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Autore: Wendy96    10/02/2013    3 recensioni
Charly non è una ragazza come le altre. È dall’età di 14 anni che si trova a combattere sola contro il mondo abbandonata da tutto e tutti, ma proprio quando pensa che per lei sia la fine, che tutti i suoi errori le si torcano contro, incontra qualcuno che le cambierà la vita con pochi piccoli gesti, qualcuno che riuscirà a salvarla. Quel qualcuno è Harry Styles.
Dal cap. 17: -...un rumore sordo echeggiò nell’aria e lui sbarrò gli occhi trattenendo il fiato prima di accasciarsi a terra davanti ai miei occhi. Non riuscivo a capire: vedevo gente disperata correre verso di noi o nascondersi. Harry era a terra e, come in un flash, vidi sul lato apposto della strada un uomo incappucciato tenuto fermo da alcuni passanti...-
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Harry:
Eravamo appena tornati dal tour in Australia e finalmente potevamo rilassaci un po’.
Mi ero comprato una bell’appartamento a Primrose Hill, nella zona nord di Londra, che io e i ragazzi avevamo inaugurato facendo un enorme party, e la sua posizione era talmente comoda che ogni sera uscivamo a fare baldoria in giro.
Non sembrava che ci fosse nulla di nuovo quella sera, era cominciata esattamente come tutte le altre, stava scorrendo rapida ed offuscata come le altre, non avevo il minimo sospetto che qualcosa sarebbe potuto essere diverso…
Faceva caldo, terribilmente caldo in quel cavolo di locale e io non ci capivo più niente per via l’alcool in circolo nel mio corpo. Avevo esagerato, ne ero consapevole, ma la sensazione di perdita del controllo ed onnipotenza sono un tentazione troppo alta per rinunciarvi.
Presi la bottiglia mezza vuota che c’era sul tavolino per buttare giù l’ennesima lunga sorsata del suo contenuto, ma Liam mi bloccò il braccio tirandomelo verso il basso contrariato dal mio gesto.
«No, Harry! Ne hai già bevuto abbastanza.»
«Non rompere, Liam!» dissi tentando comunque di portarmi la bottiglia alle labbra, ma lui me la tirò via dalle mani con uno strattone. Lo guardai con odio e me ne andai dandogli uno spintone.
Ero sudato marcio, faceva un caldo insopportabile, i bassi mi stavano trapanando il cervello, ero infuriato con Liam e per di in più ne avevo abbastanza delle fans che mi si appiccicavano addosso ogni tre per due domandandomi un bacio.
Volevo solo un po’ di pace e freschezza. Volevo il completo nulla.
Decisi di uscire dalla porta sul retro per non farmi seguire da nessuno per quanto questo potesse risultarmi abbastanza difficile in quanto sbattessi contro qualunque cosa mi si parasse davanti e, ammettiamolo, sono comunque quello che sono, uno come me non passa certo inosservato.
Quando finalmente riuscì ad arrivare alla porta tagliafuoco che dava sul retro, spinsi forte il maniglione antipanico e raggiunsi l’esterno. Ero libero.
Subito i miei polmoni si riempirono del odore acre dell’asfalto bagnato e delle goccioline mi scesero fresche sul viso.
“Finalmente un po’ di pace” pensai lontano da quella massa. Non c’erano più la musica sparata a palla che ti rimbomba nelle orecchie, la gente che ti sbatte addosso, le ragazze pronte a tutto e l’odore dell’alcool, in quel momento regnava finalmente la pace, il “silenzio” e… un grido?!
Un piccolo urlo echeggiò poco distante da me. Subito pensai che fosse solo nella mia testa, un brutto scherzo dell’ebrezza o un fischio alle orecchie, eppure mi era apparso fin troppo nitido, troppo reale…
Seguii il mio istinto e mi mossi a passi incerti nella direzione in cui mi era sembrato provenisse.
Poco dopo soggiunsero delle voci: una giovane donna e un uomo stavano discutendo piuttosto animatamente, e lui le urlava contro parole non proprio adatte ad una ragazza.
Continuai a barcollare guidato da quei suoni fino ad arrivarne all’origine: vidi lei accasciata a terra a contorcersi sotto la presa di lui intorno al suo piccolo polso, e poi la figura di spalle dell’uomo, di un’ombra, che continuava ad urlarle contro ignorando i suoi lamenti sommessi o l’espressione di dolore sul suo volto.
Mi sembrava tanto indifesa, così spaventata.
L’uomo alzò il tono della voce aggredendola a parole forti poco prima di passare dalle semplici minacce a colpirla al volto senza darle la possibilità di reagire.
Fu a quel punto che persi le staffe decidendomi ad uscire fuori dal mio “nascondiglio” e mi rivolsi a lui con tono duro ma calmo. «Ehi, ma non te l’ha mai insegnato nessuno che le donne vanno trattate con rispetto?»
«Che cazzo vuoi, ragazzino? Tornatene dalla mamma che è meglio» mi rispose voltandosi a guardarmi smettendo di colpirla.
«Lasciala andare» sbottai avvicinandomi a loro. Notai che alla ragazza sanguinava il labbro inferiore e che aveva alcuni lividi sul viso. Mi guardava terrorizzata.
