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Autore: Nonamedgirl    09/02/2013    4 recensioni
Angst, angst e ancora angst.
cosa succederebbe se Mello fosse sopravvissuto?
cosa succederebbe se incontrasse una prostituta dall'aspetto identico da Matt, l'uomo che ha amato e che non ha mai avuto?
non c'è nulla di erotico, solo taaanta taaanta nostalgia
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio | Coppie: Matt/Mello
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Wait for me




La vedi.

Eccola, all'angolo della strada di questa fetida periferia.

Accosti al marciapiede.

Ti dice il prezzo.

La fai salire.

La porti a casa tua.

La paghi.

Lei comincia il suo lavoro.

Te lo succhia.

Ma tu non vuoi andare oltre.

Ora è fuori a fumarsi una sigaretta.

I capelli corti e rossi si agitano al vento.

Con due occhi grandi e verdi osserva i grattacieli di Los Angeles.

“Come ti chiami?” le chiedi, raggiungendola sul terrazzo.

Appoggi i gomiti al parapetto, lasciando che le braccia ricadano mollemente verso terra, lasciando che il vento ti scompigli i lunghi capelli biondi.

“Come ti piacerebbe?” ti risponde, aspirando un'altra boccata di fumo, senza guardarti.

“Dimmi il tuo nome” insisti, osservando le lievi lentiggini che le adornano il viso.

“Louisa”

Quella parola ti trafigge il cuore.

Perché Luoisa?

Non poteva essere...

“Conoscevi un certo...?”

Le parole ti muoiono in gola.

Lei sospira.

È identica.

È semplicemente identica a lui.

Capelli rossi.

Lievi lentiggini.

Occhi grandi e verdi.

Anche se quelli della ragazza sembrano spenti.

I suoi sono stati pieni di vita. Fino all'ultimo.

“Gli somiglio, vero?”

“...Già”

Sembra riuscire a comprenderti quanto lui.

“Non puoi averlo?”

“...”

Non più.

L'hai mandato a morire.

Adesso ne paghi le conseguenze.

Sei stato abbastanza accorto da salvarti la vita.

Non sei stato abbastanza accorto da salvare la sua.

O forse non te ne fregava niente.

Ti sei reso conto di amarlo davvero solo quando è morto.

Quando hai visto su quel dannato schermo ciò che era successo il tuo cuore ha perso un battito.

Solo in quel momento ti sei reso conto di amarlo.

Non hai nemmeno pensato che potesse essere stato Kira, no.

Eri sicuro che il tuo cuore avesse perso un battito per lui.

Kira non vi ha toccato.

Ti sfugge una lacrima.

Lacrima che ti eri giurato di non versare più.

Ne segue un'altra.

E un'altra.

Fottute lacrime, smettetela.

Tornate indietro.

Tu non sei debole.

Ti volti, non vuoi essere visto.

Ci pensano i capelli a coprire la tua faccia, la tua cicatrice e le tue lacrime.

Ma a quanto pare se n'è accorta, perché ti aggira e ti abbraccia.

Probabilmente le fai pena, ma non puoi fare a meno di ricambiare la stretta.

E piangi.

Piangi sulla sua spalla, stringi la sua schiena, la sua nuca, i suoi capelli.

Ti immagini, in un attimo di masochistica nostalgia, che quella prostituta sia lui.

Ti immagini tutte le volte che l'hai abbracciato, che lui era lì per te.

Ti immagini l'ultima sera in cui l'hai visto.

Ti ha abbracciato, raccomandandoti di stare attento.

Tu non gli hai risposto.

Ti stacchi, voltandole le spalle, con le lacrime che non la smettono di uscire.

Lei riprende a parlare.

“Io avevo un gemello. A undici anni lo persi. Abitavo in Irlanda con i miei genitori, a quel tempo. Un giorno stavamo andando in giro in un centro commerciale, a Londra. Stavamo guardando una vetrina tutti insieme, io, lui, mia mamma e mio papà. Lui si annoiava, si è infilato in un negozio di videogiochi. – getta la sigaretta dal balcone – Non l'abbiamo mai visto uscire da lì...”

Ti blocchi.

“Si chiamava Mail.”

Il tempo si ferma.

“T-tu... quanti anni hai?” chiedi con voce malferma.

“Venti” risponde sospirando accendendosi un'altra sigaretta, sempre senza girarsi.

Sei senza parole.

La fissi, stralunato.

Devi sembrarle un pazzo, perché appena si gira e ti nota fa una faccia strana.

“Cosa c'è?” ti chiede.

Lentamente ti avvicini, fino a fronteggiarla.

“Io... Forse è il caso che vada...” dichiara incerta, scostandosi.

La afferri per le spalle.

La fissi con occhi vuoti, mentre i suoi invece mostrano tutto quello che le passa per la testa.

E in questo momento è spaventata.

Quegli occhi...

Sono quelli.

Quelli ti fanno più male di tutto.

Della voce arrochita dal fumo, dei capelli rossi e corti, delle lentiggini.

Non hai più dubbi.

