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Autore: Para_muse    08/02/2013    2 recensioni
Elisabeth è una ragazza che sogna e poi realizza quello che vuole: va in America, lavora sul set di un telefilm abbastanza famoso e fa la fotografa. Quello che più ama fare nella sua vita è racchiudere in un click più soggetti. I soggetti che l'attirano. Uno in particolare lo ammira...sia con i suoi occhi che con il suo obbiettivo...una storia d'amore, d'amicizia, e di insicurezza che Elisabeth riuscirà, forse, a liberarsene.
*storia per metà betata*
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.'
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Questa FanFiction fa parte della serie: "The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.
Della FanFiction fanne parte le Missing Moment:
-Dal Capitolo 8:
The Real Vacancy of Year
-Dal Capitolo 21(raiting rossa): Fire in the Water




Capitolo 26

 
Cayo Largo, white beach, no depression, only…us.
 
- Dov’è la piccola di casa Ackles? – domandò Jensen, appoggiandosi sopra il lenzuolo profumato e rinfrescante. Emise un gemito di piacere, e si stiracchio sospirando di felicità. – Caldo, tanto caldo… - borbottò, avvicinandosi a me, per strofinarsi addosso.
Lo fissai con sguardo sgranato, e gli diedi una manata per allontanarlo. – Sto bruciando anch’io, e sento caldo anch’io! Fatti più in la! – lo schiacciai via, e mi allargai sulla mia parte di letto.
Jensen si sentii offeso e aprii braccia e gambe per stendersi sulla maggior parte del letto (ovvero quasi tutto).
- Jensen! – esclamai a bassa voce, arrabbiata, evitando comunque di non urlare per non dover svegliare Aurora che dormiva dall’altra parte del corridoio, stanca per tutti i giochi che avevamo fatto in spiaggia, e per tutte le lunghe nuotate.
- Cosa c’è? Io sto solo cercando di dormire! Sei tu che stai facendo casino! – esclamò, corrugando la fronte.
Lo fissai allibita, e facendo finta di nulla, afferrai il cuscino e mi avvicinai al divano vicino alla portafinestra aperta, che faceva entrare l’aria umida della notte e il fruscio dell’acqua contro la riva  e la banchina dove eravamo approdati da Cuba verso Cayo Largo, una piccola Isola che faceva parte della nazione piena di sole e di mare cristallino con tanta di quella sabbia bianca e fine, che è sempre troppo facile abbronzarsi, infatti bruciavamo, ed eravamo così scuri, almeno io ed Aurora, che eravamo troppo rosse per abbronzarci ancora di più.
Jensen invece metteva una maglia bianca per proteggersi un po’, passando quasi ogni ora più di mezzo tubetto di crema, infatti ci eravamo forniti molto, prima di prendere la nave e salpare per l’isola che ci stava ospitando per due lunghe settimane.
- Mi spieghi che stai facendo? Prendi un crampo al collo! – esclamò a voce abbastanza alta. Mi ero distesa, dandogli le spalle e stavo quasi per arrivare con la mente alla deriva dei sogni, ma quell’urlo, gridato alla notte, mi fece voltare di scatto, facendomi alzare immediatamente il dito medio e poi l’indice, portandomelo alle labbra.
- Cos’era quello? – domandò con tono di voce basso e rabbioso. Lo fissai stringendo gli occhi in una piccola fessura, stanca e stressata, sbuffando gli alzai di nuovo il dito medio, e mi voltai a dargli le spalle.
Chiusi gli occhi e pensai di riposare solo un secondo di più, prima che due braccia mi potessero sollevare di peso per portarmi via dalla mia quietezza.
- Mettimi giù! – borbottai afferrandogli i pantaloni per abbassarli un po’, mordendogli un anca.
Emise un urlò che nascose in seguito tra le mie braccia, quando mi scaraventò sul letto, facendomi balzare più di una volta.
- Stupido stronzo! – sussurrai, mentre le sue carezza si allungavano per tutto il mio corpo, spogliandomi dalla lingerie di seta che mi teneva fresca la notte.
