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Autore: Ammimajus    13/02/2013    3 recensioni
Zayn strinse tra le dita il collo della sua bottiglia di birra. Non ricordava quante ne aveva già scolate, al bar. Non ricordava nulla, in quel frangente.
Solo Charlotte.
Charlotte e i suoi occhi.
Charlotte e il suo sorriso.
Charlotte e i suoi capelli.
C’era troppo di Charlotte attorno a lui.
Storia ispirata alla canzone "Ragazzo solo, ragazza sola", versione italiana del singolo "Space Oddity" di David Bowie, con un testo in lingua italiana, scritto da Mogol nel 1969.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Zayn Malik camminava a passo malfermo per le strade buie dei sobborghi di Londra, le gambe che si rincorrevano in una danza di sussulti e sbandamenti. Chiunque, nel vedere quella figura instabile che girovagava senza meta nella notte, avrebbe capito che non era sobrio. E, difatti, la bottiglia di birra che teneva in mano non lasciava presagire niente di buono. 
Zayn rideva rivolgendo gli occhi vuoti alla luna, ma, dentro il suo cuore, si era insinuato il più temibile dei demoni. 
Andava canticchiando una canzone il cui testo, in quella situazione, gli appariva soltanto come la più banale delle composizioni. 
 
“La mia mente ha preso il volo,
un pensiero, uno solo.
Io cammino mentre dorme la città”
 
Quelle parole gli fluttuavano nella testa come sospinte da un uragano, venivano pronunciate solo per forza d’abitudine. Lo stato d’ebbrezza svuotava quelle lettere, contenitori di migliaia di mondi, impedendo ai versi di parlare davvero. E invece avrebbero voluto urlare, quelle parole, avrebbero voluto intimare a Zayn di smettere di gettare in quel modo gli anni leggiadri della sua gioventù, di finirla con il tramutare la sua vita nella più contorta spirale di orrore. 
Il ragazzo, nel vano tentativo di sorreggere il suo corpo instabile,  si appoggiò a un palo della luce, una delle tante lucciole che costeggiavano le strade di Londra. Al centro, quei lampioni erano perfettamente funzionanti, ma se ci si muoveva verso la periferia, ci si poteva accorgere di quanto il degrado fosse incombente semplicemente guardando quei lampioni, la maggior parte dei quali erano fulminati e privati della loro primaria eleganza. 
Zayn pensò che era così che andava la vita: era come una lunga passeggiata per le strade di Londra. Il centro, il culmine, era un’esplosione di eleganza e colori, ma, camminando, ci si imbatteva in vicoli bui e lampioni fulminati, in zone d’ombra solitarie e in baracche fatiscenti. 
Fatiscenti.
“Fatiscenti come la mia vita” si disse Zayn, colto da un improvviso moto di consapevolezza. 
Si sedette a terra, sulla pietra rorida del marciapiede. Un brivido gli risalì la schiena, facendolo sussultare. Abbandonò il capo contro il portone di una casupola che si affacciava su quella strada. O meglio, su quel vicolo. 
La luce mancava completamente e Zayn poteva distinguere i contorni di ciò che lo circondava solo strizzando gli occhi, grazie alla luce fioca che perveniva, invece, dalla strada principale, su cui il vicolo si affacciava. 
Zayn lasciò che il buio facesse vagare la sua mente tra i ricordi melanconici di quella che era stata la sua vita fino a qualche mese prima. 
Un sorriso baluginò davanti ai suoi occhi come una saetta nel cielo plumbeo di una tempesta. Capelli biondi, serici, che sospinti dal vento avvolgevano le sue membra in strette volute di confusione e nostalgia. Vita stretta, fianchi profondamente pronunciati e un paio di gambe sempre in movimento. Poi l’intera figura di Charlotte gli si delineò nella mente, avvolta da luce iridescente, nella più mirabile e onirica delle visioni. 
E Zayn sentiva ancora le labbra che pulsavano al suon dei baci che Charlotte gli scoccava alla mattina, per svegliarlo dal sonno profondo in cui cadeva ogni notte. 
Gli sembrava di percepire ancora, a volte, le mani di lei che si muovevano sicure sulla sua schiena, animando brividi che gli risalivano fino alla nuca, come le zampette veloci di piccoli ragni. 
“E ora dov’è Charlotte?” pensò Zayn. Si muoveva ancora in punta di piedi tra i suoi pensieri, ma dove passava il resto del suo tempo? 
Il giovane si chiese se avesse trovato il suo posto in paradiso, Charlotte. Ma poi, in fin dei conti, c’era davvero un paradiso da trovare?
Non riusciva ad immaginare quanto dovesse essere terribile il mondo dell’oltretomba. 
La morte di Charlotte aveva portato con sé profondi interrogativi a cui nessun uomo poteva rispondere e che divoravano Zayn, piccolo e minuto nei suoi dubbi. 
Era rimasto schiacciato dalla dipartita di una ragazza che aveva amato intensamente, con la quale aveva condiviso un rapporto simbiotico. Da allora ogni gioia gli era stata strappata via con violenza, ogni sorriso era sempre ammaccato da un indelebile velo di tristezza, ogni sguardo era il riflesso della pura sofferenza. 
Zayn strinse tra le dita il collo della sua bottiglia di birra. Non ricordava quante ne aveva già scolate, al bar. Non ricordava nulla, in quel frangente. 
Solo Charlotte. 
Charlotte e i suoi occhi. 
Charlotte e il suo sorriso. 
Charlotte e i suoi capelli. 
C’era troppo di Charlotte attorno a lui. E voleva spegnere il farneticare perenne del suo cervello. Così, senza rifletterci più di tanto, sollevando la bottiglia, ne frantumò il vetro di cui era costituita rompendosela sulla testa. 
  
