Storie originali > Epico
Ricorda la storia  |      
Autore: Mia    30/08/2007    12 recensioni
Fanfiction nata per la "Disfida dei Criticoni" - Il grande disegno che rappresentava la storia dell’umanità giaceva nelle mani del Fato: solo questo sapeva che destino avrebbe avuto il nobile figlio di Peleo ad Ilio.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

Avviso: Questa storia si ispira ad un mito minore di quelli che ruotano attorno alla guerra di Troia narrata nell'Iliade, perciò, sebbene la storia si trovi nella sezione Originali, la trama non è interamente da me inventata, ma trae ispirazione da un mito già esistente. Mi scuso inoltre con i lettori che l'avessero già letta per non avere inserito prima questo avviso. I personaggi non mi appartengono e storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Cineri Gloria Sera Venit

Ad Perpetuam Rei Memoriam

Unum Caput

 

Sua madre Teti, poco dopo la nascita, lo aveva immerso nel fiume infernale Stige tenendolo per il tallone e l’aveva reso invulnerabile: sapeva infatti che, in questo modo, suo figlio sarebbe stato al sicuro dalle ferite degli uomini. Ma quando si recò presso l’oracolo per accertarsene, ricevette una cattiva notizia: apprese, infatti, che Achille sarebbe morto molto presto in guerra; così, Teti si recò da Peleo, che aveva abbandonato subito dopo la nascita di loro figlio, e portò via con sé il piccolo per nasconderlo a Sciro, fra le figlie del re Licomede. Assieme ad Achille c’era anche il suo amico d’infanzia ed inseparabile compagno: Patroclo, figlio di Menezio e di Stenele.

Teti, prima di congedarsi dal figlio ormai condotto a Sciro, gli disse queste parole:

- Ascoltami bene, mio amato figlio, e rammenta sempre le mie parole. Poiché la tua vita mi è cara più di quella di chiunque altro dei mortali che passarono e passeranno sull’infelice terra, dominata da Zeus Tonante, figlio di Crono, dovrai fare esattamente ciò che ora ti dirò e scampare così alla tua terribile sorte: ogniqualvolta venisse a Sciro rocciosa uno straniero, dovrai travestirti da donna e nasconderti nel gineceo, fra le belle e nobili figlie di Licomede, senza mai farti vedere,  o correrai il rischio di venir arruolato dai figli degli Achei vestiti di bronzo per prendere parte alla guerra che si combatterà presso la divina Ilio dalle belle mura. Mi hai bene inteso, caro figlio?

Quando sua madre gli diede questa raccomandazione, Achille era ancora molto giovane, perciò non trovò niente da obbiettare. Allora la sua divina madre esercitava un potente fascino ed un incredibile potere persuasivo su di lui, che vedeva Teti più come l’autoritaria e potente Dea marina che non come sua madre. Nonostante questo, egli l’amava, dunque annuì e giurò che le avrebbe prestato obbedienza. La divina Teti si voltò allora verso Licomede, lo fissò con i suoi occhi azzurri e penetranti, l’unica parte di lei che invecchiasse, e gli parlò con voce dura:

- Bada bene, nobile Licomede, sovrano dei Dolopi, che regni sulla rocciosa isola di Sciro: se non ti prenderai cura di mio figlio, il biondo Achille e lo farai partire per la guerra nella quale egli è condannato a perire, io ti giuro che l’ira inesorabile degli Dei Olimpi si abbatterà su di te!

Così disse la divina Teti ed ebbe paura Licomede, pertanto accettò senza nulla obbiettare.

Per Achille fu strano vedere un sovrano valoroso come lui tanto impaurito dinnanzi ad una donna, ma Teti era una Dea e, forse per via della sua discendenza divina, forse perché tanto l’aveva amata ed ancora l’amava, anche Peleo, davanti a lei, perdeva ogni autorità e mai le aveva negato qualcosa.

Così Achille cominciò la sua vita nel palazzo di Licomede, re di Sciro, tornando a Ftia solo in inverno per fare visita al vecchio padre Peleo.

Un giorno arrivarono a Sciro degli stranieri ed egli fu costretto a rifugiarsi nel gineceo.

Erano molte, moltissime, le donne di Sciro, ma nonostante ciò, Achille non ne aveva ancora vista una, in quanto stavano sempre chiuse nel loro alloggio.

A dire la verità, aveva visto pochissime donne nel corso della sua vita: sua madre, la nutrice Melissa e poche altre.

Quando giunse nel gineceo, solo tra tutte quelle fanciulle, si sentì parecchio a disagio. Difatti, l’atmosfera era molto diversa rispetto a quella che si respirava nelle altre stanze del palazzo: l’arredamento, il tono di voce, il modo di atteggiarsi, persino l’odore di quelle donne lo faceva sentire inadatto, fuori posto, estraneo, e la loro presenza gli metteva in cuore una gran voglia di allontanarsi al più presto e tornare fra gli uomini, dove si sentiva decisamente più a suo agio.

Restò in piedi davanti alla porta, nell’attesa che gli fosse comunicato che gli stranieri si erano allontanati e potesse così uscire da quel luogo così femmineo.

Inaspettatamente, una delle fanciulle gli si avvicinò: i lunghi capelli neri erano raccolti sotto un pesante diadema e i suoi grandi occhi erano azzurri come il bel mare che circondava la splendida isola di Sciro. Era piuttosto alta, sebbene mai quanto lui, e più vecchia di Achille di alcune estati.

Gli sorrise ed egli arrossì.

Mai gli era accaduto di arrossire, poiché, in vita sua, non gli era mai capitato di essersi sentito in imbarazzo. Era una nuova emozione per il giovane figlio di Peleo e forse fu proprio questa nuova emozione a farne nascere un’altra, ancor più nuova e sconcertante: il desiderio per una donna.

