Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: Chara    10/02/2013    6 recensioni
Phoebe è una semplice ragazza inglese, dal carattere un po' spigoloso e una modesta esperienza di uomini imbecilli. L'incontro con Joseph Morgan le aprirà gli occhi su quanto non sia il caso di fare di tutta l'erba un fascio, anche se ci vorrà un bel po' di tempo prima che il suo cervello accetti che quella che prova nei confronti dell'attore non è semplice attrazione fisica.
STORIA DA REVISIONARE!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joseph Morgan, Joseph Morgan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

XXIII

 

 

 

Prendere la metropolitana con il buio non era mai stata la mia massima aspirazione nella vita, soprattutto se mi trovavo a doverci salire completamente da sola ed ero diretta verso un luogo che non mi piaceva affatto – forse ancora meno della sporca stazione della metro con i vari personaggi poco raccomandabili del caso, che sembravano spuntare come funghi quando calava il sole. Più volte mi ero domandata se tutto ciò avesse a che fare con il vampirismo, e in quell’ultimo periodo mi ero sentita ancora più ridicola con quell’idea in testa, e anche un po’ imbarazzata all’idea che Joseph lo scoprisse. Sapevo che era inutile, perché non poteva entrare nella mia testa – o forse mi leggeva come un libro aperto? –, ma i vampiri erano comunque un concetto legato a lui, e non volevo dargli l’ennesima occasione per pavoneggiarsi e considerarsi il centro della mia esistenza.

Strinsi a me la borsetta e tirai dritto per la mia strada senza nemmeno guardarmi attorno, senza titubare un attimo. Ed era lo spirito giusto, dannazione! Dovevo essere un po’ coraggiosa e dovevo anche sbrigarmela in fretta prima che la metropolitana chiudesse e fossi costretta a telefonare al sopracitato Joseph per farmi venire a prendere in qualche modo, cosa che avrei in tutti i modi evitato di fare: sarebbe stato come ammettere una sconfitta.

Alzai lo sguardo quando giunsi a destinazione: un imponente palazzo rosso mattone si stagliava davanti ai miei occhi, dominando tutta Longford Street, minaccioso come un temporale all’orizzonte. E a ben vedere rappresentava una minaccia anche per me, che avrei preferito scappare a gambe levate invece di suonare il campanello e puntare con orgoglio e arroganza gli occhi nel videocitofono. Non rispose nessuno, ma il portone scattò quasi immediatamente per permettermi di entrare.

Ricordavo bene la strada che portava all’attico illuminato di quel palazzo. Si vedeva una buona fetta di Londra, ma sicuramente non veniva valorizzato come avrebbe potuto. La donna che ci viveva non aveva quell’abilità e il gusto che avrebbe avuto chiunque altra con a disposizione un budget così consistente.

Sospirai, specchiandomi nell’ascensore. Non avevo detto proprio tutta la verità a Joseph, dato che lui non sapeva cosa stessi per fare, o meglio non sapeva come avessi intenzione di farlo. Ma conoscevo i miei polli, sapevo come andavano prese certe persone e dirglielo non rientrava nei piani per far parlare chi di dovere. Così come non sarebbe stato di utilità alcuna comportarmi diversamente da come avevo intenzione di fare.

Presi un sospiro prima di aprire la porta, lasciata accostata apposta per me. La luce del corridoio era fievole, era piuttosto da considerare una penombra, e dava una sensazione di irrequietezza accompagnata al tonfo sordo dei miei tacchi sulla moquette scura.

Che poi, per quale motivo c’era un corridoio? Quella porta era l’unica su tutto il piano, e l’appartamento era davvero enorme. Sarebbe stata molto più utile una porta appena fuori dall’ascensore, o l’ascensore che si apriva direttamente nell’ingresso, proprio come nei film. Scossi il capo: non era di mia competenza ottimizzare gli spazi là dentro. Dovevo solamente fare in fretta per tornare tra le braccia sicure di quel seccatore di un attore damerino.

