Nota megaultrapoco importante:1. Le parti con le virgolette sono i pensieri.
2. le parti che ogni tanto svolazzano in mezzo al testo vero e proprio tra due
trattini, sono le parole di una canzone che ho inventato di sana pianta per
adattarsi ai contenuti dei ricordi di quando era bambino e sentiva questa
canzone. Non credo di essermi spiegata molto bene…La storia inizia dopo questi
puntini e le stelline dividono il flashback...comunque buona lettura!!
..............................................
Perché dite di volermi bene e mi tenete rinchiuso qui? Perché dite di amarmi ma
non volete farmi vedere a nessuno? Sono sempre io! Non è cambiato nulla nel mio
carattere, nei miei pensieri…Non sono un mostro! Amare non significa nascondere,
ma proteggere!
************************************************
-Siamo ancora qui…lungo i passi della nostra strada…un’altra estate sta finendo,
poi che succederà?-
L’erba ondeggiava attorno al suo corpo, gli faceva il solletico sotto i piedi.
Il profumo dei fiori di campo lo inebriava mentre guardava con i suoi occhi
verdi un altro tramonto andarsene per la sua strada. ‘Dove va il sole quando non
lo vediamo?’ era una domanda a cui non sapeva darsi risposta, e ogni volta che
lo vedeva non poteva fare a meno di porsela. Una venticello gli scompigliò i
capelli castani mentre rovesciava il capo all’indietro, sorridendo vedendo i
suoi genitori che arrivavano da dentro la loro casa, in cima alla collina.
Avevano passato l’estate a girare l’Europa e ora erano tornati in Inghilterra,
nell’ultimo scorcio di una stagione. Davanti al loro, seduti fra prati a godersi
l’ultimo picnic dell’anno, si stagliavano due paesaggi completamente diversi, da
un lato una foresta immensa dove sarebbe stato meglio non andare, con i suoi
suoni, le sue melodie, i suoi animali…dall’altro un grande campo di girasoli,
tutti volti verso lo spicchio di sole, tentando di agguantarne gli ultimi raggi,
dondolanti sotto il vento che spirava da nord.
-Se le cose non andassero come vogliamo, cosa facciamo? Continuiamo lo stesso a
camminare o ci nascondiamo dietro al primo angolo senza più uscirne?-
Delle formiche si avvicinarono ai resti del banchetto, pronte a farsi una
scorpacciata. Gli piacevano gli animali, anche gli insetti. Non hanno tutte le
preoccupazioni degli umani, sanno solo affidarsi all’istinto, non hanno il
concetto di giusto o sbagliato. ‘Cosa c’è nella foresta?’ aveva chiesto spesso
alla madre, ma non aveva mai avuto una risposta precisa. Le solite cose, aveva
detto, uccelli, cervi, insetti. ‘Ma se c’erano solo queste cose perché non
andarci?’ Era piccolo, certo, ma avrebbe ritrovato la strada di casa anche da
solo. Qualcosa si strusciò sopra le i suoi polpacci. Era il suo piccolo cane,
Flapsy, che stava inseguendo una farfalla. Le farfalle non hanno una vita lunga,
fanno il loro lavoro e muoiono.’ Quindi perché togliere loro anche quel piccolo
spazio vitale?’ Arrestò la corsa del cane e lo osservò mentre giocava con un
legnetto. Sentiva le voci dei suoi genitori parlare di lavoro, ne parlavano
sempre, come se fosse la cosa più importante. I suoi sapevano trasfigurarsi: il
padre in cane, la madre in porcospino. Se lui un giorno fosse riuscito a
trasfigurarsi gli sarebbe piaciuto diventare un falco, forte quando vuole, ma
dolce in altri momenti.
