Serie TV > The Mentalist
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Autore: Nikki Cvetik    13/02/2013    3 recensioni
"-Lei come ci riesce?
-A fare cosa?
-Ad essere così luminosa." Da Il secondo dei tre Spiriti.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A/N: Ed eccoci arrivati al capitolo due, nel quale finalmente cominciamo a conoscere gli Spiriti. C'è da dire che, a differenza di Leroi Johnson, la cui persona è totalmente frutto della mia fantasia, questo sia un personaggio molto reale, anche se non abbiamo mai (e sottolineo mai) avuto l'occasione di vedere interpretato. Ciò nonostante, dubito che impiegherete più di qualche secondo a riconoscerla. Inoltre, volevo sottolineare un piccolo punto, che nella scorsa nota ho dimenticato di inserire: questa storia, come potete leggere è OOC. Certo, non perchè sia totalmente travolta, ma perchè vedrete i protagonisti in situazioni inusuali. Questa fic, così come il racconto originale di Charles, è una allegoria. Il suo obiettivo è spingere i protagonisti a fronteggiare forze assolutamente straordinarie. Ovviamente, le reazioni a queste sono del tutto particolari e, sottolineo, difficilmente le potrete vedere nella serie vera e propria. Ciò detto, ho solo un piccolo avviso da darvi, stavolta: qui finiscono i capitoli completamente corretti, perciò dovrete aspettare qualche giorno prima di una nuova pubblicazione. Se dovessi riuscire a trovare del tempo per completare la revisione almeno del terzo capitolo, potete essere sicuri che sarà pubblicato al più presto. Tuttavia, dubito che questa storia potrà avere un decorso regolare fino a mercoledì/giovedì della settimana prossima, quando finirò gli esami di questa sessione. Ribadisco ancora una volta il mio invito a venirci a trovare e, se il link non vi fosse d'aiuto, potete contattarmi su i messaggi privati. Inoltre, sarei felice di sapere il vostro parere. Basta un "Ehi, va bene continua così" oppure un "Cancellala, e va a zappare l'orto". Detto ciò *e me super-gongolante per il nuovo promo* alla prossima.

Nikki C. (T.U.W.)

 

STROFA SECONDA

 
 
Il primo dei tre spiriti

It's gonna take more than a hand to turn this thing around.
Do you need a little relief?
Rescue!
Set me free!

BattleBorn –The Killers

 

Jane venne svegliato dagli scricchiolii del vecchio edificio. Strinse il proprio corpo per preservare il calore del sonno, inutilmente. La sottile coperta che lo avvolgeva poteva ben poco contro il freddo penetrante della notte. Aprì gli occhi impastati dalle lacrime, cercando di lavar via gli ultimi brandelli di sonno dal corpo.
Con sua enorme sorpresa, si accorse che il paesaggio fuori dalla finestra era ancora avvolto dal buio. Ancora o…già. Jane conosceva abbastanza bene il suo corpo da sapere quante ore dovesse aver dormito. E di certo non le poche a separare mezzanotte dall’alba.
Si alzò dal letto, scorgendo la città fuori dai vetri appannati. In quel momento, le campane di una chiesa lontana stavano suonando dodici rintocchi. Jane si catapultò lontano dalla finestra, impaurito non tanto dal fatto di aver dormito per un giorno intero, bensì dalle parole che lo Spirito gli aveva riservato la notte precedente. Tornò a letto, portandosi nuovamente le coperte fin sopra alla testa.
Confortato dalla –seppur scarsa- protezione offertagli dalla coperta, cominciò a riflettere sulla sua situazione.
Più rifletteva e più era perplesso; e più si sforzava di non riflettere, più rifletteva. Lo spettro di Leroi continuava a torturarlo. Ogni volta, dopo matura riflessione, decideva fra sé e sé che era stato tutto un sogno; ma la sua mente tornava sempre al punto di partenza, come una grossa molla lasciata andare, e gli sottoponeva sempre lo stesso problema. E’ stato un sogno…o no?
Jane era rimasto sotto le coperte per tutto il tempo, tremante all’attesa dei prossimi rintocchi. Ma l’ultimo quarto d’ora fu il peggiore dei quattro. L’anticipazione lo stava facendo impazzire, tanto da portarlo a desiderare che il tempo accelerasse. Che succedesse qualsiasi cosa! Ma che lo facesse in fretta!
Finalmente la lista dei secondi che lo separavano dall’una stava svanendo e, infine, sentì di nuovo i rintocchi della campana.
-Ecco l’una! E non è successo nulla!
Aveva parlato prima che battesse l'ora, ciò che avvenne ora, con un unico colpo profondo, cupo, cavernoso, malinconico. In quello stesso istante una luce inondò la stanza e le coperte del suo letto vennero scostate.
