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Autore: smile_book    08/02/2013    0 recensioni
"Sono passate due settimane, un giorno, cinque ore e sette minuti, da quando, quel piovoso martedì mi hai lasciata.
Sai, forse non pioveva nemmeno, anzi, se non ricordo male c'era il sole, e faceva caldo. Io, però, rivivo quel giorno come un giorno tempestoso. Forse perché fu come se il mio intero mondo si oscurasse, lasciandomi al buio, da sola, a morire di freddo, forse perché piansi abbastanza sia per me, che per il cielo."
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le sei fasi della separazione.





Fa freddo. Piove da giorni interi ormai. Quasi una settimana, forse di più, forse di meno. Il cinguettio degli uccelli sembra essersi spento, i loro canti affondati nelle immense braccia del vento. I colori sembrano essersi estinti.
Vivi in bianco e nero, adesso.
Il cibo ha perso i suoi sapori in grado di stuzzicarti il palato, riscaldartelo o raffreddartelo. Però è strano. Sembra che il resto del mondo non si sia accorto di questa precipitazione improvvisa nella disperazione.
Ma forse sei tu. Sei tu che sei fredda, tu che fai rabbrividire coloro che ti stanno attorno. Sei tu che ti porti dietro un temporale infinito, che con i suoi tuoni ti impedisce di sentire il resto del mondo, con i suoi lampi ti acceca, e con i suoi fulmini ti tormenta.
 
