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Autore: _ForeverYoung    07/02/2013    3 recensioni
Non puoi morire,
non prima di aver visto il cielo d’Irlanda,
correre dietro di te.

Adrenalina, brividi, emozioni.
Ecco cosa mi davano quelle corse clandestine. Quando a dettare il tuo gioco non vi era altro che l’odore dell’asfalto e le stelle ad indicarti la direzione. Quando non ti chiedevi il perchè della tua spazzatura di vita ma tutto ti appariva chiaro, delineato, seppur per lo spazio di una notte.
Io correvo per non sentire il dolore.
Per non sentire niente aldilà dell’adrenalina che assaliva ogni terminale nervoso quando il contachilometri sfiorava i 200 km/h e percepivo il cuore implodere nel petto una volta tagliato il traguardo. In quei momenti ero il Dio della strada e sentivo che non c’era nulla che non avessi il potere di fare. Mi sentivo libero, per pochi secondi ero io stesso a dettare le regole del gioco. Completamente anestetizzato dal dolore e dalla rabbia. Correvo per sentirmi libero. Ma a volte la libertà veniva pagata a caro prezzo. A volte la libertà pretendeva qualcosa in cambio.
La tua stessa vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-E poi ho guardato il cielo d'Irlanda-
 



Non puoi morire,
non prima di aver visto il cielo d’Irlanda,
correre dietro di te.
 
 
Dicono che sia impossibile dimenticare il passato.
Anche quando credi di esserci riuscito.
Persino avendone la più completa certezza.
Il passato non ti abbandona mai. Lui non muore. Si ripresenta quando meno te lo aspetti, e urlando come un pazzo, inizia a prendere a calci quella porta che pensavi di aver chiuso per sempre.
Invece lui bussa prepotente contro i battenti, e se tu non rispondi al suo appello, allora la sfonda.
Il passato non aspetta.
Il passato pretende e basta.
Il passato torna sempre a regolare i conti in sospeso..

