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Autore: WibblyWobbly    10/02/2013    1 recensioni
Sherlock non c'è più e John deve andare avanti. A un certo punto, però, "cose impossibili" iniziano a capitare e il dottore si trova a dover fare i conti con la scomparsa del suo migliore amico e con nemici nascosti nell'ombra.
Ancora una versione di "cosa succederà secondo me"... secondo me, questa volta :3
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ultimo aggiornamento, quasi non ci credo.
Prima di tutto: chiedo scusa a tutti per l’enorme ritardo e per il tempo che vi ho fatto aspettare.
Ringraziamenti sono d’obbligo: Sore, per aver sopportato le mie “paturnie” e i dubbi esistenziali; Jessie Loneliness e soprattutto Efy per aver recensito: mi avete regalato tanto!
Grazie anche ai tantissimi che hanno letto e inserito questa storia tra le preferite e le seguite: siete tanti, più di quanto mi sarei aspettata! :D
Ok, ultime note “tecniche” prima di lasciarvi: questo capitoletto è strutturato in modo che ci sono sia flashback (in corsivo) – una sorta di “missing moment”, continuo del capitolo 7 – e il presente – praticamente il proseguimento naturale e temporale dello scorso capitolo, l’8.

Bene, ci siamo.
Buona lettura e ricordate quello che diceva un saggio: “Non ci sono finali, ma solo nuovi inizi…”
Peace out!
 
 
 
 



Per un attimo lasciò che il calore della casa lo circondasse e, sistemato il proprio soprabito accanto a quelli di Mycroft e Harriet, iniziò a salire le scale.
“John, permetti una parola?”
Il dottore si bloccò sul secondo scalino e con riluttanza si voltò, seguendo la figura emersa dall’ombra del corridoio nella cucina vuota di Mrs. Hudson.
(dal capitolo 7)
 
 
Mycroft Holmes sembrava essere perfettamente a suo agio seduto all’angusto tavolino della cucina di Mrs. Hudson. John, dallo stipite della porta, lo osservava attento; c’era qualcosa di misterioso nella persona dell’altro che lo portava sempre a stare all’erta.
Sospirò stizzito quando il maggiore degli Holmes lo invitò ad occupare la sedia vuota davanti a se, con il solito sorriso mellifluo e un chiaro gesto della mano.
“Mycroft, non ho proprio tempo per queste stronzate, arriva al punto.” Si affrettò a dire il dottore. Era stanco, provato, arrabbiato e l’unico pensiero coerente che permetteva alla propria mente di formulare era accertarsi ancora una volta dello stato di Harriet e portarla al più presto il più lontano possibile da quel casino.
“Fin dal nostro primo incontro ho capito perché mio fratello ti trovasse così…” fece una breve pausa cercando il termine adatto “particolare” disse poi Mycroft con un sorriso obliquo. John lo guardò perplesso ma l’altro continuò prima che il dottore potesse protestare o anche solo dire qualcosa.
“L’unica cosa che, confesso, non ho capito subito era l’effetto che la tua presenza avrebbe portato nella vita di mio fratello. Lo conoscevi da un giorno a stento e hai ucciso un uomo per lui…” s’interruppe allo sguardo sorpreso di John per poi, con un ghigno, proseguire “Suvvia, John… potrei offendermi. Pensi davvero che ci sia qualcosa di cui io non sia a conoscenza? Ad ogni modo, quella sera ricordo distintamente di aver pensato che tu e  la tua amicizia avreste potuto tirare fuori il meglio da Sherlock o renderlo peggiore che mai…[1]”
“Mycroft… il punto!” lo interruppe John severo.
Per un attimo, giusto un attimo, il maggiore degli Holmes lo guardò basito. Come se nessuno avesse mai osato interromperlo, meno che mai rivolgersi a lui in quel modo.
“John, devi perdonarlo.”




[PRESENTE]
Sei mesi dopo gli eventi che avevano portato alla cattura di Sebastian Moran, la vita di John Watson era tornata alla normalità – se di normalità in questo caso si può parlare.
L’immagine di Sherlock era stata definitivamente riabilitata, così come la posizione di Lestrade all’interno di Scotland Yard. Dopo l’iniziale imbarazzo le cose si erano stabilizzate anche sulle scene del crimine, con Donovan che non spicciava una parola se non obbligata e Anderson che voltava automaticamente la faccia contro il muro ogni qualvolta il detective aveva bisogno di riflettere.

