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Autore: Jack_Chinaski    13/02/2013    1 recensioni
Cosa vuol dire essere uomo? Cosa vuol dire essere padre?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per un lungo periodo della mia vita, ho passato tutte le mattine a scrutarmi allo specchio, a cercare risposte nel mio viso  mentre meditavo su cosa vuol dire essere “uomo”.
Ero sinceramente convinto d’essermi perso una votazione sul suo significato e di non poter più rimediare.
A 14 anni mi han avvisato per la prima volta del rischio corso, del terribile bollo affibbiato dalla società a chi non è riconosciuto come “uomo”.
Ci penso mio padre ad aprirmi gli occhi, dicendomi di non continuare su quella strada, altrimenti non sarei mai divenuto un uomo.
Essendo giovane e avendo solo preso un’insufficienza in latrino, ero convinto di cavarmela.
Il dubbio e la riflessione specchio divennero rituale delle mie giornate negli anni a venire, anni tutto sommato tranquilli, fin quando non mi fidanzai con Margherita.
Tutto andò bene, per un po’, poi lei decise per entrambi che era arrivato il momento di desiderare cose.
Ovviamente, oltre ad essere tante, erano costose e questo voleva dire bisogno di denaro, il bisogno di uno dei due di trovarsi un lavoro. Ovviamente, quell’uno dei due ero io.
Mi sentivo troppo giovane per cominciare a lavorare seriamente, a bruciare ogni secondo, minuto della mia gioventù per accumulare soldi che avrei potuto spendere solo quando non lavoravo e cioè mai.
Mi lasciò, dopo avermi spiegato come non sarei mai stato nessuno e portato via tutta la dignità disponibile.
Non fu come mio padre, mi ci volle un po’ di tempo in più per riprendermi dallo sconforto.
Pensavo, per consolarmi, ai lori insulti, ai loro tentativi di farmi sentire un nulla, un reietto, come un qualcosa riguardante il futuro, non deciso e quindi arginabile.
C’era tempo, mi dicevo, gliela farai vedere, mi ripetevo, era tutta questione di volerlo e avrei ribaltato la situazione.
- Non hai le palle, non sei un vero uomo
Poi avvenne questo.
Mia moglie, la presunta donna della mia vita, aveva distrutto il fragile castello in aria su cui basava tutta la mia sicurezza usando il presente in una frase denigratoria.
Non era mai stata molto dolce, né sensibile, però era stata l’unica a volermi, forse avendo pensato di potermi cambiare, e non aveva mai preteso troppo.
Però l’avevo fatta arrabbiare molto stavolta, poteva passare su tutto ma metterla incinta era stata una pessima idea.
Così, Ornella, decise di mettere da parte per sempre la pazienza e di mostrarmi l’orrore.
Da me voleva il divorzio e del bambino voleva disfarsene, non essendo io contro l’aborto ero d’accordo ma non volevo separarmi da lei senza provare tutto.
I giorni seguenti furono un inferno, uso ogni piccola cosa, ogni piccolo segreto per ferirmi, per umiliarmi in maniera pubblica e plateale.
La sua teoria era una e semplice: Se arrivato ad una certa età, non hai un lavoro fisso, non hai una famiglia stabile e non hai un posto dove andare a dormire, con quale coraggio puoi farti chiamare “uomo”?
Ed ecco che c’eravamo tornati alla fine, ecco come tutti i puntini sparsi qua e là negli anni s’erano uniti in un disegno veramente osceno.
Nonostante mi ribellassi e urlassi a gran voce che mi sentivo ugualmente un uomo, nessuno sembrava volermi seguire in quella parsa a tutti come l’idea folle di un disturbato.
Alla fine l’opinione di mia moglie, e del suo avvocato, convinse pure il giudice e tutto fu siglato.
Ora, per legge, io non ero un uomo.
Non essendo pronto a fare un lavoro ingrato per quattro spicci, non essendo capace di ripetere le azioni di un toro da monta per mia moglie e non desiderando di possedere alcun bene, oltre il mio intelletto, ero decisamente fuori luogo nella società e per tanto ero gentilmente invitato ad uscire fuori.
