto del pomeriggio e la sera a far da schiavo alla maga. Aveva già fatto la spesa, e il peso delle buste si aggiungeva a quel caldo fuori stagione, che ancora non accennava a sparire. E a tutto ciò andava sommato il malumore per il compito andato male: era tutta colpa di Yuuko, che l’aveva asfissiato senza lasciargli il tempo di studiare per bene… Già, tutta colpa sua. Doppiamente colpa sua. Perché la mattina del compito, uscendo per andare a scuola, aveva visto in giro quell’uomo, quel cliente del negozio, e il pensiero che abitasse nella zona (o che ci abitasse la sua famosa donna…) gli aveva stretto lo stomaco in una morsa di nervosismo. E, alla prima ora, l’esercitazione era andata com’era andata.

Maledetta Yuuko.

Per fortuna, il supermercato si trovava a metà strada tra casa sua e quella della maga: non aveva da camminare ancora molto. Si fermò al semaforo per attraversare il viale, assieme ad un piccolo gruppo di altre persone.

“Le hai telefonato, poi? Come sta?” stava chiedendo la ragazza accanto a lui alla sua amica.

“Guarda, bisogna che andiamo a trovarla, o che la facciamo uscire un po’. Te lo giuro, mi ha fatto quasi paura, è talmente preoccupata… mi ha detto che quel tipo si è fatto ancora più assillante. Non fa che chiamarla… Se lo trova sotto casa a tutte le ore, addirittura l’ha anche minacciata…”

Watanuki restò impietrito. Non era… possibile… Una ragazza con qualcuno che la tormentava… in quella zona… che le due stessero parlando proprio di Tsuki, la donna di cui era innamorato il cliente?

“Ma è terribile!” fece l’altra. “Sono secoli ormai che le va dietro, però a questi punti non c’era mai arrivato… è ora di chiamare la polizia, gliel’hai detto?”

Ma Watanuki non seppe mai se la loro amica avesse avvertito la polizia, perché il semaforo scattò e le due attraversarono più in fretta di lui. Provò la tentazione di seguirle, di fermarle… poi si diede dello stupido. Ma era impazzito? Con quelle buste pesantissime? Doveva soltanto filare da Yuuko, e subito. Ma poi, andiamo…perché doveva essere per forza lui la persona di cui le due stavano parlando? Non era certo l’unico importuno sulla faccia della terra. Eppure, Yuuko diceva sempre che non esistevano coincidenze…

Passò il resto della strada a cercare d’immaginarsi il viso di Tsuki –fino ad allora, non aveva mai pensato a come doveva sentirsi lei. L’uomo si era insinuato anche troppo, assurdamente, tra le sue inquietudini, al punto che aveva paura di vederlo comparire al cancello del negozio, e che al solo incontrarlo si era agitato tanto da far andare a rotoli un compito; ma la ragazza, che fosse lei o no quella di cui parlavano le due passanti… Realizzò in quel momento che era lei quella di cui avrebbe dovuto preoccuparsi. Se la vedeva, a scostare le tende dalla sua finestra, e a guardare angosciata giù in strada… due occhi tristi dietro tende bianche.

Oh, Dio, per favore, ti prego, fa’ che vada tutto bene…

Una preghiera per una donna sconosciuta, che si era affacciata tra le sue riflessioni spontaneamente, improvvisa e chiara come uno sbuffo di fumo nell’azzurro del cielo. Con la stessa semplicità con cui si disegnavano nella sua mente i volti, i nomi dei suoi amici, di Yuuko-san, quando al tempio, nei giorni di festa, giungeva le mani e chiudeva gli occhi. E non gli sembrò strano pensare in questo modo ad una persona che non aveva neanche visto. In fondo, nessuna preghiera era mai sprecata.

Finalmente, ecco il negozio. Trascinò le buste della spesa per l’ultimo tratto del cortile, e nel frattempo la sua mente subì un brusco cambio di direzione perché si ricordò che, accidenti, non aveva avvertito Yuuko che sarebbe venuto, e quindi avrebbe dovuto bussare per almeno mezz’ora prima che lei si degnasse di venirgli ad aprire… E invece, alzando gli occhi, si accorse che la porta era già aperta. Oh… magari stavolta quella malefica strega aveva usato i suoi poteri per qualcosa di utile, prevedendo il suo arrivo? Attraversò la soglia appena un po’ rincuorato.

