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Autore: Amy Tennant    07/02/2013    8 recensioni
L'ultimo Signore del Tempo ha perso la sua sposa e il dolore lo sta facendo impazzire. Un uomo che non è un uomo, sta diventando un terribile dio vendicativo. Desidera salvare l'unica cosa che per lui abbia senso a costo della sua anima e dei mondi. Ma va fermato. E ucciso.
Un universo parallelo a quello conosciuto mentre il tempo e lo spazio si stanno sgretolando.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Per l’ennesima volta era stato in un sogno sospeso nei rintocchi del Tardis, quei cupi rintocchi che scuotevano tutto come sinistre voci di pericolo in un mare di nebbia e che erano simili ad un pianto.
Tremava tutto, vibrava. Un rintocco era stato più forte, più profondo. Lo aveva come attraversato. Aveva spalancato gli occhi cercando di restare in piedi. Non vi era riuscito.
Era crollato su un fianco come fosse stato colpito e il suo gemito era stato sull’ultimo rintocco della nave. La luce si era fatta più calda. C’era stato un irreale silenzio.
Come tutte le altre volte aveva avuto gli occhi aperti ma il suo sguardo si era perduto altrove, ben oltre la luce rossastra della stanza.
Giaceva sul metallo eppure le sue dita erano state sfiorate dalla brezza e sentiva sul dorso delle mani i fili d’erba e la terra bagnata, odorare intensamente come dopo la pioggia. Era un luogo perduto, quello dove tornava quando soffriva troppo. Era nuovamente Gallifrey.
Aveva sentito addosso la brina sottile, gelida. Aveva sentito sulle labbra il sapore salmastro di una sera tremante e il vento scuotere le foglie color rame degli alberi, ancora accese nell’ultimo riflesso prima dell’ombra. Era quello, forse, che Rose qualche volta scorgeva nei suoi occhi quando gli diceva che vedeva la luce di un dolce e antico autunno, in Lui.
Eppure nessun ricordo poteva splendere come il riflesso di una primavera improvvisa. Era lei che giovane si specchiava in Lui, troppo vecchio.
Quando era davvero un ragazzo, il signore del Tempo si stendeva sui prati a pensare  e si sentiva in pace mentre la sua mente ambiva orizzonti diversi da quelli che conosceva. Non gli pesava essere solo. All’epoca era completo.
Ma la lunga vita e ciò che era accaduto, avevano modellato la sua anima rendendola diversa dall’inizio e più sottile. Talmente sottile e bisognosa di sostegno da farlo sentire spesso smarrito. Il tempo non poteva abbatterlo ma lo aveva reso più fragile.
E dolorosamente affilato, sempre più affilato, come quelle righe di roccia durissime, scosse dal vento.
Chiunque avrebbe avuto paura di Lui, guardandolo dentro; ma non un umano.
Gli umani che stava distruggendo in ogni tempo, lo avevano accolto tra loro quando era stato esiliato, quando era rimasto da solo. Era sempre stato amato più di quanto avesse chiesto.
Ma dopo la perdita definitiva del suo mondo, aveva incontrato una ragazza e trovato un’amica diversa dagli altri. Una donna che era stata una compagna in un senso nuovo.
E per qualche mistero, o un miracolo, per la prima volta era stato Lui stesso …
Umano. Fino alla soglia più estrema della sua diversa natura, quella che non lo faceva morire come colui aveva vissuto. Ma Lui ormai non viveva più; sopravviveva a sé stesso.
Nonostante tutto.
Era rimasto immobile in quel tempo in sospeso, con solo un battito a sostenere un respiro esitante, gelido.
E poi Rose.
In un sussurro vicino che aveva scosso il suo corpo tanto da convincere, per l’ennesima volta, il cuore fermo a riprendere a battere. Era l’istante in cui avrebbe preferito arrendersi ma non succedeva, perché quel corpo desiderava troppo e non si arrendeva. Ancora una volta i suoi occhi avevano perso il cielo stellato, ed era sparita la voce di Rose. Si era svegliato, freddissimo, dallo strano sogno di chi non dormiva.
Era nel Tardis.
Diventavano momenti sempre più lunghi quelli nei quali uno dei suoi cuori smetteva di battere e lui crollava a terra. Forse il tempo si stava sciogliendo, diluendo. Forse stava cambiando anche nelle sue ossa.
Se però non moriva era perché lei, da qualche parte, viveva ancora.
E questo fece scuotere il suo corpo; perché la rabbia ormai lo sosteneva. Una rabbia infinita, mescolata alla speranza disperata e più confusa che potesse concepire in quello stato.
Non riusciva più a trovare i confini tra l’una e l’altra cosa. Come tra Lei e Lui, quando erano insieme.
E se la gioia, l’amore e il piacere erano per lui Rose, ora Lui prendeva quel che poteva dalla sua assenza: l’angoscia, l’odio e il dolore. Ma niente faceva abbastanza male, purtroppo.
Allungò una mano tremante verso la consolle e faticosamente si alzò in piedi con un lungo sospiro, poi si specchiò nel riflesso metallico dei comandi.
Aveva bisogno di un solo momento.
Solo un momento e avrebbe ripreso dove aveva lasciato.
C’era vicino. Aveva trovato come impedire che un essere con due cuori morisse di quella malattia. Ma i due cuori del signore del Tempo erano un caso a parte, ancora una volta.
Era più forte, l’aveva mutato. Ma quella cosa lo stava uccidendo, lentamente.