Le culottes nascondevano ben poco, e le mie gambe erano la tentazione per un uomo che, come Jensen cercava sempre qualcosa da “toccare”.
- Si, quel dito… sai dove infilartelo… - borbottò, giocando con la lingua lungo il mio collo.
Scioccata, schioccai la lingua contro il palato.
- Porco mascalzone che non sei altro! – esclami ridendo divertita, abbandonandoci ad un’altra notte di pura passione.
 
- Dove sono gli attrezzi per la sabbia tesoro? Voglio iniziare un castello nuovo! – urlai alla riva, dove Aurora nuotava e giocava insieme a Jensen divertendosi, come se l’uomo con cui stesse giocando non fosse solo un bambino o quasi, ma fosse suo padre.
La bambina scappò e mi corse incontro, sotto l’ombrellone in paglia davanti la villa dove alloggiavamo.
- Aiuto, aiuto! – urlò Aurora, continuando a lanciare gridolini di divertimento e di paura allo stesso tempo, iniziando a girarmi intorno nascondendosi dietro alle mie spalle. Risi divertita e afferrandola per un braccio, la tenni stretta dietro di me, mentre Jensen mi correva contro, prendendomi in pieno facendoci quasi cadere a terra.
In ginocchio inizia a pestarlo sulla spalla.
- Cretino, potevi farci male! – esclamai ridendo, perché le mani di Aurora corsero immediatamente ai miei fianchi, che si scossero per il solletico.
- Aurora, smettila! – esclami, voltandomi di scatto, ridendo con ilarità, mentre Jensen mi teneva ferma, e lei continuava il suo lavoro. I miei capelli si riempirono di sabbia , e per poco non ne mangiai un bel mucchietto.
- Jensen! Aurora! Ba-basta! – esclami, urlando.
- Ahaha, mamma come sei divertente! – esclamò, solleticandomi ancora.
Ma non sentii più dita che potessero solleticarmi. Non sentii mani che potessero tenermi. Sentii solo quella parola. Quella parola che tanto aspettavo, come se fosse stato un “sposami”.
Non volevo rovinare quel momento, solo memorizzarlo. Ci riuscii quando anche Jensen iniziò a farmi il solletico, e non potetti resistere ad altre mani. Sgusciai via e corsi in mollo all’acqua, dove i miei pensieri esplorarono quel lato nuovo della mia vita. Essere madre. Era tutto ciò che avevo chiesto, e adesso l’avevo avuto. Aurora mi aveva chiamato madre. E così avrebbe dovuto essere.
Sfiorai il pelo dell’acqua con il viso, quando riemersi, e mi ritrovai le due persone più importanti nella mia vita, sulla riva ad aspettarmi, sorridenti e felici dai loro sguardi magnetici. Cioccolato e smeraldo fuso.
- Vieni qui! Con te non avevamo ancora finito! – esclamò Jensen con tono di voce scherzoso e arrabbiato allo stesso tempo.
Ovviamente scossi la testa, ma non servii a molto. In una corsa sfrenata contro l’elemento più devastante e forte della natura, mi venne incontro, iniziando a schizzarmi forsennatamente.
- Oh! Jensen, no, cavolo! -.
- Forza papà! Dai, forza! – esclamò divertita Aurora dalla riva, saltellando qua e in la, incoraggiando suo padre.
Jensen non si sminuii nemmeno un po’. Continuò accontentato sua figlia. Come appunto un padre, avrebbe accontenta una figlia unica. Viziandola. Ma in questo caso, l’avremmo fatto solo nel bene. Io conoscevo Jensen, e sapevo che sarebbe stato sempre un buon padre, sia per una figlia di sangue che non. Aurora era ormai la nostra famiglia. Non l’avrebbe per nulla al mondo abbandonata.
 
Dispiaceva abbandonarmi alle spalle Miami, che ci aveva ospitato solo per due giorni, ritornati in terra ferma dopo due lunghe settimane di sole, relax e divertimento sia familiare che non. Jensen capiva bene adesso che sarebbe stato sempre più difficile divertirsi in casa con una bambina poco stanca.
