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Autore: Argento Vivo    10/02/2013    1 recensioni
Quel giorno Noa Francois aveva assistito all’evento più improbabile della sua vita, qualcosa di così assurdo e meraviglioso che avrebbe persino stupido un uomo senza memoria.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il quarto d’ora del pinguino



 
 

 
Quel giorno Noa Francois aveva assistito all’evento più improbabile della sua vita, qualcosa di così assurdo e meraviglioso che avrebbe persino stupido un uomo senza memoria.
Un quarto d’ora, per Francois, era composto da due pensieri ben distinti seppur banali. Ho bisogno di cinque minuti, e, ancora dieci minuti per favore, questi aforismi in saldo, due quotidiani squarci di mediocrità, scandivano gli istanti della sua vita.  ovviamente non era sempre stato così, ed in un lontano passato, prima della malattia che violenta avrebbe strappato brandelli della sua memoria come una iena strapperebbe carne da una carogna, prima dei :giorni d’un quarto, così come gli aveva soprannominati, la sua vita era stata se non migliore certamente meno peggiore.
<> Ripeté convulsamente Francois, mentre con mani tramanti passava al setaccio ogni angolo della casa intento nella sua angosciante ricerca.
 Non metterti a sbattere le ali se sai di essere un pinguino figlio mio.
Questo gli era stato insegnato da suo padre, e questo era stato il suo dogma per un’esistenza intera. Qualsiasi imprevisto avesse mai scorto sul ciglio di quella strada che è la vita, Francois, aveva sempre tenuto ben saldo in testa questo principio, ancorandolo con forza ad ogni sua decisione.  Un lavoro comune, una moglie normale, una macchina poco vistosa, una casa non troppo grande, un figlio e non di più; insomma un perfetto pinguino. Perché questo lui era e così doveva essere.
non era infatti mai esistito un singolo giorno, fra gli anni della sua abulica inesistenza (perché così sarebbe meglio definirla) in cui Francois non avesse pagato con maniacale puntualità le tasse del destino, rendendo conto al quel dispotico responsabile che è il tempo, Svegliandosi sempre puntualmente per inchinarsi al giorno e coricandosi presto per sfuggire ai dubbi della notte.  Insomma, la sua vita era una di quelle vite che certamente non avrebbe faticato ad entrare in una angusta scatola cinese.
         Un giorno poi, come sempre accade a chi non ha mai chiesto nulla, il fato era giunto al suo cospetto; e con il volto comune di un amico lontano e le mani avide di un esattore delle tasse, aveva aggiunto la sua mora.  E fu così che Francois ricordò quella piccola clausola in basso a destra alla trentesima pagina di quel contratto chiamato vita : vivere quietamente non significa morire serenamente.
Così, con il tempo, le cose avevano iniziato ad incrinarsi, rompersi, scheggiarsi e sanguinare, come se quella scatola nel quale aveva con maniacale accuratezza spinto a forza tutta la sua vita, trasportata da un fattorino dalle mani poco gentili, avesse iniziato ad essere lanciata da un punto all’altro del grande rugginoso magazzino del destino.
chissà se sta cantando, si domandò un giorno lontano Francois, immaginando un calvo fattorino dai folti baffi resi paglierini dal tabacco, intonare di gusto un vecchio brano mentre prendeva a calci la sua intera esistenza.
“I am he, as you are he, as you are me,and we are all together”.
      Fu in quell’istante che Francois si rese conto che per quanto potesse lanciare pietre alla sfera di cristallo che con le sue mani aveva calato al di sopra della sua testa le cose non sarebbero cambiate; perché il tempo era sadico e perché la vita ti mostrava la strada migliore solo quando era troppo tardi per poterla imboccare.
    La-sua-memoria-inizierà-a-farle-brutti-scherzi-signor-Francois
questo gli era stato detto il giorno in cui, con occhi sgranati e piccole goccioline di sudore a danzargli sulla fronte, aveva domandato cosa diavolo significassero ed implicassero le parole “disturbi-della-memoria-a -breve-termine”. (Gli era sempre sembrato che i dottori, con quel tono distaccato e privo di emozioni, parlassero come degli androidi). Così compassato e ben educato, come gli era stato insegnato dal re dei pinguini, aveva ringraziato sobriamente ed era uscito dallo studio medico per dirigersi verso casa. E se malgrado tutto all’esterno dei suoi pensieri sembrava totalmente sotto il più rigido dei controlli, sotto il suo invisibile cristallo, e più ancora, sotto la pelle madida di sudore, Amadeus stava urlando.
ha in mente la sua casa mister Francois? È mia. Gli aveva sussurrato alle orecchie quella fottutissima brutta sorpresa.
Ha in mente sua moglie? Anche.
La sua macchina, la sua vita, il suo destino, persino il futuro del suo simpatico ragazzo, è tutto mio.
La morte… quella posso anche cedergliela, ma la avverto, chi a tempo non aspetti tempo.

