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Autore: ShioriKitsune    13/02/2013    10 recensioni
«In un certo senso, ed in un modo strano e contorto, lui mi ha salvato. Ed io gli sarò sempre grato per questo».
[SebxCiel]
E' la mia prima fan fiction sul mondo di Anime e Manga, spero che vi piaccia. Questa storia è ambientata dopo l'ultima puntata dell'Anime (il manga è ancora in fase di lettura v.v) e inizia raccontando la paura di Ciel riguardo al distacco del suo maggiordomo. E poi, in un crescendo di suspance, si scoprirà quanto Ciel sia stato infantile nel suo giudizio.
Spero davvero che possa essere di vostro gradimento :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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“Traditore”.
Avevo letto quella parola nello sguardo limpido di Ciel Phantomhive, quello sguardo che per me non aveva mai avuto segreti. Quello sguardo che, in quel momento, esprimeva tutto il disprezzo che provava per me. Ma oltre al disprezzo c’era il dolore, il dolore dell’abbandono. Un dolore che io avevo giurato non gli avrei mai inflitto.
“Mi dispiace, bocchan, ma non potevo fare altrimenti”.
Spalancai la grande porta ad arco spingendola con entrambe le mani. Occhiatacce da parte di demoni inferiori mi arrivavano da ogni lato e non potevo far niente per rimetterli al loro posto.
Ormai all’inferno avevo perso il mio rispettoso grado: ero un reietto, una nullità, nessuno si prendeva la briga di rivolgersi a me come doveva. Ma, a dirla tutta, m’importava ben poco di loro: ero sempre uno dei più potenti, e se qualcuno si fosse messo sulla mia strada o avesse osato mancarmi di rispetto in maniera diretta, gli avrei strappato il cuore dal petto senza pensarci due volte.
“Traditore”.
Chi avevo tradito? Il mio padrone o me stesso? La sua razza o la mia? Era quasi difficile trovare risposta a domande come quella.
Avevo perso me stesso, non sapevo più chi ero.
E la cosa non mi disturbava affatto.
«Sebastian, sei arrivato».
Serrai la mascella, arricciando il naso. Sebastian era il nome che il bocchan mi aveva affibbiato, e  non gradivo che venisse usato anche in quel mondo da un essere tanto rivoltante.
Quel nome era stato l’inizio della redenzione.
«Voleva vedermi?».
Il demone davanti a me, nella sua forma naturale, si chiamava Alaister. Era uno dei pezzi grossi, quelli a capo della gerarchia. In altri tempi, io sarei stato quasi al suo livello. Le sue iridi cangianti si fissarono su di me, sulla mia forma. «Conservi ancora la forma umana, nonostante il contratto sia ormai rotto?».
Affilai lo sguardo.
«Ho ancora delle faccende da sbrigare che richiedono me in questa forma. Ma ora bando alle ciance, e passiamo al motivo per cui sono qui».
La sua risata echeggiò tra le pareti, mentre tutto intorno a noi si zittiva. «Vai di fretta, demone? Vuoi tornare a corteggiare qualche anima per poi fartela rubare da sotto al naso?». Schioccò la lingua. «Sai benissimo perché ti ho convocato».
Rimasi in silenzio, in attesa.
«Stai tramando qualcosa.. lo so, ti conosco. Qualcosa riguardante la tua anima pura. Dimmi cosa».
«Ciel Phantomhive non è più un’anima pura. È un demone minore, e non mi riguarda più».
Alaister si strofinò il mento con le unghie lunghe e affilate dipinte di nero. «Ah no? Allora perché mi è giunta voce che stai cercando.. una scappatoia?».
Divenni di pietra. «Una scappatoia?».
«Sì. Per far tornare il moccioso umano. Sarebbe bello, vero? Ottenere finalmente la ricompensa dopo il duro lavoro di servo che hai svolto».
Mi permisi di ridere, fermandomi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. «Sa meglio di me che è una cosa impossibile: nessun demone può diventare umano».
Si fermò un attimo, ma quando ricominciò a parlare sembrava sapesse benissimo cosa stesse dicendo. «Nemmeno uno che in precedenza lo era?».
Sgranai gli occhi.
«Sai, Sebastian, è da un po’ che ti osservo. Ti ho visto fare ricerche, informarti, parlare con altri demoni: nessuno ha saputo darti una risposta. Alois Trancy ha generato qualcosa che mai prima d’ora era esistito: un semidemone. Una nuova razza, qualcosa di davvero interessante. Caratteristiche umane, pregi demoniaci, il tutto alimentato da odio e sete di vendetta, sentimenti tipici dell’essere mortale. Non trovi che sia un mix perfetto e appetitoso? Ho già l’acquolina in bocca».
Serrai i pugni.
«Ma, date le caratteristiche da demone, il povero Ciel Phantomhive non possiede più la sua anima: eppure questa esiste ancora, in un posto che noi chiamiamo comunemente limbo. E, ovviamente, non è accessibile a nessuno. Se non..».
No, non poteva saperlo. Non poteva davvero aver scoperto tutto in così poco tempo.
«..ad un particolare tipo di Shinigami».
Fissò lo sguardo nel mio, ghignando. Aveva capito che ribollivo di rabbia, odio e rancore: tipiche emozioni umane che non avrei dovuto provare. Ma la vicinanza prolungata con le anime aveva questo effetto, sui demoni..
Alaister si alzò, avvicinandosi a me. «E così è questo il tuo obiettivo, Sebastian? Recuperare l’anima del tuo padrone e farlo tornare umano? Beh», mormorò, con un tono che cresceva d’intensità poco a poco. «Non posso permettertelo, lo capisci? Questo bambino.. questo bambino deve essere mio. E deve essere mio così com’è. Non ti permetterò di commettere un errore del genere».
Feci un passo avanti, pronto a battermi se necessario.
Ciel Phantomhive apparteneva a me. A me e a nessun altro.
«Mi dispiace Alaister, ma nessuno toccherà quel bambino se non il sottoscritto, così come da contratto».
«Sciocchezze», sentenziò lui. «Il contratto è rotto e sei stato proprio tu a fare in modo che ciò accadesse. Non puoi più avvalorarti nessun diritto su quell’anima».
Questa volta fui io a ridere, mentre le iridi rosse si trasformavano lentamente in quelle cangianti tipiche da demone.  «Ah, ma davvero?». Mi sfilai i guanti da maggiordomo, gettandoli sul pavimento. «Eppure pensavo che il grande capo Alaister sapesse che rompere un contratto senza cibarsi di un’anima è praticamente..». Alzai la mano, in modo che potesse vederla bene.
«..impossibile».
Il segno del contratto era lì, tatuato sulla mia pelle in modo indelebile. Ciò che era successo prima con Ciel era servito solo a fargli credere che io lo avessi tradito. Svolgere quell’incarico davanti a lui, cercare di recuperare la sua anima mettendolo a conoscenza di tutto, sarebbe stato come puntarsi un cartello luminoso addosso, e avrebbe finito solo col metterlo in pericolo. Il marchio nel suo occhio era invisibile ma continuava ad esserci, era stato Undertaker a dirmi come fare.
Ciel doveva credere che io non fossi più assoggettato a lui, doveva credere di essere solo. In quel modo avrei potuto occuparmi della sua anima senza distrazioni e, una volta trovata, sarei tornato ad essere il suo maggiordomo. E, alla fine, la sua anima sarebbe stata mia.
O forse no”.
Scacciai quella voce dalla testa. 
Alaister era ancora lì, immobile, come se non si aspettasse un risvolto del genere. Poi, proprio quando pensavo di essere tornato un passo avanti a lui, il suo sorriso diabolico si allargò. «Allora vuol dire che romperemo il contratto in un altro modo, magari uccidendo il demone che lo ha stipulato».
Digrignai i denti. Avrei dovuto aspettarmi una mossa del genere: in fondo, la mia razza non era di certo conosciuta per il senso di lealtà e fratellanza.
Riuscii a tirarmi indietro prima che la lama della sua arma mi trafiggesse. Ma tornò all’attacco prima di quanto mi aspettassi, in un susseguirsi di affondi che riuscii a scansare con rapidità.
Fino a quando i miei avversari non divennero tre.
Mi guardai intorno, cercando un modo per sopravvivere, ma ero circondato.
Serrai la mascella, dandomi già per spacciato,  quando Alaister fermò le spade che stavano per trafiggermi. «Aspettate, non così velocemente. Portatelo nella camera delle torture».