Risi al pensiero, e mentre atterravamo per una seconda volta nella città di Dallas, in Texas, ad aspettarci fuori dalle porte scorrevoli, sul marciapiede c’era Cliff, e non mi stupii di vedere al completo la famiglia Ackles, con la nuova arrivata Daneel, la figlia di Hope e Joshua.
Ma prima che potessimo solo augurare le più sentite congratulazione ai neo genitori, presentammo l’altra nuova arrivata in casa Ackles con un po’ di imbarazzo da parte della bambina di sette anni, che si nascose dietro le mie spalle, quasi spaventata. Cosa al quanto strana, visto che con i miei genitori l’aveva fatta quasi facile.
- Ehi, non avere paura, sono i tuoi nonni paterni! – esclamai, abbassandomi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.
Lei annuii e con un poco di rossore, alzò la mano e salutò. Sorrisi divertita, e Jensen accarezzandola sul capo, le lasciò un bacio sulla fronte. – E’ tutto apposto, so che può sembrarti strano sentirli parlare. Chiederò loro di farlo lentamente, così capirai - disse a bassa voce suo padre, rassicurandola.
- Okay, dad! – sussurrò, facendo qualche passo avanti, dandomi le spalle. Con fare protettivo, appoggiai le mani sulle sue braccia, e l’avvicinai al mio corpo.
- Questa è la bambina di cui vi avevo parlato a telefono. Elisabeth ed io l’abbiamo adottata a Roma. Si chiama Aurora, è fa parte delle nostra famiglia adesso! Aurora loro sono nonno Roger e nonna Donna. Loro sono zio Joshua e zia Hope. Lei la zia svampita Mackenzie!... -.
- Ehi, non sono svampita! Aurora non è vero, non gli credere! Sono solo la zia dolce e pazza allo stesso tempo! – disse Mack, avvicinandosi ad Aurora per allungarle una mano. La bambina ridendo piano, gliela strinse in una morsa poco stretta. Mackenzie la ricambiò con un sorriso dolce, prima di unirsi al mio fianco, salutandomi con un semi abbraccio.
- E la tua cuginetta Aurora, Daneel, figlia di zia e zio… - disse Jensen, avvicinandosi a suo fratello per vedere sua nipote. Non c’era cosa più bella di vedere Jensen tenere una piccina tra le braccia. E così che saliva sempre quella voglia matta di avere un bambino tutto mio, e la voglia si tramutava in depressione, che dovevo cercare di sopprimere, riuscendoci ormai più delle volte. Mi serviva solo un po’ di conforto, e stringere tra le braccia Aurora, lo era. Mi ricordava che lei c’era. E che tutto non era vano.
- Andiamo, saliamo in macchina? Vi mostriamo la nuova casa! – esclamò Donna, invitandoci a salita sul sub, dove ci aspettava Cliff con la porta aperta.
- Ciao Cliff! Passate bene le vacanze? – domandai, salendo in auto.
- Si, Elisabeth, e tu? – domandò divertito, aiutando Aurora a salire sull’enorme auto. Io annuii e strinse a me Aurora in un abbraccio. Poco dopo Cliff chiuse la portiera e con un abbraccio salutò Jensen, che aiutò a salire in auto, aprendogli la portiera.
- Bentornato Jensen! -. – Grazie mille Cliff! -.
- Direzione? – domandò salendo nella postazione guida.
- Casa nuova! Casa nostra! – esclamò Jensen, voltandosi a fissarci. Gli sorrisi e gli lanciai un bacio per aria, che acchiappò per stamparselo sulle sue.
- Pronta piccina? Sistemiamo la tua camera oggi! – disse Jensen, muovendole una coscia con l’enorme palmo della mano. Lei rise e annuii, battendo il palmo della sua piccola mano sul dorso della mano del padre.