Il sole ormai era tramontato del tutto e le prime stelle facevano capolino nel
cielo ammantato di nero. Vedeva Venere brillare altezzosa in mezzo alle altre,
mentre lui era lì, piccolino ad osservarla. Gli sarebbe piaciuto volare proprio
per poter vedere il cielo da vicino, più vicino…
Avvertiva i grugniti di sforzo del cane nel tentare di afferrare il legno che
lui teneva serrato nel pugno, per giocare avanti. Il padre lo chiamava, era
tardi ormai, dovevano rincasare, ma la sera era così bella…Si ricordò che i suoi
gli avevano sempre proibito di uscire quando c’era la luna piena, mentre lui
dalla sua camera sentiva latrati in lontananza …ma oggi la luna era coperta
dalle nuvole a lui piaceva così tanto guardarla illuminare d’argento qualsiasi
cosa toccava il suo fascio di luce.
Si alzò di scatto, mentre Flapsy rimaneva avvinghiato al legnetto, lo scrollò di
dosso e lanciò il pezzo lontano mentre osservava il cane corrergli dietro,
felice. All’improvviso sentì la luce lunare accarezzargli la pelle e, lontano un
lungo, sonoro ululato. ‘Flapsy, torna!’ pensava mordendosi le unghie, sapendo
che il cane era corso in direzione della foresta. Ma nulla. Aveva solo una cosa
da fare, e la fece.
-A volte le scelte che facciamo non sono le più giuste, ma se queste servono a
salvare qualcuno, allora anche nel pianto, ci ricorderemo che ci sarà sempre
colui che ci ringrazierà-
Si slanciò giù per il pendio, sempre più velocemente, mentre il cuore gli
martellava nel petto, al pensiero di non rivederlo mai più. Non sapeva perché
l’aveva fatto, non aveva mai disobbedito, ma stavolta aveva dovuto.
Si trovò all’ingresso della foresta, col fiato mozzo, tentando di scorgere
nell’oscurità figure, sagome bagnate solo dalla luna. Lo chiamò più volte ma non
servì a niente, così decise di addentrarsi. Subito ebbe l’impressione di essere
seguito e quando si girò per guardarsi alle spalle notò con rammarico che non
vedeva più l’uscita, sebbene avesse fatto solo qualche passo. Sentiva che tra un
po’ il cuore gli sarebbe schizzato fuori dal petto per tanto veloce che batteva.
‘Ho paura’ pensava aggirandosi tra il fitto fogliame, voleva la mamma vicino,
voleva qualcuno che gli dicesse di non aver paura. Ma non venne nessuno. Forse
non si erano nemmeno accorti che non era più seduto sul prato, o forse lo
cercavano disperatamente…
Un crack improvviso lo fece voltare in direzione del suono. Tese le orecchie,
che adesso sarebbero state in grado di percepire anche lo zampettare di un
insetto, e attese. Più nulla. Il panico stava salendo lungo tutto il suo corpo,
le mani gli tremavano, respirava sempre più affannosamente, sentiva rumori
dappertutto e ognuno di essi lo faceva sobbalzare immancabilmente. Si rese conto
di quanto fosse stato stupido, non aveva niente per difendersi, e sicuramente i
suoi sarebbero andati a cercarlo al suo posto trasfigurandosi. Stava già
pensando che probabilmente il cane era tornato indietro quando lo sentì. Un
cagnolino stava latrando in lontananza, debolmente e tristemente. Corse verso
quel suono che da una parte lo faceva sentire male perché aveva pura di ciò che
avrebbe potuto trovare, dall’altra invece bene perché finalmente lo aveva
trovato e sarebbe tornato a casa, sperando che fosse Flapsy.
-Quando ci troviamo davanti ad un bivio, cosa preferiamo fare? Prendere la via
più facile, che salva noi, dove non rischiamo nulla, o prendere quella più
difficile, che mette in gioco tutto quello che abbiamo, ma che ci permette di
dire di aver provato a percorrerla?-
Scostò alcuni cespugli e si ritrovò in una radura, illuminata a chiazze dalla
luna. Un silenzio innaturale la circondava e una nebbiolina argentea la
avvolgeva rendendo tutti i suoni e le cose ovattate. Si guardò attorno
circospetto, pronto a scappare ad ogni minimo rumore. Poi lo sentì di nuovo, e
non poteva che essere lui. Continuava a uggiolare verso la sua direzione, nella
speranza che lui andasse. Si mosse velocemente, a tentoni e lo vide a terra,
steso. Era ferito alla zampa e il naso era sporco di sangue, in bocca brandiva
ancora il legnetto che lui gli aveva tirato e lo guardava con occhi acquosi.