Il primo caso che vide il ritorno del detective e del suo blogger aveva come protagonista principale la morte misteriosa di una donna, Susan Brown, ritrovata nella sua auto crivellata da colpi da arma da fuoco, in un parcheggio deserto.
“Rapina finita male?! State scherzando, vero?” disse Sherlock mentre s’avvicinava all’autovettura. “Vedo che sei sempre circondato da idioti, Lestrade!”
John, tra l’esasperato e il divertito, si passò una mano sul volto mentre l’amico, tra un insulto e un altro, raccontava fin nel minimo dettaglio la vita della donna, che fino a qualche anno prima era stata - a quanto pare - un uomo.

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Nella penombra della piccola cucina, John osservava incredulo il suo interlocutore, domandandosi se esistesse un limite  alla faccia tosta degli Holmes. Avrebbe dovuto dimenticare in un battito di ciglia tutto quello che aveva passato e sofferto in quei mesi e nemmeno dietro richiesta dell’interessato. Incredibile.
Per tutta risposta il dottore inarcò un sopracciglio, facendo appello a tutta la forza che aveva per non alzarsi e lasciare lì Mr. “governo britannico”.
Mycroft si sistemò e posati entrambi i gomiti sul tavolo, poggiò il mento sulle mani intrecciate. Riflessivo, sospirò piano: “Quando perdi tutto, John, perdi anche la paura di perdere te stesso. Tu lo sai bene, questo.” S’interruppe guardando intensamente il suo interlocutore, che mantenne lo sguardo con  pari intensità, tacitamente consentendogli di proseguire.
“Anche Sherlock ha perso tutto. In questi lunghi mesi se c’è una cosa che avete condiviso – e che probabilmente vi ha unito più di quanto immaginate – è la sofferenza della separazione. Lo conosci, John. Può sembrare freddo e distaccato e privo di emozioni ma non è così, non è mai stato così… ” un’altra pausa, Mycroft abbassò lo sguardo perso in un ricordo lontano, mentre John cercava di scacciare un moto di compassione verso l’uomo geniale che gli sedeva di fronte: “Mio fratello vuole apparire invulnerabile, ma le emozioni sono parte di lui e sono amplificate… e ciò lo rende solo un uomo che cerca di essere come un dio[2]. La tua amicizia ha fatto riaffiorare lati di lui che pensavo di non poter più rivedere e questi mesi che abbiamo passato quasi a stretto contatto me l’hanno dimostrato. Il suo unico pensiero era che tu stessi bene e quando l’osservavo guardare i rapporti e le fotografie della tua vita che procedeva spenta e ordin-”
“Voi mi controllavate?” scattò John all’improvviso, interrompendo il discorso dell’altro.
“Naturalmente” rispose Mycroft, con il tono di chi sta affermando la cosa più ovvia del mondo. John riprese la parola prima che il maggiore degli Holmes potesse aggiungere altro: “Mi controllavate!” il tono ironico rendeva elettrica anche la penombra intorno a loro “Bel lavoro del cazzo, complimenti! Non solo mi avete raggirato in tutti i modi possibili e non solo avete anche lasciato che quel pazzo maniaco rapisse mia sorella, ma gli avete permesso di intrufolarsi nella mia vita, gli avete permesso di portare alla luce ricordi che mi hanno tormentato in questi ultimi giorni!”
Il tono del dottore si era alzato di almeno un’ottava, mentre Mycroft cambiava posizione, lo sguardo improvvisamente attratto dal pavimento dell’angusta stanza.
Nonostante la penombra John potè catturare il fulmineo disagio trasparire dal volto del suo interlocutore.
“Ah…” fu tutto quello che disse il maggiore degli Holmes dopo un interminabile momento, lo sguardo ancora a vagare nella penombra della stanza. Serrò le labbra e riacquistata la solita flemma, tornò a guardare il dottore, continuando con tono conciliante: “Quello…”
John inarcò un sopracciglio. Un’idea assurda quanto impossibile – anche se a pensarci, neanche tanto – gli attraversò la mente. Con un gesto impaziente del capo invitò l’altro a proseguire.
“Sono stato io, John. Ho mandato io tutte quelle cose…”




[PRESENTE]
Secondo Sherlock, Susan Brown era stata in realtà avvelenata dal fratello che poi aveva convinto il marito di lei – e suo amante – ad insabbiare tutto per depistare le indagini della polizia.
Con l’aiuto di Lestrade e della sua squadra erano riusciti a rintracciare il marito della vittima che, stressato e provato psicologicamente, aveva vuotato il sacco, regalando al detective la deduzione fondamentale per il ritrovamento del vero assassino in tutta quella storia.
Come al solito, il tutto si era risolto in una frenetica caccia all’uomo senza rinforzi perché “John, non c’è tempo di avvertire Lestrade! Ce l’hai la pistola? Andiamo!”
Ed eccoli quindi lì, a correre a perdifiato nei lunghi corridoi di una vecchia fabbrica abbandonata. Praticamente sotto il tiro dell’assassino, che continuava a minacciarli, si ripararono dietro un pilastro per recuperare un po’ di fiato.
“Dio, quanto mi mancava tutto questo!” disse John ansimando, mantenendo la posizione Weaver[3] e la schiena contro il muro.
I due amici si scambiarono uno sguardo complice e un sorriso accennato. “Pronto?” gli chiese Sherlock una volta recuperato un po’ di fiato.
Il sorriso di John si allargò imitando quello dell’altro: “Quando vuoi!”