 
Un brivido lungo la pelle.
Freddo. Ghiaccio. Vento.
Le pareti di camera mia che si dissolvevano, lasciando spazio alla Neve.
Era così ogni volta, ogni dannata volta, da un anno ormai. Il passato sceglieva sempre lo stesso e identico rituale di apparizione, come un sadico killer seriale, che si divertiva a ricreare la stessa scena del crimine. Quando meno me lo aspettavo, lui mi assaliva, infiltrandosi nel mio sangue come un virus, pronto ad attaccare con cellule infette ogni mio tentativo di difesa. E non aveva affatto importanza per lui se mi trovassi a casa, in camera mia, o per strada in mezzo ai passanti, lui colpiva e basta. Mi aggrediva con allucinazioni e fantasmi di fumo, trasparenti alla vista ed intangibili al tatto, ed io ero costretto a subire in silenzio quei frammenti di ricordi. Mi facevano male, come se premessero sul mio sterno impedendomi di respirare, percepivo l’aria venire meno ed i polmoni svuotarsi, la vista mi si appannava e lentamente, tutto ciò che mi circondava perdeva consistenza, fino a dissolversi.
Il nulla, non esistevano più nè linee, nè confini.
Solo dannati tasselli scomposti di memorie pronti a tornare alla ribalta, colpendomi con dardi imbevuti del dolore peggiore, la colpa.
Notte, buio, paura..
E poi la neve.
Fiocchi candidi e lucenti.
Cristalli imperfetti e fragili, dall’abbagliante bagliore argenteo.
Uno dopo l’altro, a milioni si depositavano al suolo, in un fluttuare leggiadro e silenzioso.
Come se il resto del mondo fosse improvvisamente entrato in modalità stand-by.
E infine i brividi.
Il freddo.
Il sangue.
E l’odore della morte.
Il passato aveva vinto di nuovo, e come l’imbocco di un’autostrada senza uscita, precipitai in quella spirale di ricordi. Tutto ciò che mi circondava perse forma e sostanza, ero di nuovo solo. Solo in mezzo alla neve.
Frammenti sbiaditi di quella notte di Dicembre affollarono la mia testa, risuonando  nella scatola cranica come l’eco distorto di un fantasma.
E poi ombre, figure confuse, urla, lamenti, e sangue.
Sangue sulle mie mani, sui miei jeans, e su quelle logore converse rosse che ancora oggi non avevo osato smacchiare, scegliendo di confinarle in una scatola seppellita in fondo all’armadio, sperando che la polvere che giorno dopo giorno la copriva, fosse in grado di affievolire un po’ del mio dolore. Di quel senso di colpa che mi lacerava, impendomi di essere felice.
Quella notte..
La notte in cui per la prima volta mi resi conto dell’ingiustizia della vita.
La notte in cui  qualcosa dentro di me si spezzò, distruggendosi in miliardi di pezzi, proprio li, in quella vecchia statale fantasma..
La notte in cui una parte della mia anima andò distrutta in quel maledetto incidente.
La notte in cui Niall, il mio migliore amico, morì.
Era questo il mio incubo ricorrente.
Questo era il mio passato.
Corse clandestine con auto truccate.
Non ricordo di preciso come tutto fosse cominciato, ne quando avessi corso per la prima volta assieme a Niall, giù alla statale fantasma, come noi del giro chiamavamo sempre. Era una statale vecchia di decenni, con l’asfalto ridotto in rena sbriciolata e ciottoli, e con crateri grossi come macigni scavati in ogni lato. Nessuno passava di lì, non da quando avevano inaugurato la nuova provinciale, con la quale impiegavi la metà del tempo per raggiungere il centro di Bradford.
Così era divenuta il nostro punto di ritrovo, di tutta la banda. Il posto perfetto per cazzeggiare in compagnia, e trangugiare birra seduti sui guard-rail. La maggior parte della volte finivamo per ubriacarci come ragazzini alle prese coi primi bacardi, per poi concludere la serata frignaccolando ed imprecando contro il cielo, dei problemi che la vita si divertiva a rifilarci ogni santo giorno.  Ci prendevamo per il culo, un sacco. Eravamo una banda di sfigati, senza niente da perdere, che per cercare di emergere dalla merda in cui si ritrovava, si divertiva a sfidare la vita. Correndo veloce, sfrecciando su alianti d’acciaio, per il desiderio di sfidare il vento. A dire la verità la maggior parte di noi correva per i soldi.
Io no, e neanche Niall, non che qualche euro in più non ci facesse comodo certo, ma noi correvamo per qualcosa di più,correvamo per essere liberi.
Adrenalina, brividi, emozioni.
Ecco cosa mi davano quelle corse clandestine. Quando a dettare il tuo gioco non vi era altro che l’odore dell’asfalto e le stelle ad indicarti la direzione. Quando non ti chiedevi il perchè della tua spazzatura di vita ma tutto ti appariva chiaro, delineato, seppur per lo spazio di una notte.
Io correvo per non sentire il dolore.
Per non sentire niente aldilà dell’adrenalina che assaliva ogni terminale nervoso quando il contachilometri sfiorava i 200 km/h e percepivo il cuore implodere nel petto una volta tagliato il traguardo. In quei momenti ero il Dio della strada e sentivo che non c’era nulla che non avessi il potere di fare. Mi sentivo libero, per pochi secondi ero io stesso a dettare le regole del gioco. Completamente anestetizzato dal dolore e dalla rabbia. Correvo per sentirmi libero. Ma a volte la libertà veniva pagata a caro prezzo. A volte la libertà pretendeva qualcosa in cambio.
La tua stessa vita.
E quella notte di Dicembre del 2011, la libertà scese sulla Terra per saldare il conto.
Accadde tutto quanto nella frazione di un istante, come una scheggia impazzita, vidi la Volvo di Niall sbandare nel buio della notte, -colpa di una lastra di ghiaccio sul fondo stradale ci dissero il giorno dopo,- per poi vederla schiantarsi contro un guardrail. Uno stupido, arrugginito guardrail, dove molto probabilmente ci eravamo fumati una sigaretta seduti a cavalcioni, pochi giorni prima.
L’ultima lucky, prima della fine.
Morto sul colpo, è così che è andata.
Ricordo ancora nitidamente l’odore ferroso del sangue che imperneava i suoi capelli e quello della benzina che scivolava sull’asfalto, che percepii estraendolo dall’abitacolo afferrando quelle braccia ormai esanimi, su cui spiccava quel tatuaggio, ancora coperto dal cerotto, che ci eravamo fatti appena due giorni prima.
“Freedom” c’era scritto.
Perchè era per quello che correvamo, per sentirci liberi.
Poi delicatamente lo stesi a terra e cercando invano di rianimarlo, pregando di udire, un seppur lieve, accenno di battito. Niente di niente. Il suo cuore aveva smesso di battere, il motore di Niall si era spento, sbriciolandosi assieme alla sua Volvo, in quella vecchia statale abbandonata da Dio.
Niall era morto.
Morto.
Mi rialzai dall’asfalto bagnato, facendo perno su un palmo della mia mano, senza pronunciare neanche mezza parola. Solo incredulità e desiderio che tutto ciò si trasformasse in un incubo, non riuscivo a provare e desiderare altro. E piansi, mentre le mie lacrime si confondevano ad una fitta pioggerellina ghiacciata. Stava arrivando la neve, da giorni l’avevano annunciata e adesso finalmente era arrivata.
Funzionava così, qualcosa arrivava, mentre qualcun’altro ci veniva strappato dalle braccia. E all’improvviso fu come se non ci fosse più nulla attorno a me. Solo la neve, che candida e pura cadeva sull’asfalto bagnato confondendosi al sangue di Niall. Ero come isolato dal resto della realtà, anestetizzato dalle azioni che gli altri compivano davanti ai miei occhi. Erano come figure distorte lontane anni luce da me e dall’universo parallelo in cui ero precipitato..
La neve che si posava sui miei ricci e imperneava i miei vestiti.
La frenata stridula dell’ambulanza sull’asfalto.
L’urlo assordante della sirena.
Il resto della banda, Louis che inveiva incazzato, prendendo a calci e pugni come forsennati ciò che restava della S30.
Liam che piangeva in silenzio, lo sguardo perso sulle lamiere fatte a pezzi da Louis, le lacrime che rapide scivolano via dalle sue guance, ricadendo a sciogliere la neve.
Harry che non smetteva di stringere la mano di Niall, ormai esanime, esangue. Fredda. Continuava a chiamarlo, a dirgli di non fare il coglione ed aprire immediatamente gli occhi; nonostante i paramedici cercassero di allontanarlo, di portarlo via da quell’inferno di sangue e lamiere.
E poi  il tintinnio costante dell’elettroencefalogramma che non faceva altro che confermare ciò che già sapevamo.
Morte, odore di neve e di morte, ecco cosa vi era nell’aria quella notte.
E l’anima silenziosa di Niall che squarciava quella tempesta di neve, toccando il cielo.
Perchè era lassù che se ne sarebbe andato, a rompere le palle a San Pietro pregandolo di istallare un maxi schermo in Paradiso, come quello che aveva fatto istallare nella cantina di casa sua, dove ogni domenica seguivamo le dirette del MotoGp, e del Manchester
Perchè non le avremmo più potute guardare assieme.
Non l’avrei più sentito darmi del “Kebabbaro del cazzo” solo perchè tifavoi l’Arsenal.
Niall era morto.
Non c’era più.
Era morto. Morto. Morto..
Non aveva ancora smesso di nevicare quandoqualcosa, all’improvviso attraversò la notte. Infranse quel silenzioso mondo che mi teneva prigioniero in uno stato di immobile catatonia.
Lei.
Diana.
I suoi passi affrettati, il suo profumo di bambina, il suo respiro affannato e il pianto disperato. Bastò uno sguardo, un incontro di anime perdute. Mi risvegliai da quella sorta di delirio di immobilità e allargai la braccia. Non dissi una parola, io sapevo e lo sapeva anche lei. Mi si gettò fra le braccia scoppiando a piangere ancora più forte, e per la prima volta anche io riuscii a piangere. Non l’avevo mai fatto prima, non c’ero mai riuscito. Forse perchè mai avrei pensato di poter vivere un dolore così devastante. Tante minuscole e fitte goccioline salate invasero il mio volto mischiandosi alla neve.
Piangevo mentre stringevo fra le braccia la cosa più importante che avessi nella vita.
Lei, quella che per anni e anni avevo finto di considerare soltanto come la mia migliore amica, mentendo a me stesso ed al mondo intero.
Affibbiandogli quel ruolo solo per paura di affrontare la verità, e di catalogare sotto la voce Amore, le cinque lettere del suo nome.
Perchè ero innamorato di lei da tutta una vita, e fu incredibile realizzarlo solo in quell’istante.
Ero innamorato di Lei.
Lei, l’unica cosa che avesse davvero un senso, persino nell’inferno di quella notte.
Diana era il mio unico punto fermo, l’unica a cui poter chiedere aiuto.
Restò in silenzio a guardarmi per quella che mi parve un infinità di tempo, continuando a piangere e stringermi a se, come se temesse che anche io potessi andarmene via.
E poi pronunciò quelle parole. Una preghiera che mischiò assieme il dolore per la morte di Niall, e la gioia di sapermi ancora vivo.
“Avevo così tanta paura che fossi tu”.
In quel momento mi sarei dovuto incazzare, avrei voluto urlarle contro che ci sarei davvero voluto essere io al suo posto, sotto a quel lenzuolo bianco. Che Niall aveva un sacco di sogni e di speranze, e che sarebbe dovuta toccare a me quella fine.
Ma non ci riuscii, e non so come, ne perchè successe, ma senza rispondere, ne trovare niente che avesse un senso da dire, la baciai.
E fu probabilmente il bacio più bello e doloroso di tutta la mia vita.
C’era sofferenza in quel bacio, e rancore verso un destino capriccioso che giocava con la vita delle persone. C’era l’odore del sangue di Niall che sporcava i miei vestiti e quello della paura che ci avvolgeva. Le labbra di Diana sapevano di sale e di neve, e le lacrime che fluide le rigavano il volto inumidivano le sue labbra, erano fredde e umide. Fu un bacio lento, non vi era urgenza di approfondirlo, ne di divorarci le bocche. Lente e delicate le mie labbra si posarono sulle sue, accarezzandole dolcemente, e con la punta della lingua tracciai il contorno del labbro inferiore, per passare poi con una lentezza disarmante a quello superiore, chiedendo tacitamente accesso alla sua bocca.
Avevo paura che potesse respingermi, che quelle piccole mani che lente risalivano lungo il mio petto volessero allontanarmi da lei, ma non lo fecero, così come lei non mi respinse. Le sue mani si posarono dolci sulla mia nuca, intrecciandosi alla base dei miei capelli zuppi, e salì sulla punta dei piedi per raggiungere meglio le mie labbra, abbandonandosi a quel bacio disperato, forse perchè anche lei, come me, ne aveva bisogno.
Le sue labbra si dischiusero, permettendo alla sua lingua di incontrare la mia in un subbuglio di emozioni.
Paura, disperazione, fragilità, quel bacio sembrò isolarci dal mondo esterno. Da quel mondo caotico che indipendentemente dalla nostra volontà aveva ripreso a girare, dimenticandosi di noi. Ma era bello essere dimenticati assieme a lei. Lei che con un solo bacio mi aveva destato dall’inferno che si svolgeva attorno a noi. Sapevamo bene che una volta interrotto quel bacio il mondo si sarebbe risvegliato, portando alla ribalta quel carico di disperazione e dolore che Niall aveva causato, che ne avremmo dovuto affrontare le conseguenze, e forse per questo quel bacio sembrò durare per ore ed ore. Come se sullo sfondo si alternassero albe e crepuscoli uno dietro l’altro.
Morte e rinascita.
Un giorno dopo l’altro.
Non volevo separarmi da lei, dalla dolcezza di quelle labbra piene che sembravano voler risucchiare la mia anima, oppure donarmi la sua, nell’estremo gesto di farmi sentire protetto, meno solo, ma soprattutto amato.
Quel bacio terminò per poi venir risucchiato nel vortice dei ricordi assieme alla neve.
Un bacio, un contatto di anime e un addio.
Quel bacio era stato cancellato assieme al ricordo di quella notte.
Perchè Niall era morto, ed io non avrei mai potuto avere il diritto di essere felice.
 