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All’improvviso, un dolore mi colpii in pieno petto. Come se mi stessero trafiggendo, puntando la lama con tanta forza fino a raschiare le ossa, lacerando i muscoli. Fui costretto a rannicchiarmi su me stesso, contorcendomi a causa dell’acuto e bruciante dolore. Strappai via la camicia da notte, Osservandomi il petto: nessun segno di ferita lo marchiava, era come se tutto stesse accadendo sottopelle. Afferrai un lembo del lenzuolo tra i denti, urlando di dolore.
Che diavolo succede? Chi è il responsabile?”.
Le fitte continuarono ad espandersi, arrivando secche sulle spalle come segni di frusta. Dovetti contorcermi all’indietro in modo anormale per cercare di attutire gli spasmi, ma non servì a nulla.
«Padroncino, padroncino!».
Mey-Rin, seguita dagli altri due, entrò in camera allarmata. Non indossava gli occhiali e stringeva un fucile tra le mani: aveva udito le mie urla e, giustamente, si era preparata al peggio. Ma, quando si accorse della situazione, il suo sguardo divenne più attento. «Padroncino, cosa succede? Cos’ha?».
Ma non riuscivo neanche a parlare.
«Se.. Sebas.. Seb-».
Il suo nome. Era il suo nome l’unica cosa che riusciva a venir fuori dalle mie labbra secche e lacerate. Avevo bisogno del suo aiuto, ma sapevo che non sarebbe arrivato.
Lui non era mio, non più.
Riaprii gli occhi di scatto, mentre una lacrima mi rigava la guancia. Finnian mi fissò, spaventato, puntandomi un dito contro. «Padroncino, cos’ha nell’occhio?».
Voltai la testa di scatto.
Cosa?
Il dolore terminò, bloccandosi improvvisamente. Mi presi qualche attimo per controllarmi, ma non c’era traccia di ferite. Dopodiché, volai allo specchio.
Il mio occhio era limpido, azzurro. Non c’era niente.
Guardai Finnian severo, come se la colpa fosse sua. Cos’aveva visto nel mio occhio? Cosa credeva di aver visto?
«Sto bene. Fuori, tutti fuori». I tre rimasero lì, fermi. Forse erano perfino preoccupati per me. Mi voltai di scatto, urlando. «Via!».
Dopo un ulteriore attimo di titubanza, i servitori andarono via chiudendosi la porta alle spalle.
Ricaddi a letto, il respiro affannato e la fronte madida di sudore, la camicia da notte lacerata e il ricordo del dolore disumano che avevo appena provato.
Ma non ci rimisi molto a prendere sonno.
Ricordo di aver pronunciato qualcosa, prima di abbandonarmi alla stanchezza.
Un nome, un flebile sussurro.
«Sebastian».