Pian piano dalla porta, come se seguisse una qualche sacra processione, entrò una donna minuta. Il suo volto non aveva età; sarebbe potuto esser quello di una bambina o di un’anziana, quello di una ragazzina o di una donna matura. Il corpo era piccolo, ma Jane non riusciva a capire se per costituzione o età.
A dare qualche indizio sulla sua età, c’erano però i capelli. Soffici, le ricadevano lunghi sulle spalle, abboccolati morbidamente fino alla curva della schiena. I suoi piedi erano nudi, candidi come se fossero stati fatti di marzapane, così come le braccia scoperte.
Indossava una tunica del bianco più puro, e intorno alla vita era legata una cintura lucente, che luccicava in modo stupendo. Teneva in mano un ramoscello di agrifoglio, fresco e verde, e il suo vestito, in strana contraddizione con quell'emblema dell'inverno, era adorno di fiori estivi.
Sopra la nuvola scura dei suoi capelli, era posata una corona fatta di cera, e sopra ogni curva era accesa una piccola fiammella luminosa. Ma nessuna di queste poteva essere comparata con i suoi occhi, la cui luce sembrava illuminare l’intera stanza e il mondo fuori dalla finestra. Jane rimase senza parole davanti al calore materno che questi sembravano irradiare, scaldandolo in fondo al cuore.
Lo Spirito spostò la testa da un lato, posando la mano libera dall’agrifoglio sul cuore. I suoi capelli sfioraravano gli avambracci, mostrando un delicato contrasto. Aprì la bocca come per parlare, ma la richiuse subito dopo, abbassando gli occhi luminosi.
Jane comprese che era il suo momento di parlare e che lo Spettro non stesse aspettando altro se la sua domanda.
-Siete voi, signora, lo Spirito del quale m'era stata preannunciata la venuta?
-Sono io.
La voce era dolce, gentile. Singolarmente tenue, come se invece di essergli accanto vicinissimo, lo Spirito si fosse trovato lontano.
-Chi e cosa siete?
-Sono lo Spettro del Natale Passato.
Le labbra dello Spirito si curvarono in un dolce sorriso, ancora una volta richiedendo la sua domanda.
-Di quale Passato stai parlando, Spettro?
-Il tuo, e quello di chi con te sta convivendo il lungo viaggio verso il riposo eterno. Questo poiché tu conosca il vero.
-Io conosco la verità di molti, Spettro. Perché dunque sono destinato ad accompagnarti nel tuo errare?
-Perché l’uomo cerca solo quello di cui conosce l’esistenza, e ciò di cui non conosca l’esistenza, lui non lo cerca. Eppure la conoscenza umana non è ragione né necessaria né sufficiente all’esistenza di qualcosa. Perciò io sono qui: per mostrarti ciò che esiste senza che tu sappia e, una volta saputo, assicurarmi che tu lo comprenda.
-Spirito, perché mi parli con parole oscure?
-La luce presto ti sarà concessa, Anima Cieca. Allora comprenderai.
Lo Spirito allungò le candide dita verso di lui e Jane notò che le punte erano leggermente macchiate di sangue.
-Spirito, le tue dita stanno stillando sangue. Permettimi di ripagare la tua benevolenza asciugandole.
-Le mie mani ne sono macchiate, ma questo sangue non è il mio. Tuttavia, solo la mia persona è degna di portarlo. Bada bene e rammenta la tonalità. I miei fratelli te ne mostreranno la fonte e molto altro. Ora alzati e vieni con me.
Con due lunghe e leggere falcate, lo Spirito raggiunse la finestra dell’attico e la oltrepassò giungendo sulla piccola terrazza adiacente. Salì, dunque, sul cornicione e guardò in basso. La città sembrava assopita, e non una luce o un rumore di anima viva rimbombava tra i vicoli.
Lo Spirito porse a Jane la mano macchiata di sangue, in segno di seguirla. All’inizio l’uomo si allontanò di un passo, riluttante. A differenza dello Spirito, lui sarebbe caduto tre piani più sotto, morendo. Ma subito dopo, pensando agli straordinari eventi di questa e della notte precedente, si convinse che seguire le indicazioni di quell’Anima non gli avrebbe portato alcun danno.
Strinse le dita a quelle della Donna e, con questa, si librò leggero nel cielo notturno, oltrepassando la città e la vallata. In lontananza, alcune luci sembravano brillare da dietro una collina, formando una sottile linea luminosa. Appena oltrepassato l’altopiano, si ritrovarono davanti una scena festosa. Un circo enorme e colorato sembrava illuminare l’intera radura a giorno. Un chiasso festoso e familiare alle orecchie di Jane, riportò nella sua mente antichi ricordi.