- Si parte, allacciare le cinture! – borbottò Cliff, richiamandoci all’attenzione.
 
- Finito! Adesso questa si che sembra camera tua, mmh? – domandai allo sguardo perso nel vuoto di Aurora, che guardava un po’ qua e po’ la, stupita e sorridente.
I mura tinti in un bianco lilla, e il letto con una testata in ferro battuto bianco era così perfetto, con i veli che scendevano ad arco ai lati. Peccato che non potette per tutto l’anno usufruirne. Soprattutto della libreria a muro speciale che Jensen aveva comprato all’Ikea e poi montato da se. Un impresa titanica, ma ci era riuscito insieme a nonno Roger.
- Già, è perfetta – e sospirò tristemente. Capii subito il motivo. Naturalmente non potevo dargliene colpa. Sapevo quando gli mancasse la sua vecchia camera. Sapevo quando gli mancassero i suoi genitori. Ma capivo che dal giorno in cui ci aveva chiamati mamma e papà stava iniziando a fare nuovi passi, e a ricordare sempre meno.
- Hai ragione, è perfetta… - sussurrai, avvicinandomi a lei per stringerla a me in un forte abbraccio.
- ma lo sarà quando tra un paio di anni forse, sarà la tua camera per sempre. E magari l’avrai riempita di qualche tuo vecchio ricordo annuale, e una foto dei tuoi genitori li, proprio li…sul comodino. Allora sarà perfetta! – constatai, indicandole l’angolo del comodino a muro, dove c’era il letto. Lei annuii con la testa, e mi diede un bacio sulla guancia, spingendosi sulle punte dei piedi.
- Ti voglio bene mamma – mi disse, parlandomi più con lo sguardo sincero che con la voce.
Le sorrisi, e l’abbraccia di nuovo a me, mormorando un: “anch’io, tesoro, per sempre”.
 
Jensen ci aveva portati nuovamente al White Rock Lake Park. Avevamo fatto un giro in barca, e poi ci eravamo avvicinati al parco giochi dove Aurora fece un giro sull’altalena spinta dal padre. Mentre io prendevo il sole, e mi riscaldavo un po’ nell’aria umida di inizio agosto.
Sembrava avessi sonnecchiato quando Jensen mi svegliò con il canticchiare della sua voce e della sua chitarra, che aveva portato dietro per la voglia di strimpellare un po’.
- Cos’è? – domandò curiosa Aurora, che si era seduta ai miei piedi, sulla grande coperta appoggiata a terra, sopra l’erba quasi secca.
- E’ una canzone… - sussurrò Jensen, continuando a dondolare le dita, e ad afferrare le note.
- Sembra romantica – constatò mia figlia, con orecchie ben dotate. Si voltò a fissarmi, continuando a tendere l’orecchio alla melodia, mentre la sua faccia dubbiosa faceva domande.
- E’ romantica – affermai, sorridendole. Lei ricambiò, e si avvicinò per appoggiarsi sul mio stomaco, tra me e Jensen. Fissò il padre sotto il cappello e gli occhiali scuri, e aspettammo che iniziasse a cantare.
Le prime parole furono più che una dolce melodia per me. Strimpellando e cantando con quella voce roca e bassa, i brividi mi consumarono la pelle che divenne d’oca, e le emozione furono triplicate. Senza che me ne potessi accorgere le lacrime sgorgarono dai condotti lacrimali.
- Ehi mamma, piangi? – domandò stupita Aurora, voltandosi verso di me, per abbracciarmi teneramente.
Jensen smise di cantare, e preoccupato si sporse verso di me, poggiando la chitarra al suo fianco.
- Stai male? Cosa succede? – domandò mio marito preoccupato, poggiando una mano sul mio capo, come per proteggermi dal sole.
Io risi quasi divertita di tutta quell’attenzione e piansi ancora di più, quando Aurora fece una faccia tenera, stringendomi a se con un dolce sorriso.
- Ehi amore, cosa c’è? – domandò, stringendomi a sua volta, in un abbraccio di gruppo, dove Aurora scomparve. Quasi soffocò.