«Sto sistemando delle questioni in sospeso con la mia amica, quindi non intrometterti, okay?»
«No» dissi secco.
La mia determinazione lo irritò al punto da dedicarsi interamente a me lasciando andare lei che si strinse il polso nell’altra mano e sgattaiolò distante dal suo aggressore.
Rise in tono di beffa mentre mi si avvicinava minaccioso. «Hai fatto la tua parte da eroe, bravo, ma ti ho detto di andartene, chiaro?»
Cercai di guardarlo negli occhi, di capire chi si nascondesse sotto all’ampio cappuccio nero, ma ciò che vidi fu solo una maschera di disprezzo e rabbia, la faccia di un’ombra. Non potevo cedere.
«No.»
«Forse non ci siamo capiti bene.» Mi prese per il collo della maglietta e alzò il pugno in direzione della mia faccia con fare di minaccia, ma io non esitai.
Mi ero sempre tenuto fuori dai guai, eppure quella volta mi sentii pronto a tutto.
«No, Chris! Lui non c’entra niente!» urlò lei ancora a terra.
L’uomo passò il suo sguardo dal mio viso a quello di lei, poi mi tirò un pugno sullo zigomo destro tagliandomi con il grosso anello che aveva sull’anulare. E poi l’ombra sparì, sentii i suoi passi sempre più distanti e poi il silenzio tornò padrone della strada.
«Dio!» esclamai buttandomi a terra tastandomi la guancia.
«Mi dispiace!» disse lei correndo verso di me trascinando la gamba sinistra. «Mi dispiace molto, perdonami!»
«Quello non è un uomo, è una bestia, cazzo!»
Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi chiari e pesti. Aveva il viso molto scavato, parecchi lividi e tagli, e mi sembrava pallida.
«È solo un violento. Ma perché lo hai fatto?» Era stupita, ma il suo sguardo mi lasciava intendere che mi fosse grata per essere intervenuto. «Guarda come ti ha ridotto!»
Si strappò un pezzo della maglietta logora che aveva addosso e mi tastò delicatamente il viso per asciugare il sangue caldo che sgorgava dalla ferita come un fiume in piena.
«Per aiutarti. Ahia!»
«Scusami» disse allontanando il lembo della T-shirt ora macchiato di rosso.
«Pensavo che ti avrebbe fatto qualcosa di brutto, mi sembravi così indifesa.»
«Indifesa? Io?! Hai sbagliato persona, ragazzino!»
«Non sono un ragazzino!» obbiettai.
«E io non sono indifesa! Me la so cavare anche da sola. Comunque grazie…»
«Harry. Mi chiamo Harry»
«Grazie, Harry. Ti devo un favore.» Si alzò in piedi e si allontanò zoppicante.
«Dove pensi di andare in questo stato?» Emulai il suo gesto affrettandomi a raggiungerla e la fermai prendendole la mano, la sua manina tanto delicata.
«A casa, mi sembra ovvio» disse seccata.
«In questo stato? Non credo proprio» obbiettai scuotendo il capo.
«E dove dovrei andare? Ho bisogno di un letto, devo sdraiarmi.»
«Ma se non riesci nemmeno a camminare! Lascia che ti porti in un ospedale.»
«Stattene al tuo posto, hai fatto abbastanza l’eroe per oggi.»
D’istinto la sollevai da terra ed uscii da quel vicolo tornando in strada, poi chiamai un taxi e ce la misi dentro nonostante continuasse a scalciare, agitarsi e a urlare che la stessi rapendo.
Bloccai le porte. «Così non potrai uscire» dissi soddisfatto.
«Ma che cosa vuoi da me?! Voglio andare a casa!» urlò prendendomi a pugni.
«Voglio solo che qualcuno ti visiti! Guarda come ti ha ridotta quello stronzo!»
Lei abbassò lo sguardo e tacque mentre io presi il telefono e mandai un messaggio a Liam dicendogli che stavo andando a casa per un contrattempo. Gli avrei spiegato tutto il giorno dopo.
Ci vollero circa tre ore prima che ci lasciassero uscire dall’ospedale e ci riempirono di domande sull’accaduto (penso che mi ritenessero colpevole, che l’avessi picchiata io).
«Menomale che ti ho portata qui, hai una brutta distorsione alla caviglia sinistra e una costola inclinata, ti servono dei medicinali!» dissi aiutandola a salire sul taxi.
«Sai che roba, ne ho viste di peggio… Secondo me mi hai trascinata qui solo per farti vedere quel brutto taglio sul tuo bel faccino pulito.»
Ogni minuto che passava diventava sempre più scontrosa e arrogante.
«No, sono davvero preoccupato per te e poi, sai com’è, non volevo nemmeno che il mio taglio s’infettasse né che mi rimanesse il segno.» Adesso che ero finalmente lucido, tutto il mio “coraggio” era sparito.
Tacque di nuovo finché non passammo nuovamente davanti al locale.
«Lasciami qui. Tornerò a casa da sola» disse cercando di aprire la portiera del taxi (che io avevo fatto di nuovo bloccare).
