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Autore: Raven Callen    09/02/2013    9 recensioni
Prendo in mano una candida piuma bianca e mi concentro sul foglio davanti a me.
Indugio un po’ sul foglio bianco.
Cosa scrivere?
Lascio vagare la mia mente all’indietro, nel passato, come a cercare lì le parole che mi servono.
Sarebbe meglio partire dal principio:
Io sono Kazemaru Ichirouta.
Vivo in una cappella vicino al mare.
Questa è la mia storia.
***
Storia dedicata a: Kya_, _Girella_ e Silvia Galassi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mark/Mamoru, Nathan/Ichirouta, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia dedicata a tre persone molto speciali:

A Kya_, perchè volevo farle una sorpresa (e ringraziarla dell'aiuto che mi fornisce continuamente)

A _Girella_, perchè la adoro. E perchè attendeva questa ff con trepidazione.

A Silvia Galassi, la mia amata Sensei, perchè senza di lei non sarei dove sono ora, oggi.

E infine la storia è dedicata a tutti coloro che ho conosciuto in questo fandom (ragazzi, vi voglio bene!)

























Prendo in mano una candida piuma bianca e mi concentro sul foglio davanti a me.
Indugio un po’ sul foglio bianco.
Cosa scrivere?
Lascio vagare la mia mente all’indietro, nel passato, come a cercare lì le parole che mi servono.
Sarebbe meglio partire dal principio:
Io sono Kazemaru Ichirouta.
Vivo in una cappella vicino al mare.
Questa è la mia storia.
 
 
 








 
 

- I’m sorry for being alive.-
A habit I keep on saying.
I’ve always been softly complaining,
A meaningless existence…

 
 
Sono nato in un piccolo villaggio in mezzo ad una foresta immensa, sedici anni fa.
Imparai presto a cavarmela da solo, perché sapevo che nessuno mi avrebbe aiutato.
Quasi tutti , nel mio villaggio, avevano splendidi capelli castani, occhi scuri, pelle dorata e una forza fisica notevole.
La gerarchia si basava molto sulle apparenze e sulla capacità di svolgere lavori pesanti senza alcuno sforzo.
Questo non era mai stato un problema per i miei compaesani.
Per me lo era.
 

Io ero più gracile di corporatura, terribilmente magro, con la pelle chiara.
I miei occhi ricordavano due tazzine di delicato the al limone, il mio preferito.
E i miei capelli – la causa principale delle mie sventure.- erano turchesi, di una tonalità particolare.
Li tenevo sempre legati in una coda, poiché erano molto lunghi.
Non c’era nessuno che me li tagliasse.
Li odiavo. Da quando ero nato quei capelli non mi avevano portato altro che guai.
 

Vivevo da solo, nella parte più remota del villaggio.
Mia madre – una bellissima donna da cui avevo ereditato il mio aspetto fisico.- era morta dandomi alla luce.
Mio padre mi aveva abbandonato, all’età di dieci anni, per andare verso la città in cerca di fortuna.
Non è che non mi volesse bene, semplicemente non aveva scelta.
Non era un uomo cattivo. O almeno, mi piace pensarla così, visto che non l’ho più rivisto..
Io vivevo di ciò che trovavo nella foresta e di piccoli furti occasionali.
Le mie mani sottili ed affusolate - “Da pianista.”, diceva sempre mio padre.- mi erano molto utili.
L’arte della sopravvivenza non aveva segreti per me. Ero così piccolo..
Ma d’altronde, che altro potevo fare?
Ero solo. Un emarginato, con quei capelli blu che nessuno aveva..
 


 
Camminando per le strade sentivo sguardi pieni di diffidenza e paura pungermi la schiena.
 
- Non sei uno di noi.-
 
- Hai ucciso tua madre.-
 
- Non dovresti stare qui, vattene.-
 
Io mi facevo sempre più piccolo, affondando nel mantello che nascondeva il marchio della mia diversità.
- Mi dispiace..- mormoravo, spaventato. - mi dispiace..-
 


Trascorrevo le mie giornate ai piedi di un albero secolare, che si trovava in una radura nel folto della foresta.
Nessuno conosceva quel posto, solo io.
Era il mio rifugio.
Ero solito inginocchiarmi davanti al vecchio albero ad ascoltare il suono della natura.
Confidavo i miei segreti a lui, mio unico compagno nella solitudine.
A volte capitava che mi raggomitolassi tra le sue radici. Piangevo, sfogando la mia amarezza.
Un ragazzino emarginato ha davvero tanti pensieri..
 

Ogni giorno, dopo aver mangiato, offrivo dell’acqua all’albero e pregavo un dio che non mi aveva mai risposto.
 
- Vivere da soli è davvero triste.. Vorrei tanto incontrare qualcuno disposto ad essermi amico..-
 
Aspettai per anni che qualcuno arrivasse.
Aspettai fino a che, ad undici anni, il mio desiderio si esaudì.
 
 
 
 
 
 
 
 




 
Ho incontrato lui in uno dei primi pomeriggi di primavera.
Erano le due del pomeriggio, il sole faceva capolino dalle alte fronde degli alberi di tanto in tanto.
Sarei dovuto tornare a casa ma davvero non ne avevo voglia.
Quel giorno gli sguardi e le cattiverie della gente erano più forti del solito, quindi avevo deciso di trascorrere il pomeriggio nel bosco.
 

Tra i cespugli però qualcosa si era mosso.
Mi arrampicai tra i rami dell’albero e mi nascosi tra le foglie.
Poteva essere un animale feroce o, peggio ancora, un membro del villaggio.
I muscoli di tutto il corpo erano tesi e vigili, pronti a reagire di fronte il pericolo.

 
Invece dalla vegetazione era sbucato fuori un ragazzino che sembrava avere la mia età.
Aveva i più bei capelli castani che avessi mai visto.
Intorno al capo una fascia arancione teneva a bada alcuni ciuffi ribelli.
Vestiva degli abiti di buona fattura, segno che era di condizione benestante:
indossava pantaloni di ottimo tessuto, una tunica e una giacchetta leggera.
Ai piedi portava stivaletti di cuoio.
Lanciai una triste occhiata di commiserazione alla mia tunica rovinata e ai pantaloni, pieni di buchi e rattoppi. Non c’era confronto.
 