«Phoebe» la sua voce mi accolse quando finalmente varcai la soglia, mentre una voce nella mia testa continuava a ripetermi quanto sarebbe stato meglio se per una volta avessi ascoltato Joseph, invece di buttarmi a capofitto in una situazione stupida come poche. E perché Amber non si era svegliata per dargli manforte? Anzi! Perché si era addormentata? Lei non dormiva mai prima di mezzanotte, aveva un orologio biologico spudoratamente assestato. Ma la mia vita era sempre stata un insieme di coincidenze sbagliate, quindi perché me ne stupivo proprio in quel momento?

«Ciao» risposi atona, guardandomi intorno. L’arredamento era sempre sui toni del bordeaux, moderno e minimale. E non avevo cambiato idea dall’ultima volta, faceva sempre schifo.

«Smettila di guardarti attorno con quell’aria disgustata» mi apostrofò, una lattina di birra tra le mani grandi ed evocative. Per me, per ciò che avevo provato.

«Scusa – sogghignai, prendendo a muovermi lentamente per esaminare i libri sulle mensole. Ero troppo spavalda, quella situazione si sarebbe ritorta contro di me – Ma lo sai come la penso, l’hai sempre saputo.»

«Mia sorella ha un pessimo gusto, non è mai stato un mistero per nessuno – concesse con tono ossequioso, avvicinandosi come una tigre alla sua preda. Era incredibile, stavo già perdendo terreno e, maledizione, se si fosse avvicinato ancora un po’ avrei perso anche la libertà di movimento – Ma c’è da dire anche che, quando venivi qui, non eri mai molto presa ad osservare l’ambiente.»

«Dave – sibilai, assottigliando gli occhi e bloccando improvvisamente ogni mio movimento per concentrare tutta la forza nello sguardo, sempre nel tentativo inutile di incenerirlo sul posto – Vattene al diavolo.»

«Che gattina scontrosa – ridacchiò divertito, arrivando a sfiorarmi la guancia con due dita – Cosa ci fai qui? Sei venuta solo per mandarmi al diavolo?»

«Sono venuta a darti quella possibilità che mi chiedevi un po’ di tempo fa, ma è difficile non pentirmene quando mostri quella faccia da schiaffi. Mi chiedo perché voglia provarci ugualmente» mormorai lieve, cambiando di nuovo tono della voce. Lo stavo confondendo, si leggeva a chiare lettere sul suo volto e non avrei potuto chiedere di meglio.

«Non ti credo» decretò dopo un lungo momento di silenzio. Però… allora non era ancora così citrullo.

«Fai come ti pare» replicai subito con un’alzata di spalle, facendo dietrofront per avviarmi nuovamente alla porta. Stavo rischiando, se davvero non mi credeva mi avrebbe lasciata uscire da quella porta senza dire nulla e avrei perso l’unica occasione per fare di testa mia. E forse stavo peccando di presunzione nel credere davvero di piacergli, ma ero lì e tanto valeva giocarmi il tutto per tutto.

«Ehi, no – mi bloccò per un gomito, facendomi girare verso di lui – Aspetta.»

I suoi occhi, neri come la notte, mi fissavano forse cercando di carpire qualcosa dal mio sguardo. Ma ero determinata a vincere e non avrebbe cavato un ragno dal buco. Tanto più che di me non ci aveva mai capito niente.

Infatti sembrò crederci, perché avvicinò il viso al mio fino a far sfiorare i nostri nasi. Sentivo il suo respiro bollente sulle labbra e sapevo che presto sarebbe arrivato anche il suo bacio.

«Dave – lo interruppi prima che potesse raggiungere il suo scopo e sorrisi – Ho fame.»