Lo Spettro si posò sull’entrata, e Jane quasi dovette trattenersi dall’entrare di corsa in quella allegra marmaglia e andare a salutare i suoi amici.
-Riconosci questo posto?
-Oh, mio Dio! Certo che lo riconosco! Era il circo in cui lavoravo con mio padre.
Jane si girò verso lo Spettro che ora, illuminato dalle luci dei mortali, dava mostra del suo vero aspetto. Così, alla vista del volto della sua compagna, Jane dovette quasi reggersi allo steccato per non crollare svenuto. E, se ciò non fosse stato già di per sé terribilmente agghiacciante, ancora più sconvolgente era il fatto che lui mai, nella sua vita, avesse visto quella donna. Ma i suoi tratti, la sua espressione erano così singolari e inconfondibili, che l’uomo sentì mancare la terra sotto le gambe.
-Hai finalmente compreso chi sono, non è vero, Patrick Jane?
-Come non potrei, Spirito? I tuoi tratti sono sempre nella mia mente. Impressi, come se un fuoco li avesse ricamati.
-Come quelli di chi con me li condivide, o sbaglio? Con l’unica differenza, che con me hai potuto attuare solo una mera speculazione. Hai sempre avuto solo un’idea. Diversamente…
-Taci, Spirito! Le tue parole sono divenute veleno!
-Tu taci, Anima Peccatrice! Perché queste parole sarebbero potute essere un balsamo, se tu soltanto l’avessi voluto!
Gli occhi densi di rabbia dello Spirito e il repentino cambiamento della sua voce lo spinsero ad appiattirsi contro lo steccato. I ricordi erano già fin troppo dolorosi. Quel rimprovero era come una mano ruvida su una ferita aperta.
Jane abbassò gli occhi, in preda alla più profonda vergogna. Non c’erano scuse per lui, di nessun genere. In quel momento, la sua persona era spoglia, senza più difese davanti allo Spettro. Aveva perso la traccia dei luoghi dove poter nascondersi, e adesso ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze.
Come improvvisamente la rabbia aveva preso possesso dello Spirito, così immediatamente si allontanò. Ciò nonostante, un’ombra era rimasta nei suoi occhi, oscurandone la luce. E così sarebbe stato per tutto il loro cammino.
-Non mi fraintendere, Patrick Jane. Questa è e rimane la maggiore delle tue colpe. Ma a me è data la conoscenza delle cose che ti verranno mostrate, e non è riservato a me il compito della pena. Inoltre, il mio cuore trema davanti all’impervio sentiero che ti sarà mostrato, e io non posso assolutamente rovinare questa strada, che per te è ancora destinata ad essere dolce. Perciò prometto che non avrai più da me parole di rimprovero. Sai che ne avrei il diritto. Un diritto ben più imponente di quello delle mie sorelle.
-Sono consapevole del fatto che i miei peccati non mi permetterebbero di incrociare il tuo sguardo.
-Seguimi, adesso, abbiamo perso già fin troppo tempo.
Lo Spettro si mosse all’interno del circo, camminando sicura tra i tendoni e le roulottes. Jane, invece, cercava di nascondersi dietro qualsiasi cosa per non farsi vedere dai circensi.
-Cosa stai combinando?
-Mi nascondo da loro, non trovi? Molti di loro non sarebbero felici di vedermi.
-Queste sono soltanto ombre delle cose che sono state. Non si accorgono affatto di noi.
Jane osservò le persone attorno a lui, accorgendosi che il viso di molti non era ancora rigato dalle rughe che avrebbe imparato a conoscere.
-Questo…questo è il mio passato, non è vero?
Lo Spettro scostò l’entrata di una delle tende, rivelando il calore e la luminosità dell’interno. La musica era alta e un grande gruppo di bambini stava ballando assieme ai genitori. A quel punto Jane sentì gli occhi pizzicare, e sembrò non riuscire a liberarsi dal nodo che gli aveva serrato la gola.
-Loro…loro erano i figli degli altri circensi…li conosco tutti. Hanno la mia età, adesso. Vedi quella che sta facendo la ruota? E’ Johan Rutherford, la figlia dei domatori dei leoni. E quello sulla sedia con la chitarra in mano? Oh, era il sogno di tutte le ragazze. Si chiamava Fred Lloyd e conosceva tutte le canzoni dei Beatles e…no, non posso crederci! Lui era il cugino di Sasha Anderson, una delle equilibriste. Mi ricordo che lo prendevano tutti in giro perché il suo cognome era Bunny…cioè lui si chiamava Anthony Bunny...e non è un nome molto felice se ti trovi circondato da pesti come queste. Ma in una cosa lui era bravissimo: conosceva un sacco di storie. Ricordo le serate davanti al fuoco e lui che ci raccontava di donzelle in pericolo, di pirati e filibustieri, di strani animali e posti esotici e…be’, era bello se eri un bambino costretto a lavorare dall’età di due anni senza ricevere il più che minimo apprezzamento.
