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Autore: _thatswhy    12/02/2013    1 recensioni
Eravamo i residui della borghesia di Doncaster, instauratasi nel paese durante il periodo vittoriano. Mia madre evidentemente non pensava che a mantenere il buon nome della famiglia, dopo che mio padre se n’era andato di casa, stufo di tutte quelle regole. Era un ribelle, lui, come lo ero io. Il mio carattere non mi rendeva la vita facile, perché faceva pesare tre volte tanto gli ordini che mi venivano abbaiati da mia madre.
Una Rose e un Jack in un ambiente moderno. Ma stavolta la morte non busserà alla porta.
Riuscirà Claire a scappare dagli insopportabili obblighi di famiglia?
L'aiuto di Louis sarà fondamentale, alla fine, perché sarà lui a salvarla e a portarla, come si suol dire, in un altro mondo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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1 - It’s not me, it’s not you.
Inforcai gli occhiali e mi accinsi a leggere le prime righe della lezione di filosofia.
Era sabato sera, uno splendente sabato sera, tra l’altro: l’ultimo dell’estate. Il cielo era talmente pieno di stelle che mi ero preoccupata potesse scoppiare.
E mentre il resto dei miei coetanei se la spassava attorno ad un falò, nella boscaglia appena dietro casa mia – tant’è che potevo sentirne le urla e schiamazzi –, io ero costretta a ripassare prima dell’inizio dell’anno scolastico. Mia mamma non mi aveva concesso di uscire e, in questo periodo, sembrava non mi volesse concedere neanche di vivere.
Mi aveva segregata nella nostra villa e, le poche volte che mettevo piede fuori dall’uscio, dovevo farlo con lei, per andare a fare la spesa dal droghiere. Inoltre, dovevo mantenere un comportamento che si attenesse alle più rigide regole del bon ton e non mi era perfino permesso di starnutire in pubblico.
Eravamo i residui della borghesia di Doncaster, instauratasi nel paese durante il periodo vittoriano. Mia madre evidentemente non pensava che a mantenere il buon nome della famiglia, dopo che mio padre se n’era andato di casa, stufo di tutte quelle regole. Era un ribelle, lui, come lo ero io. Il mio carattere non mi rendeva la vita facile, perché faceva pesare tre volte tanto gli ordini che mi venivano abbaiati da mia madre.
Chiusi con un tonfo il libro. Mi alzai di scatto, mollai un calcio al bel pianoforte accanto alla scrivania e mi buttai sul letto. Dovevo evadere, non c’era altra soluzione. Non mi avrebbero sottomesso, non ce l’avrebbero mai fatta.
Sorrisi ilare. Mi infilai una t-shirt anonima, bianca e pura, con l’ultimo paio di shorts stracciati che ero riuscito a salvare da quella suorina che mi aveva partorito. Converse ai piedi, capelli sciolti, un filo di trucco e via!
Lasciai la luce accesa per non far insospettire le domestiche. Annodai le lenzuola fra loro, come nel peggiore dei film polizieschi, e mi calai dalla finestra.
Una volta a terra, lanciai un ultimo sguardo alle mie spalle e corsi più forte che potei.

***

Mi sentivo maledettamente a disagio. Harriet, l’unica mia amica, non era presente alla festa. Così mi appartai in un angolo della radura, su un masso.
Sgranocchiai lentamente un marshmallow arrostito che ero riuscita a recuperare dall’orda di morti di fame, accalcati intorno al fuoco.
Chissà se mia mamma si era accorta della mia fuga? Forse sì… in tal caso non mi avrebbe risparmiato una bacchettata sulle nocche appena rincasata. Ma non me ne fregava più di tanto. Volevo godermi uno dei pochi momenti di serenità che riuscivo a trarre dalla mia esistenza, pallosa oramai da sedici anni.
Chiusi le palpebre e mi rilassai, stendendomi sull’erba. Era così bello…
“C’è un gran cielo stasera, vero?”
Annuii alla domanda postami da una voce sconosciuta, non me ne importava più di tanto sapere chi fosse.
“Allora perché non apri gli occhi? Sarebbe un peccato perderselo”
Scattai su col busto e scrutai scocciata il ragazzo di fianco a me.
Era complessivamente carino. Aveva un nonsoché che mi attirava: degli occhi fantastici, certo. Ma non solo per il colore, più azzurro del mare, anche per la luce birichina che alleggiava nelle sue iridi. Non avevo mai visto un simile ardore.
“Oh, buongiorno!” mi sorrise scherzando. “Sono Louis”
Mi tese la mano e la strinsi. “Claire”
“Hai dei capelli bellissimi, Claire”
Mi arrotolai una ciocca di ricci rossi sul dito, sorpresa da quel complimento.
“Oh, non credo. Tutti mi dicono che sembro una carota”
“Infatti a me le carote piacciono, sono la mia verdura preferita”
Risi. Era simpatico, e da un’iniziale sensazione di disagio mi ero subito sciolta. Non mi interessava dei miei capelli, non mi interessava se fosse stato sincero nel lodarne la bellezza: volevo solo trovare un pretesto per continuare a parlare.
Eravamo già amici dopo pochi minuti, ed io ero felicissima. La gabbia anti-integrazione dove ero rinchiusa si stava facilmente spezzando.
“CLAIRE ANDERSON!” sentii ad un tratto. Sarei voluta sprofondare. Mia madre era arrivata a prendermi, a mettermi in soggezione ancora una volta. Non ne potevo più. La raggiunsi onde evitare situazioni imbarazzanti, mentre la mia parte ribelle si lamentava ferita.
Gettai un’occhiata triste a Louis che mi fece l’occhiolino e mimò una cornetta con la mano.
Feci un sospiro di sollievo, sapendo che nei giorni successivi avrei potuto staccarmi ancora un po’ dalle redini di mia madre.

  
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