«Cinese?» replicò dopo un lungo momento di silenzio in cui mi chiesi, tra le altre cose, che diavolo gli frullasse per la testa. Sicuramente non pensieri poetici e filosofici perché, nonostante ne fossi stata follemente innamorata per un po’, ero pienamente consapevole che in realtà non fosse quel gran cervello che poteva sembrare dall’esterno. Beh, in realtà nemmeno dall’esterno. Se fossi stata americana, lo avrei sicuramente considerato come il classico capitano della squadra di football del liceo.

«Lo odio, come diavolo fai a non ricordartelo ogni dannata volta?» sibilai infastidita, alzando gli occhi al cielo. Avevo avuto l’ennesima dimostrazione di quanto fosse limitato. Stentavo persino a credere che lo fosse così tanto.

«Allora dimmi tu cosa vuoi» insistette, ignorando palesemente la mia stizza. Non capivo a che gioco stesse giocando: non sembrava impegnarsi per riconquistarmi, non sembrava nemmeno che avesse capito la reale portata di ciò che gli avevo detto. O forse, più semplicemente, non gliene importava più niente.

Eppure era stato lui stesso a rincorrermi per tanto tempo nonostante, con quella faccenda dello scoop e delle foto, il secondo fine fosse con tutta probabilità diventato il primo, e quello di riconquistarmi solamente un divertente effetto collaterale.

Non riuscivo a capire cosa frullasse nella sua orrenda testa da microcefalo e mi detestai perché gli stavo permettendo di nuovo di destabilizzare la mia povera psiche anche quando avrei dovuto avere io il coltello dalla parte del manico.

«Messicano» sibilai, agitando una mano forse per scacciare i pensieri poco incoraggianti che mi affollavano la mente. Avrei voluto rispondergli che volevo i negativi delle foto che mi aveva fatto insieme a Joseph, oppure anche solo la chiave di quello stanzino idiota dell’università. Se invece avessi potuto esprimere tre desideri avrei anche aggiunto che sparisse per sempre dalla mia vita, portandosi anche dietro quella smorfiosa di sua sorella e l’imbecille del mio capo che non mi pagava gli straordinari e che, guarda caso, era proprio suo amico.

Mentre Dave si chiudeva in bagno per telefonare, presi ad aggirarmi per l’ampio salotto nel tentativo di esaminare ogni pessimo dettaglio che esprimeva il gusto di Tiana. Tuttavia riuscii a muovere solamente un paio di passi prima che un’orribile consapevolezza mi piombasse addosso: non aveva senso chiudersi in bagno per telefonare al ristorante messicano, stava per forza di cose chiamando sua sorella. Così accostai l’orecchio alla porta e rimasi in ascolto, mentre con gli occhi continuavo a vagare alla ricerca di un qualsiasi indizio che mi potesse salvare da quella situazione idiota in cui mi ero buttata a capofitto.

«Ti ho detto che è qui nel salotto – stava bisbigliando in modo concitato e subito mi innervosii, capendo che avevo centrato in pieno il suo comportamento – Crede che stia ordinando la cena, quindi fai presto. Cosa devo fare? Ma ti ho detto che è qui perché vuole darmi un’altra possibilità, come diavolo faccio a cercarle dei succhiotti addosso? E poi, la fotografo nuda? Che diavolo di prova è?»

Si stava arrabbiando, ma sorrisi realizzando che tutto sommato non era così stupido: sua sorella lo era molto di più.

Improvvisamente lo sguardo mi cadde sul ripiano del mobile del salotto e mi avvicinai rapida, in punta di piedi. Un sacco di fogli ricoprivano quello che sembrava un mucchietto di cose di metallo e, scostando la carta, scoprii un mazzo di chiavi. Tra di esse troneggiava una chiave antica, in ferro battuto, e un portachiavi con il simbolo di un tempio greco. Scossi il capo, mentre un sorriso cominciava a delinearsi sul mio viso: era un ateneo! Era il simbolo dell’università e quelle erano le chiavi del laboratorio dei laureandi in fotografia!