Con un sospiro tornai a concentrarmi sul nuovo venuto, che nel frattempo si era accucciato ai piedi del mio albero, nel punto in cui di solito sedevo io.
I suoi occhioni castani - caldi e dolci.- erano pieni di lacrime.
Ogni tanto emetteva qualche singhiozzo e tremava.
Probabilmente si era perso giocando nel bosco di nascosto.
 

Le donne non permettevano mai ai bambini di giocare nella foresta.
Per spaventarli raccontavano loro di un demone dai capelli blu che rapiva i bambini per mangiarseli.
A quel pensiero una lacrima mi pizzicò la guancia.

 
 
Aspettai ancora qualche secondo prima di uscire allo scoperto.
In realtà non avevo nessuna intenzione di rivelarmi a quel bambino.
Ma il ramo su cui ero appoggiato non sopportò oltre il mio peso e..
 
Crack.
 
Con un suono secco il mio appiglio si ruppe, facendomi precipitare a terra in un turbine di foglie.
Rimasi qualche secondo steso a terra.
Quando infine il mondo smise di vorticare, mi resi conto del guaio che avevo combinato.
Il bambino mi stava guardando fisso, aveva anche smesso di piangere.
Rimasi paralizzato lì dov’ero, seduto a terra, con i capelli scompigliati e i vestiti pieni di foglie.
Non avevo il coraggio di muovere un solo muscolo.
 

E adesso? Che succederà? Quel moretto scapperà via, urlando, e andrà a raccontare a tutti del mio rifugio segreto? Cosa faccio?!”
 

A sorpresa, però, il bambino sorrise.
- Ciao. -
Rimasi sbigottito.
- Come ti chiami?-
Alla seconda domanda ritrovai l’uso della parola.
- Ka..Kazemaru.. Ichirouta..-
- Piacere di conoscerti, Kazemaru. Io sono Endou Mamoru. -
 

 Ero così confuso.. ma quel ragazzino sapeva chi ero io?
Glielo chiesi.
- Certo che lo so! Sei Kazemaru Ichirouta, me l’hai appena detto.-
- No, intendo.. Tu non sai che io sono “il demone dai capelli blu”? -
Non riuscii a trattenere una smorfia, a quel soprannome.
Endou mi scrutò con attenzione, notando per la prima volta i miei capelli.
Infine emise la sua sentenza.
- Non sembri un demone, tu. Assomigli di più ad un angelo. -
Il mio stupore raggiunse livelli inimmaginabili.
Ero spaesato, perplesso. E un po’ diffidente.
- Chi ti assicura che io non abbia intenzione di rapirti per mangiarti arrostito?- insinuai piccato, gonfiando il petto in modo da tentare di apparire minaccioso.
Endou rise allegramente.
- Sento di potermi fidare.- mi disse, con un sorriso ampio e luminoso.
 

A quelle parole tutta la diffidenza e la paura si dissiparono.
Si fidava di me..
Quel ragazzino si fidava di me, nonostante non mi conoscesse neanche.
Percepii un dolcissimo calore in tutto il corpo.
“È questo ciò che si prova quando qualcuno si fida di te?”
 


- Grazie Mamoru.- e sorrisi, per la prima volta da tanto tempo.
Era un sorriso commosso, gli occhi mi erano diventati lucidi.
Ma non avrei pianto di fronte al mio nuovo amico, questo mai.
- Uh? Perché mi ringrazi?- chiese lui, inclinando appena la testa.
- Nessuno si era mai fidato di me, prima d’ora.- ammisi.
- Ah si? Beh, allora io sono il primo!- e rise di nuovo, contento.
Questa volta risi con lui, sollevato da un gran peso.
- ti va di giocare a calcio? - mi chiese poi, mostrandomi un pallone di cuoio che teneva in una borsa a poca distanza da lì.
Non mi ero accorto che avesse una borsa con se e non avevo mai giocato con un pallone in vita mia.
- Calcio? Come si gioca?- domandai, incuriosito.
- E’ semplice. Vieni, ti faccio vedere.-
Afferrai la mano che mi porgeva senza esitazione.
 

Passammo tutto il pomeriggio a giocare a calcio.
Se ci ripenso mi ricordo ogni singolo dettaglio di quel giorno.
Le corse dietro a quel pallone, le risate allegre..
Ogni cosa.
Ci fermammo solo a pomeriggio inoltrato.

 
- Kazemaru, tu sai la strada per tornare al villaggio?- mi domandò ad un certo punto Endou, seduto sotto il vecchio albero.
- Si, so come tornare al villaggio. Tu no?-
- No. Non ne ho idea. –
Sorrisi.
- Se vuoi ti posso accompagnare io. -
- Davvero?- scattò in piedi, tutto contento.
- Ma certo. Seguimi dai.-
Lo presi per mano, mentre entravamo all’interno del bosco.
 

Pochi minuti dopo eravamo arrivati al limitare della foresta.
Endou era al settimo cielo.
- Grazie mille, Ichi-kun. Sei stato bravissimo!- urlava, saltellando.
Arrossii un pochino, sommerso dai complimenti e dall’entusiasmo del mio nuovo amico.
 

- Mamoru? Mamoru, dove sei?!- una voce femminile e molto preoccupata raggiunse le nostre orecchie.
- Questa è mia madre che mi chiama. Mamma! Mamma sono qui!-
Osservai Endou correre oltre gli ultimi alberi, poi – inaspettatamente.-  fermarsi.
- Tu non vieni?- chiese, con voce innocente.
 

Endou… che ingenuo che eri..