- Salve – disse la fanciulla, con voce e modi affabili – Tu, che ti nascondi fra le belle donne di Sciro rocciosa, regno del nobile Licomede, signore dei Dolopi, devi essere il giovane figlio del regale Peleo, re di Ftia dalle bianche spiagge. Io sono Deidamia, figlia di Licomede, sovrano di Sciro petrosa. Achille è il tuo nome, se la mia mente non m’inganna.

Aveva un timbro di voce delicato e di una dolcezza disarmante, così come disarmante era il suo sorriso.

Inaspettatamente, la sua mano destra si posò sulle sottili labbra di Achille, che rimase come paralizzato da quel leggero tocco.

- Sì, tu altri non potresti essere che il figlio di Peleo di Tessaglia, il nobile Achille: il senza labbra.

La sua mano era piccola, morbida e delicata. Achille cercò di vincere l’imbarazzo che quella mano gli aveva causato, non appena si era posata sulle sue labbra ed annuì con risolutezza, cercando di occultare il proprio disagio sotto una fredda maschera.

Deidamia rise; egli alzò allora il capo e la osservò con uno sguardo interrogativo.

- Perché ti comporti in tal modo, giovane Eacide? Le genti della Grecia, terra del divino Elleno, dicono che tu sia un grande e valoroso guerriero, spietato nella battaglia impetuosa, agile nella dura lotta ed abile con le pesanti armi di bronzo: la tua fama è tanto grande da essere giunta fino ad una piccola isola, qual è Sciro rocciosa. Perché, dunque, provi tanto imbarazzo, tu che nulla dovresti temere, davanti ad un’esile ed indifesa fanciulla? Non ne avevi mai vista una prima d’ora, giovane figlio di Peleo?

Questa domanda mise ancora più a disagio Achille, il quale ancora non aveva proferito parola davanti a quella fanciulla che sembrava tanto interessata a lui. In verità aveva visto ben poche donne durante il corso della sua vita e per questo motivo non sapeva come comportarsi con una fanciulla, essendo abituato a trattare con rudi guerrieri.

- A dir la verità, non ne vidi molte prima d’ora, mia signora - rispose infine, cercando di mantenere un contegno.

Deidamia, udito ciò, si voltò, si diresse verso dei piccoli seggi, e vi si sedette. Achille seguì la fanciulla, quando questa gli aveva fece cenno di imitarla.

- Dimmi, biondo Achille, figlio del grande Peleo che regna con senno e giustizia sulla Tessaglia dal mare ceruleo: il Fato, che è controllato dal potente padre degli Immortali, Zeus Cronide, signore del monte Olimpo, ma, nello stesso tempo, subito, davvero ti impose la scelta ardua, almeno per un guerriero valente e desideroso di gloria quale tu sei, nobile Achille, fra una vita lunga ma ingloriosa ed un’esistenza invece breve, ma colma di fama e grandezza?

La domanda lo colse impreparato: tutto si sarebbe aspettato salvo questo interrogativo. Achille era sempre più colpito: non credeva che una simile notizia sul suo conto fosse giunta fino alla sperduta isola di Sciro: eppure era così.

Infine, quando si riprese, rispose:

- Sì, mia signora, è come dici…

Ormai parlava quasi a monosillabi: non aveva mai provato un simile smarrimento e si sentiva sempre più a disagio.

Cominciarono a parlare o, almeno, Deidamia parlava e lui sovente rispondeva alle sue domande con secchi sì o no, seguiti sempre da un doveroso e rispettoso “signora”.

Poco dopo giunse Patroclo ed informò Achille che gli stranieri se n’erano andati e che finalmente poteva uscire dal gineceo. Dentro di sé, il figlio di Peleo lo ringraziò dal più profondo del suo cuore.

- Arrivederci, biondo Achille, nobile erede di Peleo, signore della Tessaglia dal mare turchino e dalle ampie spiagge: spero in cuor mio di poterti rivedere presto. Ho saputo, infatti, che resterai per lungo tempo presso di noi, alla pietrosa Sciro dalle spiagge dorate, almeno fino a quando la famigerata guerra contro la sacra Ilio dalle divine mura non sarà terminata, poiché questo è il volere di tua madre, la divina Teti figlia di Nereo – lo salutò Deidamia.

Achille arrossì e si allontanò dopo averle rivolto un breve saluto.

Tanto forte contro gli uomini, quanto debole con le donne: questo era Achille.

Sperava vivamente di non doversi più trovare in una simile situazione, ma purtroppo le cose non andarono secondo le sue previsioni.

Pochi giorni dopo, Achille si trovava a passeggiare nel cortile del palazzo di Licomede, convinto di essere solo, ma non era così.

Non sapeva ancora che, ogni sette giorni, alle principesse era consentito uscire dal gineceo e trascorrere alcune ore in cortile, naturalmente con il divieto di vedere uomini.

Quando si accorse di questo, però, era troppo tardi: difatti, mentre ripercorreva la strada per tornare a palazzo, vide le figlie di Licomede immerse fino alla vita nell’acqua di un piccolo bacino situato al centro del cortile.

Fu preso dall’imbarazzo e stava per andarsene, quando una di loro lo vide e gli gridò:

- Ehi, bionda Pirra, perché mai non vieni a fare il bagno con noi e lavare il tuo corpo muliebre? – e scoppiò a ridere, imitata dalle altre.

Pirra era il nome che Achille avrebbe dovuto adottare nel caso in cui degli stranieri avessero chiesto di lui: allora si sarebbe finto una ragazza di nome Pirra, per via del biondo ramato dei suoi capelli.

L’idea di essere deriso lo irritava enormemente, soprattutto se a schernirlo erano delle fanciulle.

Dimentico del suo imbarazzo, si voltò verso di loro e le raggiunse. Molte di loro si coprirono i seni con le mani o s’immersero nell’acqua, ma nessuna lo scacciò.