‘Perché sei così stupido?’ pensò mentre tentava di sollevarlo senza fargli male,
intanto che molte lacrime cominciavano a rigargli il volto. Flapsy sembrò fare
resistenza, come per volergli dire che ormai per lui non c’era speranza e quella
cosa che lo aveva ferito poteva tornare. ‘
Salvati, sembrava che gli dicessero i suoi occhi. ‘Non ti lascio qui!’ e,
mandando all’aria ogni precauzione lo sollevò e si allontanò da quel punto.
Si fermò di botto. Stavolta non era un’impressione. C’era qualcosa che si stava
muovendo nell’ombra, sembrava un lupo gigante, ma non ne esistevano di così
grandi. Appoggiò Flapsy a terra e si avvicinò stupidamente per vedere cos’era. E
scoprì che non avrebbe mai voluto vederla. L’aveva osservato solo nelle
illustrazioni di alcuni libri che avevano nella biblioteca a casa e lo avevano
impressionato molto, ora dal vero faceva ancora più impressione. Era un
licantropo. La testa guardava intorno annusando l’aria col naso da cane, mentre
i suoi enormi occhi gialli scrutavano ogni minimo segno di movimento. Stava
parzialmente gobbo, con gli arti davanti più piccoli e gli artigli tesi. Addosso
aveva ancora brandelli di quelli che dovevano essere stati vestiti e le lunghe
gambe, che terminavano con due piedoni artigliati, scattavano di qua e di la,
nella voglia di attaccare. Flapsy rincominciò a guaire e il lupo mannaro girò
immediatamente la testa verso di lui e incominciò a ululare. ‘Che cosa faccio
ora?’ aveva due possibilità: rimanere nascosto sperando che non si accorgesse di
lui o salvare il cane facendosi vedere. La scelta per alcuni avrebbe potuto
essere ardua ma lui non ebbe esitazioni, e, raccolto un legno che gli sembrava
appuntito, gli si slanciò contro. Il licantropo gli sferrò una zampata che lo
mandò faccia a terra, spaccandogli il labbro. Sentiva il suo fiato sul collo, ma
sapeva che non doveva farsi mordere, si girò e gli infilò il legno nel fianco.
Ululò di dolore osservando con i suoi occhi gialli quel bambino che l’aveva
ferito, tentando di schiacciarlo col piede. Si scansò appena in tempo. Un
ringhio proveniente dalla sua destra lo fece sobbalzare e fece girare per
l’ennesima volta il testone al lupo mannaro. Flapsy si era alzato ciondolante e
ora ringhiava contro di lui. Il mannaro non ebbe esitazioni e gli si avventò
contro, tralasciando il bambino inerme sotto di lui. ‘Noooo!’ c’era un unico
pensiero che gli turbinava nella mente, oltre al fatto che sperava che fosse
presto l’alba, salvare il cane. Era andato lì per questo e non avrebbe lasciato
che uno stupido lupo lo uccidesse. Ancora una volta gli lanciò contro un legno
appuntito che si conficcò nello stinco. Lo fece urlare di dolore, mentre della
bava gli colava dalle gengive, digrignando i denti. Corse vero il cane e gli
fece da scudo mentre il licantropo dietro di lui si avvicinava. Non poteva
scappare, non poteva fare nulla, soltanto subire senza poter fare niente.