Trattenni a stento una risata e sfilai la chiave il più velocemente possibile, infilandomela poi nel reggiseno. Era l’unico luogo che, specialmente quella sera, Dave non avrebbe mai raggiunto. Proprio in quel momento lo sentii che ordinava dei nachos e immaginai che avesse finito di parlare con Tiana. Così corsi in cucina e, memore di tempo prima, iniziai ad aprire a colpo sicuro gli armadietti, per apparecchiare la tavola per due. Così, quando sentii aprirsi la porta del bagno, estrassi il cellulare e corsi incontro a Dave con la migliore espressione sconvolta che fui riuscita a mettermi addosso.

«Hai preparato il tavolo? Ma cosa succede?» mi chiese pieno di confusione, aprendo le braccia per accogliere il mio corpo che, velocissimo, si stava tuffando su di lui. Lo abbracciai forte per le spalle, lasciando per una volta che le sue mani mi stringessero alla base della schiena. In condizioni normali gli avrei intimato di togliere i suoi sporchi artigli dal mio fondoschiena, ma non avevo l’occasione di comportarmi da me stessa. Così lasciai che mi spingesse contro un muro, sempre carezzandomi la schiena con lascivia, per poi posare le labbra sulle mie. Lo lasciai fare, ricambiando ampiamente, perché non avevo la minima intenzione di fargli sospettare qualcosa.

«Dave» ansimai quando mi strinse un seno, più che altro per il terrore che la chiave cadesse a terra. Se fosse successo avrei perso ogni possibilità di salvarmi la faccia.

«Dimmi, Phee» mugugnò senza accennare a distanziare le sue luride labbra dal mio collo. Dio, quanto era viscido! Come diavolo avevo fatto ad andarci a letto? Mi venivano i brividi al solo pensiero.

Una parte di me sembrò riflettere sul fatto che mi fossi ormai abituata a tutt’altra classe, ma la repressi in fretta, perché dovevo finire la mia pagliacciata e non mi andava proprio di farmi distrarre dal pensiero di Joseph.

«Mi ha chiamata Amber, ha litigato di nuovo con Drew… ultimamente sono piuttosto irrequieti» replicai dopo essermi schiarita la voce. Lo allontanai, guardandolo con gli occhi spalancati e la bocca lievemente dischiusa. Guardai i suoi occhi fossilizzarsi sulle mie labbra, rosse dei suoi baci, ed esultai dentro di me. Lo avevo in pugno. Ma, d’altra parte, che donna sarei stata se non avessi saputo alla perfezione il suo punto debole? Mi aveva manipolata per così tanto che glielo dovevo.

«Quindi devi andare?» mormorò, lanciando un’occhiatina alla tavola apparecchiata per poi tornare sulle mie labbra.

Mi complimentai di nuovo con me stessa per la freddezza che avevo usato nel programmare tutto nei minimi dettagli, in modo da lasciargli credere che fossi davvero andata là per lui e non per il tesoro che custodivo nella coppa preformata del mio reggiseno.

«Già – mormorai, arretrando verso la porta. Quando ormai fui fuori sorrisi con fare di scuse e gli mandai un bacio volante – Dave… ti amo.»

Certo, credici. Idiota.

«Anch’io, Phee.»

Gli diedi le spalle dopo un ultimo sorriso e, una volta al sicuro in ascensore, sogghignai con compassione per la scarsità delle sue doti recitative. Avrei dovuto chiedere a Joseph di farmi entrare nel suo show di vampiri, se non altro avrei guadagnato un po’ di soldi per poter pagare l’affitto e far sistemare la porta.

D’accordo, erano pensieri idioti. Ma sentivo la tensione allentarsi e le gambe cedere. Fu per miracolo che riuscii ad arrivare a casa sana e salva. Quando aprii la porta, però, lo sguardo di fuoco di Joseph fece morire il sorriso sulle mie labbra.

Fantastico, il signorino aveva fatto due più due.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: Chara