- Cosa intendevi dire con le tue parole di scherno, nobile signora, figlia del buon Licomede, sovrano di Sciro dalle spiagge dorate? Vi avverto, regali figlie di Licomede, signore dei Dolopi: odio essere schernito e deriso. Pochi, sulla terra abitata dai mortali, hanno osato insultarmi o beffeggiarmi con parole o fatti, ma quei pochi che ci provarono, tutti quanti, dal più nobile al più misero, dal più valoroso al più vile, dal più forte al più debole, fecero una dolorosa fine. Perciò state attente: voi, belle figlie del re di Sciro petrosa, potreste essere né le prime né le ultime a patire un simile dolore se oserete schernirmi nuovamente con le vostre parole derisorie. Non mi farò scrupoli: che siate donne o non lo siate, la pagherete!

La sua reazione fu forse eccessiva per uno scherzo di così poco conto; ma motivo dell’ira di Achille era la sua infelicità repressa. Lì a Sciro si sentiva, infatti, come un animale in gabbia: mentre tutti i più valorosi fra gli Achei si preparavano per combattere nella guerra di Ilio, lui sarebbe rimasto lì, pronto a nascondersi fra le donne come un vile. Questo pensiero lo tormentava da tempo e lo rendeva sempre più irrequieto ed irascibile: anche lui avrebbe voluto imbracciare le armi e combattere; invece era confinato su quell’isola sperduta a farsi deridere da delle fanciulle.

Le figlie di Licomede parvero impaurite dalla sua reazione: tutte tranne una di loro.

Deidamia fissava il giovane figlio di Peleo per nulla turbata dalle sue parole.

Achille ricambiò lo sguardo: l’imbarazzo e l’ira erano improvvisamente svaniti dal suo cuore, lasciando spazio allo stupore.

Come mai non era spaventata? Egli era il più temibile fra i guerrieri; perfino gli uomini tremavano davanti a lui, ma Deidamia no, perché?

- Non dire parole stolte che non ti fanno onore, nobile figlio di Peleo, Achille piè veloce. Il leone feroce ed aggressivo che oggi vedo in te, capace di azzannare indifferentemente un’indifesa cerbiatta od un toro impetuoso, è apparso un innocuo gattino spaventato ai miei occhi, qualche giorno fa. Pare strano, a me, che pure non comprendo lo spirito di voi nobili guerrieri, questo improvviso cambiamento di carattere e di atteggiamento nei confronti delle fanciulle – Deidamia aveva notato la sua debolezza ed ora la stava usando a suo vantaggio.

Achille la guardò e in quel momento qualcosa cambiò in lui.

I suoi capelli neri, bagnati e sciolti sulle spalle, la sua pelle così bianca… ma soprattutto, lo colpirono i suoi occhi, azzurri come il mare. Deidamia gli ricordò incredibilmente sua madre.

Forse fu questo che lo attirò? Non avrebbe saputo dirlo con esattezza, fatto sta che alcuni giorni dopo, Achille piè veloce si trovava nella stanza di Deidamia, disteso sul suo letto, la testa della fanciulla appoggiata al petto nudo.

Deidamia si mosse leggermente e carezzò il torace del giovane guerriero, il quale si riscosse dallo stato di trance in cui era sprofondato e ricambiò il suo gesto accarezzandole la spalla destra.

Non sapeva che conseguenze avrebbe comportato ciò che avevano fatto, ma, in quel momento, non ci pensava più di tanto.

Mai prima d’ora il giovane figlio di Peleo aveva avuto rapporti intimi con una donna e quella prima volta fu strana. Nulla di ciò che faceva riusciva ad eccitarlo, né suscitava in lui nessuna sensazione particolarmente gradita: trascorse più di un’ora prima che qualcosa in lui cambiasse ed egli riuscisse ad immettere nel ventre della donna la bianca potenza. Ma anche quella prestazione per lui fu del tutto neutra: nessun particolare piacere lo invase.

Non avrebbe neppure saputo dire di preciso perché l’avesse fatto.

Forse, il fatto che Deidamia gli ricordasse sua madre, aveva suscitato in lui qualcosa d’inspiegabile: da bambino non aveva visto quasi mai la madre, e poco l’aveva vista da ragazzo, perciò, con quel gesto, aveva forse voluto trasmettere tutto l’amore che provava per lei ad una persona che gliela ricordasse; perché la vera Teti non c’era quasi mai accanto a lui, e quasi mai c’era stata.

Si addormentò insieme a Deidamia, e fu svegliato, la mattina seguente, da un urlo femminile.

Quando aprì gli occhi, vide una delle sorelle di Deidamia, in piedi davanti al letto, che li osservava a bocca aperta.

Vedendo l’espressione della fanciulla, Achille si sentì colpevole e fece per farfugliare qualcosa, tentando di occultare in qualche modo le sue nudità, ma Deidamia, svegliatasi, come lui, in seguito alle urla della sorella, lo anticipò.

- Richiudi la bocca, regale sorella, se non vuoi che vi entrino le tediose mosche: non sta affatto bene che una fanciulla nobile e graziosa come te deformi il suo bel viso con simili smorfie. Perché questa reazione esagerata?

La ragazza, visibilmente imbarazzata, colpita da quella domanda, esitò un attimo, prima di balbettare:

- Ma… Lui, il regale figlio di Peleo… non si è approfittato di te, Deidamia, nobile sorella mia?

Deidamia rise:

- Ma cosa dici, sorella cara? No, non si è approfittato di me, il nobile Achille: fui io a convincerlo a compiere tale atto con fatti e con parole che pronunciai in parte avventatamente, in parte volontariamente.

La notizia la sconvolse ancora di più:

- Cosa dici, Deidamia, figlia del nobile Licomede di Sciro rocciosa? Sei stata tu a convincerlo a compiere un simile atto con parole e con fatti sconsiderati? Non posso crederlo!