Un brivido sulla pelle, la fronte mandida di sudore, ed il passato che mi stava schiacciando.
Mi rigirai goffamente sul letto aggrovigliandomi alla coperta che mi copriva, e sprofondai sofferente il volto sul cuscino sotto la mia testa. La testa mi scoppiava, e per quanto mi sforzassi, non riuscivo a dischiudere le palpebre, che improvvisamente parevano pesare più  di cento chili.  Nonostante mi fossi appena svegliato, avevo la sensazione di non dormire da giorni, o meglio da un anno, da quando Niall se n’era andato e la mia vita aveva iniziato ad andare in pezzi. Ero diventato una vetrata, e pezzo dopo pezzo vedevo i miei tasselli staccarsi e rovinare al suolo, infrangendosi in sottili scheggie di vetro, impossibili da ricomporre.
Crack, ed un altro tassello era caduto. Anche questa volta il passato aveva ottenuto la sua vittoria, e destavo dargliela vinta.
Soffocai un lamento mugugnando, il braccio destro, che tenevo sotto al cuscino si era intorpidito dal sonno e non pareva particolamente desideroso di svegliarsi. Liberai il polso dolorante e me lo portai al petto, rannicchiandomi su me stesso, riscaldato dal soffice pile di una coperta invernale. Avevo così freddo, come se mi trovassi nel pieno di una tormenta. Strinsi fra i pugni la coperta e mi scaldai la punta delle dita, prossime all’ibernazione, per poi serrare nuovamente le palpabre e bearmi del calore di quella coperta, nonostante il freddo non passasse.
Ero a casa adesso, ero al sicuro, continuavo a ripetere nella mia testa. Sarebbe andato tutto bene, tutto per il meglio.
Ma il gelo continuava ad imperversare, scavandosi un varco fra gli spifferi della finestra e attraverso il pile della coperta, come se avesse il potere di perforarmi la pelle, penetrando fin dentro le ossa.
Freddo, faceva così freddo...
Mentre tutto il resto andava a fuoco.
Incrociai le braccia sullo sterno, cercando di non battere i denti e ridurre il tremore incessante, che si era impadronito dei miei arti.
Freddo.
Vento pungente che impregnava l’aria circostante. Nebbia fredda intenzionata ad inghiottire ogni cosa.
Gelo.
Spine ghiacciate di uno stelo nero, che parevano penetrarmi l’epidermide.
Ed io che avevo ripreso a tremare, prigioniero del freddo.
Prigioniero della Neve.
Crack!
E pezzi di vetro sparsi ovunque..
 