In quel momento lo sguardo di Jane sembrò oscurarsi. Non erano dei bei ricordi. La pressione immensa, un senso del dovere troppo grande per un bambino così piccolo. Era una cosa che non avrebbe augurato a nessuna persona.
-E’ stato un periodo difficilissimo. Ogni giorno sarei voluto scappare ed andare lontano…avrei voluto…avrei voluto…
La sua voce si spezzò sulle ultime parole. In un angolo, seduto rannicchiato e lontano da tutta quella festività, c’era un bambino di tre o quattro anni. Aveva un lungo graffio su una guancia e le piccole braccia erano coperte di lividi. Gli occhi verde chiaro erano circondati da un alone rosso scuro.
-Non posso pensare che un uomo possa far fare cose del genere al proprio figlio. Non…non è naturale. Un bambino dovrebbe essere felice e vivere questi anni in maniera gioiosa. Io non ho avuto quasi niente di tutto questo.
Il bambino sembrava sull’orlo di una nuova crisi di pianto e Jane stava per seguirlo a breve. Ma a un tratto, da dietro un angolo, entrò nella scena una bambina, tutta trotterellante nel suo nuovo vestito di velluto verde. Entrambi gli adulti sorrisero a quella vista, e quando la bambina cominciò a correre in direzione del bambino, Jane si sentì bagnare dalla testa ai piedi da una calda cascata di tenerezza.
-Patrick, che cosa ci fai qui?
La voce della bimba era festosa e allegra, nonostante una leggera nota malinconica la incrinasse.
-Non posso farmi vedere così. Sono pieno di lividi. Tutti rideranno di me!
La bambina sembrò riflettere per qualche secondo e, un attimo dopo, il suo volto venne illuminato da una luce furbetta.
-Ho avuto un’idea, tu aspettami qui.
Il piccolo tornado si catapultò fuori dalla tenda, tornando qualche secondo dopo con un oggetto stretto in grembo.
-L’ho rubato a mamma. Shhhhhh…non dire nulla a nessuno. L’ho vista mentre se lo metteva sulla cicatrice che le ha lasciato Betty e dopo non si vedeva nulla.
La bambina prese un po’ di fondotinta da dentro il contenitore, stendendolo sul volto dell’amichetto con le sue piccole dita sottili. Neanche un minuto dopo, il bambino sembrava guarito e in perfetta salute.
-Grazie, Ang. Sei la mia migliore amica.
E il bambino diede un bacio sulla guancia della bambina, che arrossì furiosamente.
Jane sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Lo Spettro si era accorto del suo volto nascosto tra le mani, imbarazzato dalle calde lacrime che stavano scorrendo sulle guance. Ebbe bisogno di qualche secondo per ricomporsi e, quando tornò a parlare, la sua voce era profonda e bassa, riscaldata dalle lacrime.
-E’ stato il più bel Natale della mia infanzia, perché era stata lei a regalarmelo. E, una volta sposati, lei mi raccontò che quell’anno ricevette un regalo stupendo. Il mio primo bacio.
I due restarono ancora per un po’ a guardare i bambini ballare felici sopra le note di quelle musiche natalizie. Ma a un tratto, lo Spettro prese la sua mano.
-E’ già ora di andare?
-E’ tardi e ci sono ancora tante cose che devo mostrarti.
Jane si girò a dare un’ultima occhiata all’interno della tenda e poi si avviò verso l’esterno, lasciando che il freddo della notte asciugasse le sue ultime lacrime.

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-Spettro, dove siamo? Non conosco questa città.
Disse Jane, stringendosi nella giacca sottile per ripararsi dallo gelido vento di dicembre.
-Non sei mai stato qui prima d’ora, Patrick Jane. Ma conosci la città.
Jane alzò gli occhi al cielo, scrutando lo skyline nel cielo notturno. Girò con la testa a destra e a manca, finché i suoi occhi  non incontrarono una silhouette a lui nota.
-Ma…ma quella è la Sears Tower…Siamo a Chicago?
Gli occhi dello Spettro parvero ritrovare una nuova luce, immersi in quell’ambiente famigliare. A un tratto Jane comprese  chi sarebbe stata la prossima persona che avrebbero visitato.