***  
 
Liv si addentrò nel vicolo sul quale si affacciava casa sua senza badare troppo a ciò che c’era davanti a lei. Stava frugando nella sua borsa nel disperato tentativo di trovare un mazzo di chiavi. Eppure era sicura di averle messe in qualche tasca, prima di andare in discoteca. Forse mentre serviva bevande dietro il bancone qualcuno le aveva rubate. Ma a quale scopo, poi? La sua casa era talmente misera che a nessuno sarebbe mai venuto in mentre di farvi irruzione e rubare qualcosa. In ogni caso, non c’era proprio nulla da rubare. 
Poi, tastando ogni singolo punto della finta pelle di cui era fatta la borsa, trovò un rigonfiamento bitorzoluto all’altezza di una delle tasche e, finalmente, ne cavò fuori il mazzo di chiavi. 
Alzò lo sguardo  verso quella che doveva essere casa sua e invece fu attratta da un gemito sussurrato che veniva dal basso. 
“Ma che diavolo…?” commentò, basita. 
A terra, davanti al portone di casa sua, giaceva il corpo di un ragazzo semisvenuto e, accanto, una bottiglia di birra ormai in pezzi. 
Liv non sapeva che età dargli. Dall’acconciatura sbarazzina si sarebbe detto che il ragazzo fosse ancora un adolescente, ma c’era qualcosa nel modo in cui la carcassa era adagiata sul legno fradicio del portone, che gli conferiva una mestizia inaudita, una vecchiezza insidiata nell’animo come un morbo allo stadio più grave. 
La fronte del giovane era screziata da tagli più o meno profondi che correvano sulla pelle come i percorsi contorti delle gare automobilistiche. Un rivolo di sangue scendeva lungo la palpebra sinistra sino a macchiare lo zigomo pronunciato. 
Liv notò che il ragazzo apriva e chiudeva la bocca in movimenti lenti e apatici. Avvicinò la conchiglia dell’orecchio alle sue labbra per cercare di catturare e distinguere quei sussurri silenziosi. 
Ci mise qualche istante a capire ciò che quelle labbra stavano dicendo. Erano parole, versi, intere frasi di una canzone. Una canzone che lei conosceva bene, se non alla perfezione. 
 