______________________________________________________________________________________
 

Le parole di Mycroft riecheggiavano ancora nella piccola cucina. John, tra lo stupito e il confuso, aveva aperto la bocca per dire qualcosa, salvo poi richiuderla e guardare il suo interlocutore con aria severa. Si passò una mano sul volto e come se si fosse arreso al vorticare dei pensieri e delle parole nella sua testa, sospirò aggiungendo stancamente “Perché?”
Dal canto suo, il maggiore degli Holmes aveva guardato con apprensione John reagire a quella rivelazione che, nei piani originari, non avrebbe dovuto mai venire alla luce.
Si aggiustò ancora una volta sulla sedia, rimettendo su l’espressione fredda e impassibile che lo caratterizzava. “Te l’ho detto, John. I worry about him. Constantly…” disse con il tono annoiato di chi è costretto non solo a ripetersi ma anche a sottolineare l’ovvio.
“Temevo…” aggiunse poi e se non avesse conosciuto l’uomo davanti a se, John avrebbe catalogato la flebile inflessione nel tono di Mycroft come incertezza, “Temevo che lui potesse decidere di lasciarti all’oscuro di tutto, una volta portata a termine la nostra missione…”
Sebbene scosso da quelle parole, John cercò di non darlo a vedere mantenendo un’aria severa e restando in silenzio affinchè l’altro si spiegasse fino in fondo.
“Ho visto più del mio piccolo fratellino durante il tempo che avete trascorso insieme che negli ultimi 18 anni. Gli dato uno scopo, l’hai tenuto con i piedi ben fissati a terra, lo hai indirizzato, lo hai sostenuto. In breve gli hai dato quello che nessuno fino ad oggi gli aveva mai dato: un’amicizia vera. E anche se il pensiero di lasciarti alla tua vita ordinaria, di evitarti tutto quello che ora stai provando è un nobile gesto, non potevo permettere che finisse tutto così. Se lui non voleva rientrare nella tua vita, saresti stato tu a rientrare nella sua. Sapevo che prima o poi avresti tratto le tue conclusioni…”
“Quindi fammi capire un attimo” lo interruppe John, il tono arrabbiato e duro: “Mi stai chiedendo di passare sopra a tutto, di dimenticare l’inferno che ho passato, perché il tuo fratellino non ha le palle di venirmelo a chiedere in faccia?”
Mycroft lo fissò tranquillo come se il dottore gli avesse appena detto che il numero atomico dell’ossigeno è 8.
“Io sono il deus ex machina, John.” Disse soppesando le parole “Dovevo intervenire, dovevo fare qualcosa. Potete restare lontani a distruggervi o ricominciare insieme.”
John sospirò nervoso, “Non mene frega un accidente, Mycroft. Forse avresti dovuto seguire il piano originale e lasciarm-”
Mycroft Holmes si alzò lentamente abbottonandosi la camicia di alta sartoria. John rimase immobile. Nonostante la penombra si studiarono con lo sguardo fino a che il primo non si avviò lentamente all’uscita. Il dottore rimase a fissare un punto indefinito nel muro davanti a se, sentendo ancora le parole aleggiare chiare nell’aria.
Una volta raggiunto l’uscio, voltando leggermente il capo, il maggiore degli Holmes aggiunse: “Sei arrabbiato, John, lo capisco. Io stesso non sono un gran sostenitore delle emozioni, ma ciò non vuol dire che non sappia riconoscerne il valore. Sottile è il confine tra affetto e rabbia; è curioso come l’uomo si risolva ad odiare ciò che non può amare. Ho sempre sostenuto che tenere alle persone non è un vantaggio e continuo a pensarlo… tuttavia sono pur pronto ad ammettere che possano esistere delle rare eccezioni alla regola. Spero che tu capisca: mio fratello non sarebbe quello che è senza di te, così come tu non saresti quello che sei senza di lui. E’ come se fosse stato scritto tanto tempo fa: Sherlock e John, John e Sherlock. E’ qualcosa che non tutti hanno… un’amicizia che vi completa e che vi completerà in modi che ora non potete comprendere…” e detto questo si avviò pigramente lungo il piccolo corridoio che l’avrebbe condotto all’ingresso, rassegnato all’idea di dover affrontare la salita dei famosi diciassette gradini e al tempo stesso compiaciuto di aver adocchiato una torta a mandorle tostate e cioccolato nella penombra del cucinino di Mrs. Hudson.
Sì, tutto si sarebbe risolto per il meglio. Questo Mycroft Holmes lo sapeva con certezza.