- Hai udito bene, invece, perciò credi alle mie parole. Io mi sono innamorata del Achille, figlio di Peleo, e ho intenzione di chiedere a nostro padre, il nobile Licomede, di poterlo sposare, in modo da non recare oltremodo offesa a Hera, protettrice delle unioni nuziali.

La rivelazione sorprese e colse impreparato Achille, così come la figlia di Licomede, che sgranò gli occhi e si rivolse a Deidamia per chiederle conferma di quanto aveva appena udito:

- Tu, Deidamia dalle bianche braccia, desideri, con il consenso di nostro padre, il nobile Licomede, e di Hera sovrana, sposare il figlio di Peleo, benché il numero dei suoi inverni sia inferiore a quello dei tuoi?

Deidamia si voltò verso il giovane e lo fissò con il suo profondo sguardo color del mare:

- Ora, regale Achille Pelide, dimmi con sincerità: proveresti forse vergogna nel cuore a sposare una donna più vecchia di te?

Egli scosse il capo con imbarazzo: non aveva immaginato di essere chiamato in causa dalle due sorelle, né che Deidamia si fosse invaghita di lui al punto da volerlo sposare.

- Allora, se il nobile Pelide non è contrario all’idea di sposare una donna che ha visto più inverni di lui, perché dovrei provare vergogna io che lo amo con tutto il mio cuore? Afrodite Urania ci toccò, facendoci innamorare e infondendoci celestiali sensazioni. Io sono innamorata del divino Achille, nobile figlio di Peleo, sovrano della grande Tessaglia dalle belle spiagge, e lo voglio sposare con il consenso degli Dei e del padre mio adorato. Inoltre, dopo quanto è accaduto fra noi questa notte, ritengo che il nobile Licomede, signore dei Dolopi, sarà costretto ad accettare la mia richiesta.

Deidamia aveva affrontato il discorso senza il minimo imbarazzo.

Questo piaceva ad Achille di lei: riusciva ad essere schietta e fredda con tutti, uomini o donne. Lui, invece con gli uomini si comportava normalmente o addirittura con superiorità, ma davanti alle donne si sentiva smarrito.

Deidamia gli parlò nuovamente:

- Riprendi i tuoi abiti, nobile Achille, ed aspettami nella sala del trono. Fra poco parlerò con mio padre.

Pronunciò queste parole con un tono autoritario davanti al quale il giovane non fu capace di reagire: ogni muscolo del suo corpo sembrava intorpidito. Più che un amante e un futuro marito, sembrava piuttosto un bambino obbediente nei confronti di una madre risoluta.

Non si rese conto neppure di aver accettato la proposta di matrimonio di Deidamia e, qualche tempo dopo, si sposarono in un giorno fausto, con il consenso di Licomede. Ma per Achille il legame non contava molto: non gli importava di essere sposato oppure no.

Appena suo padre lo seppe, al contrario, si entusiasmò, mandò molti regali a Deidamia e, quando venne a trovarla, la chiamò figlia.

Qualche tempo dopo, la fanciulla rimase incinta.

Nacque un maschio che fu chiamato Neottolemo, anche se la madre amava interpellarlo anche con il nome di Pirro, poiché era nato da Pirra, ovvero Achille.

- Ti somiglia molto tuo figlio, non lo pensi anche tu, Achille? – domandò un giorno Deidamia a suo marito.

Egli osservò per qualche istante il bambino, che riposava sul talamo nuziale, e disse con noncuranza:

- Sì, è vero ciò che dici, mia signora.

- Nostro figlio ha ereditato ogni cosa da te: i capelli morbidi e biondi, simili all’oro colato; i lineamenti meravigliosi del viso; la forma perfetta del naso; le labbra sottili dalle quali prendi il nome. Da me ha preso soltanto il colore degli occhi, ma il loro taglio è uguale al tuo, che io tanto amo…

Dalle parole di Deidamia trapelavano enfasi ed eccitazione; erano questi, infatti, i sentimenti che agitavano il cuore della donna quando parlava di suo marito e di suo figlio, le cose più preziose che avesse al mondo.

Achille non sembrava eccessivamente toccato da quei discorsi e, mentre la sua sposa parlava, prese a cospargersi il corpo d’olio senza mostrare più alcun interesse per i suoi discorsi.

Deidamia lanciò al giovane uomo un’occhiata torva e più tardi chiese ad Achille:

- Perché mai desideri affrontare nella lotta il tuo inseparabile compagno Patroclo, figlio del re della bella Opunte, che sorge nella vasta Locride, sicuro già di vincere, dal momento che la tua grande forza di molto supera quella del figlio di Menezio?

Il giovane si stava ungendo il corpo per l’imminente gara di lotta che lo avrebbe visto fronteggiarsi con Patroclo: i due sin da quando vivevano presso il loro maestro, il centauro Chirone, solevano affrontarsi in simili competizioni ed ancora amavano farlo.

- È stato Patroclo, figlio di Menezio, re di Opunte, a volermi affrontare nella lotta: è sempre stato lui ad avanzare tali coraggiose proposte, ed io come avrei potuto rifiutare davanti ad un suo tale, fremente desiderio? – fu la semplice risposta.

Non poteva spiegare a sua moglie i motivi che spingevano gli uomini a combattere: non avrebbe mai capito.

Poco dopo, il giovane udì dei singhiozzi sommessi alle sue spalle.

Si voltò e vide molte lacrime rigare le belle guance di Deidamia.

- Perché piangi, nobile Deidamia dagli occhi luminosi, figlia di Licomede di Sciro petrosa? Ho forse detto o fatto qualcosa che ti abbia ferito od offeso in qualche modo? Se così è stato, invoco con umiltà il tuo perdono, ma mai mi è parso di aver urtato con parole o con fatti i tuoi sentimenti di sensibile donna.

