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Autore: Midori394    08/02/2013    3 recensioni
Avevo scritto questa storia per un contest, e solo ora mi sono finalmente decisa a pubblicarla. Non sono un'amante delle Remus/Tonks, ma avevo voglia di fare qualcosa di un po' diverso.
Qui Remus si appresta a trasformarsi, in una notte di luna piena, solo che non andrà tutto come previsto...
Spero vi piaccia, e vi prego anche di recensire, sia criticamente che positivamente, c'è sempre qualcosa in più da imparare, no?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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POI FU FOLLIA.

 


 
«Non posso.»
Il corpo di Remus Lupin era sconquassato da tremiti, le nocche si erano sbiancate per la stretta ferrea contro le assi malmesse della vecchia casa. Quella notte c’era la luna piena, e il volto dell’uomo era distrutto dalla paura e dalla sofferenza.
«Perché no?»
La voce della donna gli penetrò nelle orecchie, facendosi strada nella disperazione e andandosi ad annidare in una parte di lui che non aveva mai conosciuto, facendogli scoprire un dolore ancor più vero e opprimente.
Non sapeva come era riuscita a raggiungerlo, e non gli importava; voleva solo che lei se ne andasse, che si allontanasse il più possibile, correndo come non aveva mai corso, scappando dalla sua eterna condanna. Vedeva i suoi occhi fissi su di lui, sul mostro che era, sull’essere che non le sarebbe mai potuto appartenere. Quegli occhi così belli, che in quel momento non sembravano nient’altro se non ciò che chiariva ulteriormente la sua certezza: un essere così meraviglioso poteva stare con una bestia del genere, ma avrebbe finito col rovinarsi anch’essa, e la bestia avrebbe continuato a corrodersi dal dolore per aver distrutto un tale splendore fino a ridursi anch’esso in un ammasso di cenere.
Ma sentiva ugualmente quella forte stretta al petto, il battito furioso del suo cuore, la rabbia montargli dentro, andando a coesistere con quel dolore che ormai era parte di lui; una rabbia immensa per tutto ciò che aveva perso e che non poteva più avere; quella rabbia che gli dimostrava che il mostro sarebbe arrivato, presto.
Non aveva più tempo.
«Va’ via.»
«No.»
«Ti prego.»
«Non posso.»  Quella voce ferma, determinata, fece scattare in lui qualcosa che non si sarebbe immaginato potesse esistere. Sollevò il capo, piantando i suoi occhi in quelli di Ninfadora, e sentì il desiderio di fuggire da tutto quello, di essere chi aveva sempre voluto essere, di poter avere ciò che gli spettava: una vita.
«Perché non la smetti di scappare da me?» la donna gli rivolse quella semplice domanda, quasi sussurrandola, come se qualcuno potesse sentirli, come se volesse proteggerlo da tutto ciò che avrebbe potuto mettersi tra di loro.
«Perché?» Remus cercò di trattenersi dall’alzarsi e abbracciare quella donna che gli stava davanti, di stringerla più forte che poteva, di farlo con la consapevolezza che quel gesto non avrebbe comportato nulla «Perché anche solo guardarti mi fa sentire che mai, mai, un mostro come me potrebbe avvicinarsi a un fiore come te, un fiore così puro; perché desiderarti è così terribilmente sbagliato; perché so che non potrò mai avere ciò che bramo, e sarebbe così semplice avvicinarmi e farti mia - perché so che me lo permetteresti - ma è così doloroso sapere di non poterlo fare. Perché amarti è la mia più grande condanna e la mia ultima salvezza. Ma non posso salvarmi, perché in questo modo condannerei te, e non potrei mai perdonarmelo.» strinse forte i denti, sentendo una fitta lancinante al petto «Lo senti, vero? Sta per accadere. È qui, aleggia nell’aria, tutto intorno a noi. E tu devi andartene, ti costringerò a farlo se sarà necessario.» Remus si lasciò cadere a terra, sentendo tutta la forza svanire d’un tratto, tornare a rifugiarsi nell’antro dove era custodita. Tremava, dalla testa ai piedi, e sapeva che non avrebbe potuto fare nulla, se lei non si fosse decisa ad andarsene da sola. Si voltò, e scorse il profilo della luna dietro alle nuvole.
«Tonks, ti scongiuro. Vattene. »
«Non ce la faccio. »
«Io ti amo Tonks. Ma non posso…»
«Smettila di dirlo!» gridò allora la donna, stringendo i pugni «Se non posso starti vicino in quel modo, allora lo farò in un altro.»
«Ninfadora, ti prego! Io…»
Ma non riuscì a finire la frase che una fitta di dolore gli colpì il petto, come un richiamo. Poi un’altra. Un’altra. Un’altra.
La donna era sempre davanti a lui, gli occhi aperti, non una lacrima a solcarle il volto. Ma Remus non riusciva più a riconoscerla, non riusciva più a pensare ad altro se non a quel dolore immenso che lo opprimeva.
Un ringhio lento e costante gli serrò lo stomaco, e prese a salire, su, su, bruciando qualsiasi cosa incontrasse, distruggendo quella poca umanità rimasta. Cercò di confinarlo in fondo, laddove non sarebbe più riuscito a raggiungerlo, ma esso era più forte di lui, e non avrebbe potuto fare più nulla. Il suo corpo si curvò, in un orribile spasmo, e Remus gridò, gridò e gridò, finché le sue urla non si trasformarono in ululati, e il ringhio proruppe, distruggendo quanta ragione poteva ancora esserci in lui.
Sangue.  