- Aiuto! – esclamò ridendo, sbucando tra le nostre spalle. Un risolino mi scappò di nuovo e quando riacquistai un po’ di autocontrollo, spiegai.
- Non so perché piango, ma so quando sia stato bello sentirtela cantare un’altra volta. E’ perfetta! Mio Dio, perfetta! – sottolineai, sfiorandogli con dita tremanti la linea netta della mascella.
Jensen mi sorrise timidamente, e avvicinandosi a me, mi lasciò un bacio sulla fronte. Poi ne lasciò uno sul capo di Aurora. Poi sorrise ad entrambe e tirandosi indietro, riprese la chitarra, iniziando a suonare altre note della canzone. Senza cantarla.
Fu Aurora che lo fece.
- Un giorno qualcuno mi disse che aveva litigato con un amico / Eravamo su una spiaggia e lei si preoccupò per me./ Le raccontai che stavo bene, ma le chiese perché lei non fosse./ Mi rispose che amava qualcuno, ma quel qualcuno non la amava./ Le dissi che prima o poi avrebbe trovato il principe azzurro, come mia madre aveva incontrato mio padre./ -, canticchiò senza una rima precisa. La fissai un po’ entusiasta e un po’ stupita dalle parole che stava cantando. Sembrava quasi stesse canta-raccontando la storia del nostro incontro. Quello mio e di Jensen. Della sua nuova mamma e del nuovo papà.
- Come re e regina sarebbero saliti al trono/ e l’amore avrebbe preso i loro cuori./ Tutto avrebbe avuto un lieto fine/ e un padre ed una madre sarebbero stati/ per qualcuno che ben presto li avrebbe reclamati./ - sorrisi di quella rima, e la strinsi a me in uno scossone di baci e carezze.
- Ma cosa dici? – domandai ridendo, scompigliandole i capelli in una veloce mossa. Lei sbruffò e si gettò tra le braccia del padre, che ri-posò per l’ennesima volta la chitarra a terra, e si dedicò alle coccole della bambina.
- Cos’era quella poesia piccola? – domandò Jensen curioso, fissando prima Aurora e poi me. Io alzai le spalle, e cercai di non apparire interessata; in cuor mio sapevo che se adesso ero qui, a Dallas, tra un prato verde ed un laghetto, insieme all’uomo della mia vita, e ad una bambina intelligente, dolce e felice, era solo opera sua. Proprio della bambina intelligente, dolce e felice e del suo racconto inventato della principessa Angelica e del principe Marco.
A cui dovevo tutto. A cui dovevo dire grazie, per lei.
- Papà? -, richiamò Aurora, accarezzando la barba poco folta sulla guancia di Jensen.
- Dimmi… -.
- Grazie per aver perdonato la mamma, quel giorno… - sussurrò, arrossendo.
Il silenzio di Jensen fu eloquente. 
 
Dopo i quasi venti e, più giorni trascorsi a Dallas, tra familiari e mura fresche di tintura, eravamo tornati a casa. La nostra vera casa. Quella dove avremmo trascorso quasi un intero lungo anno, tra riprese, fotografie, vita coniugale, familiare e scolastica. Soprattutto.
Dopo esserci sistemati anche a Vancouver, nella nostra casa ormai da quasi un anno, io e Jensen avevamo dato alcuni ritocchi nella stanza degli ospiti, che adesso era diventata la stanza di Aurora. Ripitturata e decorata con un tocco di femminilità, Aurora si sentiva a casa anche li. Con qualche cornice ancora vuota, che presto avrebbe riempito con qualche foto tra il set, i nuovi amici a scuola e alla parrucchieria. Tra Kelly e Elena, che erano stati ben felici di incontrarla. Soprattutto Elena, che si era fatta una nuova amichetta. E Aurora naturalmente, che finalmente comprendeva meglio l’inglese, con qualcuno che ancora tentennava a parlare, o meglio a dire qualche parole più che complicata.
