MAP OF THE PROBLEMATIQUE
# WHEN WE BLEED WE BLEED THE SAME
DISCLAIMER (!) (QUELLA
COSA NOIOSA DI CUI A NESSUNO IMPORTA UN PORCELLINO VOLANTE CHE GIOCA A
CRICKET MA CHE CE DEVE STA’ ALTRIMENTI PARE CHE STAI A
FREGA’ QUALCUNO): NARUTO©, Kishimoto e tutte le sue opere e
personaggi non mi
appartengono e francamente son felice così; Yamato/Tenzou/Geppetto/Trottolino
Amoroso Du Du Da Da Da, Hattakkate
Kagakazzi (vinco
il premio originalità per i nomignoli, levateve proprio) e
tutto il resto della truppa vengono meramente sfruttati in
qualità di Barbie
Ninja dalla
sottoscritta, e v’assicuro che non mi fruttano una lira. O un
euro. O, visto che vivo in UK, una sterlina/pound (£).
Peace out, bro.
NOTE ♫: La storia è ambientata
negli anni in cui entrambi Kakashi e Yamato/Tenzou (o Enzo,
come ci suggerisce di chiamarlo Word, grazie Word) facevano parte della
squadra ANBU. Ora, se mi toccate Enzucc’ siete
praticamente morti: trottolino è una specie di bambino cavia
killer provetto con la sindrome di Gropius (N.d.A. WALTER
GROPIUS È
UN NOTO ARCHITETTO) e un
posto assicurato all’IKEA di Konoha – se fosse pure
scozzese sarebbe praticamente l’uomo della mia vita (qualcuno
ha detto David Tennant?). Kakashi
è uno stronzetto amorello pure
lui perché sì. Inoltre ghèèèi e ships
che vi portano far awaaay ♫ (a proposito, “MAP OF THE
PROBLEMATIQUE” è una canzone dei MUSE. Fate ciao ai mius! *si affaccia alla finestra
e urla “MAAAAATT” col tono di una gallina*)
– dicevo, ghèèèi perché YAOI, fatevene una ragione. Per problemi
e reclami, rivolgetevi alla cassa e sarete rimborsati della lettura.
Forse. Possiamo anche
aggiungere che è la prima volta che "sforo" fandom,
sì, e che mi sento come una pimpa il suo primo
giorno di scuola, sì? Siate bboni. #anZia
Da qui in poi vi auguro buona lettura e
offro popcorn al toffee e irish
cream. Lo so, che schifo d'accoppiata. Poi a me va del porridge adesso.
Mh mh mh delicious
porridge mh mh mh...
Comments are love love ♥
#01 | 仮面 ∙ ∙ ∙ MASK
“Possiamo toglierla adesso,
Senpai?”
Tenzou
gettò l’ennesimo ramo secco nella cesta che teneva
in spalla, storcendo poi il volto in una smorfia infastidita; la
maschera – un gatto dal muso così grosso da
sembrare più una tigre, tutto bianco con le rifiniture in
rosso – aveva preso a pizzicargli da morire sul naso;
l’aveva tenuta su tutto il giorno per ordine diretto
dell’Hokage, ma adesso proprio non capiva perché
fosse costretto a continuare ad indossarla – probabilmente
solo un capriccio del Capitano – o, ancora,
perché stessero raccogliendo legna “per la
notte” nel bosco quando disponevano di uno con la sua
abilità innata.
“Senpai,
non potremmo semplicemente utilizzare la mia Mokuton?”
chiese ancora.
Il
Capitano – Hatake Kakashi, un jonin che pareva fosse stato
allievo del Quarto in persona – si fermò di colpo
davanti a lui, costringendolo a spostarsi rapidamente sulla sinistra
per non finirgli addosso. Il ninja parve considerare per qualche
secondo la possibilità. “Hmm,”
fece, e poi: “no.”
Tenzou lo guardò; a differenza delle altre, di porcellana
finissima, la maschera del suo superiore era d’avorio e
ritraeva un cane-lupo; attorno all’occhio sinistro oltre che
al tradizionale rosso c’era una traccia d’argento
che scendeva fino quasi al mento, come una lacrima. Con un
po’ di invidia, il giovane non poté fare a meno di
notare che quello del capitano fosse un artefatto molto più
notevole del suo – probabilmente un lavoro originale svolto
su commissione. Forse un giorno anche lui avrebbero ricoperto un ruolo
di comando in una missione… e allora avrebbe avuto una
maschera esattamente come quella. Anzi no, più bella. Un
cervo. Un daino, forse.
“Ma perché no?”
Kakashi
sbuffò, grattando impaziente col sandalo sul terreno, come a
calciare un sassolino immaginario.
“Siamo in missione segreta, Tenzou,” si
lamentò. “Non possiamo permetterci il lusso di
giocare con la tua casa delle bambole a volto scoperto.”
“Ma potremmo comunque accendere il fuoco con
–”
“No.”