 
Mi limitai a scuotere il capo, in senso di negazione.
- Tu va pure avanti, ti raggiungo tra un attimo..- mentii.
Non appena Mamoru raggiunse sua madre, mi nascosi meglio dietro ad un grosso tronco d’albero.
- Endou Mamoru, dove diavolo ti eri cacciato?! Sono ore che ti cerco!-
- Mi ero perso nella foresta, ma poi ho incontrato un angelo. Abbiamo giocato a calcio tutto il pomeriggio e poi mi ha accompagnato a casa. - rispose lui, come se fosse la risposta più ovvia del mondo.
Non mi sorpresi neanche più. Endou era incredibile..
Sua madre lo fissò come se fosse pazzo.
- Un angelo? Mamoru, hai forse battuto la testa? Probabilmente te lo sei solo immaginato..-
- No, io l’ho incontrato veramente! Era un angelo celeste che mi ha preso per mano e mi ha portato a casa. È lì, guarda!-
A quelle parole fuggii via, terrorizzato all’idea di essere visto.
 

Quella fu la prima volta che incontrai Endou Mamoru. Ma non fu l’ultima.

 
 
- Angelo Kazemaru, dove sei?-

 Fu quando udii queste parole che lo rincontrai.

 
Quella voce..
Come era possibile che fosse lui?
Erano passate due settimane, come era possibile che Endou si ricordasse ancora di me?
A quanto pare era possibile, eccome!
Non appena Mamoru mi vide, corse ad abbracciarmi, buttandomi a terra per l’entusiasmo.
- Angelo Kazemaru, temevo di non rivederti mai più! -
- Ehm.. chiamami solo Kazemaru, ok?- gli chiesi, imbarazzato.
Quel soprannome – oltre ad essere totalmente inappropriato per uno come me. – mi metteva a disagio.
All’improvviso mi accorsi che Endou aveva smesso di abbracciarmi ed era imbronciato.
- Perché sei andato via, l’ultima volta? Avevi detto che mi avresti raggiunto..-
Sospirai.
- Mi dispiace, Mamoru, ma non potevo farmi vedere.-
Endou mi guardò senza capire.
- Perché no?-
- Perché non posso. Gli altri abitanti del villaggio non..- cominciai, salvo poi venire interrotto.
- Ah, ho capito. Solo i bambini possono vedere gli angeli, vero?-
Spalancai gli occhi. Ma stava dicendo sul serio?
- Dopotutto sono amico di un angelo, che mi importa se la mamma non può vederti?- rise, tirando fuori il pallone della volta precedente.
- Dai, andiamo a giocare!-
- Si!-
 

Non ho mai avuto la presunzione di credermi al pari di un angelo, assolutamente no.
 Non avevo mai creduto particolarmente all’esistenza di creature candide e pure che vegliano sugli esseri umani.
Ma Mamoru..
Era lui l’angelo tra noi due, non io.
Forse era il mio angelo custode, inviato per farmi sentire amato.
Pian piano avevo cominciato a credere negli angeli…

 
 
 
In poco tempo io e Mamoru divenimmo molto amici. Era l’amico che avevo sempre desiderato..
Non avrei potuto chiedere niente di meglio.
Intanto gli anni passavano.
 



 
 
- Kaze-chaaaan!! – urlò una voce nota.
Sbuffai, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Endou, quante volte ti ho detto di non chiamarmi così?- brontolai, perentorio.
- Tante, Kaze-chan, tante.- ridacchiò lui.
Fui tentato di tirargli una scarpa, ma sapevo che non sarebbe servito a niente.
Quanto era testardo quel moretto!
- Vuoi smetterla? Sto riposando.-
Ci furono alcuni secondi di silenzio..
- Kaze-chan?-
Roteai gli occhi, esasperato.
- Cosa c’è?-
- Vieni a giocare a calcio con me?-
Mi lasciai intenerire per un momento. Finsi di pensarci su.
- Non lo so. Non ne ho molta voglia, oggi.- risposi, fingendomi annoiato.
- Ma uffa, Ichi-kun! Dai, scendi da quell’albero! È tutto il giorno che sei lassù, non ti annoi?-
- Sei solo geloso perché io so arrampicarmi sugli alberi e tu no. – lo stuzzicai, dondolando le gambe nel vuoto.
- Non è vero! Sono capace anche io di arrampicarmi!-
Come previsto, vidi il mio migliore amico gonfiare le guance e prepararsi alla scalata.
- Endou, lascia perdere. Ci hai provato tante volte, ma non ci sei mai riuscito.-
- Questa è la volta buona, me lo sento! Fidati di me. -
Che zuccone,  quel ragazzo..
- Stai attento a non farti male.-
Non sarei mai riuscito a dissuaderlo dai suoi propositi.
 

Al quindicesimo tentativo scesi giù dall’albero con un movimento fluido.
- Dai, smettila, Endou.-
- Ma non posso arrendermi!- brontolava, lui.
- Domani ci riprovi, ti darò una mano, ok?- proposi, conciliante. – adesso andiamo a giocare a calcio.-
Il mio compromesso fu accolto di buon grado, da uno dei suoi soliti, scintillanti sorrisi.
 
 



 
 
Le giornate trascorrevano felici.
Ormai eravamo così uniti da sembrare fratelli.
Due facce di una stessa medaglia. Indissolubilmente legati.
Avevamo entrambi quindici anni, quando prendemmo una decisione.
 
 
 





 
- Kazemaru..?-
- Lasciami stare, Endou! Voglio rimanere solo.- esclamai, più duramente di quanto fosse mia intenzione.
- Ma cosa è successo? Perché sei così arrabbiato?-
Scesi dal mio ramo preferito, quello in cui mi appollaiavo quando aspettavo l’arrivo di Mamoru.
- Non ce la faccio più a rimanere qui! A sopportare gli sguardi di odio e paura che tutti mi rivolgono. A vivere come un estraneo nella città in cui sono nato. Ne ho abbastanza!- urlai, liberando tutta l’amarezza provata negli anni.
 

Non so perché esplosi proprio quel giorno. Non era successo niente di nuovo. Ero stato costretto a rubare un pezzo di pane perché nessuno era disposto ad offrirmi un lavoro e non potevo permettermelo. Mi avevano quasi preso e per poco non mi avevano randellato. Non era niente di nuovo.
Forse ero solamente stanco. Forse, semplicemente, ero arrivato al limite..