Elena ancora andava all’asilo, e anche se c’era qualche anno di età differente, era strano vedere insegnare qualcosa ad Aurora che di sette anni, faceva già la prima scuola. Sapevo che sarebbe stato difficile ambientarsi, ma purtroppo le sarebbe toccato. Magari socializzare solo con qualche compagnetta di classe, le avevo consigliato per scherzo di dire a qualcuno di loro che era figlia di Dean Winchester, il cacciatore dei cacciatori. Avevamo riso per l’intera serata, prima di andare a letto presto per la sveglia alle sei l’indomani mattina. Era stato il suo primo giorno di scuola. E dai suoi sorrisi dopo l’ultima campanella, avevo capito che poi non era andata così male. Aveva detto che tutti l’avevano riconosciuta più o meno. Soprattutto quelli più grandi di lei, che la guardavano e le sorridevano, facendole un pollice all’insù.
Ah, i giovani di oggi. Vedevano già troppe cose disgustose per quell’età. Non che Supernatural fosse disgustoso, ma alcune scene a cui aveva fatto parte Jensen durante le riprese, non erano un bel vedere, ecco.
- Tesoro com’è andata oggi a scuola? – domandai il terzo giorno, quando l’andai a prendere dal parcheggio della scuola, perché ancora non mi fidavo del bus.
- Bene! Oggi mi hanno presentata per la terza volta. Il professore Finnick mi ha chiesto di papà. Gli ho detto chi era e ovviamente mi ha chiesto un autografo… - borbottò, stringendo lo zaino al petto, fissando fuori dal parabrezza disgustata.
- Tu cosa hai detto? – domandai incuriosita, fissandola dal mio posto guida, con sguardo corrucciato.
Aurora alzò le spalle meccanicamente e annuii con la testa, nascondendo un sorrisino divertito.
- Ho detto si, magari mi aumenta subito la media con una A+! – e risi come un pazza, facendole battere il cinque, mentre ci dirigevamo sul set, dove avremmo pranzato insieme a Jensen.
Purtroppo il lavoro era un po’ pressante. Non solo per Jensen ma anche per me. Se per lui erano dalle dodici ore alle quindici di lavoro continuo, per me erano dalle sei alle nove ore, e dovevo anche badare alla famiglia. Aurora richiedeva il suo tempo. Tra compiti, cene e un po’ di tempo solo per lei. Mi dispiaceva che dovesse essere sbattuta qua e la, e stare quasi la maggior parte del tempo in auto per arrivare da un posto all’altro; ma lei comunque continuava a sorridere, ad annuire, a fare i compiti, a giocare con Elena al centro estetico e stare con Jensen alla fine di una lunga giornata, sul divano abbracciati e felici.
Ad Aurora piaceva stare soprattutto sul set. Amava vedere le persone muoversi, andare e venire per le stanza. Sistemare la scenografia, e vedere suo padre ripassare le parti, mentre lei magari disegnava, finiva i compiti e imparava le lezioni.
Mi ero anche accorta quando i suoi occhi spesso si fermavano sui miei. Quando tiravo indietro lo sguardo dall’obbiettivo e la cercavo, come se non potessi fare a meno di controllare che fosse seduta sulla sedia con il nome del padre cucito sopra. Lei era li, non scappava o spariva via. Mi fissava fare il mio lavoro. La mia passione. Come se quello che stessi facendo lo stesse facendo lei.
E non ero l’unica ad essersene accorta. Jessica mi aveva parlato di quello sguardo che aveva Aurora quando entrava spesso agli studios. E contenta la salutava per correre subito insieme al padre per il camerino a truccarsi o a farsi la barba e sistemarsi i capelli.
Mi avevano tutti detto che era speciale. Anche Mr. Robert che non era stato mai così contento di ri-cominciare una nuova stagione! La quinta. La più attesa! E la più strana, con tante domande, su cosa sarebbe successo a Dean e a Sam dopo che la gabbia fosse stata aperta. Come sarebbe iniziare la prima puntata? Bhè sarebbe stata la puntata più bella di sempre, e più strana di sempre. Chi se non Mr. Kripke a scriverla e Mr. Robert a registrala.