Kakashi
aveva una voce strana – gentile e vellutata – ma al
contempo intrisa di una nota fiera e autorevole che gli aveva fatto
pensare ad un bambino che gioca a fare il re fin dalla prima volta in
cui Tenzou l’aveva sentita, due giorni prima nelle stanze del
Terzo. In realtà si sposava bene con l’idea che si
era fatto di lui; il giovane Capitano era impulsivo, arrogante,
testardo e talvolta anche decisamente irritante, ma teneva testa al
resto del gruppo nonostante molti di questi lo superassero di gran
lunga per stazza, esperienza ed età. Per qualche istante
Tenzou si chiese che faccia avesse sotto quella maschera, quale fosse
la sua vera età e di che colore fossero i suoi occhi
(pensò azzurri, o forse grigi), poi uno scatto improvviso
della mano di Kakashi stesso lo riscosse dalle proprie fantasticherie;
indicava dei cespugli distanti sul sentiero.
“Legna
secca, laggiù,” disse. Poi lo fissò
– o almeno Tenzou immaginò che così
dovesse essere dietro l’espressione canina – ed
emise uno sbuffo annoiato. “Ci vai da solo o hai bisogno
d’un calcio in culo?”
“Come
fai a vederla da qui?”
“Lo so e basta.”
“A malapena si scorgono le erbacce! Stai bluffando!”
“… muoviti, pivello.”
“Subito Senpai!”
∙ ∙ ∙
Un’ora
dopo, l’intero gruppo di ricognizione – fatta
eccezione per il Capitano, sparito a montare la guardia tra gli alberi
– recuperava forze e calore seduto attorno al fuoco
scoppiettante. Tenzou avrebbe approfittato volentieri della tregua per
riposare, l’odore del legno bruciato quasi conciliante, ma i
suoi compagni non sembravano essere dello stesso avviso. Il ninja fece
del suo meglio per ignorare gli schiamazzi e il chiacchiericcio molesto
(gli adulti, del resto, sapevano discorrere di una cosa sola) e quando
il discorso virò sulle tette dell’assistente
bibliotecaria, il ragazzo quasi desiderò di trovarsi a fare
compagnia a Kakashi sulla cima di qualche pino.
“Seiko,
vecchio mio, dovrai tenere su quell’affare se vuoi sperare di
portartela a letto…”
“Sei solo invidioso perché io ho i classici
lineamenti dell’eroe tragico e tu invece fai schifo al
cesso.”
“Tolta l’invidia e l’eroicità
ti rimane solo una tragedia in faccia.”
“Vai a cagare, Izumo!”
Tenzou non si unì allo scroscio di risate, ma
osservò comunque la scena con la coda dell’occhio.
Quando Seiko – quello con la voce strana, alto, il chiudi-fila –
si tolse la maschera per lanciarla a quello che doveva essere Izumo,
mostrando apertamente il volto giovane e un sorriso, il ragazzo per
poco non cadde dal ceppo su cui era seduto.
“Ma – ehi! Il Capitano ha detto che dobbiamo
tenerla su!” intervenne scandalizzato. Attorno a lui, uno ad
uno, i suoi compagni si stavano liberando delle brutte facce di
ceramica, riponendole senza alcuna cura accanto alle armi e alle
provviste. Seiko rise della sua preoccupazione, indicandolo poi con
fare beffardo dalla sua posizione nel cerchio.
“Ah, ma allora sai parlare!” esclamò
vittorioso. “Com’è che hai detto che ti
chiami? Enzo? Tango? Tarzan???”
“Seiko, andiamo, dagli tregua. È la sua prima missione
Anbu!” intervenne ridendo Izumo, un
ninja dal naso rotto in quelli che, Tenzou provò a contarli,
dovevano essere più di tre punti.
“Il mio nome per questa missione è
Tenzou,” recitò diplomatico il ninja
più giovane. “E vi ripeto, il Capitano ha detto
che non dobbiamo toglierci la maschera per nessun motivo.”
“Spiegami come faccio a mangiare con addosso questa,
Tarzan.”
“È Tenzou.
E comunque,” ci pensò qualche secondo, valutando
tutte le possibili opzioni (tra cui quella decisamente impegnativa del
trasportare il cibo all’interno del corpo con un jutsu),
ma infine dovette arrendersi.
“No, non ne ho idea,” pigolò sconfitto.
Il cerchio fu scosso da un’altra risata, stavolta
più gentile. Tenzou seppe subito che i suoi compagni non
volevano beffarsi di lui – se non in maniera del tutto
innocente. Izumo lo esortò a cibarsi con loro prima del
ritorno del Capitano, perché, come aveva già
intuito da solo, il ninja non avrebbe gradito quella chiassosa
riunione. Con un ultimo sospiro nervoso, Tenzou rimosse la propria
maschera e la poggiò in equilibrio sulle ginocchia.
Seiko per poco non si strozzò col salmone.
“Ma che –” tossì
più volte, battendosi il pugno in petto. “Ma
quanti anni hai?!”