 
 - Ichirouta..-
- Smettila!- ringhiai. – smettila di guardarmi così! Smettila di provare pietà per la mia misera condizione, non lo sopporto!-
Strinsi i pugni.
Endou mi si avvicinò fino ad arrivare a pochi passi da me.
I suoi occhi cercavano i miei, il mio sguardo invece evitava il suo.
- Perché?- domandai, la voce inasprita dalla frustrazione. – Perché sei sempre così gentile con me? Ti faccio pena, non è vero?!-
Era davvero troppo, troppo, troppo!
Ne avevo abbastanza di quella situazione, di quella vita.
 


Mi accorsi all’improvviso di trovarmi in un abbraccio.
Mamoru mi stringeva forte, trasmettendomi tutto il suo affetto.
- Non provo pena per te, non ne ho mai provata. Io ti voglio bene, Kaze-chan. Tu sei la persona più meravigliosa che io abbia mai conosciuto. -
Cominciai a sentire le gambe molli. Mi sentivo un verme per aver dubitato..
Mi aggrappai alla camicia del mio migliore amico per non cadere: profumava di pulito e di erba fresca.
- Scusami.. Endou..- sussurrai, lottando per impedire alle lacrime di inondarmi gli occhi e le guance.
Non volevo piangere di fronte al mio migliore amico.
Era questo che mi ero ripromesso il giorno del nostro primo incontro, no?
- Non ti preoccupare, Kazemaru. È tutto a posto.-
 

Even if the entire world
Laughed and despised me
I had a person who needed me.
That’s all I need to be happy.

 
 
 
 
Rimasimo così, abbracciati, per tanto tempo.
Tanto eppure troppo poco.
Sarebbe stato meglio rimanere così per sempre.
Sarebbe stato meglio così..
 

- Se ti trovi così male qui, allora andremo via.- mi disse, quando tornai padrone di me.
- Via? E dove?- chiesi, incredulo e speranzoso al tempo stesso.
- C’è una grande citta, a pochi giorni di viaggio da qui. Per arrivarci si passa in mezzo al bosco. Possiamo andare lì e ricominciare una vita migliore.-
Non sapevo cosa dire, ero così felice!
- Si, andiamoci, andiamoci subito!- quasi urlai, stringendo la stoffa della sua camicia all’altezza delle spalle.
Il bisogno di andarmene da lì, di andare via con Endou, era più urgente che mai.
- Partiremo stasera, il tempo di raccogliere l’occorrente per il viaggio. Non ti sentirai più solo e indesiderato, Ichi-kun. Te lo prometto.-
 


E Mamoru mantenne la sua promessa.
Tre giorni dopo, infatti, lo spettacolo di quella città si stagliava di fronte ai miei occhi increduli e stanchi per il viaggio.
Mi sentivo così felice e al tempo stesso così spaventato.
Mettere piede in quel posto fu come entrare in un nuovo mondo.
Case, palazzi, strade, mercati.
Era tutto un vorticare di luci, colori, suono e odori completamente nuovi.
Lì nessuno mi guardava con disprezzo, anzi.
I miei capelli turchesi erano molto apprezzati dalle fanciulle.
Non mi ero mai sentito così normale.
 

Io ed Endou cominciammo a lavorare come garzoni:
io fui assunto da un gioielliere.
Le mie mani e i miei movimenti precisi e delicati erano perfetti per quel lavoro.
Avevo del talento.     
Mamoru invece venne assunto in una falegnameria dall’altra parte della strada, proprio di fronte al negozio dove io lavoravo come apprendista.
La sua forza e la sua allegria lo rendevano stimato e ammirati da tutti.
Ogni tanto, sbirciando dalla finestra del negozio, lo vedevo dispensare sorrisi a tutti e dedicarsi anima e corpo al suo lavoro.
A volte combinava anche qualche pasticcio, come far cadere un pezzo di legno sul piede di uno degli altri apprendisti o inciampare su un asse del pavimento.
Era così buffo..
 

Con i soldi che guadagnavamo eravamo riusciti ad affittare un piccolo locale composto di tre stanze nella periferia della città.
Era piccola, arredata con l’essenziale e in una zona un po’ isolata.
Però andava bene perché ce l’eravamo guadagnata con le nostre sole forze.
 
 
Quelli passati in città furono i due anni più belli della mia vita.
Ogni giorno mi alzavo all'alba e preparavo la colazione.
Quando tutto era ormai pronto vedevo comparire il viso assonnato di Endou dalla porta della camera che condividevamo.
Mi ricordo bene che riusciva a mangiare in uno stato di dormiveglia che io chiamavo affettuosamente “coma di inizio giornata”.
 

- Non è giusto, Kazemaru! Perché tu sei sempre fresco come una rosa e perfettamente riposato, all’alba, e io no?- brontolava ogni mattina, durante la colazione.
E io ridevo e gli spiegavo pazientemente che il suo lavoro era più stancante del mio ed era per questo che io lavoravo più ore rispetto a lui.
Il giorno dopo lui mi rifaceva la stessa domanda e io gli rispondevo.
Non mi pesava farlo, la trovavo una routine rassicurante.
Ogni giorno, dopo avermi aspettato fuori dalla bottega, Endou e io andavamo per le vie del mercato a comprare da mangiare e - magari.- un pallone di cuoio nuovo.
In due anni ne aveva persi migliaia, di palloni.
Finivano sempre sotto una bancarella o rompevano il vetro di una casa.
Avremo speso un capitale, in palloni di cuoio.
Però lo sopportavo volentieri.
La sera la passavamo a parlare – con Endou gli argomenti di conversazione non finivano mai.- e gli mostravo alcuni giochi di prestigio che mi aveva insegnato Kogure Yuya, il pestifero figlio del capo gioielliere.
Vedere Mamoru sgranare gli occhi per lo stupore, ogni volta, mi scaldava il cuore.
Pretendeva che gli insegnassi i trucchi che utilizzavo e puntualmente – quando non riusciva ad eseguirli.- gonfiava le guance e metteva il broncio, in segno di disappunto.
E la sera successiva ci riprovava. E ancora e ancora.
Endou non si arrendeva mai..
E io ero felice..
Era tutto perfetto, la vita che avevo sempre desiderato.
I piccoli drammi quotidiani e le difficoltà facevano anch’essi parte di quella vita, perfetta nelle sue infinite imperfezioni.
Mi ero convinto che avremmo vissuto così per sempre.
Sarebbe stato stupendo.
Ma non era destino che andassero così, le cose.
Forse. O forse no.
 