-Zayn!-
Sangue, vetro, e il corpo senza vita di Niall abbandonato in mezzo alla neve. I suoi occhi spalancati, celesti come il cielo e freddi come il ghiaccio, che mi fissavano vacui, spenti, come se non contenessero altro che dolore, e morte.
-Zayn.. Hei Zayn!-
La neve si faceva sempre più fitta, le mie converse sporche di sangue sprofondavano nel soffice manto innevato lasciando profondi solchi, segno del mio passaggio, sull’asfalto della vecchia statale. Non c’era più traccia di nessuno, le sirene si erano spente, le ambulanze se ne erano andate e la neve aveva cancellato le loro tracce. Ero rimasto solo, e davanti a me, Niall, che continuava a fissarmi, incastonando le sue iridi gelate nelle mie. E’ colpa tua, è solo colpa tua.. Mi diceva, ed aveva ragione. Io avevo iniziato tutto, io avevo corso per primo sull’asfalto di quella maledetta statale.
-Zayn.. rispondimi.. Zayn..-
Neve, solo quella maledetta cazzo di neve, e gli occhi di Niall che continuavano ad accusarmi. È colpa tua. Solo colpa tua se sono morto. Mi hai ammazzato tu, Zayn.. Volevo fuggire, scappare da quella tempesta, da quel freddo, ma non sapevo come fare, le mie converse, fradice di neve, sprofondavano nel terreno e non riuscivo a camminare sorreggendomi in equilibrio.
-Zayn..-
Finchè non la sentii.

Una voce, flebile e dolce, aprirsi un varco nel mezzo della tempesta. Era lontana e distante, eppure ne avrei riconosciuta l’appartenenza fra milioni di milioni, era la sua, era venuta a cercarmi. Improvvisamente il passato sparì, in un torbido vortice di sensi di colpa, proprio come era arrivato, proprio come ogni maledetta volta. Mi destai da quell’incubo lentamente, dischiudendo appena le palpebre ancora sature di sonno, le sbattei faticosamente e piano piano iniziai a focalizzare ciò che mi stava intorno. Le pareti blu scure e la mobilia dalle profonde tonalità marrone ciliegio. I poster, lo fotografie sparse ovunque, appese alle pareti, i vestiti gettati confusamente sul parquet e i joystic della XBox che penzolavano da una delle mensole. La mia stanza, ero di nuovo a casa.
Ero tornato al presente.
-Zayn va tutto bene.. ci sono io adesso..-
Ero tornato da lei.
Sbattei le palpebre, e rivolsi lo sguardo verso la voce che mi aveva richiamato a se, facendo leva con i gomiti sul materasso, per potermi voltare. E incontrai il mare. Gli occhi verdi acqua di Diana, stesa accanto a me sul mio letto, erano colmi di preoccupazione e paura, e le sue iridi erano velate di un pianto che si era sforzata di trattenere.
Nonostante fosse passato ormai un anno da quella maledetta notte, Diana non mi aveva mai abbandonato, restandomi accanto sempre, durante ogni mio dannato incubo e attacco di panico, ricordandomi ogni volta come riuscire a respirare.
Era rimasta la mia Dì, la migliore amica conosciuta per caso da bambino, nel parco giochi dietro casa a cinque anni. La nanerottola sdentata con le treccine castane, con cui avevo stretto quel dolorosissimo patto di sangue a dieci anni, solo perchè avevamo visto in tv, Papà ho trovato un amico.
Non avevamo più parlato di quel bacio, neanche una volta, fingendo semplicemente che non fosse mai avvenuto, nonostante continuasse a rivivere nella mia testa ogni maledetto giorno, assieme alla morte di Niall. Ma io non meritavo di essere felice, io non meritavo qualcosa di tanto speciale come Diana, perchè Niall non avrebbe mai potuta averla.
Niall aveva perso per sempre la possibilità d’innamorarsi, di costruirsi una famiglia..
Così preferivo fingere, stringere i denti e raccontarmi ogni giorno una piccola bugia.
Tutto pur di averla nella mia vita, anche solo come amica.
-Hei..- biascicai appena, con la voce ancora impastata e la mente ancora persa nella bufera.
-Scusami, devo essermi addormentato Diana..- aggiunsi poi, abbozzando un flebile sorriso, che non servì però a rassicurarla. Mi conosceva troppo bene e da troppo tempo, sapeva riconoscere quando mentivo, diceva che dipendeva da non so bene cosa, che si alterava nel mio tono di voce. 
-Non fa niente.. io sono qui con te Zayn- sorrise, di un sorriso sincero però, ben lontano dal mio, mentre le sue mani si posarono lievi sulla mia fronte, in una dolce carezza materna. Fece scivolare il palmo della mano sulle mie tempie e poi tra il mio ciuffo scompigliato, che iniziò ad accarezzare intrecciandovi le dita, mentre con il pollice tracciava dei disegni circolari sulla mia fronte. Il mal di testa iniziò a diminuire leggermente e le tempie smisero di pulsare come cavalli impazziti, la neve si stava sciogliendo.
-Ho freddo..- aggiunsi soltanto, in un sussuro roco, mentre come se fosse un gesto del tutto naturale, mi lasciai scivolare di nuovo sul cuscino, accoccolandomi vicino a Diana, trovando riparo nel calore della sua pelle. Era calda, e profumava di vaniglia e sole, la mia estate in pieno inverno. Mi schiacciai contro il suo petto, appallottolando le braccia sulla sua pancia; tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento, era un abbraccio che mi ricordasse casa. E Diana lo era, lei era la mia vera casa, il mio porto sicuro, quello in cui poter attraccare e gettare gli ormaggi dopo aver navigato per una vita intera in mezzo ad acque agitate.
-Il mio Zayn..- lo esalò in un impercettibile sussurro, mentre le labbra le si incurvavano di un sorriso mielato, che faticava a nascondere. Ridacchiai anche io, rintanato nel calduccio della braccia di Diana, che protettive, mi stringevano a se, avvolgendomi in una spirale calda come il Sole. Intanto aveva ripreso ad accarezzarmi, giocando con i miei capelli arruffati e con i nei appena visibili sulla pelle ambrata del mio viso, che ogni volta si divertiva a contare, neanche formassero una costellazione come quella di Ken il guerriero. Io potevo essere tutto al più, Zayn il Coglione.
La stanza era immersa in un surreale silenzio, la luce che filtrava dalle persiane, stava lentamente scemando, ed una penombra inquieta sembrava aver avvolto ogni cosa. Incapace di dire o anche solo pensare, qualcosa di sensato, me ne stavo con il volto poggiato sul petto di Diana, e l’ascoltavo respirare, sforzandomi di andare in sincronia coi suoi respiri. Non ci riuscivo però, o almeno non per molto, solo per pochi secondi, perchè i suoi polmoni il più delle volte sembravano incapaci di assimilare aria e sentivo il suo respiro strozzarsi e le sue braccia stringere la presa attorno alle mie scapole, per assicurarsi che fossi ancora con lei. Si preoccupava davvero troppo per me certe volte, ma era l’unica che lo facesse davvero, e a me andava bene così. Il calore della sua pelle, il battito accelerato del suo piccolo cuore ed il rumore del suo respiro, non avevo bisogno di altro.
Lei mi teneva ancorato sulla Terra.
 