“I suoi occhi nella notte
Fanali bianchi nella notte
Una voce che mi parla chi sarà?”
 
 
Liv sorrise. Suo padre le cantava sempre quel brano. “David Bowie” le diceva “David Bowie è il più grande artista di tutti i tempi”.
Che strano gioco del destino, quello di unire due sconosciuti tramite una semplicissima canzone. 
“Ehi…” sussurrò Liv, rivolta al ragazzo. “Ehi, ubriacone!” insistette, scuotendolo con forza, dato che lui non aveva risposto. 
Zayn levò le palpebre pian piano, quasi spaventato da ciò che avrebbe potuto vedere. La testa gli girava e aveva la bocca talmente impastata che difficilmente sarebbe riuscito a dire qualcosa. Vide soltanto un verde intenso che gli ballava davanti agli occhi in chiazze confuse e cercò di richiamare a mente il nome della sostanza che lo aveva fatto sballare. 
“Chi sei?” chiese una voce lontana. Era rauca e profonda, ma apparteneva chiaramente ad una donna. Almeno qualche particolare Zayn riusciva ancora a  coglierlo. 
Mormorò il suo nome con la bocca piena di saliva. Lo fece tre volte, prima di riuscire a scandire meglio le parole. 
“Beh, Zayn, io sono Liv” bisbigliò la voce. Le parole gli martellavano in testa confusamente, colpendo più e più volte i timpani come la punta di uno scalpello. 
Non capì bene ciò che successe dopo: la voce tornò a parlare, ma questa volta componeva frasi più lunghe e complesse, che l’udito stordito di Zayn non riusciva a comprendere. 
Chinò il capo in segno d’assenso ad una domanda di Liv, sperando che quel gesto bastasse a farla tacere. 
 
***
 
Gli occhi di Zayn si aprirono a fatica nella prepotente luce del giorno. La mente sembrava essere stata schiacciata da un corteo di carri armati: fitte lancinanti, infatti, gli annebbiavano la vista e gli intorpidivano i muscoli. 
Quando finalmente fu in grado di gettare un’occhiata al posto in cui si trovava, non lo riconobbe minimamente: non aveva mai visto quelle tendine arancioni tirate per far filtrare la luce del sole, né le la porta scardinata che dava sul piccolissimo cucinino, né le pareti bianche del minuscolo soggiorno sul cui divano era disteso. 
“Ti sei svegliato” constatò una voce rauca dietro di lui. 
Zayn si voltò di scatto e si pentì subito di quel movimento repentino, che gli incendiò di dolore i muscoli del collo. 
Rivolse uno sguardo interrogativo alla ragazza che si trovava davanti a lui. Aveva i capelli castani raccolti in una semplice coda di cavallo, e la sua tenuta da notte era costituita da una canottiera viola di microfibra e da un paio di boxer maschili neri, usati come pantaloncini. “Nel caso in cui non ti ricordassi il mio nome, sappi che io sono Liv, la tua salvatrice.” intervenne lei, offrendogli una mano. 
Zayn la strinse, mentre esaminava ancora la sua espressione allegra e spensierata, iniezione di energia in quella giornata offuscata dalla stanchezza. “Credo di essermi perso qualcosa” farfugliò. 
“Ieri sera eri ubriaco fradicio” gli spiegò Liv, dirigendosi verso l’angusto cucinino. La vide armeggiare tra i ripiani di una credenza decrepita ed estrarne un pentolino. “Ti eri rotto una bottiglia in fronte”.
Mentre Liv riempiva di latte il pentolino, Zayn si porto le mani sulla fronte. Sulla parte sinistra c’era un enorme cerotto che arrivava a coprire persino la tempia. “Dovevo essere proprio andato con il cervello.” commentò, sbuffando. 
Non ricordava nulla, nemmeno il più piccolo dei particolari, riguardo alla notte precedente. 
Liv stava cercando di accendere il fornello su cui scaldare il latte, quando iniziò a canticchiare una melodia. 
 