Sarebbe bello peter dire, ora, che in quel momento arrivarono i suoi genitori e
lo salvarono, schiantando il mannaro, ma non fu così. Mentre sentiva avvicinarsi
dei passi dagli alberi attorno alla radura il suo destino si compì e fu morso
dal lupo, e lui non vide più nulla.
********************************************************
-Cosa possiamo fare quando ci accorgiamo che ormai è troppo tardi per cambiare
quello che è successo?Quando ci rendiamo conto che non si può tornare
indietro?Quando comprendiamo che la nostra vita non sarà più la stessa?Cosa
possiamo fare quando ciò accade?-
La stanza la conosceva. Era la sua camera. La cosa che non conosceva erano le
espressioni truci sui volti dei suoi genitori e la consapevolezza di aver
cambiato ogni singola cosa della propria vita. Aveva sperato che fosse stato
solo un sogno. Avvertiva un dolore alla spalla, così guardò cos’era. Un grande
morso aveva reso la pelle blu nei dintorni, facendo uscire parecchio sangue.
Sua madre gli parlò, quella mattina. A lui non interessava sapere cosa gli era
successo, ma sapere come stava Flapsy, era solo un cucciolo. ‘Sta bene!’ pensò
allegramente dopo che suo padre glielo diede in braccio, ma nessuno era felice,
tranne lui. Si arrabbiarono molto, dicendogli che era stato un incosciente, che
sarebbe stato meglio che il cane fosse morto piuttosto che lui morso. Lui non
capiva? Cosa c’era che non andava? Erano tutti e due vivi, dopotutto. Lo capì
quando il padre gli spiegò che tutto quello che aveva fatto fino a quel momento
non poteva più farlo. Quando gli spiegò che la su avita sarebbe diventata un
inferno. Che nessun avrebbe voluto averlo vicino. Che avrebbe perso gli amici.
Non sarebbe stato mai più lo stesso, mai più. L’unica consolazione era Flapsy
che gli stava sempre vicino, lo rincuorava, e il pensiero che lo aveva salvato
lo riempiva di gioia. Ma cosa sarebbe successo quando avrebbe iniziato la
scuola? Nessun preside aveva mai voluto un lupo mannaro come alunno, e mai lo
avrebbero voluto.
Non lo facevano più uscire. Poteva restare in casa, ma non poteva uscire, gioire
del tempo con gli altri. Misero in giro la voce che era malato, che era
contagioso. Gli avevano addirittura preparato una stanza per quando diventava un
lupo mannaro, a prova di graffi, morsi e spintoni. Ma questa non era vita.
-La risposta è semplice. Bisogna camminare senza fermarsi, ricordando il proprio
passato, le cose tristi e quelle felici, quelle che ci fanno piangere e quelle
che ci fanno sorridere. Non dimenticando mai le cose che ci sono accadute, nel
bene e nel male. E aprire un’altra porta.-
‘Perché dite di volermi bene e mi tenete rinchiuso qui? Perché dite di amarmi ma
non volete farmi vedere a nessuno? Sono sempre io! Non è cambiato nulla nel mio
carattere, dei miei pensieri…Non sono un mostro! Amare non significa nascondere,
ma proteggere!’ lo pensava spesso. Non ce la faceva a resistere in queste
condizioni. Ma quando finalmente pensava che nulla sarebbe mai più cambiato, la
porta di casa si aprì e lui sentì di nuovo quei profumi così a lungo agognati e
quei cieli a lungo guardati attraverso una finestra. Sulla soglia c’era un uomo,
il suo nome era Albus Silente.
-E mentre la vita continua noi siamo qui a guardarla da spettatori, commovendoci
o rallegrandoci, ma siamo sempre qui. E nonostante le cose brutte accadano non
possiamo fermarci, ma aprire un’altra porta…-
Remus Lupin guardò un altro tramonto andarsene, mentre l’erba attorno a lui
ondeggiava e sullo sfondo sentiva una canzone dell’estate appena trascorsa che
iniziava così: Siamo ancora qui…lungo i passi della nostra strada…un’altra
estate sta finendo, poi che succederà?