Ma appena mise piede nel corridoio, quella sensazione fu cancellata in un colpo solo. Le buste gli caddero a terra. Era come se la temperatura fosse crollata di parecchi gradi. L’aria… c’era qualcosa di… sbagliato nell’aria, sembrava essersi ghiacciata, e intrappolarsi nei polmoni ad ogni respiro…

Che cosa… diavolo… stava succedendo?

“Yuuko-san!”

Corse nella sala, serrato da un fulmineo, inesplicabile brutto presentimento…

…e lo sapeva.

Davanti al tavolo dove sedeva Yuuko c’era l’uomo dai capelli chiari. In piedi, l’espressione quasi folle, ansimava; a terra e sul tavolo luccicavano i frammenti di una tazza di porcellana, una di quelle in cui la maga aveva servito il tè, certamente… e l’uomo si teneva stretta la mano destra. Forse aveva rotto la tazza e si era tagliato?

La scena restò immobile davanti agli occhi del ragazzo per un tempo indefinibile, forse infinito, ogni cosa sembrava sospesa ed era come se non si dovesse muovere mai più, come se da quel punto in poi non potesse succedere più nulla… no, non sarebbe successo più nulla, se aspettava ancora un altro poco quell’uomo sarebbe scomparso…

E poi la maga spezzò quella stasi, alzandosi in piedi con gesti estremamente lenti. Watanuki poteva seguire ogni singolo movimento, ogni piega che si apriva nella seta blu notte, cangiante, del suo kimono…

“Qual è il tuo desiderio?” chiese, con voce fredda, fissando il cliente negli occhi.

L’ondeggiare di quella veste dal colore ipnotizzante sembrava aver in qualche modo calmato l’uomo. O forse era stata la sorpresa di sentire di nuovo quella frase, il tono della maga? O magari era che aveva percepito l’intensità, la gravità di quel momento, quello decisivo, quello in cui le parole parevano scolpirsi nell’aria, come in una roccia?

Parlò piano, ad occhi chiusi, mite come la prima volta che aveva espresso la sua richiesta.

“Io… voglio stare con lei… per sempre.”

Ancora impietrito sulla soglia, Watanuki trattenne il fiato… cosa avrebbe detto questa volta Yuuko per rifiutare? Poteva riuscire a convincerlo?

“Bene.”

Solo quello. La donna disse solo quello.

“Yuuko-san…?” chiese con un filo di voce, interdetto; non era possibile… Ma lei era completamente concentrata sul cliente, e, per la prima volta, il ragazzo ebbe la sensazione di non esistere affatto nei suoi pensieri.

“O meglio, non è bene…” sussurrò la maga, distogliendo lo sguardo. “Ma ad ogni modo, è così. Deve essere così. Accordato. Esaudirò il tuo desiderio.”

L’uomo sembrava più sbalordito di Watanuki: adesso la sua espressione era vuota, un foglio completamente bianco su cui scorrevano solo vane parole d’incredulità. “Come…? Ma… dice davvero?”

“Non farmi ripetere.”

“Il mio desiderio… davvero diventerà… realtà? E… il prezzo?”

“L’hai già pagato.”

“Come?” fecero all’unisono il ragazzo e il cliente. Ma ancora una volta, Yuuko si rivolse solo all’uomo, con la stessa voce distante e gli occhi immobili.

“Ti ho detto che l’hai già pagato. Quello che hai chiesto sarà esaudito, il pagamento è assolto… Il contratto magico è chiuso. Finito. Puoi andare, se vuoi.”

Tutto si sarebbe immaginato Watanuki, fuorché che la maga accogliesse sul serio la richiesta di quel tipo così strano… Ma, se ne rese conto in quel momento, se c’era una cosa che veramente si era aspettato, era di vedere a quel punto la gioia, l’euforia nello sguardo di quel fissato. E invece… niente. Il suo volto restava vacuo, stupefatto, quasi l’uomo non avesse mai davvero contemplato la possibilità di veder realizzato il suo desiderio.

“Ah… va bene.” mormorò, confuso. “Se è così… credo proprio che andrò, sì… allora… arrivederci.”

La Strega delle Dimensioni non rispose.