        Questo era ciò che il suo sgradito ospite gli aveva comunicato quel giorno e questo sarebbe stato quanto avrebbe udito Noa Francois per il resto della vita. Perché ormai non era altro che una pattumiera stracolma a tal punto che qualsiasi cosa ci si sarebbe gettato all’interno avrebbe strabordato con provocatoria ineluttabilità; La sua vita si era tramutata in una collezione di ergastoli spedita direttamente a casa in pratiche confezioni riciclabili.
E così con la malattia avvinghiata ai suoi calcagni, le unghie sporche di maledizioni e l’alito della morte, il vecchio perfetto pinguino era stato sbranato da una di quelle affamate foche dallo sguardo vacuo.
         <> gridò imbizzarrito Francois.
        Quella mattina di un rovente ed afoso agosto l’ombra dell’uomo che credeva di essere un pinguino si era svegliata puntuale come sempre.
Erano passati molti anni dal giorno in cui aveva scoperto che con il tempo i suoi ricordi si sarebbero irranciditi come del latte scaduto ed ora con il passare dell’età (e dei ricordi) soltanto un quarto d’ora gli era rimasto, che tortura o meno, sembrava proprio l’angolo strappato di una vecchia foto sbiadita, un quarto d’ora della sua difettosa memoria a breve termine, che come l’orologio di un cappellaio, avrebbe scandito il passare dei suoi istanti, mentre tutto ciò che era, lo tormentava senza decidersi ad abbandonarlo.
      Una copia di grandi speranze di Charles Dickens poggiava sul comodino di fianco al suo letto. Nei mesi prima dell’aggravarsi della malattia l’aveva comprato ad un buon prezzo ad uno di quei mercatini dell’usato, le pagine erano logore e la copertina stinta ma a quel libro lo accomunava un intimo desiderio: concluderlo prima del giorno in cui non sarebbe più nemmeno riuscito a tenere in mano una lametta da barba. Grandi speranze appunto. Così l’aveva acquistato, iniziato… e mai concluso. Ed ora quel capolavoro Dickensiano, dall’alto del suo comodino, come farebbe un padre deluso, lo scrutava colmo di pena, Sbattendogli in faccia il fallimento delle sue grandi speranze.
    Francois si alzò con fatica dal letto, e constatando che la schiena sembrasse fatta di vetro, si chiese quanti istanti fossero passati dall’ultimo chiaro ricordo, e così, conscio del fatto che se avesse voluto ricordare che mese giorno o anno fosse, avrebbe dovuto leggere il suo prezioso diario del tempo oscatola nera o qualsiasi cosa che lo facesse sentire ancor più impotente, si diresse assonnato al bagno (che grazie al cielo ricordava ancora dove fosse, compreso il piccolo scalino a trappola mortale che gli sostava davanti) e li sulla mensola posta vicino allo specchio, specchio nel quale, giorno dopo giorno, faticava sempre più a riconoscersi, aveva trovato le sue parole e gli appunti che gli sarebbero serviti per affrontare la giornata.
il giorno in cui mi vedrò ridotto a una rugosa tartaruga, si disse, giuro che mi spaccherò il guscio a martellate.
   Il diario del tempo era diventato ormai uno strumento indispensabile per Francois, che con la sua calligrafia sghemba e quella precisa di sua moglie dettava le coordinate per sopravvivere a quella giungla che era diventata la sua quotidianità. Il suo aereo di linea numero 666 si era schiantato sulla merdosissima isola di Lost.