-No, Spettro. Ti supplico…non farmi vedere queste cose…non voglio…
-Non avere timore, Patrick Jane. Il dolore non popolerà questo ricordo. E’ una promessa.
Jane cominciò a tremare ancora più forte, per il freddo e per la paura. Temeva di dover vedere uno spettacolo a cui non avrebbe retto. Uno spettacolo di cui era a conoscenza, ma che non era stato altro che una chimera, un mito. Qualcosa di dimenticato tanto tempo fa. Ma adesso? Se avesse visto quelle cose con i suoi occhi…
Davvero, non sapeva quale sarebbe stata la sua reazione.
Lo Spettro lo stava conducendo lungo le strade e i vicoli deserti, con la sicurezza di chi conosce la strada di casa e gli ostacoli che troverà lungo il cammino. I suoi passi lo condussero ad una piccola costruzione addobbata per le feste. Era sicuramente vecchia e forse necessitava di qualche riparazione sulle grondaie, ma si ergeva ancora maestosa in tutta la sua dignità.
Le luci all’interno erano accese e un caldo sentore di biscotti allo zenzero si spargeva fino dall’inizio del viale. All’esterno c’erano solo poche luci, ma appese in punti specifici per far risplendere la casa. Sul portone era appesa la classica ghirlanda rossa con le bacche, e alcune foglie di vischio dondolavano dal porticato.
Lo sguardo dello Spirito si riempì di tenerezza e orgoglio e, porgendogli una mano, lo condusse su per le scale, davanti alla finestra del salone. La stanza era in penombra, ma potevano distinguersi quattro figurine, tutte di età diverse, attorno a un albero decorato con palline di carta coperte di brillantini e popcorn. Gli occhi di Jane cercarono subito uno dei componenti della famiglia, trovandolo dietro ai tre fratelli più piccoli.
Una Teresa Lisbon di non più di quattordici anni stava aiutando il suo fratellino a scartare il proprio regalo di Natale. James, di soli due anni, sembrava però più interessato a uno dei nastri in cui era incartato il pacco. Quando finalmente il regalo venne svelato, la stanza si riempì dei cinguettii gioiosi del più piccolo della famiglia. Anche Teresa sorrise alla gioia del bambino, aiutandolo a prendere possesso del suo nuovo e fiammante tir giocattolo.
-Matty, ora tocca a te.
Disse la ragazza, stendendo al suo fratellino un altro dei pacchetti. Questo era più regolare del primo, e più sottile. Il giovane uomo strappò via la carta regalo, rivelando una enorme scatola di latta dall’aspetto piuttosto costoso, piena di pastelli colorati.
Matty si portò una mano alla bocca aperta dallo stupore. Poi spostò lo guardo sulla sorella e le si buttò al collo, stringendola forte.
-Graziegraziegraziegrazie!! Era proprio quello che volevo. Sei la migliore sorellona del mondo.
Sotto l’albero erano rimasti ancora due pacchetti, e l’ultimo rimasto della combriccola guardò la sorella, tacitamente chiedendole il permesso di poterlo aprire. Teresa annuì, con ancora addosso la piccola peste che aveva deciso di usare il suo braccio a mo’ di autostrada.
Il regalo non era altro che una busta con alcuni fogli all’interno, ma Tommy la stava tenendo tra le mani come se fosse fatto d’oro. La aprì , tirando fuori il contenuto. Lesse i fogli, mentre il suo volto cominciava a dare qualche segno di cedimento al pianto.
-Non può essere…avevi detto che…
-So quello che avevo detto. Ma ho fatto qualche sabato in più e alla fine sono riuscita a trovare i soldi anche per questo.
-Ma Reese, questo vuol dire che…
-…Che quest’anno hai il permesso di andare in campeggio con la scuola. So che ci tenevi tantissimo.
Il piccolo Tommy ormai stava piangendo come una fontana, mentre i fratelli, troppo presi dai propri regali, sembravano catapultati in un altro mondo. Anche lui, come loro, si diresse dalla sorella, che aveva lasciato il piccolo James sul tappeto, per abbracciarla.
-Ti voglio tanto bene, sorellona. Tanto, tanto bene.
-Lo so piccolo, anche io ti voglio tanto bene. Ora porta questi due teppisti in cucina, la cena è quasi pronta.
I tre lasciarono la stanza. Nel salone era rimasta solamente lei e, per un attimo, il suo sguardo venne catturato dall’albero.
Si alzò, prendendo tra le mani l’unico globo di vetro colorato, appeso sulla sommità come una reliquia. Una di queste lasciò l’addobbo per posarsi sulla maglia, vicino al cuore, dove Jane sapeva essere appesa una piccola croce.