Achille era rimasto stupito davanti ad una tale reazione della moglie.

- Piango, nobile figlio di Peleo, potente Achille – rispose la donna – perché so bene, come tu stesso mi dicesti qualche tempo fa, durante il nostro primo incontro che avvenne proprio qui, nel gineceo, che la tua irrefrenabile brama di lotte impetuose, battaglie infurianti e guerre sanguinose che potranno ricoprirti di gloria ed onori eterni in terra, ti porterà alla perdizione, fino al mondo eterno e buio di Ade Cronide. Io ne sono a conoscenza e anche tu lo sai bene, biondo Achille, ma a causa del tuo orgoglio guerriero e della tua testardaggine, non ti curi di ciò che proverà tuo padre, il vecchio e nobile Peleo che regna sulla Tessaglia dalle bianche rive, non ti preoccupi di ciò che proverà il tuo compagno Patroclo, che tu ora dici di amare e rispettare, ma che dimenticherai per il desio di gloria che sempre ti accompagna, né di quello che proverò io, sventurata, se tu dovessi morire, lasciandomi vedova, con solo il ricordo di te ed il figlio che generammo insieme, che ancora non è in grado di riconoscere il padre nel nobile Achille piè veloce, figlio di una Dea.

Achille provò a rassicurarla: odiava vederla piangere, anche se ciò accadeva di rado.

Eppure, come sempre lei ebbe ragione: difatti, alcune estati più tardi, quanto aveva detto Deidamia quel giorno, e prima di lei, l’oracolo, si avverò.

 

 

***

 

Achille si trovava alla corte di Licomede a Sciro, come ogni estate, quando Deidamia venne a cercarlo.

- Mio padre, il nobile re Licomede, dice che degli stranieri stanno giungendo dal mare, provenienti forse dalla ventosa Aulide, porto della gloriosa terra di Pelope. Devi rifugiarti perciò nell’alloggio delle donne al più presto, nobile Pirra.

Udite queste parole, il giovane lanciò un’occhiata torva alla moglie, ma fece come gli era stato detto.

Mentre si avviavano verso il gineceo, venne loro incontro Neottolemo e Deidamia lo prese in braccio per portarlo con sé nell’alloggio delle donne.

Giunti che furono nel gineceo, il giovane uomo si lasciò cadere su uno dei piccoli seggi, contrariato.

Deidamia mise giù Neottolemo e sedette a fianco allo sposo.

- Cosa affligge il tuo nobile cuore, biondo Achille Pelide? Parlane con me, tua sposa diletta, liberamente e senza timore alcuno: io ti ascolterò fino alla fine senza proferire verbo che possa interrompere il flusso dei tuoi pensieri e delle tue parole e così, insieme, cercheremo di trovarvi una soluzione – gli disse lei.

Le parole di Deidamia, pronunciate con il suo solito tono dolce e rassicurante, colpirono il cuore del giovane Achille, che decise di aprirsi con la moglie, poiché da molto tempo ormai questi pensieri lo tormentavano.

- Sono stanco della vita tediosa e vuota che conduco ormai da parecchie estati qui, a Sciro rocciosa. Non voglio più nascondermi nel gineceo della bella casa di Licomede di Sciro petrosa, come una volpe impaurita che sfugge agli uomini che la inseguono desiderosi della sua fulva e calda pelliccia e della sua carne, né fingermi esile e debole donna, come purtroppo, da tempo, troppo tempo, sono costretto a fare con immenso disonore e vergogna. Chi mai potrebbe credere a questo mio ridicolo travestimento femminile? È come cercare di travestire un nero ed affamato lupo da candida e docile pecorella. Mia madre, la divina e saggia Teti, non capisce ciò che per tutti, uomini e Dei Immortali, dovrebbe essere ovvia: nessuno può sfuggire al Fato divino. A questo è sottoposto perfino Zeus Tonante, che regna sugli Dei Olimpi, perciò, come potrei io, misero mortale, benché figlio di una Dea Imperitura, sfuggire al Fato ed al suo corso?

Deidamia ascoltò fino alla fine il discorso dello sposo, senza interromperlo.

Infine, con il suo solito modo pacato e riflessivo, disse:

- So bene e capisco a fondo ciò che tu, nobile Achille figlio di Peleo, vuoi farmi intendere con le te parole e ti do ragione, ma la tua amata madre, Teti divina, figlia di Nereo, cerca solo di proteggere te, suo unico figlio. So che forse quel che fa potrà sembrarti assurdo e sgradito, ma tu, Achille figlio di Peleo, ascolta la mia proposta, che vuole fungere soprattutto da consiglio: finché puoi e fino a che il Fato non ti si rivolterà contro, asseconda la tua nobile madre, Teti dagli occhi belli.

Achille la osservò per un attimo, incerto sul da farsi. Infine sospirò, rassegnato.

- Farò come mi proponi e consigli, Deidamia dalle bianche braccia, la più nobile e saggia fra le figlie di Licomede: asseconderò mia madre, la divina Teti dai piedi d’argento, anche se trovo pur sempre assurdo il suo proposito di sottrarmi alle mani del Fato.

Sia Achille sia sua moglie trovavano irragionevole il comportamento di sua madre Teti: come poteva, lei che era una Dea Immortale, credere che suo figlio potesse sfuggire al Fato, quando neppure lei aveva poteva e mai avrebbe potuto fare?

Deidamia era persuasa che il suo sposo non sarebbe sfuggito alla sua Moira tanto quanto lo era Achille stesso; inoltre, nessuno dei due aveva fatto i conti con la mente più scaltra di tutta la Grecia: Odisseo di Itaca.

Era lui uno degli stranieri che gli uomini di Licomede avevano avvistato quella mattina. Egli venne a Sciro insieme al nobile Diomede, re di Argo.