2 marzo

Amore sono uscita per fare la spesa, il caffè è già proto sui fornelli (ricordati di segnare quando l’hai bevuto, altrimenti finisce come l’ultima volta), nostro figlio vive da solo ormai da parecchio tempo, il numero di casa sua è sull’agenda rossa con il maialino che sorride. A fra poco
ti amo


la regola che si diedero, anni prima, quando tutto stava per iniziare, la sala era ancora mezza vuota e sullo schermo davano il riassunto delle puntate precedenti, fu semplice e chiara: gli anni che passano non sono affar-nostro. “Se non passeranno per te” gli disse quel giorno sua moglie, “non passeranno nemmeno per me”.
Francois sapeva che quella frase per quanto fosse terribilmente romanica avrebbe soltanto riguardato gli angoli bui della sua prigione, ma non ribatté. Forse sarebbe sembrato un egoista, ma non aveva il coraggio di dirle: vivi la tua vita amore mio, dimenticami come io dimenticherò te, od un’altra serie di frasi da duro del cinema. Lui era terrorizzato e senza sua moglie lo sarebbe stato ancora di più. Ecco in cosa si era ridotto, pensò come ogni mattino ed ogni quarto d’ora della sua vita, un uomo che non ricorda più il suo volto e cerca il numero del figlio su un’agenda con un maiale sorridente. Così Francois si fece la barba (quella era un’abitudine dura a morire anche per un uomo senza memoria) e mentre scaldava il caffè, inebriato da quell’aroma mattutino, si disse che: fosse sincero o meno quel ti amo di sua moglie, per lui era di vitale importanza.
    Fu lì che accadde, in quell’istante, con la tazzina di caffè fumante fra le mani, Francois “vide” e ciò che vide cambiò per sempre la sua vita, o almeno il suo stretto quarto d’ora, e fu per quello che ora, dopo la visione che per ben tredici minuti l’aveva rapito, cercava disperatamente una penna ed un foglio di carta imprecando contro tutto e tutti. Aveva visto e doveva ricordare ad ogni costo.
     Quando accadde e la visione lo invase il tempo sembrò dilatarsi e come la voragine di una stella che esplode inghiotte la luce la realtà inghiottì lui.  Chiunque avesse visto Francois vivere quell’esperienza fuori da ogni logica forse non avrebbe notato nulla se non un uomo di sessant’anni in procinto di morire d’infarto, e se avesse notato qualcosa, di certo, non sarebbe stato comparabile a ciò che vide Francois. Perché ora i suoi occhi non avevano senso e le sue mani, le sue labbra ed i suoi brividi vedevano per lui. Tutto fu incredibilmente intenso e trascendentale.
    Non era mai stato religioso, aveva sempre reputato la religione una discreta medicina immaginaria contro il mal di solitudine e la paura dell’oblio, nulla di più.
hai paura di morire? La tua anima non morirà mai.
hai paura di soffrire? La tua anima non soffrirà
hai paura di aver paura? Prega.