“Quindici,”
rispose lui.
“Kami, ci
risiamo, un
altro moccioso prodigio! Pensavo fosse solo mingherlino!”
“Seiko, perché non ti ficchi quel benedetto
salmone in bocca prima che decida di tornarsene al suo ruscello? E tu
mangia, giovanotto. Devi tenerti in forze.”
Tenzou – e il suo stomaco, che proprio in quel momento aveva
deciso di dar voce al suo disagio gorgogliando fiero – non
poterono fare a meno di concordare con Izumo; aprì la sacca
del cibo e scavò al suo interno, estraendone la cena: oltre
a due polpette di riso c’era un pacchetto di pistacchi
salati, che però si era aperto riversando il suo intero
contenuto sul fondo lurido della borsa. Il ninja dal naso rotto si
accorse dell’espressione di puro cordoglio sul volto del
ragazzo e gli allungò un paio delle sue noccioline. Tenzou
lo ringraziò; gli piacevano le noccioline.
“Kakashi ti prendeva solo per il culo, prima, mezza
cartuccia,” disse Seiko dopo un po’. “Fa
sempre così con quelli nuovi.”
“Ma…”
“Devi sapere che è un po’
stronzo.”
“Un bastardo,” continuò Hiku, il terzo
ninja della compagnia.
“Dai retta a me, Tarzan -”
“Tenzou –”
Seiko si sporse dal suo posto attraverso il fuoco, offrendogli un mochi
che il ninja accettò controvoglia.
“Kakashi è un tipo strano. Uno sclerato, come suo
padre. Segui i suoi ordini, perché è il tuo
Capitano, ma per il resto stagli alla larga.”
Tenzou annuì due volte di seguito, e Seiko
considerò così l’argomento chiuso.
Per
la seconda volta quella sera, il ninja si ritrovò ad
interrogarsi sul Capitano dai capelli del colore
dell’argento: chi era suo padre? E come mai lo odiavano
così tanto tutti? Risoluto, decise che fino a quando non
l’avrebbe guardato in faccia, senza quella dannata maschera,
dritto negli occhi (di che colore saranno stati, poi?), il suo giudizio
sul suo conto sarebbe stato sospeso.
Diede un morso al dolcetto che stringeva tra le dita di una mano,
premendolo affinché riversasse tutto il suo ripieno sul
terreno; a
lui la marmellata di fichi non era mai piaciuta.
∙ ∙ ∙
Quella
notte sembrò non finire mai.
La pioggia cadeva ininterrotta da ore, e in cielo a mezz’aria
incontrava la neve, sciogliendola; Kakashi era tornato dalla guardia da
poco e, seduto con la schiena contro un albero, sembrava riposasse.
Tenzou si rigirò a fatica sul suo letto di foglie bagnate,
imprecando a voce bassa. Non riusciva a dormire.
“Tenzou?” si sentì chiamare dopo un
po’. Il ninja riconobbe quella voce senza aver bisogno
d’aprire gli occhi; “Senpai?” rispose
pronto.
Kakashi
gli fece cenno di avvicinarsi col capo, battendo una mano
sull’erba accanto a sé.
“Fai piano,” disse, “non svegliare le
scimmie.”
Tenzou
si liberò velocemente della sua trappola di fogliame e, una
volta superati tutti e quattro gli arti di Seiko (che dormiva formando
una X perfetta sul terreno), si precipitò al fianco del
ninja dai capelli argentati – dove rimase, poi, in attesa di
un ordine, dondolandosi nervosamente sui talloni. Kakashi
picchiò di nuovo la mano sul terreno, invitandolo a sedersi.
“Rilassati, soldato,” scherzò.
“Voglio solo parlarti.”
Tenzou
sedette (“sì, Senpai!”), se possibile
ancor più nervoso di quanto non lo fosse stato pochi secondi
prima. Di cosa voleva parlargli, esattamente? Sapeva che avevano
parlato di lui prima mentre cenavano? Voleva chiedergli di riportargli
le parole dei compagni – di tradirli, denunciarli –
era una specie di prova?
“Dimmi
di te.”
“Di
– di me?”
“E chi altri, lo scimpanzé steso in croce
laggiù?”
“Seiko è solo… buffo.”
“Tu sei troppo diplomatico. E Seiko è
più che certamente un idiota.”
“La
diplomazia è l’arte che fa girare il mondo,
Capitano.”
“Indubbiamente. Ti spicci o aspetti che schiarisca
giorno?”
Kakashi
lo fissò ancora da dietro la maschera d’avorio; a
Tenzou parve di scorgere lo scintillio di un occhio – uno
solo – prima che si voltasse di nuovo. Si mosse a disagio
sull’erba, giocando, con le dita, tra i suoi fili gelati.
“Avrai sicuramente letto il mio file prima della missione,
Senpai.”
Il
Capitano attese un attimo prima di annuire; quando lo fece, si
curò che il suo sguardo fosse rivolto al giovane. Tenzou
sospirò.