Appena giunto, chiese udienza a Licomede e gli spiegò che era venuto a Sciro per reclutare nell’esercito di Agamennone gli uomini più valenti dell’isola da portare in guerra. Licomede gli rispose che il suo era un ben misero esercito rispetto a quello del grande re di Micene, ma che tuttavia avrebbe contribuito ugualmente, inviando alcuni dei suoi uomini in Aulide.

- Sono venuto a sapere, grande e regale Licomede, sovrano dei Dolopi, – disse poi Odisseo – che qui, nella bella a pietrosa Sciro, hai generato molte e nobili figlie, le quali, in gran numero, sono ancora delle giovani fanciulle. Ebbene, chi di loro non apprezzerebbe, dalle mani di uno straniero giunto da lontano, un ricco dono, segno dell’immensa gratitudine che lo straniero prova nei confronti del suo regale ospite che, senza esitare, gli ha offerto alloggio nella sua casa dalle candide mura e ha messo a disposizione del grande re di Micene, Agamennone, signore di popoli alcuni fra i suoi uomini migliori, nonostante il bisogno di protezione che un’isola sì piccola come è Sciro pietrosa dalle bianche spiagge? I regali alle tue figlie sono il minimo che io possa fare per ripagarti degnamente per la tua generosità, nobile Licomede, sovrano di Sciro dalle spiagge d’oro. Del resto, la divina ospitalità, sacra al signore dell’Olimpo dorato, Zeus Egioco, deve essere degnamente ricambiata da colui che generosamente viene ospitato – aggiunse infine Odisseo.

Egli domandò a Licomede il permesso di entrare nel gineceo per poter far scegliere alle donne stesse i doni: il re cercò di evitarlo, ma alla fine si fece persuadere dalla grande arte oratoria di Odisseo.

- Il grande re Licomede, sovrano della bella isola di Sciro dalle dorate spiagge, ordina a tutte le nobili donne di Sciro pietrosa di coprirsi il bel volto con un velo e di non scoprirlo per nessuna ragione davanti agli stranieri provenienti da Aulide ventosa – spiegò Patroclo ad Achille, mentre lo aiutava a vestirsi con abiti femminili.

Il giovane si sentiva terribilmente ridicolo, ma decise di sopportare per tener fede a quanto consigliatogli da Deidamia.

Furono introdotti nel gineceo Odisseo e Diomede, i quali recavano molti regali: cosmetici, pettini d’osso, gioielli d’oro e d’argento, specchi di lucido bronzo e numerosi altri oggetti che, da soli, quasi bastavano per fare la felicità di una fanciulla.

Dopo aver ringraziato i due sovrani per la loro generosità, Deidamia e le sue sorelle vi si avventarono con avidità, discutendo riguardo ai doni.

Anche Achille finse di interessarsi agli oggetti e si avvicinò: quando i doni cominciarono a diminuire, il giovane poté scorgere, fra le altre cose, un oggetto lungo e scintillante che lo incuriosì.

Lo afferrò e lo estrasse dal mucchio: era una spada. Achille la osservò rapito per parecchi istanti e subito lo assalì un’immensa voglia di lottare e di combattere.

Non si accorse che Odisseo gli si era avvicinato e lo osservava con estrema attenzione: quella spada era particolarmente pesante, costruita con il duro bronzo: nessuna donna e ben pochi uomini sarebbero stati in grado di sollevarla. Il giovane invece la maneggiava senza sforzo.

- Per il grande Olimpo dorato, dimora degli Dei Immortali! – esclamò il re di Itaca – Grande re Licomede: le tue donne, qui in Sciro, possono vantare una forza pari a quella degli uomini più valorosi e possenti di tutta la Grecia, terra di Elleno divino. Quella spada, forgiata da abili fabbri fra i migliori di tutta l’Ellade, fatico io stesso, che pure sono un guerriero, ad impugnarla, eppure questa tua giovane donna riesce a maneggiarla con la stessa facilità con cui la utilizzerebbe un abile ed esperto guerriero.

Solo allora Achille si accorse degli occhi grigi di Odisseo puntati su di lui, che lo fissavano con divertita e trionfante consapevolezza.

Il giovane lanciò uno sguardo a Licomede ed a Patroclo: il primo si mordeva il labbro inferiore con grande apprensione, il secondo, invece, stava immobile, come paralizzato.

Odisseo si rivolse poi alla sedicente fanciulla:

- Tu, che con sorprendente destrezza maneggi quella pesante spada, non sei certo figlia del nobile re Licomede, sovrano di Sciro pietrosa. Il tuo nome dovrebbe essere Pirra, se la mia mente non m’inganna: parlano di te con curiosità gli abitanti di questa e di altre isole vicine.

La sola risposta che ottenne fu un cenno affermativo.

- Può darsi che ciò che dici sia vero, ma io personalmente preferisco chiamarti Achille, come tuo padre, il nobile re Peleo, signore di Ftia, ti elesse alla nascita, poiché mai succhiasti il dolce latte dal seno materno – gli disse Odisseo con la più totale scioltezza e naturalezza.

Tutti ammutolirono.

Era stato scoperto: ormai era inutile fingere. Achille si tolse i fastidiosi abiti femminili e gli sorrise.