Un dio dalla barba bianca buono e onnipotente (che tanto gli ricordava il Gandalf di Tolkien) gli era sempre sembrato un paradosso un tantino in’ applicabile; per non parlare di Adamo ed Eva o il paradiso e l’inferno.
un tantino semplicistico insomma.
Perciò Francois non si era mai posto troppi interrogativi sull’origine della vita o misteri dell’universo, lui, che di grandi domande ne aveva abbastanza, si limitava semplicemente ad ammettere di non sapere e magari talvolta, avrebbe voluto consigliare a chi sembrava matematicamente certo dell’assurdo, di fare altrettanto.
In ogni caso, qualcosa, che non era né scienza e ne religione, quel mattino aveva donato ad Francois qualcosa di dissimile, profondo, meravigliosamente chiaro e soprattutto… vero.
Ciò che aveva visto era la verità resa ai sensi, qualcosa che avrebbe potuto spiegare qualsiasi cosa e rispondere ad ogni domanda, ed il fatto che non si fosse mostrata agli occhi era già di per se rivelatorio.
Aveva visto cose che mai nemmeno aveva immaginato ma malgrado questo era riuscito ad identificarle chiaramente come se fosse la più logica delle conclusioni, aveva capito con la disarmante semplicità con il quale un matematico avrebbe risolto un’addizione ed ora non poteva permettersi di dimenticare… non questa volta.
      <> gridò l’uomo al quale il tempo di certo non veniva in soccorso. << come diavolo è possibile che quando cerchi una penna in questa maledetta casa, una penna ed un merdosissimo pezzo di carta, sembra siano introvabili>> questi ricordi erano risalenti al passato, ma erano più che mai veritieri, quante volte aveva ripetuto quella frase Francois o un qualsiasi altro individuo del pianeta terra, quante volte tutto ciò che si bramava sembrava smaterializzarsi nell’oblio. Ma non ora, non di nuovo. Quel maledetto mostro viscido ed affamato, che si era portato via una parte del suo passato e tutto ciò che gli restava del presente, non poteva prendersi anche questo. Non poteva ciondolare famelico per casa sua agguantando anche ciò che non gli spettava. Doveva scrivere ciò che aveva visto.
     Fu allo scoccare dell’ultimo minuto di autonomia che Francois trovò un post-it (il diario gli era caduto accidentalmente nel lavandino mentre si radeva, ed il lavandino, per confermare la legge di Murphy, era colmo d’acqua) ed una vecchia penna stilografica miracolosamente non scarica persa fra il disordine di quella che un tempo era stata la sua scrivania. Ok, si disse, ok, ci sei Noa, ora libera il cervello, dimentica i pinguini e scrivi quello che hai visto.
     Ma in quell’istante, mentre i secondi scorrevano inesorabili, l’uomo si rese conto che non aveva parole per descrivere quella meravigliosa visione. Nessuna espressione o nome, soltanto un’immagine ed un’eterna consapevolezza di pace e verità. Noa Francois aveva scoperto il senso della vita, aveva trovato risposta alla grande domanda, ma non trovava una semplice parola per poterlo descrivere. <> imprecò scagliando la penna lontano da lui, lontano da tutta quell’impotente rabbia.
     I secondi scorrevano ed il tempo marciava ad una musica tutt’altro che trionfale. << non posso, non posso>> ripeteva con occhi lucidi sentendo le ombre della sua malattia allungarsi per ghermirlo con l’artiglio del mostro affamato.
    Cercava disperatamente una parola, quella parola, ma tutto era troppo confuso, e la sua maledetta clessidra non faceva che complicare il tutto. I granelli di sabbia precipitavano dall’alto e ad ogni collisione con il suo smemorato cuore gli infierivano feroci pugnalate al petto. Il mostro avido e spazientito voleva i suoi ricordi.
     Doveva concentrarsi, si disse, doveva chiudere gli occhi e cercare negli scompartimenti della sua memoria, ciò di cui aveva disperatamente bisogno. Doveva giocare a cassetti, dividere la sua mente in scompartimenti e cercare dentro di essi, proprio come faceva da bambino quando giocava a cose nomi animali. <> sussurrò premendosi le tempie pulsanti.
    Gli sembrava di esplodere, gli sembrava che di lì a poco, per la pressione inflitta dal suo trafugare nei ricordi, gli occhi potessero sgusciargli fuori dalle orbite per rimbalzare sulle assi in parquet della sala. <> improvvisamente trovo ciò che cercava. <> gridò soddisfatto. Forse non era poi così un relitto, si disse.
sì, era una parola con la v… ed ormai mancava davvero pochissimo perché il mostro lo raggiungesse.
     E poi, mentre il terrore che il tempo fosse per lui scaduto urlava distraendo la sua ricerca, d’improvviso, con la peculiarità che differenzia le idee geniali da quelle folli, mentre ovattato dal silenzio dei ricordi si sentì non più solo ed impotente, trovò la risposta che cercava e nello stesso istante scoprì che la penna stilografica, scagliata con rabbia pochi secondi prima, si era frantumata contro la carta da parati ed ora l’inchiostro ne sgorgava dal fusto come fosse sangue.
preso da un sacro furore non si lasciò scoraggiare ed ormai in trance dispose i post-it gialli sul pavimento ed intingendo le dita nell’inchiostro della penna esangue scrisse e con mani tremanti si accinse a fermare tutta quell’immensa consapevolezza fatta di realtà, colori, dimensioni e vita.
    L’indice si posò con delicatezza su quel primo post-it superstite da stupidi appunti, l’inchiostro ne avvolse sensualmente la carta e da quell’eterna storia d’amore e poesia ne scaturì la verità, piangendo con forza e richiamando a gran voce il suo posto nel mondo. Nero su giallo.
      I post-it si seguirono in un intricato puzzle grammaticale, come i vagoni di un treno diretto verso l’immenso, fino a che Francois, il conducente di quella magica locomotiva, con le dita ormai grondanti d’inchiostro smise improvvisamente di scrivere e con gli occhi gonfi di lacrime (lacrime che non ricordava di aver pianto) si chiese cosa diavolo stesse facendo seduto per terra con quei post-it disposti davanti a se che tanto gli ricordavano una di quelle assurde opere d’arte contemporanea

Ho visto le v

Recitavano nella sua sghemba calligrafia.Strana frase a metà si disse Francois.
    E fu così che sei post-it incompleti dopo l’ultima lettera nascosero all’uomo la più grande delle verità, lasciando incompiuta quell’inquietante asserzione misteriosa.
Noa Francois non ricordava più nulla e si chiese perché stesse scrivendo con le dita intinte nell’inchiostro e soprattutto se avesse già bevuto il suo caffè.


 
 
 
 
 
 
 
  
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