L’uomo accennò un inchino, la frangia bionda scese a coprirgli gli occhi velati, e solo quando si rialzò a Watanuki parve di cogliere un lampo in quello sguardo. Non di gioia, però. E poi, così diversamente da come era stato in tutte le altre occasioni, questa volta l’uomo diede loro le spalle e attraversò il corridoio senza fretta, senza alcun rumore. Infine aprì la porta, uscì, e sparì nella stessa luce del tramonto che l’aveva visto arrivare, il primo giorno, in quel luogo.

Al ragazzo ci volle qualche minuto prima di riprendersi da quello che era, o non era, successo. Minuti in cui la maga si avvicinò ad uno scaffale, prese qualcosa, e poi tornò al tavolino.

“Yuuko-san!” Watanuki si era riscosso, e subito si era avvicinato a lei, per trovarla con in mano una minuscola boccetta decorata di fregi d’argento, ad armeggiare tra i pezzi di porcellana: uno era macchiato appena di sangue. Allora l’uomo si era davvero ferito, prima… “Lascia, faccio io, vado a prend–”

“No.” esclamò decisa lei. Poi si raddolcì con un lieve sorriso. “Grazie, Watanuki.”

“Yuuko-san… ma… l’hai fatto sul serio? Davvero hai accontentato quel tipo?”

“Sì… davvero. D’altronde, è il mio lavoro, no?”

“Ma se prima non avevi voluto! Se prima avevi detto che non era possibile!”

“Ma questo non era lo stesso desiderio che ha espresso all’inizio.”

“Come?” Watanuki spalancò gli occhi. “Come no?”

“No, non era affatto la stessa cosa.” ripeté lei, scuotendo la testa. “E poi, ti ricordi cosa ti ho sempre detto riguardo all’Inevitabile?”

“Ma che c’entra?” ribatté lui, ancora disorientato.

“Certo che c’entra… è lì che si trova la risposta.”

“Io non…” cominciò Watanuki, ma poi si arrese al fatto che, come al solito, non avrebbe potuto capire di più dalle parole della maga; e poi lei aveva già riabbassato lo sguardo per occuparsi dei pezzi della tazza. “Senti, e il prezzo? Almeno questo me lo dici? Lui non sapeva nemmeno di averlo pagato…”

Con un gesto grave, Yuuko sollevò il frammento macchiato, prese la boccetta e vi lasciò cadere dentro quell’unica stilla di sangue che si staccò dal bianco della porcellana.

“Il suo prezzo… è stato questo. Ha pagato il suo desiderio… con l’ultima goccia d’amore per quella ragazza che era rimasta in lui. Questa è… l’ultima goccia del suo amore.”

“Cosa…?” mormorò il ragazzo.

“Quello che resta in lui adesso… è soltanto ossessione.”

Watanuki restò immobile, come in trance, ad osservare i movimenti meticolosi della donna che tappava e sigillava la minuscola ampolla. Ossessione… Yuuko aveva detto quella parola, quell’esatta parola che lui aveva pensato il primo giorno che il cliente si era presentato… e che anche adesso gli correva in un brivido sulla pelle.

“Hai notato” concluse la maga, guardandolo negli occhi. “che non ha più fatto il nome della sua donna?”

 

_________________________

 

 

Quella notte, Watanuki si svegliò con il lamento acuto della sirena di una, forse due ambulanze. “Yuuko-san…” mugugnò, in bilico sul confine tra sonno e veglia, perché era immerso in un sogno disordinato dove gli balenavano davanti la maga e il suo vestito color della notte, e poi ricordi confusi della scuola, e l’uomo che lo strattonava per la camicia, e poi di nuovo Yuuko, adesso lontana, lontanissima, irraggiungibile, che non si girava a guardarlo… “Yuuko…!” gridò, e in quel momento si svegliò completamente.

Le due note, martellanti, della sirena si sentivano ancora, e gli sembrarono molto vicine al suo palazzo… tanto che, ora che la vista gli si abituava al buio, riusciva anche a scorgere un chiarore azzurro trapelare dalle tapparelle. Inforcò gli occhiali, e aprì la finestra: nell’aria fresca della notte, lo accolse la visione, due incroci più in là, dei lampeggianti di un’ambulanza e due auto della polizia, a spazzare un buio colmo di gente e di voci.

Cosa era successo? Un incidente? No, ma non erano in strada, stavano davanti ad una casa…

E poi, di colpo, un’intuizione. Un presentimento, un sospetto, non sapeva come chiamarlo. Sapeva solo che aveva la sensazione, assoluta e orribile, che fosse appena accaduto qualcosa di brutto.