«Cosa?! Non se ne parla! Mi hanno chiesto di tenerti in osservazione almeno per questa notte. Non vai da nessuna parte.» Ero maledettamente serio.
«Ma non posso, devo tornare a casa!» Sembrava preoccupata.
Le porsi il mio cellulare. «Chiama chi vuoi. Questa notte la passerai da me. Non fraintendere, non ho cattive intenzioni, sono solo molto preoccupato per te.»
Rimase un attimo a guardarmi con occhi gelidi, poi prese il telefono e mandò un messaggio.
«Ma perché ti prendi tanta cura di me? Non sai chi sono ne sai nemmeno il mio nome. Potrei essere chiunque: una ladra, una prostituta, anche una serial killer!»
«Mi sento in colpa. Se fossi uscito un po’ prima non ti avrebbe ridotta in questo stato.»
Smise di parlare a vanvera e si concentrò sul display del telefono sul quale digitò con mani tremanti.
«Grazie» disse flebile ridandomi l’apparecchio, poi appoggiò la testa contro il finestrino e chiuse gli occhi chiaramente esausta per gli avvenimenti di quella notte.
Una volta arrivati davanti a casa mia, la aiutai a salire le scale del palazzo guidandola fino al mio appartamento.
«Allora» cominciai a parlare dopo essermi chiuso la porta d’ingresso alle spalle, «lì in fondo c’è il bagno e alla nostra destra la mia camera. Per stanotte la cedo a te. Tranquilla, dormirai da sola. Ti prendo qualcosa per cambiarti.» Mi diressi verso la mia camera.
«Mi basta una maglietta» mi urlò lei appoggiandosi al divano.
Non appena le porsi la maglietta, si chiuse in bagno e quando ne uscì mi accorsi che non aveva solo il viso scavato, era chiaramente sottopeso. Si era sciacquata la faccia pulendosela per bene, si era tirata indietro i capelli color cioccolato in una lunga treccia e indossato la maglietta bianca cha le avevo dato. Rendeva la sua carnagione ancora più scarna.
Mi soffermai a guardarla: il viso era tumefatto, aveva delle profonde occhiaie e l’aria affaticata ma, nonostante tutto, restava comunque molto carina.
«Hai fame?» le chiesi gentilmente in quanto mi desse l’impressione che non mangiasse da giorni.
«No» rispose scontrosa, «ho solo un po’ di sonno. Vado a dormire.»
Si diresse zoppicando verso la camera e, mentre stava per chiudere la porta, la fermai dicendo «Aspetta! Non so nemmeno il tuo nome!»
«Charly. Chiamami Charly e basta.» Chiuse la porta con un tonfo e sentii la serrature scattare.
Mi sdraiai sul divano. La sbornia mi era completamente passata ma mi era venuto quel tipico mal di testa che ti rimane dopo che ti sei scolato praticamente da solo almeno una bottiglia di non so cosa, ma era piuttosto forte.
Sonnecchiai circa una mezz’oretta prima di sentire dei rumori fuori dalla porta: erano arrivati gli altri.
Louis e Zayn andarono dritti nella camera degli ospiti e si buttarono sul letto. Non appena misero la testa sul cuscino piombarono in uno stato di catalessi istantanea, come fanno i bambini quando sono molto stanchi. Niall, invece, si buttò sul divano continuando a dire «Quello stronzo del buttafuori mi ha fottuto le chiavi della macchina!»
Liam, dopo aver chiuso la porta d’ingresso, mi lanciò qualcosa e capì: Niall era così ubriaco da non essersi nemmeno reso conto che “lo stronzo” col quale aveva discusso fosse Liam.
«Perché quel messaggio, Hazza? Cos’hai fatto alla faccia?! È successo qualcosa?» disse allarmato iniziando a toccarmi la faccia.
«A me niente di grave, è solo un graffio. Sono uscito dal locale per prendere un po’ d’aria e ho visto un uomo che picchiava una ragazza, così l’ho difesa.»
«Cosa?» Sul suo viso lessi un misto di confusione e rabbia.
«È come ti ho detto, domattina ne riparliamo.»
«E lei sta bene?» Se prima era preoccupato, oh, sentendomi tagliare corto in quel modo i suoi occhi si riempirono quasi di terrore per la ragazza stesa nel mio letto.
«È di là» dissi indicando la mia stanza, «ho insistito per portarla qui.»
«Non ha niente di grave, vero?»
«Solo una distorsione e una costola inclinata.»
«Solo…» mi fece eco serrando duramente la mascella. «Alcune persone sono proprio delle bestie. Menomale che sei uscito e l’hai aiutata. Hai avuto fegato, Styles.»
«Già. Ora aiutami a portare il biondo a nanna, non ce la faccio più a sentirlo parlare!»
Alzammo Niall di peso e lo portammo in camera con gli altri, poi aprimmo il divano letto e, finalmente, potei chiudere gli occhi ormai affaticati.
 
Era una notte come tante altre, solo che questa volta l’alcool non mi aveva solo fatto fare cazzate, mi aveva fatto salvare qualcuno che ne aveva bisogno. Avevo salvato Charly.
  
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