 
 




 
Il mondo che conoscevo cominciò a crollare in una piacevole giornata di maggio.
Il vento soffiava placido e l’aria risuonava del canto della primavera.
Con la primavera arrivarono i fiori.
E con i fiori…
Arrivò lei.
 


Miss Natsumi Raimon, principessa di un regno al di là dell’oceano.
Non avevo mai sentito parlare di lei e di quel mondo sconosciuto dall’altra parte del mondo.
E credetemi se vi dico che avrei preferito continuare a ignorarlo.
Quella ragazza, una perfetta sconosciuta, entrò nella vita di Endou senza che io potessi fare nulla per impedirlo.
 


Quando tornai a casa, quella sera – una sera come tante altre.- , avevo trovato il mio migliore amico che stava seduto sul letto con una rosa blu tra le mani.
- Me l’ha donata Miss Natsumi. -  aveva detto, semplicemente.
Di lei, quella sera, seppi solo che aveva lunghi capelli ramati e un sorriso dolce e pacato.
Avrei avuto tempo, per conoscerla meglio..
 
 
Ben presto Endou e Natsumi divennero molto uniti.
Erano soliti passeggiare per le vie principali della città, ridendo e scherzando.
Io li seguivo, sempre a qualche metro di distanza, senza farmi notare.
Li guardavo e sentivo qualcosa agitarsi nel mio petto.
Un dolore pungente e fastidioso, miscelato ad un nefasto presentimento.
Sentivo che quella ragazza non avrebbe portato altro che guai.
Non avrei potuto avere più ragione…
 
 
Un giorno Lady Natsumi non venne.
In quel frangente avevo creduto che se ne fosse andata.
Mi sbagliavo.
In seguito seppi che doveva sbrigare una faccenda burocratica legata al suo regno.
 

Rimasi dietro l’angolo ad osservare Endou che l’aspettava, invano.
Poi, quando ormai era palese che non sarebbe venuta, mi ero avvicinato al mio amico.
- Non è venuta, Kazemaru..- aveva mormorato lui, deluso.
- Non ti crucciare, dai. – lo avevo preso per mano. – su, andiamo a casa. -
La mia mano che stringeva la sua sembrava urlare: ehi, guardami, ci sono io con te. Io non ti deluderò mai. Guardami, sono accanto a te.
Mamoru mi aveva sorriso, un po’ più allegro di prima, mentre ci infilavamo nel via vai di gente che occupava la strada.
 

Quel pomeriggio incontrammo un ragazzo dai candidi capelli bianchi tenuti legati in una coda bassa.
Bianchi, come neve appena caduta.
Indossava abiti da servitore finemente ricamati, del colore dell’acqua di sorgente.
 

Shirou.
Si chiamava così.
Si scontrò con noi vicino al negozio del sarto.
 

- Scusatemi, signori. Vi prego di perdonarmi.-
Si era prodigato in inchini e scuse. Che personaggio assurdamente gentile…
- Tranquillo, non è successo niente.- Endou gli aveva assestato un’energica amichevole pacca sulla spalla.
Era il solito espansivo, Endou.
Io avevo scosso il capo.
- Hai bisogno di aiuto?- avevo domandato, osservando il pesante bagaglio che stava trasportando
- No, grazie. Ce la faccio da solo.-
Ma il moretto aveva insistito fino a convincerlo: voleva essere d’aiuto a tutti i costi.
Così accompagnammo il nostro nuovo amico fino alla carrozza in cui depositammo la grossa cesta piena di abiti pregiati.
L’albino ci ringraziò con un timido sorriso.
 

Mi sembrò di scorgere una luce strana negli occhi di Shirou.
Ancora oggi non so dire di cosa si trattasse.
L’unica cosa che so è che quella luce non cambiò il corso del destino.
 


 
Il giorno successivo Natsumi tornò. Era sorridente, radiosa.
Doveva esserle successo qualcosa di bello.
I ricordi che seguirono sono ferocemente marchiati a fuoco nella mia memoria.
 

Ancora oggi, quando chiudo gli occhi, rivedo ogni dettaglio, ogni più piccola sfumatura di quella scena.
 
Il tramonto che incendiava il cielo.
Endou che sorrideva.
Dei capelli ramati che ondeggiavano al vento.
Le labbra della principessa su quelle del mio migliore amico.
Quest’ultimo particolare è forse il più doloroso.
 
In quel momento la odiai.
Non potevo sapere che la principessa del regno al di là del mare aveva appena respinto la proposta di matrimonio del principe Fubuki Atsuya.
Che quest’ultimo era furioso.
Che stava per scatenarsi una tremenda disgrazia a causa del suo rifiuto.
Se l’avessi saputo, probabilmente, l’avrei odiata ancora di più.
 

La mattina dopo – al sorgere dell’alba. - tra il regno del principe Atsuya e quello in cui abitavamo scoppiò la guerra.
 
 

In un sontuoso palazzo di un regno poco distante un ragazzo dai capelli candidi, con un’impercettibile sfumatura color salmone, stringeva nel pugno una rosa blu.
 
- Trova ogni giovane dai corti capelli castani… e uccidilo.-
 
La rosa cadde a terra, orrendamente sfigurata.
Il servitore annuì, gli occhi che brillavano di una gelida luce gialla.
Non appena voltò le spalle al suo sovrano una lacrima – una soltanto. - gli solcò la guancia.

 
 


 

Avrei dovuto intuire che qualcosa non andava.
Quella sera Endou non era tornato.
Era tardi, si stava facendo buio.
Ero preoccupato. Molto. Moltissimo.
C’era la guerra, era scoppiata da settimane ormai.
Lui sapeva che non doveva fare tardi…
Ma perché, allora, non era ancora arrivato?!