Quell’uomo…?

Perché aveva pensato subito a lui? Era assurdo, assurdo…

Tsuki?

Perché sentiva, in fondo ai suoi pensieri, che era proprio così?

Perché si stava infilando scarpe, cappotto, e stava scendendo in strada?

Fece di corsa le scale e percorse metà della via vuota, ma, arrivato a poca distanza dalle volanti e dalla calca, sentì scemare tutto d’un tratto l’impulso che l’aveva spinto fin là. Faceva quasi freddo, c’erano alcune ragazze che piangevano, un odore strano, e i poliziotti sembravano nervosi… Che ci faceva lui, lì? Si strinse nel giubbotto, vergognandosi di stare a fare il curioso dove probabilmente c’era stato un incidente, o qualcuno si era ferito…

Stava per allontanarsi, ma per qualche motivo si bloccò vedendo due agenti farsi strada verso la volante più vicina a lui. Si inchinarono davanti ad un uomo in borghese che li aspettava là, forse un loro superiore… e, portate dalla brezza, le loro parole arrivarono a Watanuki, perfettamente chiare.

“Signore… sì, eravamo nella zona perché ci avevano allertato nei giorni scorsi, e abbiamo visto lui, il biondo, il maniaco che l’aveva sempre perseguitata, là sul marciapiede, e lei era a terra… l’uomo… l’uomo era armato, un coltello, e appena ci ha visti ci è venuto addosso, era impazzito… gli abbiamo sparato.”

Il resto del discorso parlava di legittima difesa, di scuse, di ipotesi, ma Watanuki aveva smesso di ascoltare.

Davanti ai suoi occhi, nascosti dalla folla, c’erano l’uomo ossessionato e la sconosciuta Tsuki per cui aveva pregato, e entrambi, l’aveva capito, non erano più in vita.

Una voce isterica di donna si alzava nell’aria. “E’ colpa vostra! Vi avevamo avvertiti, tutti, di quel pazzo, e invece lui è riuscito ad entrare in casa sua! E lei si è buttata, pur di sfuggirgli si è buttata giù! Siete stati voi, voi ad ucciderla!”

E infine, quando il ragazzo si sentiva completamente perso, completamente solo nel vuoto di una tragedia e di tutto quello che non poteva capire, sentì nel buio, accanto a sé, un profumo noto.

“…Yuuko-san?”

L’alta donna era davvero lì, uno scialle bianco sopra il vestito della sera prima, a guardare lontano. Solo allora Watanuki si accorse di stare piangendo, e si affrettò a passarsi la mano sotto gli occhiali.

“Perché sei qui?”

“Perché sapevo che ci saresti venuto tu.”

Guardò gli occhi della donna, strani nel riflesso blu dei lampeggianti, chiedendosi se quel ‘sapevo’ significasse che aveva letto nel futuro con i suoi poteri, o che si fosse invece immaginata come avrebbe reagito lui, con quell’altro misterioso potere di leggergli dentro che a volte sembrava possedere.

“Hai capito adesso cosa c’era di… diverso con quell’uomo?”

Aveva capito benissimo.

“Ed è così che hai esaudito il suo desiderio? Questo voleva dire ‘stare con lei per sempre’?” Un’improvvisa rabbia gli infiammò i pensieri. “Sapevi che sarebbe andata a finire così? Lo sapevi, e gli hai detto lo stesso di sì?”

“Sapere una cosa non vuol dire poterla cambiare.”

Il ragazzo era sul punto di gridare, mille cose gli turbinavano nella testa, mille domande a cui ogni volta quella donna non aveva dato risposta, ma poi… ma poi, ricordò…

“Yuuko-san…” disse in un sussurro. “Però tu… ci avevi provato lo stesso, a non farlo succedere…”

Lei sorrise, un sorriso mesto assolutamente inusuale sul suo viso.

“Avrebbe potuto cambiare il suo desiderio… avrebbe potuto chiedere di essere liberato da quell’amore impossibile. Oppure, se davvero la amava, avrebbe potuto chiedere che lei fosse felice… e sarebbe stato un bellissimo desiderio, anzi, non sarebbe stato più nemmeno un desiderio, ma solo una preghiera. Quell’uomo non ha fatto nulla di tutto questo. Ripensa alle sue parole, e vedrai che ogni volta che è venuto ha formulato la sua domanda in modo sempre più egoistico. Finché non è stato più ‘voglio che lei mi ami’, ma ‘voglio che stia con me’. E questo è quello che… doveva succedere.”

