Hoboken, New
Jersey. Una delle città
più pericolose di New York. Era appena entrato
nell’albergo più lussuoso della
città: “Il cuscino d’oro”.
Aveva ricevuto
un nuovo contratto. Il
cliente aveva pagato molto più del dovuto per fare in modo
che il lavoro fosse
fatto da lui, e ne aveva una buona ragione: era il migliore, una
leggenda.
Anche se, a dire il vero, in pochi credevano nella sua esistenza,
tant’è vero
che veniva soprannominato “il fantasma”. Qualunque
lavoro fatto da lui era
silenzioso e pulito. Si guardò attorno, osservando ogni
punto della sala
d’attesa. C’era un bagno sulla destra, le scale che
conducevano all’ascensore
proprio di fronte a lui e la reception sulla sinistra, dove
c’era anche una
porta con su scritto “riservato”. Le pareti ed il
soffitto erano bianchi,
mentre mattonelle marroni erano incastonate sul pavimento.
Sofà e poltrone per
l’attesa erano tutti colorati in oro. Si avviò
alla reception. Sapeva già come
agire: non sarebbe stato difficile.
<<
Salve, cosa posso fare per
lei? >>. Disse l’uomo oltre il banco.
<<
Vorrei prenotare una stanza.
Ho saputo che qui si gode di una vista magnifica dall’alto di
questo Hotel>>.
L’uomo
sorrise: << Vero. Il
nostro è il miglior albergo della zona. Posso darle le
chiavi della stanza 117,
che si trova al sesto piano >>.
<<
La prendo >>.
L’uomo
congiunse le mani ed inclinò
il collo verso di lui: << Può dirmi il suo
nome? >>.
<<
James Taylor >>.
<<
Ecco a lei, signor Taylor
>>.
Il bersaglio si
trovava sull’attico,
cioè al settimo piano. Prese le chiavi e si avviò
verso l’ascensore. L’obiettivo
era Frank Connor, un noto trafficante d’armi e droga, braccio
destro di
Giovanni Lotito, capo della malavita italiana di Hoboken ed amante
delle belle
donne e della vita lussuriosa. Connor, come ogni mafioso che si
rispetti, aveva
portato con sé una decina di uomini, per difendersi da
possibili congiure. Non poteva
passare dalla porta d’ingresso, così aveva deciso
di agire dal piano inferiore.
Raggiunse il
sesto piano, superò la
sala relax al centro di esso e raggiunse la sua stanza, proprio
l’ultima.
Entrò. Chiuse la porta. Arrivò alla finestra e si
affacciò, per controllare la
larghezza e la resistenza del cornicione, tastandolo con la mano
coperta dai
neri guanti di pelle. Salì, arrampicandosi lungo di esso. La
freddezza del suo
estremo addestramento infantile gli consentiva di non intimorirsi
minimamente
di fronte alla più che considerevole altezza cui si trovava.
Ma non era stato
solo l’addestramento a renderlo così: lui ce
l’aveva nel sangue, o meglio, lo
avevano creato così. Camminò con passo lesto
lungo il cornicione, raggiungendo
una grondaia recentemente sostituita. Se ne accorse e capì
che poteva
arrampicarsi in tutta sicurezza. Arrivò al cornicione
dell’attico. Si guardò attorno,
trovando una finestra lungo la destra. La raggiunse.
Sbirciò. Tutto libero. Entrò
di soppiatto, appoggiandosi ad una parete. Pareti che erano tutte
bianche,
mentre il pavimento era fatto di mattonelle nere. La parete si
estendeva per
poco: oltre di essa poté vedere tre scagnozzi che giocavano
a carte, seduti in
cucina, attorno ad un tavolo circolare.
<<
Ah, scala reale! >>. Disse
quello dei tre che gli dava le spalle, buttando le carte a terra e
festeggiando
con una abbondante sorsata di birra.
<<
E che cazzo! >>. Replicò
un altro.
<<
Sei un pezzo di merda!
>>. Disse il terzo, rassegnato.
Restava
leggermente affacciato,
cercando di approfittare di ogni minimo segno di distrazione.
<<
Avanti Rob, prendi delle
altre birre >>.
<<
Perché proprio io!?
>>.
<<
Perché hai perso. Forza
muoviti! >>.