“Sono una cavia. Il risultato di un esperimento di Orochimaru-Sama. Per questo riesco a
maneggiare l’arte del Legno, la stessa del Primo. Sono stato
creato dal suo DNA.”
Lo
disse tutto d’un fiato, senza interruzioni; come mille altre
volte prima, non un’emozione.
“Mi
dispiace,” gli arrivò la voce di Kakashi
– più gentile, d’un tratto,
più matura. “Ma non è quello che ti
avevo chiesto di dirmi. Parlami di te, di Tenzou o come preferisci che
ti chiami.”
“Tenzou è il nome che mi è stato
assegnato per questa missione. Se non vogliamo considerare
‘Esperimento 59’, direi che non ho altri
nomi.”
“Preferisco Tenzou, se non ti dispiace. O Ten, come dieci in Inglese.
Allora?”
“Sono
confuso, Senpai. Cosa dovrei dirti?”
Il
ninja dai capelli argentati si prese qualche secondo per riflettere.
“Hm, vediamo,” iniziò poi, fingendosi
ancora pensoso. “Penso di poter dire con una certa sicurezza
che odi la pioggia, il sudore e la marmellata di fichi,”
continuò, enumerando i punti sulle dita di una mano.
“E – oh, i rumori forti. Prima quando ha tuonato
credo di averti sentito imprecare in maniera piuttosto colorita. E
infine sei preciso –
e cauto, molto – osservativo, e pignolo al punto da farmi
voler strappar via le mutande dalla noia a volte.”
“… grazie?”
“Non c’è di che, pivello.”
Tenzou
si sentì concedere il permesso di dargli una spinta, e
così lo fece; Kakashi finse affronto e lo pungolò
in un fianco, causandogli un dolore così acuto che il
ragazzo pensò di essere prossimo alla morte. Più
o meno.
“Mi piacciono molto i libri di architettura.”
“Ci avrei scommesso il copri fronte. Vai avanti.”
“Walter Gropius è il mio preferito. E poi mi
piacciono le noci, di tutti i tipi, ma soprattutto quelle fresche. Le
terme, i film d’epoca…”
“Cielo, potresti essere più noioso?”
“Gli spinaci, la musica classica, i gatti
–”
“A che genere d’uomo piacciono davvero gli
spinaci?”
“E credo di essere gay.”
“Questa è –”
Kakashi avrebbe approfondito volentieri il discorso, ma un kunai
avvelenato per poco non gli trafisse un braccio; con uno scatto veloce,
si alzò in piedi e spinse Tenzou lontano da sé,
scansandolo dalla traiettoria di altri cinque kunai che finirono invece
contro il busto dell’albero.
“Che caz–”
“Senpai, alla tua sinistra!”
Il
ninja fece una mezza giravolta e piantò un calcio nelle reni
del nemico, costringendolo con le ginocchia sul terreno; Tenzou
formò una sequenza di sigilli e bloccò gli altri
due in una delle sue trappole di legno. Da dove diavolo spuntavano?
Come avevano fatto a non sentirli?
“Senpai, ne conto altri cinque – tra gli alberi, ad
Est!”
“Quattro.”
Un urlo di dolore confermò la caduta del quinto nemico,
mentre una Copia del ninja dai capelli argentati ne faceva fuori un
altro. “Ma come diavolo fanno a dormire ancora?”
ringhiò Kakashi allontanandosi dalla zona
dell’accampamento, probabilmente per unirsi al suo Bunshin tra gli
alberi. Tenzou fece per seguirlo, ma l’altro lo
bloccò subito, facendogli segno di tornare indietro.
“Vai
all’accampamento!”
“Non essere ridicolo, non sai quanti altri ce ne siano
lì fuori, vengo con te!”
“Questo è un ordine, Tenzou! Non
seguirmi!”
“Ma – Senpai!”
“Ho detto vai!”
Kakashi non si voltò, né arrestò la
sua corsa.
Tenzou non ci pensò due volte prima di formare i suoi
sigilli.
∙ ∙ ∙
“Da
dove cazzo sono usciti questi?”
“Molla l’osso, pezzo di – ahia, STRONZO!”
“Anche il mio mi ha morso!”
“Dov’è
Kakashi?”
Izumo spazzò via il corpo di un altro nemico, facendone
sparire subito le tracce. Attorno a lui, Hiku e Seiko facevano lo
stesso con altri tre cadaveri. Tenzou li fissava immobile dal suo posto
sotto l’albero.
“La radura, 35° verso Nord,” disse, poi si
bloccò per qualche secondo, come in attesa di notizie da una
radio immaginaria. “A meno di un chilometro da
qui,” concluse.
Hiku
lo guardò con sospetto. “Ne sei sicuro?”
chiese.
“Lo è,” intervenne Izumo. Si
avvicinò al ninja più giovane, stringendogli una
spalla da sopra la divisa.