Da piccola mia madre mi diceva spesso che, per quanto tu possa star male, ci sarà sempre qualcuno che sta peggio.
Non ho mai avuto bisogno di avere una prova della veridicità di quelle profonde parole, fino ad ora.
Sono passate due settimane, un giorno, cinque ore e sette minuti, da quando, quel piovoso martedì mi hai lasciata.
Sai, forse non pioveva nemmeno, anzi, se non ricordo male c'era il sole, e faceva caldo. Io, però, rivivo quel giorno come un giorno tempestoso. Forse perché fu come se il mio intero mondo si oscurasse, lasciandomi al buio, da sola, a morire di freddo, forse perché piansi abbastanza sia per me, che per il cielo. Non lo so, non mi interessa. So solo che quel maledetto giorno il mio sole è tramontato senza più risorgere, vivo notti senza luna e senza stelle, la luce non mi dà più calore, il cibo non mi sazia, l'acqua non mi disseta. Ho fatto l'errore di metterti al centro del mio mondo, e ora che te ne sei andato, il mio mondo sta precipitando, gira senza più la sua orbita, non ha più un baricentro, né un cuore. E' diventata una terra arida e secca.
Questa è la prima fase di separazione, ovvero la disperazione più assoluta.
Nessuno si illuda che il peggio sia passato, perché la seconda fase è ancora più devastante.
"Voglio morire" è il più allegro pensiero che la tua mente possa partorire.
Passi le giornate stesa a letto, sei malata nonostante tu non lo sia. La musica non ha più l'effetto del disinfettante sulle tue ferite, il gelato alla vaniglia non fa più da ammorbidente, la cioccolata calda non riscalda. Le lacrime non scendono più tanto, perché stanno finendo. E ti rendi conto che era molto meglio annegare tra i singhiozzi, che galleggiare in questo mare di disperazione. E' una disperazione silenziosa, niente urla, niente tempeste, solo silenzio. Un silenzio opprimente, che ti perseguita, ti penetra nelle ossa, ti tortura e non ti lascia più andare. I pensieri che prima erano ignorati grazie alle lacrime, si fanno più insistenti. Non puoi più metterli da parte.
E, ripeto, "voglio morire" è il più felice che mi viene in mente.
La terza fase è chiamata anche "bipolarità".
Un giorno vai a dormire serena, tranquilla, ormai abituata alla situazione, certa che sarebbe andato tutto bene. Il giorno dopo ti svegli, ma avresti preferito non farlo, gli occhi più appannati del solito ci mettono più tempo a mettere a fuoco la stanza. Le coperte sono un groviglio contorto, ma non sono sopra di te, il cuscino non è più sotto la tua testa, il tuo corpo si lamenta per la rigidità del letto. Ti accorgi che non è il letto la cosa sulla quale sei stesa, è il pavimento. Ti tasto le guance. Sono umide.
La giornata comincia male, ma le tue amiche riescono a farti sorridere, anche se per poco. Ti convinci di star bene. Poi arriva l'intervallo, e girovagando per la scuola lo vedi. Bello come il sole, felice come una pasqua. Allora ti nascondi in bagno, ti sciacqui la faccia e ti ripeti di stare calma. Ma ti tremano le mani, e dentro di te sai che non sei affatto calma. Senti delle voci che si avvicinano, e ti nascondi in un gabinetto. Lì inizi a piangere. Prima silenziosamente, poi sempre più convulsamente. La schiena appoggiata alla porta scivola lentamente giù. Sei sul pavimento sporco, con  una puzza di pipì che alleggia nell'aria, e ti accorgi che non stai bene.
Se si sopravvive a queste tre fasi, si passa alla quarta e alla quinta fase.
Nella prima, a furia di mettere cerotti su cerotti, riesci a risaldare, pezzo per pezzo, il tuo povero cuore spezzato. Ti tagli i capelli, cambi look, ti comporti in modo diverso. E' un modo per andare avanti. Reagisci in un modo diverso da tutti gli altri, ma che indica la stessa cosa: voglio superarlo.
Ci riesci, almeno per un po'. Lo ignori tutto il tempo, fingi di non vederlo, di non sentire la sua risata. Ma non puoi più fingere quando, per caso, vedi su Facebook una sua foto. Una sua foto con un'altra. Si abbracciano, si baciano. Chiami le tue amiche e ti lasci cullare dalle loro parole rassicuranti e confortanti, ma dentro di te sai che tra quei c'è qualcosa di più di un "niente". Ma nonostante la consapevolezza, non puoi non scoppiare quando li vedi mano nella mano a scuola, che si rubano un bacio tra i corridoi, che mangiano brioche alla nutella come facevate tu e lui.
Allora inizia la quinta fase, la gelosia. Ovvero, l'abbandono dell'orgoglio e il tentativo di avvicinarti di nuovo a lui. Sai che stai facendo una figura patetica e ridicola, ma non ti importa. Perché credi di amarlo e che senza di lui non puoi vivere.
In un modo o nell'altro, finisci per piangere e guardare film strappalacrime con una vaschetta di gelato sulle gambe. Abbassi lo sguardo quando lo vedi, ti vergogni troppo.
Credi di aver perso per sempre il tuo grande amore. Credi che lui sia il ragazzo, e che nessuno potrà mai sostituirlo.
Appunto, "credi". In realtà, non è vero.
Non lo accetti con facilità, anzi.
C'è un sottile filamento, tra la quinta e la sesta fase, che si chiama negazione. Non accetti altro che una spiegazione: "ho sbagliato tutto". E' tutta colpa tua, lui è l'unico, e l'hai perso, e non potrai vivere senza di lui. Ma lo stai già facendo.
Nella sesta, ed ultima, fase ti accorgi di aver fatto una cavolata.
Hai detto così tante volte, a te stessa e agli altri, di non poter vivere senza di lui, ma la verità è che lo hai già fatto. Hai sofferto senza di lui, hai pianto, ti sei disperata, ti sei strappata i capelli, hai urlato contro un cuscino e hai pianto ancora e ancora, sei morta e risorta per lui, ma l'hai fatto senza di lui. E ti accorgi, magicamente realizzi di aver fatto una stupidaggine. Comprendi di poter aver commesso un errore. Ed è così che cominci a camminare a testa alta, senza vergogna o timore, solo con una nuova forza. Sei caduta, ti sei rialzata, e ti accorgi di aver commesso una cavolata.
E' la sesta fase di separazione, quella in cui non hai più nulla da cui separarti, ma hai solo da cercare qualcosa a cui legarti. Hai sopportato le montagne russe e il mal di stomaco che ne è successo dopo, e ora che hai vomitato tutte le schifezze che avevi mangiato prima delle giostre, capisci di aver fatto un errore, ma hai trovato la chiave per sigillare il dolore.
Forse il tuo cuore non batterà mai più come prima, ma batte ancora.
Le cicatrici resteranno, rosee e lucide, ormai insensibili alla sofferenza, ma hai trovato la chiave per sigillare il circolo del dolore.
Hai superato le sei fasi della separazione.












*Angolo autrice*

hola bella gente. c:
ho scritto questa os principalmente perché serviva a mio nonno(?) per un concordo. cc':
ho deciso di pubblicarla anche qui per vedere che ne pensavate. quindi, sareste gentili a scrivermi un commentino. hjnjkl
inutile dire che potete anche criticare quanto volete, basta che mi diciate quel che ve ne pare. 
graziee, 
-l.

 
 
  
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