Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: LeanhaunSidhe    11/02/2013    1 recensioni
A volte, per indossare nuovamente la tua maschera, hai bisogno di guardare cosa c'è oltre quella degli altri. Amina deve riappacificarsi col suo passato e, mentre tenta di riuscirci, forse riuscirà a cambiare anche il presente dei protagonisti...
E' una storia breve, leggera e senza pretese, dalle tinte appena scure. Se avete voglia di tentare con la lettura di una storia un pò diversa, ecco qua :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era autunno e il vento spirava forte. Amina era arrivata che era quasi notte. La villa si trovava in un punto riparato, in mezzo alla vegetazione. Per ciò che aveva in mente, era meglio che nessuno si fosse accorto della sua presenza.

Si era portata un sacco a pelo e un termos di caffè. Non bisognava essere geni per organizzare un appostamento. Le stelle iniziavano a splendere nel cielo più scuro e la luna garantiva comunque una buona visuale. La temperatura si abbassava in fretta e il mare aveva un suono pacato e lontano. Le ricordava casa. Le estati trascorse nella tenda. La nostalgia aveva il profumo di sua madre e il suono delle risate dei suoi fratelli, in mezzo allo sguardo severo di loro padre. Era tanto tempo che non coltivava più quei ricordi. Scacciò via una lacrima furtiva. Forse non era stata una grande idea tenere all'oscuro i suoi su dove fosse. Solo Dio sapeva di quanto avesse bisogno del sorriso solare dei fratelli e dell'abbraccio sicuro di suo padre.

Le onde, che sbattevano sul bagnasciuga in lontananza, avevano l'eco di un ricordo antico. Avevano il sapore di un bicchiere di wisky consumato accanto al fuoco, mentre fuori c'è la tormenta e tu chiaccheri con un vecchio amico, che non vedi da tanto.

Nell'azzurro scuro delle onde, Amina rivedeva gli occhi ridenti e stanchi di sua madre. La malattia aveva colto quella donna troppo presto e la sua bambina non aveva fatto in tempo a conoscerla. Di lei, però, la piccola rammentava quando la tirava per la mano e la portava a camminare nella sabbia umida, con i piedi che ci affondavano dentro.

Sua madre era minuta, non particolarmente bella, ma di gran fascino. Anche se malata, la luce che irradiava scacciava ogni ombra. Quando la morte se l'era portata via per sempre, nessuno della sua famiglia aveva pianto. Loro padre, prima di chiudere il coperchio della bara, aveva abbracciato forte Amina e i suoi due fratelli, tutti insieme, senza distinzioni. Il generale Forks era un uomo apparentemente freddo e burbero, ma aveva promasso che avrebbe vegliato su di loro, che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per proteggerli ed amarli.

Nessuno dei suoi tre figli aveva pianto perchè sapevano che ogni cosa è labile e leggera, tutto, tranne le promesse del generale Forks.

Così, quei ragazzi erano cresciuti raddrizzati dalla cinghia e senza la guida sensibile d'una madre, ma con la fede incrollabile d'essere amati come il tesoro più prezioso. Negli anni, avevano compreso quanto speciale e rara, nonostante tutto, fosse la loro condizione. In un mondo in cui ogni cosa era labile e passeggera, loro erano roccia.

Loro padre viveva per proteggere e servire. I suoi tre figli l'avevano sentita come una vocazione e avevano scelto di vivere per proteggere e servire anche loro.

Con Amina, madre natura era stata strana: sembrava la copia femminile di suo padre. Forse era per quello che aveva il fiuto del segugio: gli somigliava in ogni cosa. Però, anche lei ogni tanto falliva.

Lo sciabordare ritmico delle onde era come il passo lieve di sua madre. Dopo che s'era alzato il vento, ci udiva anche i rimproveri di suo padre. Seduta da sola sulla spiaggia, Amina aveva raccolto le ginocchia al petto. Sentiva in bocca il sapore del wisky sorseggiato davanti al fuoco mentre fuori fa freddo, chiacchierando con un vecchio amico.

Aveva percepito dei movimenti strani presso la villa e più d'una volta aveva carezzato la pistola che nascondeva sotto il giubbotto di pelle. Aveva capito subito che che non erano i custodi ma qualche ladruncolo che perlustrava la zona prima di farci visita. Aveva chiuso gli occhi qualche secondo. Quando li aveva riaperti, erano di nuovo identici a quelli ombrosi del capitano Forks. Lei non avrebbe mai dimenticato Toki, ma non poteva più permettersi di dimenticare se stessa. Sorrise alla luna e mandò più giù la zip del giubbotto, fino alla fondina. Ormai, i movimenti e le intenzioni dei ladruncoli alla villa erano chiari. Iniziò ad avvicinarsi all'abitazione, silenziosa come un gatto. Assottigliò lo sguardo quando vide il primo dei due uomini che armeggiava col pannello dei comandi del cancello automatico, appena fuori l'ingresso. Amina sorrise, prese la mira e tirò indietro il grilletto.

Il sibilo del proiettile, che gli passava a meno di dieci centimetri dalle orecchie, bloccò l'ignaro ospite prima che iniziasse il suo lavoro. L'investigatrice, compiaciuta, restò ad osservare lo scompiglio che aveva creato mentre dava l'allarme con un solo tasto del telefonino. Era comodo avere un canale diretto con la polizia. La sua amica che lavorava li dentro non le avrebbe mai negato di conoscere il nome del proprietario della villa, se le avesse lasciato l'onore di catturare quei tre pivelli con le mani nel sacco. Quegli sciocchi stavano ancora fuggendo quando furono bloccati nel loro agire dalle sirene rosse e bianche della polizia.

   
 
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