Seiko capì subito.
“Questa è solo la sua copia lignea. Probabilmente
il vero Tenzou è lì con lui.”
∙ ∙ ∙
La
prima cosa che Tenzou vide quando arrivò alla radura fu la
neve – e il sangue che la sporcava.
Kakashi combatteva contro un ninja al centro del cumulo innevato,
l’equilibrio spostato su una sola gamba, una mano premuta sul
fianco; era ferito, sebbene non in maniera grave.
“Mokuton: Mokujō Heki!”
Dal
terreno, in profondità, germogliarono funi di legno che
intrappolarono il nemico in una morsa mortale. Kakashi si
guardò attorno disorientato per qualche secondo, prima di
alzare lo sguardo tra gli alberi e – eccolo lì,
accovacciato sulle gambe, sigillo ancora intatto. Il pivello.
“Ti avevo detto di non seguirmi!”
Tenzou
ignorò il rimprovero, sciogliendo il sigillo e componendone
subito un’altra catena, facendo fuori tre nemici con un colpo
solo. Si sistemò meglio la maschera sul volto, lanciando un
kunai al compagno – che lo afferrò al volo
utilizzandolo per incidere la giugulare del suo più recente
aggressore. Kakashi calciò via il suo corpo, squadrandolo
poi con sospetto.
“Merda!” esclamò stizzito.
“Era solo un Bunshin!”
Non ebbe bisogno di voltarsi a controllare; nell’esatto
momento in cui avvertì il grido, il ninja seppe che il
nemico aveva colpito Tenzou col suo jutsu.
“È
quasi un peccato fare fuori questo qui,” recitò
una voce sibilante. “A differenza tua sembrava in grado di
fare qualcosa…”
Il Capitano non si scompose, né perse la calma.
“Cos’è che vuoi?” chiese
all’uomo che teneva in ostaggio Tenzou.
“Voglio quelle pergamene, Anbu di Konoha,” un cenno
del capo. “Se ci tieni alla vita del tuo amico, allora
consegnamele.”
Kakashi allontanò la mano che aveva tenuto premuto sul
fianco fino a quel momento, lentamente; tra le ciocche di capelli, le
sue dita, veloci, sciolsero il nodo di seta del fermo.
“Puoi ucciderlo…” disse, facendo
spallucce.
Tenzou ebbe appena il tempo di indignarsi, poi la maschera del Senpai cadde
al suolo e ciò che vide gli rubò il fiato; un
guizzo rosso sangue e una prigione di fulmini furono tutto quello che
riuscì a distinguere prima di udire la preghiera e
l’urlo di dolore del nemico, il corpo privo di vita del ninja
scartato a venti metri di distanza da loro due appena una frazione di
secondo dopo.
“… ma avresti dovuto battere me, prima.”
∙ ∙ ∙
“Hai
disobbedito ad un mio ordine diretto. Farò rapporto
disciplinare all’Hokage.”
“Sì, Senpai.”
“Inaudito. È così che ti hanno
insegnato all’Accademia? Mi avevano parlato bene di te,
Tenzou.”
“Mi dispiace, Senpai.”
“Mi dispiace un corno. Le regole sono regole e come tali
vanno rispettate!”
“Mi dispiace averti disobbedito. Ho lasciato una mia Copia
agli altri. Stanno tutti bene. Loro erano in tre, tu eri da
solo.”
“Ti avevo detto espressamente di tornare
all’accampamento e non seguirmi.”
“Non potevo lasciarti da solo.”
Kakashi
sbuffò, scuotendo il capo con ira.
“Tenzou, capisci che hai messo la tua vita in pericolo
inutilmente?”
Tenzou
lo aiutò a rialzarsi, facendo gravare metà del
suo peso su di sé.
“Io non abbandono i miei compagni,” gli rispose
porgendogli la maschera.
Il ninja prese la maschera tra le dita, senza indossarla; non disse
più nulla, ma Tenzou seppe subito che era stato
già perdonato.
∙ ∙ ∙
“Tu…
tu hai un’altra maschera. Solo per metà
volto.”
“Però, sei perspicace.”
“E non la togli mai?”
“Cosa?”
“La maschera.”
“Se l’ho tolta!”
“L’altra.”
“Ahn.”
“Allora?”
“No.”
“Mai mai?”
“Mai.”
“Neanche quando dormi?”
“Hm.”
“E quando fai il bagno?”
“Hm.”
“E quando mangi? Come fai? Non ti manca
l’aria?”
“No.”
“Ma non capisco – perché
l’indossi?”
“Perché è incredibilmente trendy tra i
Jonin di Konoha.”
“… davvero?”
“No.”
∙ ∙ ∙
“Izumo?”
Tenzou pungolò il compagno fino a quando questi non
sbuffò un “hmpfrrmughh”
onomatopeico che voleva sicuramente dire che era pronto a svegliarsi e
che moriva
dalla voglia di parlare con lui.
“Izumo, devo chiederti una cosa.”