Le due punte di diamante della squadra. A parte Jared e Jensen che non solo facevano un lavoro sfiancante ma anche di perfetta sincronia tra di loro.
Non li avevo mai visto così affiatati. Jensen così entusiasmo di girare, e Jared così sorridente e felice, appagato soprattutto dalla gioia di essere marito e padre. Che cosa magnifica per lui. E anche per il mio Jensen, che se non lo dimostrava, sapevo che dentro pensava ad Aurora ogni secondo.
- Mamma! -. Aurora mi venne a chiamare, tirando la maglietta, facendo piano e non disturbando le riprese. Abbassai lo sguardo e le sorrisi. Poi afferrai la sua mano e la portai più lontano possibile dal microfono.
- Dimmi tesoro, qualche problema? – domandai preoccupata, fissandola dritta negli occhi. Lei triste mi fece il musino, e mostrandomi il suo foglio notai che stava facendo i compiti della scuola. Matematica. La materia che odiavo di più. Ma di certo quello che faceva la piccola era facilissimo in confronto a quello che facevo io al liceo.
- Vieni, chiediamo il permesso a Mr. Robert e poi andiamo sul camper okay? – mormorai, avvicinandoci di nuovo al set, dove a Jensen scappò l’imprecazione dell’imprecazioni! Cazzo, proprio adesso?
“Ops!”.
- Son of the bitch! – esclamò tosto, voltandosi verso la telecamera, alzando lo sguardo verso di noi. I suoi occhi si sgranarono e si scompose solo un attimo, solo per non riuscire a rovinare l’intera scena.
- Mamma… – sussurrò a voce bassissima Aurora, tirando la manica della mia maglia. Abbassai lo sguardo mortificato verso la bambina e feci un faccia di scuse. – Papà non ha detto niente piccola! N-i-e-n-t-e! – sibilai, avvicinandomi a Mr. Robert, dicendo il mio intento.
Lui accettò e mi lasciò andare con la mia bambina, che arrivata sulle scale del camper, afferrò il telecomando del elicottero e iniziò a far girare le pale.
- Ehi, dobbiamo fare i compiti ricordi? – dissi autoritaria, richiamandola.  Lei sbruffò un po’ e posando di nuovo l’elicottero sul tavolo corse a buttarsi sul divano e innocentemente ridisse la parola che il padre poco prima aveva urlato.
- Son of the bitch!..bitch! Mamma cosa sta a significare in italiano? – domandò sorridendomi timida.
- Aurora! Cosa ti ho detto? Dimentica quelle parole! Tuo padre non ha detto niente! – esclamai puntandole un dito contro.
Aurora smise di sorridere, e abbassando lo sguardo annuii.
- Bene! Adesso per favore, avvicinati e facciamo i compiti – dissi, facendogli spazio sul sedile in pelle. Fu così che mi cimentai nei primi compiti di mia figlia, come avrebbe fatto qualsiasi madre.
 
-La prossima volta, ti prego accertati che se nel copione della scena dove siamo presenti, c’è una parolaccia, ci mandi fuori a me e la piccola. O almeno solo ad Aurora! – esclami frustrata a letto, torcendomi su me stessa. Appoggiai la guancia contro il suo torace coperto dalla solita maglia a maniche corte bianca.
Mi fissò negli occhi e annuii consensivo.
Gli sorrisi e avvicinandomi alle sue labbra, li chiusi in un bacio di traverso, ringraziandolo.
- L’uomo della mia vita, un padre magnifico e una cavolo di imprecazione che ti esce di botto mentre la tua bambina ti ascolta. Epica! – sorrisi, divertita, strofinando il naso con il suo, freddo.
- Smettila! Mi fai sentire in colpa, piccola… - borbottò tristemente, strofinando a sua volta il naso al mio.
- Sai cosa fare adesso…- sussurrai, carezzandogli il viso con i polpastrelli.