 
All’improvviso la porta di casa venne scardinata.
Cadde a terra con un tonfo secco.
Dal varco appena creato entrarono una dozzina di soldati.
Fecero irruzione nella stanza e mi sbatterono contro il muro, la guancia destra schiacciata contro la ruvida parete.
Avevo ancora il cappuccio calato in testa, stavo per uscire alla ricerca di Mamoru.
Un soldato mi puntò la lama di un coltello alla gola.
Credetti che fosse arrivata la mia fine.
 

- Aspetta, Nagumo. -
Sentii che qualcuno mi strappava via il cappuccio, rivelando la mia chioma blu.
- Non ha i capelli castani, lascialo andare.- aggiunse la glaciale voce di prima.
- Ma Fuusuke..-
- Taci. Non è lui che stiamo cercando.-
I soldati se ne andarono, lasciandomi stordito e con addosso un tremendo senso di inquietudine.
 
 

Non ha i capelli castani…

 

Non è lui che stiamo cercando..

 
Non poteva essere…
No..
Endou!
Dovevo trovare Endou!
 
Corsi a cercarlo.
Vagai tutta la notte, vagai per la città, controllando ogni angolo, ma niente.
Non poteva essere tardi, non doveva essere tardi!
 

Everyone, everyone was gone!
Except for myself with the white hair
I wish that I could’ve die in your place.
Why… why…

 

 
Lo trovai in fin di vita, sotto un albero secolare.
Un albero simile a quello che ci aveva visti incontrare.
 

- Angelo Kazemaru.. sei venuto a prendermi?-
Delirava, mi aveva scambiato nuovamente per un angelo, come la prima volta che mi aveva visto.
Andai nel panico.
La sua camicia, la sua preferita, quella che gli avevo regalato con la mia prima paga, era quasi totalmente macchiata di sangue.
 
Era finita.
 
- No, ti prego! Cerca di resistere!- lo supplicai, prendendogli la mano tra le mie.
 
Era finita.
 
- Mi dispiace, Ichi-kun. Sarei dovuto tornare subito a casa..- mi sussurrò vicino, la voce flebile e appena udibile.
- Endou.. ti supplico.. Non lasciarmi solo. – lo pregai, tra le lacrime.
Mi ero ripromesso che Mamoru non mi avrebbe mai visto piangere, non mi avrebbe mai visto debole.
Ma se lui mi stava abbandonando, se lui per primo stava infrangendo la sua promessa, perché io avrei dovuto farlo?
 

Nella mia vita avevo provato pochi dolori di quell’intensità.
Sentivo il petto squarciato in due.
Possibile che facesse così male?
- Sei il mio angelo custode, Ichirouta…-
- No. Tu sei il mio..-
- Ti voglio bene, Kaze-chan. Grazie.. per tutto..-
E chiuse gli occhi, regalandomi il suo ultimo sorriso.
- Aspetta! Endou, ti prego, aspetta!-
Non ci fu più niente da fare.
I muscoli del suo corpo si rilassarono, la sua mano – che ancora stringevo.- diventava lentamente fredda.
Il mio più grande rimpianto è non avergli detto che l’amavo..
 
 
Mi ci volle molto tempo per allontanarmi da lì.
Feci distendere il corpo di Endou sotto l’albero, appoggiando leggermente il busto alla corteccia del tronco.
Lo ricoprii di fiori, di bellissimi fiori colorati.
Quando, infine, me ne andai, dopo due giorni e due notti di veglia, tantissimi pensieri andarono a sostituire il silenzio e il nulla più assoluto che c’erano stati.
Silenzio rotto solo dal suono delle mie lacrime, che non avevano mai smesso di cadere.
 
 
Perché era successo? Perché Endou? Perché non io?
Dovevo morire io al suo posto, dovevo esserci io a dormire tra quei fiori.
Lui avrebbe dovuto sposare la principessa del regno blu, vivere felice con lei.
Tutto, tutto pur di saperlo vivo!
Ah, quanto desiderai l’avverarsi di quell’utopico futuro che tempo prima pareva così amaro..
 
 
 

Una principessa dal prezioso vestito blu e i capelli di fiamma squadrava il castello in cui viveva un principe crudele, pensierosa.
- Perché sei qui, mercenario?-
 
Un giovane uomo dai capelli bianchi - color crema.- e un’armatura rossa comparve dietro di lei.
- Per il tuo stesso scopo, principessa Natsumi. -
- Io non credo che il motivo sia lo stesso. Io ho un motivo per attaccare il principe Fubuki: ha fatto uccidere il mio amore. Ma tu? Perché ti stai alleando con me?-

 
Due occhi neri, profondi come un pozzo senza fondo, fissarono il nulla.
Davanti a sé Shuuya vedeva povertà, miseria, sofferenza.
Vedeva sua sorella malata che non poteva permettersi le cure adeguate a causa delle tasse che il principe Atsuya imponeva alla popolazione.
La vedeva morire davanti al suo sguardo impotente, giorno dopo giorno.
 
- Tutto, pur di distruggere il regno del Male.-

 
 
 


- Mi dispiace, Endou..- ripetevo, tutti i giorni.
Lo facevo per punirmi, per non dimenticare.
Mi ero rifugiato in una piccola cappella abbandonata a ridosso di una scogliera.
Da lì si riusciva a vedere il mare.
Che buffo, aveva il colore dei miei capelli…
 
Mi piaceva restare per ore a guardarlo, quella superficie blu riusciva quasi a farmi dimenticare la mia triste vita, a placare il dolore.
Finalmente un posto in cui il blu veniva accolto da altro blu.
Forse mia madre era figlia del mare..
 


Pregavo tutti i giorni, in quella piccola chiesetta.
Mi gettavo in ginocchio, proprio sotto il crocifisso, e parlavo.
A volte recitavo delle preghiere, altre chiedevo perdono, altre ancora esprimevo il desiderio di rivedere Endou.
Per quanto mi riguardava, la mia vita era terminata.
Presto mi sarei accorto che il destino non aveva ancora finito di giocare con me.
 