 
[PRESENTE]

Una volta assicurato l’assassino alla giustizia, John e Sherlock fecero ritorno al 221b.
Stremati, decisero di ordinare cinese e poco dopo si ritrovarono seduti sul divano, circondati da contenitori d’asporto bianchi, una bottiglia di vino e la solita tv spazzatura a fare da atmosfera.
“E’ ovvio che le sta dando un buon giudizio solo perché vanno a letto! Il modo in cui lei si tocca i capelli guardandolo e quel colore di rossetto sono lapalissiani! Questo programma è semplicemente ridicolo, come fa a piacerti? Dovrebbe essere una tortura anche per il tuo cervello dalle capacità sottosviluppate, John!” disse Sherlock prima di afferrare un involtino primavera.
John sorrise e stava per replicare che sì, magari aveva un “cervello dalle capacità sottosviluppate” ma l’udito era ancora buono e il geniale – e schifettoso – detective non gli aveva comunque mai chiesto di cambiare canale, quando Mrs. Hudson li avvertì dell’arrivo di un cliente.
Qualche istante dopo una giovane donna dagli ondulati capelli castani fece capolino dalla porta d’ingresso. Il dottore la invitò ad entrare, ma Sherlock parlò prima che lei potesse dire qualunque cosa.
“Circa trentacinque anni, veterinaria, non benestante: trucco economico e vestiti poco costosi ma abbastanza buoni e curati. Pochi gioielli ma quella al collo è una fede. Troppo grande per essere sua e troppo vecchia per essere appartenuta a un marito defunto. La postura, il modo in cui ora tiene le mani e lo sguardo timoroso sul suo volto – per non parlare delle statistiche e della sfumatura di verde della maglia che ha scelto – dicono che la fede che porta al collo è quella di sua madre. Figlia unica. Non è sposata, ma nemmeno fidanzata o impegnata: è qui per suo padre.”
La ragazza spalancò gli occhi azzurri, incredula. Guardando John, aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse quasi subito.
“Fantastico!” esclamò la giovane qualche istante dopo, tornando a guardare il detective; era davvero positivamente stupita.
I due amici la guardarono perplessi. Chi era questa ragazza?
Come se avesse sentito la domanda aleggiare nella stanza, guardando John, si avvicinò un po’ di più a Sherlock: “La signora Forrester, che ha aiutato molto tempo fa, mi ha parlato di lei. Mi aveva accennato la sua bravura ma… sono comunque senza parole, davvero”.
Il detective la fissò per un lungo momento, come a voler risolvere a tutti i costi quell’enigma, le rispose “Ah, ricordo, un caso estremamente semplice…”
“Beh, non secondo la signora Forrester…” rispose lei sostenendo lo sguardo di Sherlock. “Comunque, Mr. Holmes, non potrà dire la stessa cosa del mio. Non mi riesce di immaginare una situazione più strana, più inspiegabile di quella in cui mi trovo attualmente.”[4]
John si schiarì la voce e invitò la giovane ad accomodarsi, le avrebbero offerto un the e avrebbero ascoltato il suo problema.
Scostandosi una ciocca ribelle dagli occhi, la ragazza lo ringraziò sinceramente e poi gli tese una mano.
“Io comunque sono Mary…” disse “Mary Morstan”.
 
 


♪♫n o t e
[1]Mi riferisco a una delle battute finali di Mycroft in A Study In Pink. Precisamente: “Interessante, quel soldato. Potrebbe tirar fuori il meglio da mio fratello o renderlo peggiore che mai.”
[2]Frase ripresa da un'intervista al Moff circa le similitudini/differenze tra Sherlock e il Dottore: "Sherlock Holmes is a human trying to be a god. The Doctor is a god trying to be human." (Sherlock Holmes è un uomo che cerca di essere un dio. Il Dottore è un dio che cerca di essere umano.”
[3]Nota 1 del capitolo 6:  La posizione Weaver è la classica posa in cui ci si mette utilizzando una pistola con due mani. Il braccio della mano che impugna la pistola è teso mentre quello dell’altra mano, che sostiene, è leggermente flesso. Detta così può sembrare difficile ma si vede proprio in ogni genere di film XD Per info, comunque, basta cercare su google: le immagini che risultano sono chiare più delle parole :D
[4]Il corsivo è preso dal romanzo di Sir Conan Doyle "Il Segno Dei Quattro"
   
 
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