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Autore: dreamrauhl    13/02/2013    2 recensioni
"L'unica cosa che sapevo era che volevo solo il meglio per me. E il meglio era lei."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

In coma? Cosa?
Le lacrime iniziarono a rigare il volto fuori dal mio controllo.
No, non è possibile. Christian è vivo e vegeto, sta bene e questo è solo un incubo.
Mi diedi un pizzicotto, conficcando le unghie nella pelle. Lasciai dei segni rossi su di essa, graffi talmente profondi che fecero uscire sangue.
Justin...
Entrambi si avvicinarono a me.
Non è possibile, no
Justin...
Tentavano di calmarmi ma gli risultava difficile. Troppo difficile.
Justin calmati!” mi urlò Ryan.
No! Io non mi calmo! Lasciatemi stare!
Girai i tacchi e me ne andai. Lontano da loro. Lontano dalle brutte notizie. Lontano dalla merda che era diventata la mia vita.
Vagai senza meta per una buona mezz'ora, finché non raggiunsi la stazione. Un'orda di gente gironzolava con le valigie in mano, altre si abbracciavano col sorriso stampato in volto, altre ancora si salutavano fra le lacrime.
Amavo le stazioni, il ricongiungersi e l'allontanarsi nello stesso edificio. Mi era sempre piaciuta quella contrapposizione di emozioni, quell'incontro di caratteri, quegli abbracci caldi ed altri gelidi, quelle parole sussurrate all'orecchio, i baci d'addio, quelli che sapevano solo di promesse e di “ritorna”.
Eppure ora mi sentivo fuori luogo, sentivo di odiare quel posto che avevo sempre amato.

Lì fu l'ultima volta che vidi mio padre. Ero piccolo, avevo solo dieci anni. Chiesi alla mamma “ma papà torna?” e lei non mi rispose. Papà non è più tornato, mi ha lasciato crescere da solo con la mamma.
È stato un vigliacco. Promisi a me stesso che non sarei diventato come lui. Promisi che se mai avessi avuto un figlio, gli avrei dato tutto l'amore che avevo in corpo perché merita di crescere con un padre e una madre accanto.
Tante volte ho chiesto a mia madre di lui, non ha mai voluto raccontarmi niente. So solo il suo nome, Jeremy. Mi ricordo poco di lui, in fondo non stava mai a casa, era sempre in giro per lavoro. Prima a Dubai, poi in Europa, poi in Sudafrica. A casa non c'era mai.
Avrei desiderato sapere perché se n'era andato, se l'aveva voluto proprio lui, se era stato costretto... ma non ebbi il tempo di chiedergli nulla. E mia madre sembrava del tutto contraria a rivelarmi di più su di lui.

Le lacrime non avevano cessato un istante di rigarmi il volto, camminavo trascinando le gambe all'esterno del grande edificio attraversando la strada senza guardare a destra e a sinistra e facendo lo slalom fra i taxi parcheggiati all'esterno e schivando poi i passanti sul marciapiede.
Volti vuoti, occhi spenti, labbra serrate, tutto ciò che riuscivo a vedere era il dolore. Non solo dentro me, ovunque. Sembrava fossi circondato dal buio, nonostante il sole che splendeva nel cielo prossimo a tramontare.
Non notavo i sorrisi abbaglianti, inciampavo nelle lacrime ricacciate dentro per paura e debolezza, m'immedesimavo nei loro occhi, immaginavo le loro storie, i traumi e i dolori sofferti.
Fui preso da un attacco di egoismo, “loro non sanno la merda che sto passando io, questo non è niente in confronto a quello che provo io”.

Entrai dall'ingresso principale della stazione, attraversando in diagonale l'edificio ed uscendo dal retro.
Una dozzina di treni aspettavano sulle rotaie che i passeggeri salissero a bordo per poi partire. Migliaia di persone attendevano sulle sedie blu e scomode, tutte attaccate fra loro, leggendo un giornale o raccontandosi qualche barzelletta per ingannare l'attesa.

Risalii il tratto di rotaie all'esterno, quello dove non c'erano treni, dalla parte in cui sarebbero arrivati a breve almeno due treni.
Mi sedetti sul muretto, attento che nessuno mi vedesse.
Con la mano mi asciugai le lacrime che sembravano scorrere come un fiume in piena, mi bagnarono la manica della maglia fino a scendere lungo il collo e bagnarmi tutto.
Appoggiai i gomiti sulle ginocchia sorreggendomi il capo.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che tutto ciò stava accadendo a me.
Prima avevo una vita perfetta, ero invidiato da tutti perché ero circondato da buoni amici, avevo una ragazza meravigliosa e mia madre mi era sempre stata accanto. Ora invece tutto ciò sembrava essersi trasformato.
Ero diventato colui che non avrei mai voluto diventare.

Diedi un'occhiata all'orologio. Erano passate due ore da quando me n'ero andato dal parco e tre da quando ero uscito di casa.
Mi balenò in testa il pensiero che qualcuno a casa avrebbe potuto preoccuparsi per me, ma lo cacciai subito perché ero convinto che sarebbe stato meglio per chiunque se non avessi messo mai più piede in quella cittadina in cui abitavo da diciotto anni.

Desideravo avere risposte, da Jenny e da Christian.
Lei non mi voleva parlare, Christian era in coma.
Non sapevo nemmeno cosa gli fosse successo, preso dalla rabbia nei miei confronti per averlo trascurato non avevo nemmeno pensato di informarmi chiedendo spiegazioni a Ryan e Chaz.

Appoggiai la testa al muro alla mia destra.
La testa mi pulsava da quanto avevo pianto, gli occhi erano rossi e gonfi. Diedi un'altra occhiata all'orologio: nove e un quarto, iniziava a fare buio.
Sentii un rumore provenire da lontano e il semaforo che distava pochi metri da me diventare rosso.
Stava arrivando un treno. Ora o mai più.
Mi alzai in piedi sorreggendomi sulle mani e facendomi forza, più il treno si avvicinava più mi sentivo pronto a saltare e a farla finita.
Il telefono continuava a vibrarmi in tasca, non mi curai nemmeno di leggere il mittente. Lo lasciai cadere a terra dove cadde rompendosi e sparpagliando i pezzi.
Il rumore del treno si faceva sempre più forte e vicino.
Ora la faccio finita”.
Il treno distava meno di un metro da me quando mi voltai di schiena e mi lasciai scivolare all'indietro.

  
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