- E così mi hai scoperto, grande sovrano di Itaca dalle belle spiagge, nobile figlio di Laerte, Odisseo dall’agile mente. Fingere davanti a te è inutile come potrebbe esserlo, per un’indifesa cerbiatta, simulare la morte davanti ad un affamato leone. Non ho difficoltà ad ammettere davanti a te, al nobile Diomede, re di Argo, ai tuoi valorosi uomini ed a tutta la corte del buon Licomede, sovrano di Sciro dalle grandi rocce, di essermi comportato stoltamente: sono caduto nell’infida trappola che mi tendevi, come la lepre che, inseguita dai cani, s’impiglia con le zampe nella trappola mortale dei suoi cacciatori; ma, del resto, c’era da aspettarselo, poiché è molto difficile sfuggire ai voli dell’agile mente del re di Itaca, Odisseo figlio di Laerte e discendente dell’astuto Dio Ermes, il messo degli Immortali, nonché protetto ed amato dalla Dea Atena dalle bianche braccia, figlia prediletta di Zeus Egioco. Non mi tirerò dunque indietro, ora che tu, con abilità e sorprendente ingegno, mi hai smascherato: parteciperò alla grande guerra che si combatterà presso Ilio dalle alte mura, poiché nessun uomo può sfuggire al proprio Fato.

Odisseo sorrise senza dire nulla ed il giovane Achille ebbe modo di osservarlo meglio: era un uomo non più giovane, ma affascinante, non troppo alto né muscoloso.

Il suo aspetto era particolare come la sua intelligenza: gli occhi grigi ed intensi rispecchiavano quelli della Dea della saggezza, Atena, che amava Odisseo per la sua mente acuta. I suoi capelli erano ricci e di un singolare colore rosso ramato.

Inoltre, si diceva che fosse nipote, da parte materna, di Ermes, Dio della furbizia e dell’intelligenza; quale uomo, quindi, più di Odisseo, caro ad Atena e discendente di Ermes, poteva essere dotato di mente più acuta?

Il giovane figlio di Peleo era consapevole di non poter nulla contro la sua accortezza: non avrebbe potuto evitare di essere scoperto.

- Allora, nobile figlio di Peleo, Achille piè veloce: vestiti con abiti più adatti alla tua figura di temuto guerriero rispetto a quelli femminili che ti avvolgevano fino a poco fa e preparati a partire. L’Atride Agamennone, il potente re di Micene dorata, si adirerà molto se non ti presenterai in Aulide ventosa al più presto. Inoltre, nobile Pelide, fuori del bel palazzo del buon Licomede, signore di Sciro dalle dorate spiagge, c’è qualcuno che ti attende. Egli dice che da molti inverni non vi vedete, nonostante la vostra grande amicizia e l’indissolubile parentela – gli disse infine Odisseo.

Achille credé di capire a chi si stesse riferendo il re di Itaca, ma preferì fare come gli era stato detto, prima di andare incontro a colui che lo attendeva.

Vide dinnanzi a sé un grosso guerriero: alto poco più di lui, che già poteva vantare una considerevole statura, e muscoloso almeno il doppio, con corti capelli castani ed un bel paio di occhi verdi come le selve selvagge.

- O i miei occhi m’ingannano crudelmente, oppure tu sei realmente Aiace Telamonio, mio nobile cugino di parte paterna! – esclamò con visibile allegria Achille, uscendo dal palazzo di Licomede.

Nonostante Aiace fosse più vecchio del figlio di Peleo di pochi inverni, sembrava molto più attempato di quanto fosse in realtà a causa del suo fisico possente e della sua espressione spesso corrucciata.

Achille, Aiace e Patroclo erano cresciuti assieme: i due fratelli Peleo e Telamone erano molto legati perciò spesso, da bambini, i loro figli e Patroclo si vedevano in estate e giocavamo insieme. Da ragazzi furono condotti da Chirone, un vecchio e saggio centauro, grande amico del padre di Achille.

Chirone aveva salvato la vita di Peleo quando questi era stato abbandonato nella foresta dal re di Iolco, Acasto, affinché gli animali selvatici lo potessero sbranare. Da allora in avanti il re di Ftia era rimasto grande amico del centauro. Fu per quel motivo che, prima del vecchio e saggio Fenice, Peleo e Telamone avevano scelto come tutore dei loro figli Chirone: il vecchio centauro insegnò loro a combattere, cacciare, vivere all’aperto del tutto privi di cibo e d’acqua, nonché numerose arti ed il prezioso uso dell’intelletto. Tutto ciò che avevano appreso sulle battaglie, sulla lotta e sui duelli lo dovevano a Chirone.

Aiace sorrise ad Achille e spalancò le braccia in segno di saluto.

- E tu, invece, nobile signore, sei forse il mio amato cugino, il biondo Achille piè veloce, figlio di Peleo, re della Tessaglia? Non riesco a crederlo: molto sei cresciuto in statura in questi inverni trascorsi lontano e molto sono cresciute le tue spalle in ampiezza. Quasi non riconoscevo in te il mio stesso sangue, amato cugino, Achille figlio di Peleo! Tu, invece, devi essere Patroclo, figlio di Menezio – aggiunse poi, voltandosi verso il ragazzo in piedi al fianco di Achille – Anche la tua vista, caro compagno d’infanzia, mi ha lasciato interdetto: sei dunque tu quel gracile fanciullo che si aggirava con passo breve ed incerto per le stanze del bel palazzo di Ftia e, talvolta, nel giardino della casa di Telamone, regale sovrano di Salamina dalle bianche spiagge, sempre attaccato a me e ad Achille piè veloce? Debbo ammettere che non ho riconosciuto quel fanciullo giovane ed esile nell’uomo che ora mi sta dinnanzi!

Detto questo, i tre amici rincontratisi dopo tanti anni, si abbracciarono. Achille riuscì a sopportare la micidiale stretta di Aiace, ma Patroclo ne fu travolto: la sua forza era sovrumana, e, associata alla sua invulnerabilità, poteva definirsi letale.

Infatti, così come suo cugino era stato immerso dalla madre nello Stige, Aiace era stato avvolto da neonato nella pelle di leone di Eracle, grandissimo amico di suo padre Telamone. L’eroe aveva poi chiesto a suo padre Zeus di rendere il piccolo Aiace invulnerabile e così era stato, tranne la spalla e l’anca, le parti del corpo che normalmente erano coperte dalla faretra.