-Zayn stai dormendo?- continuava a chiedermelo almeno ogni quarto d’ora. No, non stavo dormendo, ma ogni volta mi limitavo a risponderle con un sospiro infastidito, a dimostrazione, che avessi davvero l’intenzione di dormire. Invece non era così, io non volevo dormire, perchè sapevo bene che una volta serrate le palpebre sarei precipitato ancora una volta in quell’inferno di ghiaccio e asfalto. Ed io ero stanco di ricordare, faceva male, male come morire. Per questo preferivo fingere, chiudere gli occhi, e sprofondare il volto nell’incavo del collo di Diana, dove non c’era nè dolore, nè odore di morte.
-Sei un bugiardo, lo sai?- la voce di Diana, sopraggiunse assieme ad un, a detta sua giocoso, scapellotto sulla fronte, poco importa il fatto che a volte avesse la mano un po’ pesante, in questo genere di giochi, che fosse la pronipote di Cinderella Man? Mi limitai a grugnire, seccato dall’interruzione delle sue carezze fra i miei capelli e dalla sua insistenza, perchè sapevo bene che al momento del mio pseudo-risveglio, mi avrebbe posto la solita domanda, la stessa che da quasi un anno, mi ostinavo ad eludere.
Avolte però le bugie diventano di marmo, e allora fingere non serve a niente.
-Però ti voglio bene lo stesso pezzo di scemo- scese ad accarezzarmi gli zigomi con la punta delle dita e dolcemente mi depositò un piccolo bacio sulla guancia, vicino, forse troppo, all’angolo destro delle mie labbra. Particolare che non dovette passare inosservato neanche a lei, visto l’acceso tono rossastro che imporporì le sue guance un attimo dopo.
-Anche io- sussurrai leggero, per poi stringere appena la presa attorno alla sua vita e alzare il viso per depositarle un lieve bacio sulla mascella inferiore.
Diana abbozzò un sorriso, che solo in parte servì a stemperare l’imbarazzo in cui eravamo precipitati. Situazioni del genere erano sempre più frequenti per noi, ormai non potevo fare a meno di cercarla, sfiorare la sua pelle, per saggiarne la morbidezza o anche solo giocare con una ciocca dai suoi capelli castani. Era un bisogno viscerale di sentirla addosso, mia, anche solo per un momento.
Lei era puro respiro.
Vivevo di attimi, di preziosi istanti che scivolavano via dalle nostre mani, troppo in fretta.
Un leggero bacio sugli zigomi, un carezza sul fianco, lasciato scoperto dalla maglietta, e un sorriso ingenuo ed innocente, quello di una bambina con le trecce.
La mia bambina con le trecce.
In quei momenti io respiravo, respiravo davvero, e i miei polmoni si riempivano di aria. Aria incontaminata, aria soffice, aria leggera.
Diana era la mia aria, ciò che avrei desiderato respirare per il resto della vita.


-Ti ricordi quel gioco che facevamo sempre da bambini?- La sua voce risuonò lontana, come se la sola domanda andasse a rispolverare un cassetto colmo di passato. La nostra infanzia, la nostra amicizia.
-Mmh?- invece fu tutto quello che riuscii a biascicare, stavo respirando in quel momento e non avevo intenzione di sprecare quell’aria così tanto preziosa, per parlare.
-Un cioccolatino per i tuoi pensieri..- sussurrò dolcemente, accompagnando quelle poche lettere, con un sorriso limpido e caldo, come se anche il sole stesse sorridendo assieme a lei. Poi sfiorò le mie dita, con le sue, coprendo la mia mano sinistra, con la sua, all’altezza del fianco, per richiamare la mia attenzione.
La guardai perplesso. -Non facciamo più questo gioco da quando avevamo dieci anni Diana!-.
-E allora?- Era maledettamente ingenua a volte, e dannatamente insistente. Sapevo perfettamente che prima o poi sarebbe arrivato il momento delle spiegazioni, ma per quanto desiderassi parlargliene, e aprirle uno squarcio sui miei pensieri, non ci riuscivo. Forse non ne avevo il coraggio, o forse avevo così tanta paura di perderla, che preferivo rinatanarmi nelle mie bugie.
Ma quando le bugie diventano di marmo, fingere, non serve più a niente.
Avevo costruito più di anno di vita sopra ad una bugia, e adesso non riuscivo più a sorreggerne il peso.
Non serve più a niente..
Avevo bisogno di Diana, un disperato bisogno di lei. Ed il ruolo di migliore amico all’interno del quale mi ero rifugiato, non mi bastava più. Mi andava troppo stretto.
A niente..
Io l’amavo, come potevo esserle amico?
-Fammi vedere il cioccolatino prima!- scherzai, mascherando dietro ad un ghigno divertito, quei dannati pensieri che mi scavavano dentro. Fingere, per quanto avrei potuto ancora?
-Era simbolico cretino!- mi rimproverò stizzita, mollandomi un leggero pugno sul torace. Stavo per ribattere, quando un guizzo, simile ad un lampo in piena notte, attraversò i suoi occhi, facendo mutare la sua espressione. Erano scuri adesso, velati di una densa patina nebbiosa, come il sole celato dalla pioggia.
-Zayn?- mi richiamò un secondo dopo, stringendomi convulsamente la mano sinistra.
-Che c’è?- mi faceva male guardarla così, era come ricevere un pugno in pieno addome, come tornare ad affogare.
-Dimmi che cosa ti passa per la testa.. ti prego.. sto impazzendo così!- la voce le uscì spezzata, sull’orlo di strapparsi, mentre gli occhi lentamente, andarono gonfiandosi di pianto. Una miriade di lacrime salate, premevano per uscire, nonostante Diana si sforzasse di contenerle. Lei era fatta così, non voleva mai farsi vedere debole, nè fragile, scherzando le dicevo spesso che avesse un innato istinto da crocerossina, ma la verità era un’altra. Lei non era forte, ne fatta di marmo. Era delicata come un bicchiere di cristallo, ma si ostinava a dimostrarsi abbastanza forte per entrambi.
-Dì sto bene, smettila di preoccuparti per me- le accarezzai il palmo della mano, risalendo poi con le dita a sfiorare la pelle tenera del polso. Iniziai a tracciare dei cerchi con la punta del pollice, come facevo sempre da bambino per tranquillizzarla e poi accennai un sorriso, che non servì però a farla desistere.
-E tu smettila di fare finta che vada tutto bene, quando non è così.. i tuoi continui incubi, il tremore, il freddo.. non è normale.. lo sai che non è normale..- aveva il respiro affannato, la voce le tremava, scossa dai singhiozzi dovuti alle lacrime, che calde come miele, avevano preso a rigarle il viso. Stava piangendo per me, per colpa mia, ancora una volta.
-Piccina avevo solo freddo.. sai com’è, siamo a Dicembre- mi feci leva con il gomito sul letto, e mi sollevai, il distacco dal mio corpo la fece tremare ancora più convulsamente per alcuni istanti. Giusto il tempo di appoggiarmi con la schiena, contro la testiera del letto e avvolgere l’esile busto di Diana con le braccia, per poi schiacciarmela addosso, come una seconda pelle. Avevo bisogno di stringerla, sentire di nuovo il suo respiro.
-Non dirmi bugie Zayn, smettila di dirmi bugie!- strinse fra i pugni la stoffa della maglietta che indossavo, e continuando a torturare i lembi che teneva fra le dita, si schiacciò ancora di più contro il mio petto, incapace di frenare le lacrime che avevano preso il sopravvento.
Ed io ero incapace di rispondere. Non volevo rispondere.
Faceva tutto così male.
Tutto quanto, mi ricordava la neve.