Poi fu follia.
 
 



 
Il lupo respirava forte, e si guardava in torno, famelico.
Poi la sentì, era lì, di fronte a lui, e lo fissava impassibile; come se non avesse paura di lui. Sentiva l’odore del sangue della donna, quello della sua carne giovane, morbida.
Aveva fame. Tanta fame.
Lanciò un ululato e si apprestò ad avvicinarsi alla sua preda.
No, quel piccolo esserino, da sempre dentro di lui, aveva parlato, ma il lupo non gli prestò molta attenzione, era abituato ormai. Non farlo. La ami. Percepì la paura del suo piccolo compagno, il lupo. Era una paura così immensa, così inarrestabile, che si fermò ad ascoltarla. Era come se il suo piccolo compagno stesse tremando, e facesse fremere anche lui; come se quel piccoletto stesse cercando di uscire, di forzare le barriere in cui era da sempre rinchiuso. La ami. La ami. La ami. Non farlo. Ti prego.
Sentiva il respiro della donna, il lupo, ed era così pesante da sfiorargli i canini.
Ringhiò forte, e scacciò via quei lamenti fastidiosi. Fece sbattere i denti tra loro, e lanciò un ululato.
Vide la donna sedersi. Sorrise, lei.
Non farlo. La ami.
Il lupo balzò.  
 
 



 
Un uomo era inginocchiato a terra, davanti a lui brandelli di carne e sangue sparsi sul vecchio pavimento. L’uomo tremava, aveva ferite sul corpo nudo e parti di lei da qualche parte in quel organismo che non poteva più considerare neanche lontanamente umano.
Non aveva paura, non provava dolore fisico, e non stava nemmeno piangendo.
Chiunque l’avesse visto, in quel momento, avrebbe potuto giurare che in quegli occhi senza fondo non c’era altro se non follia, follia e voglia che tutto finisse, finalmente.
Non aveva mai voluto, Remus, che le cose andassero così. Avrebbe desiderato vedere Tonks alzarsi, in quel momento, e sorridergli dolcemente, dicendogli che non era accaduto nulla, e che quello era solo un brutto sogno. Poi gli avrebbe dato un bacio sulle labbra e se ne sarebbe andata, dicendogli che doveva andare a prepararsi per il loro imminente matrimonio, il giorno in cui Remus avrebbe potuto farla sua una volta per tutte, sapendo che lei non sarebbe stata in pericolo e che avrebbero vissuto come una qualsiasi famiglia. Avremmo tanti bei figli, le avrebbe detto lei, quel giorno all’altare, mentre lui la guardava carico d’amore, ammirando quell'immensa bellezza che mai avrebbe immaginato potesse appartenergli.
Ma lei non sarebbe mai arrivata all’altare, non lo avrebbe più guardato, non avrebbe più detto nulla, non sarebbe più inciampata, niente. Niente.
Remus si alzò, fremendo.
«Ti amo»
Uscì dalla casa in parte distrutta da lui. Il mostro. 
«Ti amo»
Guardò il bosco davanti a lui.
«Ti amo»
Si addentrò tra gli alberi, ignorando i rami che gli ferivano la schiena, le braccia, il volto. Qualsiasi supplizio non sarebbe bastato.
«Ti amo»
Si avvicinò ad un foro in un albero, e ne estrasse la bacchetta, che aveva lasciato lì, il giorno prima.
«Ti amo»
Si sedette a terra, puntandosi la bacchetta al petto.
«Ti amo.
Avada kedavra.»
  
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