Conoscevi una sola persona con quegli occhi.

E te la sei fatte portare via.

“Dammi uno schiaffo.” ordini con voce malferma, sull'orlo delle lacrime.

“Cosa...?”

“Tirami uno schiaffo. Un malrovescio, un ceffone, come lo vuoi chiamare, ma sbrigati!” le gridi in faccia.

Lei, spaventata, obbedisce.

Sciaff.

Tutto si risolve in un suono acuto, brevissimo.

Un calore strano ti invade la guancia.

Erano secoli che non venivi schiaffeggiato.

Lei esce, senti sbattere la porta.

Chissà se la rivedrai.

Ti porti una mano sulla guancia destra.

La accarezzi, è morbida e calda.

Probabilmente non ha colpito la sinistra per via della cicatrice.

Il vento è cessato.

L'aria è statica.

Appoggi di nuovo i gomiti al parapetto.

Ha lasciato qui la sigaretta ancora accesa, quasi intera.

È della stessa marca che fumava lui.

Non per niente erano gemelli, è evidente.

Ci sono troppe coincidenze.

Sai che è lui, anche se il nome è diverso, e anche il paese.

Ma era sicuramente lui.

Osservi i tetti delle baracche sotto di te.

Controvertigine.

Così la chiama un certo sceneggiatore teatrale quell'istinto di buttarsi quando ci si sporge.

Salti sul parapetto, sedendotici sopra.

Guardi di nuovo giù.

Sarebbe facile.

Sarebbe davvero semplice... buttarsi...

Risolverebbe molti dei tuoi problemi.

Ma prima c'è ancora una cosa che devi fare.

Ti precipiti giù per le scale.

Ritorni all'angolo.

Eccola, è tornata lì.

Accosti al marciapiede.

La chiami.

Lei, un po' stupita di rivederti, si avvicina titubante.

“Come ti chiami?”

“Luoisa, te l'ho già detto.”

“Il cognome, voglio sapere il cognome!” insisti, sgranando gli occhi.

“Jeevas...”

“Sali. Ti porto da tuo fratello.”

La vedi salire un po' stupita, ma ha sempre quella luce spenta negli occhi.

La porti al cimitero, che è chiuso.

Forzi la serratura.

“Aiutami a cercarlo.”

Lei sospira rassegnata. Probabilmente non si aspettava nemmeno lei di vederlo vivo.

Cammini tra le lapidi, guardando attentamente ogni nome, ogni pietra senza foto.

Non è semplice distinguerli al solo chiarore lunare.

Vedi la ragazza ferma davanti a una lapide spoglia, dove a malapena sono incisi il nome e una croce.

Ti avvicini lentamente, senti le gambe deboli.

Potrebbero lasciarti cadere da un momento all'altro.

Infatti ti abbandonano quando arrivi di fronte alla lapide, facendoti inginocchiare.

Allunghi le mani al nome, lo sfiori.

È freddo e spigoloso come una qualsiasi lettera incisa nell'ottone.

Tutto il contrario di lui.

Il tuo migliore amico.

L'uomo che hai amato.

“È colpa tua. – sputa fredda la ragazza – non è vero?”

Non rispondi.

L'ennesima lacrima ti scorre sulla guancia.

Stai diventando decisamente troppo emotivo.

“Si.”

Si inginocchia con te, con la ghiaia che le martoria le ginocchia nude.

“Almeno l'ho rivisto. – continua rassegnata – Com'era?”

“...Identico a te. Però aveva una luce viva negli occhi che faceva sciogliere il cuore. Non gli ho mai detto che lo amavo”

“Hai sbagliato.”

“Lo so.”

Rimanete fissi a guardare la tomba.

“Quando?” chiede.

“Qualche settimana fa.”

Altro silenzio, altri ricordi.

“Andiamo.” dice alzandosi.

Uscite dal cimitero, lasciandolo aperto.

Ti porta su un cavalcavia piuttosto vecchio e piccolo, quasi fuori città.

Però è tremendamente alto.

Le luci dei lampioni sono tremolanti, non arrivano a illuminare quello che c'è sotto.

È deserto, non passa nemmeno una macchina.

“Quando sono triste vengo qui. Penso a come sarebbe mollare tutto e buttarsi senza sapere cosa c'è sotto. Poi ripenso a quello che avrei da perdere, e torno indietro.” ti spiega.

“Io andrei avanti.”

“Perché?”

“Perché non ho niente per cui valga la pena tornare indietro.”

“Non hai più niente?”

“Avevo... lui.”

Hai finito le lacrime, ti senti vuoto.

L'hai visto per l'ultima volta.

Può bastare.

Sali sul muretto, dandole le spalle.

Le consigli di andartene, non sarà un bello spettacolo.

Lei ti saluta con un pugno sulla spalla, ritorna al suo angolo.

Tu fissi il vuoto sotto i tuoi piedi.

Chissà se vi ritroverete, dall'altra parte.

Ti lasci sfuggire un pensiero ad alta voce, con un sussurro.

“Aspettami, Mail...”



 

   
 
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