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Autore: pandasauro    12/02/2013    1 recensioni
« Sono stata chiusa in una scatola e messa in un ripostiglio in soli 45 giorni.»
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Sadie e sono nata il tre dicembre millenovecentonovantaquattro. Sono morta diciassette anni dopo: il cinque novembre duemilaundici. Non so cosa successe, neanche come, ma fu un insieme di dolore, sofferenza, tristezza, dispiacere.
Quella sera tornavo a casa con il bus. Era quello che facevo tutti i giovedì pomeriggio quando avevo terminato la scuola. Mi fermavo in città fino alle sei ed ero a casa dopo un’ora circa. Quella sera pioveva. Il meteo l’aveva predetto. In città una miriade di macchine si muovevano, i fanali si fondevano con le gocce sul parabrezza della macchina, creando qualcosa di astratto e misterioso. Qualche guidatore, forse distratto, forse pazzo, ci finì addosso. Dirigeva un camion. Inutile dire che i danni furono veramente gravi. A terra, stordita, non percepivo più niente. Nemmeno il dolore. Sentivo solamente la sirena dell’ambulanza che arrivava, le voci dei medici che urlavano. Mi sembrava di essere su una pista da ballo. Io e i miei amici che erano coinvolti nell’incidente, fummo direttamente portati all’ospedale.
Mi ritrovai sdraiata sul lettino della mia camera, tutta intatta. O quasi. Qualche gamba rotta e qualcosa alle braccia, ma niente di irrecuperabile –almeno era quello che mi avevano detto.
Altre quindici stanze erano occupate dai miei amici. Non potevo alzarmi e andare a salutarli. Non potevo vederli. Non potevo fare niente. Ormai ero incollata a letto, immobilizzata.
Allora, cosa potevo fare? Rimanere lì ad aspettare che le mie ferite guarissero.
I miei genitori mi portavano delle rose da mettere sul comodino, per aspettare il tempo che scorreva lento o semplicemente per farmi compagnia.
Ogni istante che passava osservavo quella rosa e quei petali che appassivano e cadevano.
Ero nella stanza numero 652. Il primo che guarì e che se ne andò fu Joe, della stanza numero 670. Successivamente Noah, Reid, Mark, Peter, David, Helen.. e così via.
Mentre tutti quanti guarivano e sembravano dare segni di miglioramento, io rimanevo ferma. Non peggioravo, non miglioravo. E quando anche l’ultimo dei miei amici se ne andò, capii che per me non c’era molto da fare. Dovevo accettarlo.
Avevo visto tutti i miei compagni di viaggio e di incidente guarire prima di me e andarsene, mentre io rimanevo lì, come se fossi merce scaduta, dimenticata.
Non c’è molto da aggiungere.
Continuai così per poco ancora. Una mattina smisi di provarci, mi fermai e con la mia anima, si fermò anche il mio cuore.
Sono stata chiusa in una scatola e messa in un ripostiglio in soli 45 giorni. Ho visto i miei amici guarire e andarsene senza di me.
Ma ora sono in un altro posto.
Me ne sono andata senza di loro.
  
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