Abbassò la voce fino ad un sussurro, avvicinandosi di
più al compagno appena cosciente.
“Izumo,” chiamò di nuovo.
“Qualsiasi
cosa debba chiedere ad Izumo, pivello, suppongo tu possa dirla anche a
me?”
A Tenzou per poco non prese un colpo.
“SENPAI!”
saltò su, strofinandosi i palmi sulle ginocchia come a voler
eliminare l’evidenza di chissà quale reato. Izumo
si svegliò allora come un faraone dal proprio sarcofago.
“CHE? CHI? NEMICO? KAKASHI? COSA?”
“Buono,
Izumo. La Bastiglia è ancora nostra, torna a
dormire.”
“Hmphhfrr…”
“Pivello, tu seguimi.”
“Sì, Senpai!”
Kakashi lo condusse in una piccola radura poco lontana
dall’accampamento, dove si tolse di nuovo la maschera da
Anbu, facendosela passare sulla testa come un casco. Tenzou fece lo
stesso con la sua, rimuovendola però del tutto. Stettero per
un po’ in silenzio. Il ninja dai capelli scuri fu il primo a
ritrovare la parola.
“Senpai, puoi dirmi di te?” chiese solo.
Kakashi se lo aspettava. “Ok,” sospirò.
L’occhio scarlatto era ben nascosto dietro al copri fronte;
sebbene più del 70% del suo volto fosse coperto da quel
maledetto pezzo di stoffa, non sfuggì al giovane ninja che
attorno all’occhio normale del
Capitano – quello grigio come le nuvole piene di pioggia
– non ci fosse neanche una ruga d’espressione, e
che la sua pelle in quel punto – e sugli zigomi, dove
visibile – fosse fresca e asciutta come quella di un
ragazzino.
“Quanti anni hai?”
Perché Kakashi, dopotutto, era un
ragazzino.
“Diciassette
questo Settembre.”
“Abbiamo quasi la stessa età.”
“Abbiamo quasi la stessa età,”
ripeté il maggiore.
Tenzou
si mosse un po’ a disagio sulle punte dei piedi; il Capitano
gli risparmiò la pena di pensare a come approcciare un certo
argomento sollevando il copri fronte fino a rivelare l’occhio
sinistro – una pupilla scarlatta e una cicatrice che spariva
sotto all’orlo della maschera di stoffa scura.
“Vuoi
sapere di questo?”
“Sì.”
“Vuoi sapere come me lo sono procurato?“
“Sì.”
Kakashi chiuse
entrambi gli occhi, poi ne riaprì solo uno –
quello con lo Sharingan.
“Non
sono un Uchiha, come avrai ben capito – e questo occhio non
mi è appartenuto fin dalla nascita. Girano tante storie su
come l’abbia ottenuto, alcune terribili e altre semplicemente
ridicole – sono sicuro che i tuoi compagni ne abbiano un paio
niente male – ma la verità è che si
tratta di un regalo. Un regalo di un mio caro amico. Il suo ultimo e
quello più speciale.”
Kakashi tacque per un po’ dopo questa rivelazione, quasi
aspettandosi che Tenzou la commentasse con altre domande, o che magari
mettesse in dubbio la veridicità delle sue parole. Tuttavia,
i punti interrogativi e le obiezioni non arrivarono mai, e il ninja
dovette ricredersi quando incontrò lo sguardo del moro, un
misto tra incomprensione e sincera apprensione.
“Quel
ninja, prima, nella foresta… lui… lui era
così spaventato quando ti sei tolto la maschera. La
paura… la paura lo paralizzava.”
“Questo è un occhio maledetto, Ten.”
“Ti ha chiamato ‘Kakashi dello Sharingan’.”
“Sì, è così che mi chiamano
a volte. ‘Kakashi dello Sharingan’,
o ‘Copia Ninja Kakashi’. Figo,
no?”
“Già...”
“Una figata pazzesca.”
Lo disse senza reale sentimento, però.
Tenzou
pensò che avere quel tipo di fama a soli 17 anni non dovesse
essere poi così facile per il compagno; d’un
tratto, simpatizzò con l’idea di andarsene
perennemente in giro con una maschera.
“E
di tuo padre, invece?”
Il ragazzo seppe di aver parlato troppo quando vide
l’espressione sul viso – negl’occhi
– di Kakashi cambiare bruscamente. Non era arrabbiato, ma di
sicuro non era felice di parlare dell’argomento. Fece per
ritirare la domanda, ma il Copia Ninja lo spiazzò con quello
che parve essere l’ennesimo cambio di discorso.
“Tu hai mai sentito parlare della Zanna Bianca di Konoha,
Tenzou?”
“Zanna Bianca? Certo! È stato il più
grande ninja del suo tempo, al confronto i nomi dei tre Ninja
Leggendari spariscono!”
Kakashi
sorrise appena dietro la maschera, ma poi tornò serio, quasi
triste.