“Dimmi ragazzo solo dove vai,
Perche' tanto dolore?
Hai perduto senza dubbio un grande amore
Ma di amori e' tutta piena la città”
 
 
Zayn sussultò, un brivido gli fece accapponare la pelle. Non aveva mai cantato quella canzone, non dopo la morte di Charlotte. Quella era la loro canzone. Chi era Liv per poter prendere quelle parole e farle proprie?
“La cantavi ieri” disse lei, quasi avesse potuto disfare la matassa intricata di pensieri che affollava la mente di Zayn. 
Il ragazzo impallidì, sentì chiaramente il sangue venir meno e smettere di fluire nelle vene per qualche attimo. La notte precedente aveva infranto il patto che aveva reso silenzioso quel brano per quattro interminabili mesi. Qualcosa dentro di lui si ruppe: qualche catena si spezzò, ma qualche altra si strinse ancora di più attorno al suo povero cuore. “Tu come conosci quella canzone?” chiese a Liv, scuotendo la testa nel vano tentativo di distrarre la mente. 
Lei portava in mano un vassoio, con due grosse tazze da latte e un barattolo pieno di cacao sopra. Gli sorrise mestamente. “Mio padre era un grande estimatore di David Bowie, e questa era la sua canzone preferita. Me la cantava sempre, almeno finché non è morto.”
Zayn restò pietrificato, i muscoli incollati al tessuto maleodorante del divano. C’era una sorta di filo rosso che lo univa a Liv. David Bowie. E la Morte. 
“Allora, ragazzo solo, vuoi dirmi dove stavi andando, ieri?” chiese la ragazza. Non era curiosa, non stava cercando di indagare spudoratamente. Stava dando voce ad una domanda innocente, perché anche lei aveva capito che qualcosa li univa. 
Zayn scosse la testa. Non aveva voglia di parlare. Non in quel momento. 
Eppure iniziò a cantare. 
 
“No ragazza sola, no no no
Stavolta sei in errore
Non ho perso solamente un grande amore
Ieri sera ho perso tutto con lei.
 
Ma lei
I colori della vita
Dei cieli blu
Una come lei non la troverò mai più”
 
Non era stato Zayn a cantare. Qualcosa aveva mosso la sua bocca. Forse era stato il filo rosso, che aveva agito da burattinaio. O forse era stata Charlotte, o il padre di Liv, o qualunque altra persona morta tra i versi di quella canzone. 
“Vorrai mangiare” intervenne Liv, interrompendo la pazza corsa dei suoi pensieri. “Ti vanno dei biscotti, oltre al latte?”
Zayn disse di sì chinando il capo e, per la prima volta da quella mattina, si alzò dal divano e si sedette proprio di fronte a Liv, ad un piccolo tavolino dal legno scrostato. 
Gli occhi verdi di lei lo scrutarono per qualche secondo e fecero emergere segreti latenti nei più profondi meandri del suo cuore. E lui ricordava di aver già visto quel verde un’altra volta, in chiazze volteggianti ed indefinite. 
Fu proprio quel particolare che pizzicò la sua fiducia e lo invogliò a raccontare di Charlotte, dei suoi occhi blu e dei suoi capelli biondi e setosi, ingollando biscotti e aggiungendo cacao per macchiare il candore del latte. 
E in quel momento, la solitudine, spezzata in due corpi diversi, si unì per far dono della compagnia. 
 
“Ora ragazzo solo dove andrai
La notte è un grande mare
Se ti serve la mia mano per nuotare…”


Angolo autrice. 
Salve, pipol!
Vi avevo promesso una OS su Liam, lo so, lo so. 
Ma l'altra notte canticchiavo questa canzone di David Bowie
e la mia mente malata ha partorito la storia che avete appena letto. 
So che è una cosa totalmente folle, ma spero che vi sia piaciuta. 
Che ne pensate di recensire?
Pleaseeee. 

 
   
 
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