-Scusa mamma. Non sono riuscita a salvare le ultime palline dalla furia i quei tre. Non sei arrabbiata, vero? Ti prometto che l’anno prossimo lavorerò di più e le ricomprerò tutte quante. Ma non potevo dire loro di no. Non quest’anno. Ne hanno bisogno. Hanno già rinunciato a tante cose e sono ancora così piccoli. E io non ce la faccio a dar loro altro, se non questo. Aiutaci mamma, e proteggici.
Detto questo, la ragazza si abbassò a prendere l’ultimo pacchetto, ma invece di aprirlo, si diresse verso il divano. Jane non si era accorto della figura indistinta allungata tra i cuscini. A quella vista, sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
-Dimmi, Spettro, cosa c’è nel regalo che Teresa tiene tra le mani. Di sicuro è da parte dei suoi fratelli. Allora perché non lo scarta?
Il volto dello Spettro si riempì di dolore.
-Spirito…
-Guarda tu stesso la risposta.
Teresa stava realmente scartando il regalo. Dentro la carta natalizia, era avvolta una piccola cornice con una fotografia indistinta ma, invece di tenerla per sé, la giovane donna la posò sotto il braccio del padre.
-Cosa c’è in quella foto, Spirito?
-Un’immagine di loro quattro. Un’immagine felice.
-Perché ha messo il proprio regalo sotto il braccio del padre?
Lo Spettro sembrò ancora più triste di pochi momenti prima.
-Quel regalo non è suo. E’ del padre. Ogni anno, Teresa ha sempre fatto un regalo per i piccoli e uno per il padre.
-Ma sotto l’albero adesso non c’è più n…
Jane si portò una mano alla bocca, una volta metabolizzata la notizia. Sotto l’albero, il pavimento era vuoto.
-Nessun regalo per la piccola Teresa.
Pronunciò duro, lo Spettro. Il cuore dell’uomo si spaccò in mille pezzi. La sua migliore amica aveva assicurato un Buon Natale per la sua famiglia, tutti i membri della sua famiglia, ma non per sé. Quell’anno non ci sarebbe stato nessuno a fare regali a quella ragazza cresciuta così in fretta.
-E io…io le ho detto quella cosa orribile oggi pomeriggio...non…non ne avevo idea. Ecco perché mi ha guardato in maniera così strana.
-Dall’incidente, non c’è stato nessuno a farle regali. Poi ha conosciuto quella che sembrava essere la sua nuova famiglia. Ed è stata felice, Patrick Jane. Così felice. Poi tu hai fatto quello che hai fatto. Per lei è stato come rivivere tutto una seconda volta.
Jane posò una mano sul vetro gelido della finestra, non desiderando altro se non correre dentro, e stringere tra le braccia quella figurina minuscola. Passare le mani tra i suoi corti capelli e asciugare le lacrime dalle sue guance scarne. Sussurrarle dolci parole alle orecchie per calmarla. Avrebbe voluto essere suo padre e poterle regalare il mondo intero.
Invece l’uomo era immobile sul divano, assopito. Teresa si abbassò, tirando i capelli dietro le orecchie perché non disturbassero il suo sonno, e gli diede un bacio sulla guancia.
-Buon Natale, papà.
E lasciò la stanza nel buio, spegnando la luce. 
Jane non aveva il coraggio di parlare. Non aveva neppure il coraggio di alzare gli occhi sulla sua Compagna. Rimase a guardare la stanza scura senza dire una sola parola.
-Adesso comprendi ciò che ti dissi all’inizio del nostro viaggio? Lei non ha mai raccontato a nessuno di questi giorni, ma adesso sei in grado di vedere cos’è successo.
-Io…io…non lo sapevo.
-Ti sei mai preoccupato di scoprirlo?
Jane alzò gli occhi allo Spirito, malinconico, accorgendosi della verità delle sue parole. Non si era importato di tante cose in questi anni. Prima tra tutti quella stupenda donna che aveva al suo fianco. Avrebbe voluto che nella sua coscienza ci fosse il sollievo di averla trattata diversamente da quell’uomo allungato sul divano. Ma adesso stava scoprendo che quell’uomo disteso e addormentato sarebbe potuto essere lui.
-Io non voglio essere come lui. Per lei io non voglio essere come lui.
-Allora perché la stai trattando allo stesso modo? Perché eviti il suo affetto?
-Perché…perché….
Tutte le sue sicurezze stavano svanendo a quella domanda. Ormai evitarla, ingannarla, tradire la sua fiducia erano diventate azioni quasi naturali. Non si stava più accorgendo del male che le stava causando.