Così mi limitai a stringerla fra le braccia, ad accarezzare le sue onde castane e baciare le lacrime che lente, scavavano solchi invisibili, sul suo volto.
-Ti va, se andiamo in un posto?- Le sussurrai, sentendo il suo corpo smettere di singhiozzare contro il mio sterno. Percepii il suo respiro contrarsi, un attimo prima di annuire, fragile come un fiocco di neve.
-Non esiste posto, in cui non ti seguirei, Zayn-.
 
Seduti sul vecchio cavalcavia ferroviario di Bradford, quello vicino al deposito dei treni a meno di mezzo miglio da casa mia, con i piedi a penzoloni verso l’infinito dei binari, e la luce del crepuscolo riflessa dentro alle nostre iridi, avevo l’impressione di poter osservare il mondo da tutta un’altra prospettiva.
Mi piaceva quel posto, nonostante apparisse piuttosto periferico e.. squallido, ma era proprio a cavallo di quella vecchia trave di ferro, che io e cinque anni anni prima, a soli quattordici anni, avevamo acceso la nostra prima sigaretta.
E sempre lì, un pomeriggio di metà febbraio, appena sedicenne, l’avevo visto arrivare in sella alla sua vespa malandata con un sorriso che gli compiva l’intero giro della faccia, per annunciarmi di aver finalmente abbandonato l’universo della verginità. Aveva scopato, insomma, ma termini così.. volgari si addicevano certo più a me.
Non c’ero più tornato, dopo quella notte, nonostante ogni giorno mi ripromettessi di farlo. Era alto quel cavalcavia, il cielo sembrava più grande, visto da lassù, ed avevo la sensazione di sentirlo più vicino, quell’irlandese da strapazzo.
-Non mi avevi mai portata qui..- E Diana era con me. Lei c’era sempre stata in fondo, con i suoi occhi, le sue carezze, i suoi abbracci e si, anche i suoi schiaffi, quando ne avevo avuto bisogno. E c’era anche in quel momento. La mano stretta appena attorno alla mia, senza invadenza o intrusione, gli occhi verde mare persi tra le decine di vagoni arrugginiti e ricoperti di graffiti del deposito ferroviario. Tra i centinaia di tralicci elettrici aggrovigliati, e vecchi pezzi di binari malconci ammassati un po’ avunque.
Rottami. Macerie. Lamiere. Brandelli di cuore.
-Non ci tornavo da più di un anno. Era il nostro posto- mi limitai a rispondere, riferendomi a Niall, senza staccare gli occhi dai binari, che sembravano protarsi sin dentro alla luce del crepuscolo, pronti a scomparire in mezzo alla linea dell’orizzonte. Chissà fin dove portavano.
Diana non rispose, la percepii sussultare, e stringere appena la presa sulle mie dita. Lei sapeva interpretare le mie pause, riusciva a gestire i miei respiri spezzati. Con lei era bello tacere, perchè c’erano milioni di parole non dette, dentro ai nostri silenzi.
Il mondo invece faceva rumore, i treni merce sfrecciavano veloce, come schegge impazzite attraversavano i vecchi binari arrugginiti senza soffermarsi a pensare. Ed il vento gelido di fine Dicembre sibilava agghiacciante tra le lamiere di ferro del cavalcavia; emetteva un canto gelido, denso di malinconia, ricordi spezzati, diventati ghiaccio. Neve.
Mi soffermai per qualche istante verso il cielo screziato di nuvole aranciate, il sole stava tramontando, lasciando di turno la Luna. Niall mi aveva spiegato anni prima che era un satellite, e non una stella come erroneamente avevo sempre pensato. Lui sapeva un sacco di cose, e diceva sempre che se non avesse sfondato come musicista, probabilmente avrebbe scelto di fare l’ingegniere. Si, era una contraddizione vivente, ma anche un fottuto genio.
-Dove pensi che si trovi, adesso?- chiesi timido, azzardando una domanda che per troppo tempo avevo tenuta stretta tra i denti. Alludevo a Niall, non c’era bisogno di specificarglielo.
Diana sussultò ancora, poi alzò il mento, protraendo il suo sguardo verde al cielo morente; abbozzò un sorriso cauto, curvando appena il lato sinistro delle labbra. -Da qualche parte, tra il Sole e la Luna.. A chiedersi se le stelle siano fatte di formaggio..- rispose alla fine. Senza aggiungere altro, con convinzione. In fondo Niall amava solo un’altra cosa oltre alla sua Fender Stratocaster, ed era appunto mangiare.
Accennai un sorriso timido, alzando a mia volta lo sguardo. Il Sole non se n’era ancora andato, la Luna invece era appena comparsa nella volta celeste. Sole e Luna si erano appena incontrati, e poi detti addio.
Strinsi sino a farmi male le sue dita, tra le mie. Diana era un po’ come Niall, sapeva sempre tutto.
-Secondo te come è fatto, quel posto?- Un treno ci era appena sfrecciato vorace sotto ai piedi, e quella domanda ne aveva approfittato per fuggirmi via dalle labbra, senza che potessi fermarla.
Diana ci pensò su per qualche istante, stringendosi nella sciarpa di lana pesante, bianca,  che indossava. Bianca come la neve.
-Non ci sono mai stata. Non posso saperlo..- mormorò triste, -Ma lo immagino pieno di.. Folletti, cascate di cioccolato e.. Leprecauni che t’insegnano la quadriglia, se glielo chiedi.. e..-.
-E dove si riesce a vedere il cielo d’Irlanda.- Terminai per lei, storcendo la bocca nell’ombra di un leggero sorriso.
Niall era irlandese, e diceva sempre che se mai fosse finito il Paradiso, gli sarebbe dovuta spettare una nuvola con vista sul cielo d’Irlanda, altrimenti avrebbe chiesto a San Pietro il rimborso del biglietto. Era indubbiamente patriottico.
Zayn alzò le iridi notte al cielo, ma era quasi buio e non si riuscivano più a vedere, le nuvole. Chissà su quale era finito Niall.
Chissà quanti kilometri distava da Bradford.
 