Watanuki abbassò la testa. Aveva capito le parole della maga, eppure… sentiva che c’era un punto fondamentale che gli sfuggiva, sentiva che non riusciva a comprendere tutta un’immensità di cose che si agitavano scomposte sotto quei pensieri, che stavano alla base di quel ragionamento… “Però… quella ragazza… non è giusto.” fu tutto quello che riuscì a dire.

Lei non rispose. Ma fece una cosa che non aveva fatto mai: gli passò una piccola carezza sui capelli.

“Non devi preoccuparti sempre di tutto, Watanuki. E non è bello stare qui. Vai a casa, dai. E’ ora, non credi?”

Watanuki annuì, e restò a guardarla mentre si voltava, e si allontanava per la strada vuota. Il kimono ricadeva in grandi pieghe ad ogni passo, con la brezza, i suoi riflessi ancor più singolari tra il buio e l’oscillare delle luci. Dello stesso colore di quella notte senza luna.

Si decise ad andarsene. Non aveva nulla da fare lì, non c’era nulla da vedere. Letteralmente, nulla da vedere. Due persone che avevano occupato per giorni i suoi pensieri erano morte in un modo orribile, e davanti ai suoi occhi non ce n’era alcun segno, niente di tutto quello che dai film aveva imparato ad associare a una sciagura –né macchie di sangue, né l’ombra dei corpi, né le sagome tracciate a terra col gesso. Solo la gente. Per quello che vedeva, poteva non essere successo nulla.

Stretto nel cappotto, tornò indietro. Ma proprio nel momento in cui stava passando davanti all’ambulanza parcheggiata al lato della strada, una sagoma sbucò fuori dal buio ad allontanarlo con una spinta.

“Ehi! Ma che…?”

“Via! Via di qui!” gridò una voce di uomo, mentre altre figure vestite di bianco spalancavano le porte dell’ambulanza, e per un istante, lui vide…

…una barella coperta, spinta di corsa, lo scintillio del metallo, e, scivolato da sotto il lenzuolo, un braccio abbandonato.

Un braccio sottile, una mano di donna, la pelle più pallida del telo che la copriva…

La pelle bianchissima, perfetta, di Tsuki.

La barella sparì immediatamente dentro all’ambulanza, le porte si chiusero con fragore e gli infermieri montarono in fretta sul mezzo, intanto che la polizia scacciava la gente.

Qualcuno urlava, qualcuno spingeva, e le luci del veicolo erano già in fondo alla strada, ma il ragazzo era restato immobile, a fissare il punto dove aveva scorto tutto quello che mai avrebbe potuto vedere di Tsuki.

Negli occhi gli era rimasto quel colore, cereo, ma immacolato, quasi lucente. Come quello della luna.

Una luna, pallida, senza vita e bellissima, che si fosse fatta largo per un attimo in quel cielo nero –forse ancor più bella proprio per quel nero, per il dolore e la follia della morte che le facevano da contrasto. Ma in quel buio, brillava. Come da dietro nuvole di tempesta, brillava. Non poteva fare niente per il cuore più scuro di quelle nubi, ma occhieggiava in trasparenza dietro ai bordi, dove la tenebra si sfilacciava; a testimoniare che c’era, c’era il suo splendore oltre il buio, che anche una bellezza così lontana e così fragile poteva vincere, per un istante, la più cupa delle notti.

In quel bianco, la vita di Tsuki, di una ragazza che non era più, ancora per un’ultima volta aveva brillato, aveva colpito lo sguardo. La vita che il desiderio di un uomo aveva potuto spezzare, che i desideri degli uomini potevano così facilmente spezzare, era pur sempre vita. E la sua forza l’aveva fatta, in quel momento, risplendere, l’avrebbe fatta sfolgorare per sempre nella memoria di un ragazzo, bianca, purissima, la più preziosa di tutte le cose.

E lui, lo sapeva, non avrebbe mai potuto fare a meno di pensare un po’ a Tsuki, ogni volta che avrebbe guardato la luna.

 

 

   
 
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