-Non osare riempirmi di bugie. Come il fatto che se le rivolgessi un sorriso sarebbe il nuovo obiettivo di Red John o che hai paura di avvicinarla perché chiunque si avvicini a te fa una brutta fine. Lei è l’obiettivo di Red John ormai da anni, non puoi evitarlo. Ma la cosa peggiore, è che non è lui la persona di cui dovrebbe aver più paura, ma te. Lei è in grado di lottare contro Red John. Ma contro di te? Non ti sei reso conto che si sta martirizzando per permetterti di continuare la tua ricerca, seppur lo ritenga sbagliato, nonostante sappia quale sarà il finale? Perché tu lo sai, Patrick Jane, come andrà a finire, non è vero? Tu non hai intenzione di sopravvivere a Red John, è per questo che la tua vita è una totale carogna! Ti nascondi dietro al tuo dolore, credendo che renda giustificabile quello che causi agli altri!
Jane chinò ancora di più la testa, come se si aspettasse che lo pettro tirasse fuori una verga e lo frustasse sulla nuca.
-Avevi…avevi detto che non avresti avuto più parole di rimprovero verso di me.
-Si promettono tante cose, Patrick Jane, ma davvero poche si mantengono. Tu di certo non sei tra quelli che hanno mantenuto le proprie promesse. Avevi giurato di proteggerla, tanto tempo fa, e l’hai abbandonata. Avevi giurato che lei avrebbe potuto avere fiducia in te. E non hai fatto altro che mentirle e metterla nei guai per anni.
A quel punto Jane cadde in ginocchio come la sera precedente, in preda ai singhiozzi. Aveva ragione Leroi. Credeva che i pesi attaccati al suo corpo fossero ben più leggeri di quelli che in realtà stava scoprendo. Voleva scappare. Ma come poteva scappare dai suoi stessi peccati?
-Mi mostri queste cose, quelle di cui ancora non ho colpa e già sento il peso mortale del dolore. Come può esserci sollievo quando dovrò affrontare le mie mancanze?
-Non ce ne sarà. Questo viaggio è perché tu veda la tua miseria e la miseria che hai causato.
-Ho paura, Spettro, e il dolore mi lascia immobile.
-Dobbiamo muoverci, adesso. C’è ancora una cosa che devo mostrarti.
Jane si tirò indietro, terrorizzato. Quale sarebbe stata la prossima meta? Quale nuovo dolore l’avrebbe atteso?
-No, Spettro, non mostrarmi null’altro. Te ne prego.
-Non avrai sollievo restando qui. Soltanto freddo e neve.
La mano della donna si avvicinò di nuovo a lui. La prese, tremante, pregando il suo cuore di essere forte.

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Un’ambientazione familiare li accolse. Erano di nuovo al CBI, ma Jane non riusciva a ricordare questo giorno.
-Dimmi, Spettro, questo è un Natale di tanti anni fa? Quando io ancora non lavoravo in questo edificio?
-No, Patrick Jane. Questo Natale è più vicino di quanto pensi.
-Ma io ho partecipato a tutti i Natali da quando sono al CBI.
-Non tutti, Patrick Jane, non tutti.
L’uomo non capiva a cosa si riferisse lo Spettro fin quando non si accorse del calendario su quella che doveva essere la scrivania di Rigsby. Dicembre 2011. A quel punto comprese le parole dello Spirito. Quello doveva essere il Natale precedente, quello che aveva speso solo a Las Vegas.
Non riusciva però a capire perché fosse lì. Era un Natale che non aveva condiviso con la squadra. Si trovava lontano chilometri, eppure lo Spirito voleva che assistesse a qualcosa accaduta quella sera.
-Spettro, perché siamo qui?
Dall’ufficio di Lisbon si alzò una risata gioiosa. Jane non poteva vedere l’interno, ma non aveva riconosciuto la risata come quella di Lisbon. Era troppo…acuta, ecco.
La porta si aprì e due bambini uscirono dalla stanza, ognuno portando un piccolo pacchettino verso il grande albero  nell’atrio. Al CBI era una tradizione ricorrente. Tutti potevano mettere i propri regali sotto l’albero e, al ritorno dalle vacanze, aprirli. C’erano persino scommesse su chi avrebbe avuto più regali.
-Olivia! Christian! Non correte lungo i corridoi, rischiate di scivolare.
-Ma ziaaaaaaaaaaaaaaa! Papà ha detto che potevamo farti arrabbiare quanto volevamo.
Risposero in coro le due pesti. Jane vide Lisbon sorridere e alzare bonariamente gli occhi al cielo.
-Sì, ma papà ha anche sarebbe stato felice di trovarvi tutti interi quando sarebbe venuto a prendervi. Niente dolce per i bimbi cattivi che fanno arrabbiare le zie.
-NOOOOOOO!