La piazza era gremita di gente.
Al di sopra di tutti stavano Goenji e Natsumi.
Alti, fieri, con i segni che la guerra aveva scavano nei loro volti.
- Questa esecuzione non ci restituirà chi abbiamo perso.- sospirò lei.
- E allora perché l’abbiamo permesso?-
- Affinché il Figlio del Male non arrechi altro dolore.-

 

Davanti a loro comparve il condannato: pelle diafana, occhi celesti e stanchi, capelli chiarissimi lasciati alla volontà del vento.
Portava una camicia candida, con una delicata sfumatura rosata.
E sorrideva, strafottente e incurante del suo destino.
O così sembrava…
Il principe venne posizionato nella ghigliottina. La sua fine stava compiendosi.
Negli ultimi secondi il suo sguardo trafisse il cavaliere rosso.
Shuuya sgranò leggermente gli occhi. Aveva capito.

 

- Oh, è l’ora della merenda.-
Quella frase, la preferita di Atsuya, aleggiò nell’aria per pochi attimi ancora.
Poi la ghigliottina calò.
Goenji, in silenzio, trattenne le lacrime.
Una figura incappucciata, nascosta tra la folla, invece lasciava che il suo dolore scorresse sulle sue guance.

 








 
Un giorno, poco tempo dopo, incontrai un ragazzo.
Era stanco, affamato, con degli abiti da servitore completamente rovinati.
Era un fuggitivo.
Lo soccorsi e mi presi cura di lui.
Mentre lo guardavo mangiare, la prima volta, una strana sensazione mi aveva invaso lo stomaco.
Io, quel ragazzo, l’avevo già visto..
Con quegli occhi celesti spenti e la camicia color azzurro chiaro..
Scossi il capo. Non poteva essere lo stesso ragazzo gentile di quel giorno.
Aveva la lingua tagliente e i capelli di una strana sfumatura rosa.
Non era lui..
 
- Come ti chiami?-
Lui mi guardò, gli occhi che si velarono.
- Non posso dirtelo.-
- E perché?-
- Non posso e basta.-
 
 



Scoprii il suo nome una notte in cui una tempesta particolarmente forte faceva agitare il mare e tremare le rocce della scogliera.
Mi alzai dal mio giaciglio, vecchi ricordi che si agitavano nello stomaco e non mi lasciavano dormire.
Pian piano mi avvicinai al confessionale della cappella, dove sentivo una voce.
Quello che udii mi gelò.
 
 
 

Le mura del castello tremavano, come scosse da una forza spaventosa.
- Stanno arrivando! Stanno venendo a prendermi!- urlava Atsuya, tremando insieme alla fortezza, terrorizzato.
Non voleva che andassero così, le cose.
Come era possibile che tutto gli fosse sfuggito di mano?
Ora la sua beata esistenza si stava tingendo di tonalità cupe.
E pensare che lui aveva sempre amato le tinte pastello..
Avrebbe riso, in circostanze normali.
Atsuya guardò Shirou: suo fratello gemello, suo fedele servitore, suo più caro amico.
Lui non era spaventato.
Sembrava.. deciso..

 

- Atsuya..-
Shirou gli si avvicinò, sciogliendosi la coda che teneva legati i suoi capelli argentei.
- cosa c’è, fratellino?-
L’albino si tolse la giacca.
- Togliti la giacca e la camicia.-
Atsuya lo guardò come se fosse impazzito. E, viste le circostanze, ciò era anche possibile.
- Ma che stai facendo?-
Nel frattempo Shirou aveva indossato una camicia, presa dall’armadio del principe, e ne stava allacciando i bottoni.
- Fai come ti dico.- ordinò, porgendogli i suoi vestiti.
Una consapevolezza amarissima maturò nel petto di Atsuya.

 

- S-Shirou…-
Il gemello, con un gesto amorevole, legò i suoi capelli rosa in una coda bassa.
- Non ti preoccupare, andrà tutto bene.- disse poi, aprendo un passaggio nel muro. - Siamo gemelli, nessuno se ne accorgerà.-
E sorrise, Shirou Fubuki, ragazzo che aveva già fatto una scelta.
E pianse, Atsuya Fubuki, ragazzo che presto avrebbe perso suo fratello.
- Vai ora, su. – l’albino congedò il rosa con un bacio sulla fronte.
- Shirou, non farlo..- lo pregò, il principe, aggrappandosi alla manica della sua camicia.
- Io sono il principe, ora, tu sei un fuggitivo. Indossa i miei vestiti e scappa il più velocemente possibile.

 

Furono queste le ultime parole che Atsuya sentì uscire dalle labbra di suo fratello, prima che questo scomparisse oltre la porta della lussuosa camera da letto.
A lui non rimase che versare tutte le sue lacrime.

 

 
- Shirou, fratello mio, perdonami.. ti prego…-
Quel ragazzo era il principe Atsuya. La persona che aveva causato la morte di Endou.
 


 

In the empty confession box at night
I overheard her confession
Ah, how can this be…
She is indeed

The Daughter of Evil!

 
 
 
Qualcosa si infranse dentro di me.
Non poteva passarla liscia, no.
Io avevo sofferto per una vita intera, lui non poteva cavarsela così!
Non era giusto.
 

Corsi in camera mia e frugai tra le mie cose.
Estrassi un pugnale, che scintillò alla luce della luna che proveniva da una finestra.
Non sapevo da dove venisse, né perché sapessi di averlo, non me ne importava affatto.
Volevo solo vendicare Endou.
 
 
Seguii Atsuya alla spiaggia.
Mentre lui era inginocchiato a terra, con l’acqua che gli bagnava le gambe mi avvicinai lentamente.
Una luce folle mi brillava negli occhi.
Non avevo neanche legato i miei capelli, che – cullati dal vento gelido.-  svolazzavano liberi.
 
Mi sentivo forte, invincibile.
Alzai il pugnale al cielo, tenendolo con entrambe le mani.
Quasi avessi paura di farlo cadere.
Ero pronto a calare la lama sulla schiena di quel mostro.
Avrei messo fine alla sua vita.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
Caro Endou,
devo proprio scusarmi con te, sai?
Non sono riuscito a proteggerti.
Non sono stato capace neanche a vendicarti..”
 