E non poteva morire.  Avrebbe voluto ma non poteva perché non voleva cambiare, non voleva rigenerarsi in un altro. Quel corpo era la metà di quello di Rose.
L’aveva toccata, l’avrebbe ricordata anche se avesse perso la sua memoria. E forse per lo stesso motivo Lei lo sentiva ogni volta.
Ma l’avrebbe riconosciuto per molto?
Lui aveva perso il sorriso, aveva perso ogni dolcezza, aveva smarrito quella scintilla che lei intenerita chiamava sempre “stranezza”. Era l’ombra di quell’uomo.
Non era più, un uomo.
Per quanto l’avrebbe riconosciuto guardandolo dentro?
Avrebbe avuto anche lei, paura di Lui?
Ormai i suoi occhi scuri sembravano di neve nera. Calmi, come irreale notte.
Ma il signore del Tempo aveva dentro un muro d’acqua immobile, alto più del cielo.
Il suo viso gentile, il suo sembrare giovane. Un orribile inganno.
Era un muro immenso che camminava lentamente e che crollava sui mondi piano, come pioggia di cenere bianchissima, sfilacciando il tempo, tagliando ogni nodo…
Ridendo mentre piangeva. In silenzio.
C’era troppo silenzio nel Tardis, nella sua casa. Lei moriva dove facevano l’amore e Lui continuava a cercarla, continuava a provare. Perché la voleva e non poteva farne a meno.
Gli mancava il suo corpo, gli mancava l’amore fisico, gli mancava come mai era stato prima di lei e questo lo rendeva furioso. Perché la cercava di istinto e proprio quel corpo che non voleva cambiare ne era ossessionato. E la rabbia cresceva, il dolore diventava insopportabile e poteva essere superato solo da quello immediatamente percepibile. Per questo era giunto a prendere a pugni le pareti del Tardis fino a tagliarsi, scagliarsi contro le cose fino a farsi male. I corridoi della nave riecheggiavano delle sue grida nei momenti peggiori, quando tormentato da sé stesso e da un dolore cieco,  avrebbe fatto a pezzi quel suo corpo mortale perché tacesse, smettesse di chiamarla, così incompleto...
Era anche quella malattia, che l’aveva reso così eccitabile. Era anche quella che lo faceva bruciare e gli faceva perdere la testa. Ma non del tutto e lo sapeva.  
Rose lo aveva mutato. Aveva reso un essere freddo una creatura capace di passione. Ma forse non era quella la natura di un signore del tempo, non doveva essere così fragile e dipendere dal suo corpo e dal corpo di un altro. Rose lo aveva voluto, lo aveva preso, era stata uno con Lui. Lo aveva lasciato spezzato in due e si era portata via la parte migliore.
Si struggeva, si sentiva dilaniare al pensiero che la natura umana le fosse costata la vita. Non aveva mai pensato a come sarebbe stato per lei, essere come Lui; ma desiderato ardentemente diventare come lei.
A capo chino come molte altre volte ormai, quel tristissimo oscuro signore continuò ad aspettare invano che Rose gli facesse una carezza. Desiderava immensamente che lo toccasse ancora, che potesse aprire le sue labbra sigillate e fredde in un bacio profondo; era in attesa di lei, che le sue mani lo svegliassero da quel torpore freddo, apparentemente, come tante altre volte, come persino l’ultima.
Strani i suoi sensi, come incantati al suo pensiero.
Sentiva ancora l’odore, l’odore pungente che gli avvolgeva l’animo in un abbraccio tagliente, prima che i suoi occhi si chiudessero alla realtà ogni volta che per un po’ uno dei suoi cuori cedeva.
Le rose. Le rose erano belle anche quando morivano nei roghi dei mondi che lo odiavano, in fumi di nuvole bianche come pagine perdute, non scritte. Come tutti i tempi finiti.
Nessuna donna portava più il suo nome. Ed era giusto e sbagliato insieme perché, sebbene ripetuta altrove come una parola, era l’unica parola che poteva fermarlo.
Ormai Lui odiava il tempo, odiava l’universo in cui lei non viveva. Persino ogni suo respiro era più odioso del precedente; ed ogni cosa era distrutta dalla precedente in un circolo vizioso che era diventato quello del suo sangue.
Ma non poteva rassegnarsi al rimpianto di un uomo, lui non lo era. Era l’ultimo signore del Tempo, un signore del tempo che avrebbe dominato e vinto il destino perché niente poteva imporgli un dolore infinito. Lui era un dio.
… solo Rose conosceva il suo segreto.
Doveva finire il suo lavoro, cercare di trovare la cura. Intanto stava per arrivare il momento di provare nuovamente ad incontrarla.
E stavolta avrebbe fatto una cosa diversa, una cosa inaspettata.
Sarebbe stato due volte sulla stessa linea temporale di Rose.
Una cosa più estrema, un tentativo ancora più disperato. Inclinò il capo socchiudendo gli occhi un breve attimo, quasi per radunare delle forze che sentiva sfumare, poi mise la mano su una leva della consolle e la spinse giù. Le coordinate temporali erano stabilite, il varco stava per aprirsi.
Il Tardis emise un sordo rintocco, un gemito di dolore lunghissimo, mentre l’angelo nero pensava alla sua Rose. Ma nel terribile paradosso cui l’aveva costretta, Lei non piangeva per i mondi distrutti e il tempo ferito.
Ma solo per Lui.
 
  
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