Lui mi fissò divertito, e annuendo mi strinse a se per un abbraccio, capovolgendo le posizioni, portandomi sotto di lui.
Le sue dita corsero ai miei fianchi e iniziando a muoversi, il sorriso mi spuntò d’istinto e le lacrime uscirono dagli occhi.
- No! Il solletico no! – cercai di soffocare le urla sul cuscino evitando di non svegliare Aurora che nella stanza in fondo poteva svegliarsi.
- Si, il sollet… - si fermò di colpo e mi fece preoccupare. Alzai lo sguardo verso di lui, e cercai di calmare il respiro che rimbombava dentro di me, e nelle orecchie.
- Ssh…è il mio telefono? Chi cazzo è a quest’ora? – domandò preoccupato, scendendo di corsa dal letto per avvicinarsi alla sedia dove aveva poggiato i pantaloni che aveva tolto prima di infilarsi a letto.
Lo vidi controllare il numero e avvicinandosi di nuovo a me, sotto le coltre coperte, mi porse l’iPhone preoccupato.
- E’ estero. Sembra italiano… - borbottò.
Fissai lo schermo e non riconobbi immediatamente il numero.
- Pronto? – dissi con qualche perplessità.
- Ehi, parlo con Elisabeth? Sono io Marco! Aaah, sono padre, tua sorella madre! Anna è nata! -.
Sentii delle urla e allontanai un poco la cassa dall’orecchio e avvicinandolo di nuovo, dissi qualcosa di insensato.
- Cosa è nato? Cosa dici? Marco…mio Dio cos’è questa caciara? – borbottai.
- Ehi, tesoro! E’ la mamma! Sei diventata la zia di Anna! Tua sorella ha partorito pochi attimi fa! -. Le parole di Marco adesso mi furono più meno cripte, e quelle di mamma furono più chiare.
- Sono zia? Anna? E’ una femminuccia? Mio Dio, mandateci una foto! Aaah, che bello! – esclamai, sgranando gli occhi felici, lanciandomi addosso a Jensen, che mi abbracciò felice, anche se non aveva capito chissà cosa.
- Pronto? Pronto? – sentii la cassa gracchiare e avvicinai di nuovo il telefono all’orecchio.
- Ripronto? Chi parla li? Chiaro e forte, grazie! – esclamai sorridente.
- Sono io, cretina! – .
- Ciao stronza di una nuova mamma! Auguri! – .
La vita che avrei voluto, sempre più perfetta.
 
*spazio autrice*
 
Ed un altro capito è andato. Indovinate? Il quart’ultimo! AAAAAAAh *si suicida*
Mi mancherà, già lo sento che mi mancherà D: Ma vabbè, ancora ci sono altri tre capitoli da pubblicare e sistemare, e rileggere! *-*
Piaciuto? Spero proprio di si, in fondo descrive un po’ la loro vacanza, sarebbe dovuta essere luna di miele, ma con Aurora, sembrava un po’ strano vedere quei due fare finta di niente, e fregarsi di una dolce bambina :)
Ma hanno avuto il tempo per fare porcate, non preoccupatevi ;D
Per il resto, è un capitolo di passaggio, si…a parte la scena finale, dove si scopre che Elisabeth finalmente è diventata zia di Anna :D
Contente?
Non mi resta che lasciarvi e niente :3 vi ricordo che alla fine di questa FF, ne arriva un’altra :D e nientepopodimeno che su…Jensen, di nuovo! *-* Non potevo non farlo <3
“La vita che avrei voluto” dal Cast di Supernatural. Storia ispirata ad un libro, ad un film e ai sentimenti che mi sentivo di esprimere in questa NUOVA FF con protagonista Sybil e Jensen!
In via di stesura trama e primo capitolo, intanto vi posto il primo Logo Poster. Spero sia di vostro gradimento!
Al prossimo capitolo, e a prossimi AGGIORNAMENTI SUL PROGRESSO DELLA NUOVA FF!
 

 


Xoxo Para_muse
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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