“E
sai anche cosa gli è successo, di come sia caduto in
disgrazia?” chiese in un sussurro.
Tenzou esitò; sapeva la storia di Zanna Bianca –
di come fu deriso e privato dell’onore dall’intera
comunità ninja perché aveva posto la salvezza dei
propri compagni al di sopra del successo della missione stessa,
causandone il fallimento; alla fine, consumato dalla vergogna e dal
dolore, pareva si fosse tolto la vita. Ricordava
l’espressione sul volto del vecchio Sarutobi, quando gli aveva
raccontato di lui: parlava di rimorso, ed di pena, e della
fiducia che non era
riuscito a infondere nel cuore di Sakumo Hatake,
la Zanna
Bianca.
“La
mia maschera - questa da Anbu, intendo; apparteneva a
lui, a mio padre. Non me ne separo
mai.”
Hatake come Hatake Kakashi.
Suo… figlio?
“Io credo che Zanna Bianca fosse un eroe,” disse il
giovane ninja, d’un tratto cosciente del peso delle proprie
parole. “Kakashi, le regole sono importanti, ma chi non pensa
ai compagni in una missione… beh, chi non pensa a salvare i
compagni prima che alla missione è solo
spazzatura.”
Kakashi
sgranò gli occhi, volgendo subito lo sguardo altrove. Stava
accadendo di nuovo; Tenzou di certo non poteva sapere che quelle esatte
parole gli erano state rivolte contro dall’amico
Uchiha lo stesso giorno in cui aveva perso la vita per un suo errore;
restò lì a fissare il vuoto, cercando di placare
quella sensazione d’impotenza che provava ogni volta che
ripensava a loro – a Obito, a suo padre, Rin, Minato-Sensei, a tutti
quelli che aveva
amato e che non era riuscito a salvare.
Kakashi dello Sharingan non era
niente. Kakashi dello Sharingan era
solo spazzatura, perché non aveva protetto nessuno dei suoi
cari.
“Sai,
dicono un sacco di cose strane sul tuo conto," sentì poi
dire al moro. "Ma questo tu
lo sai già, non è vero? Anzi, segretamente ne sei
anche contento, ti risparmia la fatica di spiegare come stanno
realmente le cose
agli altri… era così per me
all’Accademia e anche dopo, nel Team a cui ero
stato assegnato – sono diventato Chuunin all’età
di 6 anni, il solo in un gruppo di neo-diplomati che ne aveva almeno il
doppio di me. Mi hanno chiamato cavia, mi hanno chiamato esperimento,
mi hanno chiamato mostro e scherzo della natura, Kakashi. Li lasciavo
fare perché non mi interessava stringere rapporti con
nessuno di loro. È un’ottima difesa, il silenzio
della solitudine – ma a volte può diventare una
lama a doppio taglio.”
Fece una pausa, aspettando che il compagno si voltasse nuovamente a
guardarlo. Quando lo fece, riprese a parlare, il tono più
frettoloso e lievemente imbarazzato.
“Sono contento che tu mi abbia detto un po’ di te,
questa mattina, e di sentirmi meno solo in missione con te
e… e niente, ora passami un fazzoletto prima che smoccichi
su tutta la divisa, grazie.”
Tenzou
gli offrì poi un sorriso che donò una nota di
tenerezza al suo volto giovane, le lentiggini sul naso e sulle guance
più evidenti nelle increspature; la sua natura buona gli
suggeriva di abbracciarlo o quanto meno offrirgli un tocco
rassicurante, ma era abbastanza certo che il Copia Ninja non fosse
dello stesso avviso. Alla fine optò per una virile pacca
sulla schiena.
Kakashi
gli fu grato di quel contatto, sebbene non l'avrebbe mai ammesso.
“Ho visto che stavi per abbracciarmi, gay-boy.”
“Accidenti, lo sapevo! Era la mia occasione
d’oro!”
“Per farti incrinare otto costole da Kakashi
dello Sharingan?
Probabile.”
“Ritiro tutto ciò che ho detto: sei senza
cuore.”
“E tu una ragazzina emotiva.”
“Almeno ho un cuore.”
“E io un pene.”
“Vuoi che ti mostri il mio?”
“Non ce n’è bisogno. Sharingan, ricordi?”
“Cos- KAKASHI SMETTI SUBITO DI GUARDARMI IL – SEI
SENZA PUDORE!”
“Come se non ti piacesse, ha!”
Una brezza gelida spezzò l’aria, costringendo
entrambi i ninja a stringersi di più nelle proprie sciarpe
– una verde per Tenzou, l’altra scarlatta per
Kakashi. Quest’ultimo si chinò a raccogliere della
neve da un cumulo vicino, e con un ghigno nascosto dalla maschera di
stoffa ne fece una palla che spiaccicò in faccia al
compagno, cancellandone l’espressione sconvolta. Tenzou
rispose subito all’offensiva con una piccola valanga che il
Copia Ninja non schivò di proposito. “Puzzi di
cane bagnato!” lo prese in giro, ridendo come un matto.