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Ero appeso per i polsi e per le caviglie, stanco ormai perfino di lottare. La mia schiena ed il mio petto erano lacerati, scheggiati da armi diaboliche e acqua santa. Quelle ferite probabilmente non sarebbero mai guarite.
Chiusi gli occhi, nella speranza che il dolore finisse, fin quando non sentii un richiamo nella mia testa.
Ciel mi stava evocando, aveva bisogno di me.
Istintivamente rialzai il volto, sgranando gli occhi e urlando. «Liberatemi o giuro che vi ammazzerò tutti, dal primo all’ultimo, in modi che neanche riuscite a immaginare. Non potete sapere quanto sia fantasiosa la mente di un demone infuriato!».
Ma non ci fu risposta.
Mi agitai, sforzandomi con tutto me stesso di rompere quelle catene.
Cosa stava succedendo al bocchan? Chi gli stava facendo del male?
Poi ricordai che, anche se non fossi stato incatenato, non sarei potuto andare ad aiutarlo. Lui doveva continuare a credere di essere solo, per il suo bene.
Se la sarebbe cavata, era forte.
Doveva esserlo.
Un rumore attirò la mia attenzione, costringendomi a voltare la testa dall’altro lato. Era un meccanismo estremamente familiare, un ronzio che avevo udito in più di un’occasione.
E quando la figura in rosso fece il suo trionfale ingresso nella stanza, collegai.
«Grell Sutcliff, che diamine ci fai qui?».
Sbuffò. «È questo il modo di accogliere il cavaliere che ti salverà?».
Spalancai appena gli occhi. «Non dirmi che hai fatto fuori tutti i demoni presenti».
«Beh, no. Non mi andava di perdere tempo. Oh, ma sei a petto nudo! O, Sebas-chan, sei così hot! Mi ecciti nonostante tutti questi brutti segni sul torace. Se ne andranno, vero? Non ti donano e avrò paura di farti male quando finalmente ti deciderai a conceder-».
«Zitto e liberami. Come sei riuscito ad  entrare?».
Grell azionò la sua falce a motosega per rompere le catene, poi si sistemò gli occhiali. «Ti ricordo che sono uno Shinigami, posso andare praticamente ovunque».
Esitai. «Anche nel limbo?».
Il rosso mi rivolse una strana occhiata. «No, quello no. Ma ho fatto qualche ricerca al posto tuo. T’interessa così tanto ritrovare l’anima di quel marmocchio? Non credo che lui saprebbe soddisfarti come potrei fare io».
«Sei disgustoso, smettila», borbottai, massaggiandomi i polsi e recuperando ciò che era rimasto dei miei abiti. La camicia, per fortuna, era ancora intatta. Sporca, ma intatta. Me ne sarei procurato un’altra al più presto.
«Ma che razza di demone sei, con un senso del pudore così noioso?».
Ridacchiai, Grell non mi conosceva affatto.
«Andiamo adesso, usciamo di qui prima che arrivi qualcun altro».
Ma qualcosa mi costrinse a bloccarmi. La voce del bocchan mi stava invocando di nuovo, ma in modo diverso rispetto a prima. Qualcosa mi portò a pensare che stesse sognando.
Sorrisi appena, seguendo Grell fuori dalle celle mentre una frase – un giuramento – prendeva forma nella mia testa.
Bocchan, la aiuterò a tornare umano.
Glielo prometto.




TO BE CONTINUED:

Sì, lo so che prima aggiornavo più spesso, ma adesso proprio non ci riesco, troppe cose da fare, ma non abbandonerò la storia, tranquilli u_u
Che dire, scrivere questo capitolo mi è piaciuto un sacco, finalmente molte cose sono state rivelate (spero che cambierete giudizi sul povero Sebas-chan :'D) e la storia inizia a prendere forma.
Spero davvero che il capitolo sia valso l'attesa!
Alla prossima, e recensite se vi va, mi farebbe piacere! :)

   
 
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