 

She is the girl I was back then
A very, very lonely girl
Living all alone
Is very sad

 
 
 
 
- Mi dispiace, Shirou..-

 Quelle parole mi gelarono.
 

Per pochi secondi vidi una seconda figura davanti a me.
Shirou Fubuki..
La figura scomparve.
Sconvolto, lasciai scivolare il pugnale a terra, caddi a mia volta.
Sentivo il gelo dell’acqua risvegliarmi dal mio stato di confusione.
Vidi il mio riflesso..
 

Altro che angelo, ero un demone!
“Oh, Mamoru, cosa stavo per fare!”
Non ero degno di essere chiamato angelo, non ero degno del tuo affetto.

 
Piansi, pieno di vergogna per me stesso.
In quel momento l’alba cominciò a spuntare, all’orizzonte.
I timidi raggi andarono a illuminare la figura di Atsuya, che si era voltato verso di me.
La mia redenzione..
Nel vederlo sgranare gli occhi dallo spavento venni invaso da una consapevolezza nuova e una quiete interiore.
Adesso quella persona non era più il terribile Figlio del Male.
Era solo un ragazzino triste e solo, come lo ero io.
 
“Ti prometto, Mamo-chan, che sarai fiero di me.”
 
- Non ti farò del male, te lo prometto.-
Tesi la mia mano verso di lui, sorridendo e piangendo.
Sorridendo e piangendo di gioia, finalmente.
Atsuya afferrò la mia mano, titubante.
Si fidava di me.
Lo abbracciai, tirandomi in piedi.
 
- Vieni, torniamo a casa. –
Pian piano ci allontanammo alla luce del sole mattutino, un nuovo inizio davanti.
 
 
 
 
 
“Non potevo uccidere Atsuya, non sarebbe stato corretto.
E so che tu non avresti voluto che io mettessi fine alla sua vita.
Tu mi dicevi sempre che ero un angelo, ma ti sbagliavi. L’angelo eri tu. Sei sempre stato tu.”
 
 







 
 
Sospiro, riemergendo dai ricordi.
È passato tanto tempo, da quei giorni.
Quante cose sono cambiate.
Non posso fare a meno di sorridere, a ripensarci.
 
Una testa rosa spunta dalla porta.
- Kazemaru, sei pronto?-
Mi infilo la lettera, terminata poco fa, in tasca. Profuma ancora di inchiostro.
- Si, si, arrivo.-
- Ma perché ci metti sempre due ore? Ti devi agghindare come una femmina?-
Mi imbroncio.
- Zitto, salmone!-
- Come ti permetti, plebeo!-
Scappo di corsa, inseguito da Atsuya.
Non sopporta di essere chiamato così, ma io mi diverto a prenderlo in giro.
 
 

That girl who couldn’t do anything
Improved a little in her cooking.
The brioche she made for snack
Was baked very well

 
 
Percorriamo tutta la strada per la spiaggia, fino ad arrivare al mare.
Il mio amato mare…
Mi fermo a contemplarlo, estasiato.
Pessima mossa.
In un secondo Fubuki mi si schianta contro, facendomi finire in acqua.
- Atsuya! Cavolo, sono bagnato fradicio!-
- Oh, andiamo ,cosa vuoi che sia..-
- Fai presto a parlare, tu. Però poi fare il bucato tocca sempre a me!-
- Mi scusi, delicata fanciulla.-
Tento di affogarlo, invano. È troppo veloce.
 



Dopo un momento di leggerezza torniamo entrambi seri.
- Sei pronto, Fubuki?-
- Si. - 
 
Gettiamo in mare due bottigliette.
Atsuya mi ha detto che ci penserà il mare a consegnarle a chi di dovere.
Lui è solito consegnare al mare un desiderio, scritto su carta.
Io invece…
 

- Dai, Ichirouta, torniamo a casa. -
Atsuya mi prende per mano, trascinandomi via.
 
- Ho freddo, voglio andare ad asciugarmi.- si giustifica.
Ma tanto lo so benissimo che il suo è un tentativo per distogliermi dai miei ricordi.
- Va bene, pestifero.- rido.
Mentre il mio amico mi fa una linguaccia, lancio un ultimo sorriso all’orizzonte.
 





 
“Endou, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata.
Io… ti amo…
Mi spiace, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo di persona.
e.. beh, mi manchi proprio tanto, sai?
Anche se c’è Atsuya con me, che mi fa sentire meno solo, mi manchi terribilmente.
Spero di poterti rincontrare, un giorno.
Fino ad allora… mi aspetterai?



 
A presto, spero.
Il tuo angelo blu.
Kazemaru Ichirouta.”
 
 
 























Angolo del Corvo:


Salve a tutti ^^
Se siete riusciti ad arrivare alle note finali, CONGRATULAZIONI!
*fa volare coriandoli per la stanza*
Vi annuncio che siete sopravvissuti al mio primo tentativo (si, è il primo) di combinare una canzone dei Vocaloid con i personaggi di IE.
Questa, se non si fosse capito, è una EndoKaze.
Ok, per essere la mia prima ff su questa coppia, la trama è piuttosto deprimente.
Chiedo venia.
Il testo è un po' incasinato, se non capite qualcosa della trama perchè non conoscete i Vocaloid allora vi consiglio caldamente di ascoltare la "Saga del Male" (con i sottotitoli ^^).
Se invece conoscete la Saga, ma non ci capite niente lo stesso...
Allora, in quel caso, temo ch sia colpa mia. (potete chiedermi spiegazioni nelle recensioni n.n)
Vi chiedo un favorone:
Come avrete notato, la ff è piuttosto lunga.
Quindi, se notate errori di sorta o scorrettezze di qualsiasi genere, vi prego di dirmelo (e, se possibile, indicarmi anche il punto preciso.)


Per ascoltare la canzone "Daughter of White" (a cui si ispira questo mio umile lavoro) con i sottotitoli in inglese eccovi il link -------->    http://www.youtube.com/watch?v=8f0ljVok71U       

Il video con i sottotitoli in italiano è, invece, qui  ------>     http://www.youtube.com/watch?v=hRqVkxehhMY


Che altro dire.. spero che vi sia piaciuta ^^ 
Raven.
  
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