Risposero i piccoli, di nuovo in coro. Lisbon rise, abbassandosi a dare un bacio sulla fronte ad entrambi.
-Adesso mettiamo i regali sulla pila come bravi bambini, ok? E se farete un bel lavoro avrete anche due orsetti gommosi come premio.
I due si guardarono l’un l’altro sorridendo, trotterellando accanto alla zia in direzione dell’ingresso. Chris aveva in mano un pacchetto dall’inconfondibile forma di libro. Aprì il biglietto cercando di leggere l’interno.
-Questo è per…Cho. E’ quel signore che non ride mai, vero?
-No, Chris. Lui è il signore che ride solo quando è necessario.
-Quindi tu l’hai visto ridere?
-Certo!
-Wooooooooooow.
Disse il piccolo, come se la zia gli avesse appena detto di aver visto uno yeti. Dietro di loro, la piccola Liv stava cercando di articolare qualche nome particolarmente astruso. L’impresa era resa ancor più difficile dai lunghi capelli scuri, che un refolo di vento le stava spostando sul viso.
 -Rhiggg…Ristp…Ript…
-Ti aiuto io. Questo è per…Rigsby.
-Rig-sby. Ha un cognome parecchio strano questo qui!
-Anche tu hai dato al tuo gatto un nome strano.
-Asdrolabe non è un nome strano.
-Lo è.
Risposero in coro, stavolta, il fratello e la zia.
-Questo è per…Grace.
-La signora bella con i capelli rossi?
Chiese Liv con occhi sognanti. La zia alzò di nuovo gli occhi al cielo, forse pensando al perverso amore della nipote nei confronti della collega.
-Sì, Liv , proprio lei.
-Cosa le hai regalato, zia?
-E’ un segreto…
-Ma io sono piccola, con me i segreti non valgono.
-Un segreto è sempre un segreto.
Tagliò corto Lisbon. Restava ancora un pacco nelle mani di Chris, che lo stava girando e rigirando in maniera interrogativa.
-Cosa c’è, tesoro?
-Niente. Solo che c’è scritto che questo regalo è di una certa Jane. E’ una tua nuova amichetta, zia?
Lisbon sorrise, anche se in maniera un po’ malinconica. Andò vicino al nipote, sedendosi sui talloni. Il piccolo Chris le porse il regalo, che lei rigirò tra le mani, prima di parlare.
-No, piccolo, non è una mia nuova amica. Jane è il cognome di quello stregone di cui ti ho parlato…
-Quello che ti fa tanto arrabbiare?
-Sì, piccolo, quello che mi fa tanto arrabbiare.
-Allora perché hai comprato un regalo allo stregone?
-Io…
Lisbon sembrò colta in fallo, a quella domanda. Per tutto il tempo, Jane le era rimasto accanto, quasi se fosse impossibile stare più lontano di qualche metro da lei.
-…vedi, piccolo, questo mio amico è uno stregone che da tanti anni sta combattendo con un troll malvagio e cattivo. Adesso è tanto lontano, sta combattendo ed è tutto solo. Io ho voluto fargli questo regalo, così potrò darglielo quando tornerà dalla guerra.
-Allora è uno stregone buono!
Concluse il piccolo, strappando dalle mani il regalo e mettendolo in cima alla pila.
-Sì, tesoro, lui è uno stregone buono.
Rispose, più a se stessa che al nipote. Jane era incredulo, sorpreso da tutto quell’affetto. Si mise davanti a Lisbon, che non si era mossa, esattamente come Chris pochi attimi prima. Allungò una mano per sfiorarle una guancia, ma le sue dita passarono attraverso quella che sembrava essere solo aria.  Lisbon parve destarsi dai suoi pensieri e, insieme ai due gemelli si allontanò in direzione della porta.
Nel grande atrio rimasero solo Jane e lo Spettro e, a un tratto, tutte le luci si spensero attorno a loro. Rimasero soltanto quelle della corona a far strada verso l’attico. Giunti lì, Jane si sedette sul materasso, esausto dopo tutti quegli avvenimenti.
-Spettro, tutto quello che oggi mi hai fatto vedere è stato sorprendente. Ho paura dei tuoi fratelli. Dimmi, cosa mi attende la prossima notte?
-Avrai la visita della mia sorella. Ti avverto, Patrick Jane. Non sottovalutare la sua tenera natura, e porta sempre in mente il suo compito.
Jane annuì. Lo spirito si portò una mano alla corona, spegnendo una ad una tutte le candele. Quando solo l’ultima rimase accesa, pronunciò il suo saluto.
-Addio, Patrick Jane.
-Addio Spirito.
E la stanza fu nuovamente avvolta dall’oscurità.
 

-Fine Strofa Seconda-

 

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