Quando Aiace li liberò dalla sua stretta, Achille notò la presenza di un ragazzo che stava immobile presso la nave di Aiace e li osservava con timidezza.

- Sono immensamente felice di vederti nuovamente dopo tanto tempo trascorso lontani, cugino Aiace, figlio del nobile re di Salamina dalle belle spiagge, Telamone Eacide; ma ora dimmi: chi è il giovane che ci osserva con tanto interesse dalla tua nave? Non credo di conoscerlo o tu ti sei dimenticato di presentarcelo.

Patroclo ed Aiace si voltarono e guardarono nella direzione indicata da Achille.

- Che Hera, divina consorte di Zeus Egioco e la vergine Hestia, protettrici della famiglia, mi fulminino per punire la mia imperdonabile sbadataggine! Perdonami, nobile cugino. Il giovane che vedi vicino alla mia nave e che ci osserva così timidamente, è il figlio di mio padre, il nobile Telamone, re di Salamina, e della sua ultima moglie Esione. Il suo nome è Teucro e vanta la fama d’infallibile arciere, caro ad Apollo Saettatore e ad Artemide Vendicatrice, Dei arcieri per eccellenza; sono pertanto sicuro che egli troverà modo di distinguersi durante la guerra che condurremo contro Ilio dalle alte mura. Vieni avanti, caro fratello, non aver timore! Il biondo Achille è anche tuo cugino, poiché lo stesso padre ci generò. Il giovane Patroclo, invece, è un nostro caro amico d’infanzia.

Il giovane Teucro si avvicinò e, quando giunse davanti ai tre uomini, sorrise.

Non assomigliava per nulla ad Aiace. Più basso ed esile, presentava tratti orientali sul bel volto efebico: difatti sua madre era la sorella di Priamo di Ilio. Aveva lucidi capelli scuri ed occhi dal taglio affilato.

Achille non faticò a credere nelle sue capacità d’infallibile arciere.

- Allora, mio nobile cugino, Achille piè veloce, anche tu partirai insieme ai prodi guerrieri Achei, figli dei grandi e potenti re della Grecia alla volta di Ilio dalle alte mura? – domandò Aiace al cugino – I nobili figli degli Achei rivestiti di bronzo necessitano della forza, della potenza devastante, dell’abilità guerriera e del coraggio del regale Achille, figlio del nobile Peleo.

Il giovane si aspettava questa domanda: aveva ormai capito che l’astuto Odisseo aveva portato con sé Aiace in modo da costringerlo ad uscire allo scoperto, nel caso l’inganno della spada non avesse funzionato.

- Sì, nobile figlio di Telamone, signore di Salamina dalla bianca sabbia: parteciperò anch’io alla guerra che condurrà i regali figli degli Achei fino ad Ilio dalle mura divine. Un irrefrenabile disio di gloria e d’onore anima il mio cuore ed ora so che solo ad Ilio dalle alte mura io e gli altri nobili figli degli Achei potremo trovare ciò che bramiamo.

Aveva deciso: sarebbe partito per Ilio per partecipare alla grande guerra che si sarebbe svolta.

Si recò dunque da Odisseo e gli disse che si sarebbe recato a Ftia in modo da radunare le navi necessarie per una spedizione come quella che avrebbero condotto ad Ilio, convocare i Mirmidoni e salutare suo padre un’ultima volta, poiché sapeva che non l’avrebbe più rivisto.

Prima di partire salutò Deidamia. La sua sposa non parlò molto: sembrava assente.

Quando Achille ebbe salutato sua moglie, Odisseo gli chiese scherzosamente:

- Oserei troppo, graziosa Pirra, chiedendoti il permesso di consegnare il prezioso dono che sarebbe stato destinato a te, alla tua graziosa moglie, Deidamia dagli occhi belli?

Si avvicinò a Deidamia e le disse:

- Ho saputo, nobile figlia di Licomede, Deidamia dagli occhi lucenti, che tu ed il nobile Achille piè veloce, degno figlio del grande re della Tessaglia dalle ampie spiagge, Peleo, avete un giovane figlio.

Detto questo, le porse una piccola spada di legno.

- Tieni, nobile principessa: da’ questa spada al tuo caro figlio e comincia ad abituarti fin da ora all’idea, seppur crudele e terribile, un giorno non troppo lontano, di dover dire addio anche a lui come oggi fai con suo padre, il temibile Achille Pelide. Ignoro infatti quanto durerà la guerra di Ilio, città dalle possenti mura. Il potente Agamennone, signore di popoli, è convinto che gli Achei vestiti di bronzo vinceranno la guerra in poche lune, ma io non sono della sua stessa opinione e, purtroppo, quando egli si accorgerà dell’errore commesso, recluterà nel suo imponente esercito tutti i nostri figli abbastanza grandi per combattere in una simile campagna. Il figlio del nobile Achille sarà fra i primi a cui toccherà questa sorte, e già il nome Neottolemo, assegnatogli alla nascita, racchiude in sé la sorte del suo portatore: il nuovo guerriero – detto questo, Odisseo si voltò e fece segno ad Achille di seguirlo, lasciando Deidamia in lacrime davanti a quel futuro crudele per sé e per suo figlio.

Il Pelide seguì il re di Itaca senza indugio.

Il Fato gli aveva offerto la possibilità di scegliere fra una vita lunga ed ingloriosa ed una breve e piena d’onore: aveva scelto quest’ultima e non se ne rammaricava. Fin dal giorno in cui aveva parlato con sua moglie del suo Fato, Achille era convinto che mai avrebbe potuto sopportare una vita lunga e priva di gloria.

Partiva per la guerra.

Partiva per Ilio.

Il grande disegno che rappresentava la storia dell’umanità giaceva nelle mani del Fato: solo questo sapeva che destino avrebbe avuto il nobile figlio di Peleo ad Ilio.

  
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: Mia