-Non ci sono mai stata, in Irlanda dico..- Buttò lì Diana, accennando un sorriso un po’ stonato. Era buffa quando sorrideva, il lato sinistro delle labbra si storceva sempre più dell’altro.
Mi morsi le labbra, fissando un vagone abbandonato, pieno di graffiti e ruggine. Irrimediabilmente compromesso dal passato, un po’ come me. -Neanche io, Niall non mi ci ha mai voluto portare..- le confessai.
Diana arricciò le labbra, perplessa, -Oh, e come mai?-.
Sorrisi piano, sugli occhi una patina di lacrime e ricordi, -Diceva che la prima volta dovevo andarci con qualcuno di speciale. Che l’Irlanda è un posto magico e non potevo sprecare quella magia assieme a lui..- le rivelai, la voce roca, ridotta quasi ad un sussurro.
Parlare di Niall mi faceva male, ogni singola volta, ma paradossalmente era bello ricordarlo. Niall era speciale, proprio come l’Irlanda, e non era giusto che se ne fosse andato prima d’incidere il suo nome nel mondo.
-Oh, intendi..-.
-..Una ragazza.- La interruppi, -E mi aveva fatto promettere che una volta arrivati a Mullingar, l’avrei portata al Saint Andrews, il suo pub preferito, e davanti a tutti le avrei dedicato “Galway Girl”-.
Diana sorrise, aveva gli occhi lucidi, strabordanti di lacrime, ma era consapevole di non poter piangere. Non davanti a me, perlomeno. Era davvero affezionata a Niall, e sapevo quanto si sentisse.. in colpa per l’accaduto. Perchè io ero vivo, e quando la notte dell’incidente le avevano detto di correre alla statale fantasma lei non aveva fatto che pregare che non mi fosse accaduto niente. Che non fossi stato io.. a morire.
-Che pazzo..- Diana si sforzò di sorridere, lo stesso feci io. A volte i ricordi erano amari, come il caffè, quando scordi di metterci lo zucchero.
-Già, lui era fatto così..-.
Diana sospirò, -Hai intenzione di rispettarla? La promessa intendo..-.
Annuii convinto, -Si-. C’erano due cose in cui Niall credeva, nella sacralità della Guinness, e nelle promesse, ed io l’avrei rispettata.
-E.. Lo sai già chi portarci?- Domandò titubante, la voce le si affinava sempre ed iniziava a balbettare quando s’imbarazzava.
Annuii e basta, sapevo che ce l’avrei portata da quando avevamo tredici anni, e Niall mi aveva scucito quella promessa. Ne avevo diciannove adesso, eppure non era cambiato niente, era ancora dentro ai suoi occhi che avrei voluto scorgere per la prima volta il cielo d’Irlanda.
-Sei indubbiamente ermetico, Zayn- borbottò stranamente acida.
Annuii ancora, sfiorandole appena il dorso della mano con la mia.
Poi sorrisi, piano, senza fare rumore, facendomi pian piano spazio nella sua vita.
Lei. Solo lei. Ogni giorno, per ogni respiro.
 
La stavo stringendo, mentre la notte inghiottiva i binari di Bradford. Un semplice abbraccio, uno di quelli che si danno sue innamorati inconsapevoli, dove pochi centimetri sono una conquista, ed un porzione di pelle un traguardo.
Duravano all’infinito, i nostri abbracci. Diana era sempre calda, e morbida, ed i suoi capelli profumavano sempre di vaniglia, di cioccolato, di cose dolci, insomma, che però non mi stancavano mai. Ecco, Diana profumava di camomilla, era l’unica che riuscisse a tranquillizzarmi, riuscivo a dormire cullato dal suo corpo premuto contro il mio. Non cadevo, Diana mi riacciuffava ogni volta, stringendomi tra le sue esili braccia e mi costringeva a precipitare assieme a lei, verso l’alto però.
Stavo giocando con la pelle tenera del suo interno polso, quando le sue parole interruppero il silenzio del vento, -E’ per lui, vero? E’ per Niall che stai così? Voglio dire.. I tuoi continui incubi, la sensazione costante di freddo. I continui attacchi di.. panico. Sono dovuti a Niall, al ricordo di quella notte..- Sussurrò Diana, giocando con la punta dei miei polpastrelli. Lo faceva sempre, per distrarsi quando un argomento la metteva a disagio. Quando parlare le risultava difficile, ma sapeva che fosse giusto farlo.
Percepii lo stomaco accartocciarsi, ogni volta era uno strappo, un graffio sulla superficie dell’anima.
-No, ti sbagli.- e continuavo a negare, negare senza sosta, senza tregua, nonstante fosse inutile. Diana lo sapeva, lo sapeva da un anno.
-Zayn..- Iniziò, la voce ridotta ad un mormorio, un sussurro leggero, -Niall è morto, se n’è andato, ma tu no! Tu sei vivo, e hai il diritto di essere felice. Smettila di distruggerti, smettila di darti la colpa.. Ti prego.. ti prego..-.
-E’ tutto a posto Diana. Basta così, per favore- la interruppi scuotendo la testa, non volevo che il passato tornasse, non di nuovo.. non adesso.
-Io vorrei tanto aiutarti.. ma nn ci riesco. Io non so che fare o dire..- Diana aveva preso a farfugliare fra le lacrime, balbettando parole, verbi e mezze frasi, che i singhiozzi le impedivano di terminare. Non riusciva a guardarmi, guardava i treni, abbandonati qua e là sull’asfalto grigio del deposito, che la notte dipingeva d’infinite sfumature bluastre. Diventavano ombre, mucchi sconnessi di ferro e graffiti. Anche io ero finito in pezzi, proprio come loro, ma Diana mi aveva impedito di finire a marcire in un vecchio deposito abbandonato persino da Dio. Lei non mi aveva mai lasciato la mano, non aveva mai smesso di respirarmi accanto.
-Non devi fare niente..- tentai di spiegarle, depositandole una scia di piccoli baci sulla fronte, e sulla punta del naso, arrossato dalle lacrime.
-No io.. io.. voglio fare parte della tua vita. Voglio aiutarti, e starti vicino. Voglio farti capire che ci sono, sempre. Voglio..- non mi aveva ancora lasciato la mano, la stringeva, le sue dita sembrano divorare le mie, così grandi rispetto alle sue.
-Tu fai già troppo piccola- le rimproverai, senza smettere un attimo di accarezzare i suoi lunghi capelli castani e cancellare quelle stupide lacrime indegne.
-Zayn..- mi richiamò di nuovo, il tremore che le aveva contaminato la voce, c’era ancora, così come i singhiozzi che le impedivano di parlare. Anche lei portava dei segni addosso.
Ma non aveva mai smesso di respirare, ed io ero tornato a farlo, grazie a lei.
Dovevo smetterla di fingere, non ci riuscivo più.
Non mi bastava più.
Abbassai il volto ed incontrai i suoi occhi, non c’erano più nuvole, nè pioggia.
Avevano preso il colore del cielo.
Non le lasciai dire più niente, toccava a me questa volta parlare.
Basta bugie, basta menzogne.
Forse non sarei mai riuscito a dimenticare Niall, a cancellare il dolore di quella notte.
Forse non sarei mai stato completamente felice.
Forse avrei sempre continuato a percepire quel vuoto, all’altezza del petto, che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a colmare.
Ma grazie a Diana avrei potuto ricominciare da capo.
Sarei potuto tornare a.. Respirare.
Un passo alla volta.
Battito dopo battito.
Un respiro dopo l’altro.
-Tu mi permetti di respirare..-
Afferrai il suo volto rigato dalle lacrime, tra i palmi delle mie mani, e con la punta del pollice presi a cancellare una dopo l’altra tutte quelle piccole gocce salate che avevano osato oscurare l’azzuro dei suoi occhi. Il suo cielo.
E pronunciai quelle parole in un sussurro, e al loro debole suono mi affidai, un attimo prima di chiudere gli occhi e tornare a respirare l’aria fredda della notte, assieme a lei.
Un bel respiro, uno soltanto.
Aria.
Solo Aria.
-Torna a casa, farcisci lo zaino con più vestiti che puoi e torna qui da me-.
Il giorno dopo, eravamo già in Irlanda.
 