L’uomo
obbedì, mentre gli altri due
lo fissavano, schernendolo. Il frigo si trovava in fondo alla stanza,
nel lato
opposto rispetto all’assassino. Era quello il momento.
Rotolò verso la
copertura di fronte a lui. Proseguì lentamente, fino a
raggiungere un bivio a
circa dieci metri di distanza. A destra c’erano un armadio ed
una porta che
conduceva all’esterno, mentre a sinistra c’era il
bagno con la sauna. Una guardia
si trovava sulla soglia della porta, lasciando intendere che Connor si
trovasse
proprio al suo interno. Restò dietro la copertura ed emise
un leggero fischio.
L’uomo lo sentì, ma ci vollero altri fischi per
convincerlo a dare un’ occhiata.
<<
Ma chi cazzo è che sfotte!?
>>. Disse, gesticolando platealmente ed avvicinandosi
all’angolo di
copertura. non appena i passi divennero abbastanza vicini, si mosse
veloce,
afferrandolo per la bocca e portandosi dietro di lui. Strinse forte,
mantenendogli bocca e nuca, finché l’osso del
collo non emise il “crak” che
stabiliva la morte della sua vittima. Restò fermo qualche
secondo ed estrasse
la pistola, per assicurarsi che nessuno avesse sentito i finissimi, ma
pur
sempre udibili, gemiti del mafioso. Così non fu. Lo
trascinò lungo il
corridoio, fino ad arrivare all’armadio, dove lo nascose.
Aprì lentamente la
porta ed entrò, investito da una nebbia di aria calda.
Restò basso, sfruttando
il vapore acqueo a suo vantaggio: sarebbe stato coperto dalla vista di
tutti,
mentre lui poteva vedere e sentire qualsiasi cosa. La stanza era piena
di docce
e c’erano varie ragazze mezze nude che si stavano spogliando.
Si mosse con
estrema lentezza, fino a raggiungere il centro della stanza, che dava
su
quattro possibili vie. Una ragazza stava venendo proprio verso di lui.
Si appoggiò
al muro e la lasciò passare.
Quest’ultima
raggiunse un’altra
giovane che le disse tutta euforica: << E’
davvero uno stallone! Sta cercando
giusto te! >>.
La ragazza rise,
massaggiandosi le
curve.
Poi
arrivò lui; uomo biondo, sul
metro e settanta, trentacinque anni.
<<
hei ragazze mi ero scocciato
di fare una cosa a due. Ho in mente di fottervi tutte quante nello
stesso
momento. Fatevi trovare pronte nella vasca idromassaggio, io arrivo tra
un
secondo >>.
Le ragazze
obbedirono. Era rimasto da
solo. Era il momento di colpire. Connor si mosse in direzione opposta
rispetto
a lui, dandogli le spalle. L’assassino prese il suo cavo di
fibra ed iniziò a
stringerlo attorno al collo della vittima. Pochi secondi di urla
soffocate
dalla stretta corda e cadde a terra, privo di vita. Tutto fatto senza
la minima
espressione di tensione; in fondo era il suo lavoro. Si mosse lungo la
strada
da cui era venuto. Lasciò la stanza, raggiungendo nuovamente
la cucina. I tre
erano ancora presi dal poker. Non fu difficile passare alla copertura
successiva, vista la tesa partita che li vedeva partecipi. Scese lungo
la
grondaia, raggiunse la finestra e rientrò in camera.
Tornò al piano terra con l’ascensore.
L’uomo alla recenption stava controllando la lista delle
prenotazioni, così non
si accorse della sua uscita. Oltrepassò la porta
d’ingresso, si tirò i guanti
verso l’interno, si aggiustò la cravatta ed
entrò nella sua nera Lamborghini Gallardo,
modificata dall’agenzia per cui lavorava. Accese il computer
ed entrò nel
sistema. Diede conferma della morte di Frank Connor. Gli
arrivò subito un
messaggio da parte della sua supporter, Diana:
<<
l’obiettivo è stato
eliminato. Ottimo lavoro. Il suo credito è stato aggiornato,
Agente 47
>>.
ADORO
HITMAN. E’ UNA DELLE MIGLIORI SERIE A CUI ABBIA MAI GIOCATO J
SPERO VI SIA PIACIUTA LA
MIA ONE-SHOT SULL’AGENTE 47. MI RACCOMANDO, RECENSITE! :D