Kakashi godé del suono di quella risata, e per una seconda
volta fece finta di non essere riuscito ad eludere il suo attacco. Poi
lo braccò, spingendogli la faccia direttamente nella neve.
“AAAHHH BASTARDO!”
“Te lo meriti! Colpire il tuo superiore con una valanga!
Farò rapporto all’Hokage!”
“Se non ti levi subito ti colpirò con qualcosa di
decisamente più grosso di una valanga!”
“Cosa, il tuo naso?”
“Il mio naso è di dimensioni perfettamente
regolari, in proporzione simmetrica al volto, grazie!”
“Questo dove l’hai letto, sull’ultimo
numero di Domus?”
“Beh, almeno uno dei due qui sa leggere!”
“Sei
davvero gay?” sbottò all’improvviso il
Copia Ninja, prendendo l’altro totalmente alla sprovvista.
Tenzou
irrigidì appena le spalle sotto il suo tocco.
“Non… non lo so. Non ho interesse per le
ragazze,” tentò di spiegarsi.
“Questo potrebbe voler semplicemente dire che sei uno
sfigato,” intervenne ragionevole l’altro.
“Nah,”
sbuffò il moro. “Voglio dire, sono okay. Le
rispetto, ma…”
“Vuoi dire che trovi interesse nei ragazzi? Cioè,
che ti piacciono i ragazzi?”
“Alcuni.”
“Capisco.”
Il
moro non si chiese davvero cosa avesse capito, quanto cosa avesse voluto capire
Kakashi. Osservò i movimenti del Copia Ninja mentre si
risistemava la sciarpa attorno al collo – dita eleganti e
pelle pallida, e poi quei capelli sottili e di un colore
così peculiare, come l’argento... Tenzou aveva il
forte sospetto (nonché il fottutissimo timore) che sotto
quella maledetta pezza il ragazzo nascondesse un volto
pressoché perfetto. Anche con la cicatrice e
l’Occhio Della Morte, sì. Cercò di non
pensarci, stringendosi invece nelle spalle, sguardo rivolto verso
l’accampamento; “è quasi
l’alba,” disse. “Possiamo ancora dormire
un’oretta se ci sbrighiamo.”
“Forse addirittura due. Sono distrutto.”
“Idem.”
Insieme camminarono per un po’, fino a quando raggiunsero gli
altri attorno al fuoco ormai estinto; come
ampiamente previsto, erano tutti nuovamente immersi in un sonno
profondo come la morte. Kakashi utilizzò la tecnica del
Fuoco (“fanculo, ci han trovati lo stesso”), ed
entrambi presero posto su due eleganti futon (“o preferisci
un letto in stile europeo?” aveva chiesto Tenzou prima di
crearli dal nulla) poco distanti dalle piccole fiamme danzanti.
“Questa storia dell’Arte del Legno mi piace sempre
di più,” aveva detto il Copia Ninja sospirando
beato.
“Ho quasi pena per gli altri. Guarda Seiko, adesso
è una Y mezza coperta dalla neve.”
“Spero gli si siano congelate le palle.”
“Sei crudele, Kakashi, crudele e senza cuore.”
Ancora
ridendo, il Capitano richiamò altre sfere infuocate che
presero subito posto accanto ai loro compagni. Tenzou fece un verso
basso con la gola, prendendolo in giro. Kakashi lo colpì con
un pugno.
“Grazie per prima, Ten. Per avermi disobbedito.”
“Di niente.”
“Sei… sei ok.”
“Questo significa che posso abbracciarti ora?”
Kakashi
sbuffò, rigirandosi su un fianco.
Un’estremità della sciarpa scarlatta
colpì Tenzou dritto in un occhio.
“OUCH!”
“La
prima volta fa sempre un po’ male, Ten-chan.”
∙ ∙ ∙
Quella
mattina, prima dell’alba, Tenzou sognò una luna rossa;
un cane bianco e un
cielo grigio di
tempesta.
P.S. io non
so se Seiko sia anche un nome maschile in Giapponese, perché
una delle mie flatmates lo è - Giapponese, intendo -
però è femmina. Vabè, volevo renderle
omaggio giusto perché è tanto cara e mi fa sempre
il ramen e tutte quelle zuppe buone buone ed io son due settimane che
mangio a scrocco. Perciò, W Seiko! Per il resto, conto sulla
nota versatilità del popolo orientale (quale?)... Izumo e
Hiku suonavano bene e questa è l'unica motivazione per cui
hanno questi nomi. Fuck yeah. Ciao dal pub in cui scrocco la wifi. Sto per ucciderne il manager. Mandatemi fiori in prigione.
P.P.S. Qualcuno dovrebbe dire a quelli dell'amministrazione che Yamato/Tenzou non è un pairing, almeno che non si intenda shippare Enzuccio con se stesso. Adesso non fatemi venire strane idee, eh.
Vabè. xx