-Sai Zayn, credo proprio che Niall avesse ragione.. C’è magia ovunque-.
Eravamo in Irlanda, distesi assieme, senza centimetri a dividerci, con le mani intrecciate, i cuori gonfi di battiti e gli occhi pieni di Cielo.
Sorrisi sincero, piano, un sorriso a metà tra la malinconia ed il sapore dei ricordi. Poi mi chinai lentamente sulle labbra di Diana, e le sfiorai con le mie. Bagnate, umide di lacrime, morbide come le nuvole sopra alle nostre teste. Proprio come le ricordavo, come non avevo mai smesso di rammentare.
-Starò bene Dì.. Un giorno mi sveglierò, e riaprirò gli occhi rendendomi conto di aver vissuto solamente un brutto sogno..- mormorai in un sussurro spezzato, labbra contro labbra, con addosso la sensazione costante di vivere un Dejà-vù.
-L’importante è che tu non smetta mai di ricordarmi di respirare- e poi  sorrisi, assieme a lei, un attimo prima di baciarla.
La baciai come un pazzo, rubandole il respiro e catturandole le labbra in un bacio lento come una danza, mentre il cielo irlandese giocava a rincorrerci, alle nostre spalle.
Succhiandole ingordo quel timido sorriso che aveva increspato le sue labbra, e sincronizzando le frequenze aritmiche del mio cuore, con le sue. Come se temessi di non poterne avere mai abbastanza, e come probabilmente non mi sarebbe mai bastato.
La baciai e basta, perchè la amavo. Perchè avevo rispettato la promessa, perchè l’avevo portata in Irlanda, e non avevo avuto bisogno dell’intervento di nessun folletto per capire che fosse lei, quella giusta. Che fosse lei, la mia magia.
Così la baciai, mentre la magia esplodeva dentro alle nostre palpebre socchiuse.
E mentre, forse, un coglione appassionato di calcio ci applaudiva da lassù, dalla nuvola con vista privata che si era conquistato, ripetendomi che fossi un kebabbaro del cazzo, ma che in fondo, non avesse mai smesso, neanche per un solo istante, di volermi bene.
Avevi ragione tu, Irlandese. Ce l’hai sempre avuta del resto.
Chissà magari ce l’avevi anche quando dicevi che le stelle erano fatte di formaggio.
 
Alzai gli occhi al cielo, scelsi una nuvola a caso e gli riservai un sorriso.
Ciao Niall, ci si vede;


-Buonasera a tutti. Allora sono qui perchè ho fatto una promessa, tanto tempo fa, e un mio amico irlandese mi ha insegnato che le promesse si mantengono, costi quel che costi. Quindi Niall, apri bene le tue orecchie da irlandese del cazzo, e ascolta mentre mi umilio, e dedico alla mia Diana la tua canzone preferita.. Tutta per voi, tutta per te.. amico mio.. E anche se non te l’ho mai detto, ti voglio bene, coglione-.
 

 When I woke up I was all alone of a day-i-ay-i-ay.
With a broken heart and a ticket home,

and I ask you now, tell me what would you do.
If her hair was black and her eyes were blue,

i’ve travelled around I’ve been all over this world,
Boys I ant never seen nothing like a
Galwaygirl;


 

My Sandpit;
Buoooooonasera:)
Non so che dire, cioè questa shot mi piace per alcuni versi, per altri la detesto.
Mi è uscita così, vorrei cambiare certe cose ma combinerei solo un casino, quindi preferisco postarla così come è da settimane.
Forse è troppo triste, forse è semplicemente stupida. Forse non è stata una buona idea perchè io straadoro Niall, e non avrei dovuto metterlo nella storia. Sono un po' scossa stasera.
Insomma se vi va fatemi sapere che ne pensate, anche solo per dirmi che è una schifezza completa.
Ah questa è la canzone di cui parlo, è irlandese ed io la adoro. Come Niall e come l'Irlanda, se non si fosse capito.
http://www.youtube.com/watch?v=_Lcnvd8BNFE
Un bacione.
Dì;


 

  
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