Li  accontentai, intestai a Ornella la casa di proprietà dei miei come risarcimento di tutti gli assegni di mantenimento che non avrei pagato in futuro, e nel farlo mi venne da ridere, pensando alla profezia del mio vecchio. Fatto questo, decisi di darmi al vagabondaggio.
D’altronde, mi sembrava giusto a quel punto pensare un po’ anche a me.
Sapere com’ero considerato da tutti, aiutò la mia repentina discesa agli inferi, passai anni vuoti fatti di notti freddi sotto ponti umidi, risse con gli altri barboni e il consumo d’alcool, tanto alcool.
Fino ad oggi, ad una pioggia d’ Ottobre carica di gocce pronte a farmi da sveglia.
Quando ho aperto gli occhi, Ornella era lì, stava dicendo qualcosa sull’avermi cercato a lungo e non capivo perché, nonostante avesse l’ombrello, ci fosse così tanta pioggia pure sulle sue guance.
Mi ha portato a casa sua, ha lasciato i suoi asciugamani fuori dalla sua doccia e mi ha offerto un po’ del suo cibo per riscaldarmi. Tutto questo, in quella che era casa dei miei.
La collera stava prendendo possesso di me dopo questa scenetta, quando mi distrasse da essa cominciando a spiegarmi il perché di tutto ciò.
Il discorso fu piuttosto lungo e articolato, era su una bambina di nome Camilla e del suo cuore difettoso, doveva averlo lei stessa sentito da qualcun altro così tante volte da imparare degli spezzoni a memoria vista la quantità di termini tecnici, e arrivata alla sua conclusione cominciò a guardarmi in maniera speranzosa.
All’inizio, la cosa non mi era chiara. Poi mi guardai intorno, vidi qualche foto di questa bambina di cui mi parlava, di questa Camilla, e una concezione delle cose presa forma nella mia mente.
Non aveva abortito, alla fine aveva deciso di tenersi il bambino e io, io ero padre.
Evitai di chiedere ulteriori informazioni, mi scaraventai su di lei e le presi il collo fra le mani.
Lei mi pregava d’aspettare, d’ascoltarla e di cercare di capire le sue ragioni.
Io, invece, volevo che lei ascoltasse prima le mie e il miglior modo per fargliele sentire era proprio strangolarla. Cedetti e la liberai della presa, cade a terra e cominciò a parlare di un altro uomo, di un’altra vita e del desiderio di entrambi di non raccontare a Camilla quanto fosse pezzente e inutile il suo padre naturale. Proprio una bella storia.
Mentre le chiedevo perché fosse venuta da me solo a questo punto, fui folgorato da una risposta e la trovai così orribile e agghiacciante da essere veritiera.
Voleva il mio cuore.
Camilla, non poteva aspettare oltre e non c’era disponibilità immediata per un trapianto, però io ero pur sempre il padre e quindi quello col più probabile grado di compatibilità.
In fondo lei non m’aveva mai conosciuto e quindi non si sarebbe accorta della mia scomparsa, così come nessun altro poiché ero solo un povero barbone, poiché, per legge, non ero un uomo.
Mentre lei si rialzava, dopo aver finito la sua scorta di nefandezze, mi avvicinai al tavolo dove poco prima stavo mangiando, presi il coltello dal piatto e pensai di ucciderla lì per lì.
Lei era la madre, la compatibilità rimaneva la stessa e se io finivo in galera non era un problema, visto il mio non contare nulla. Però mi resi conto di come questo m’avrebbe impedito d’avere alcun contatto con mia figlia, la mia Camilla. Nascosi istintivamente il coltello in tasca e le dissi deciso di volerla vedere, di portarmi da lei.
Acconsentii e dopo poco ero davanti a questo letto così bianco e così complicato, con tutti quei tubi e attrezzature intorno ad esso.
Camilla, era lì, distesa nella sua culla e nei suoi sogni, ad aspettare di svegliarsi e vivere il resto della sua vita.
Ornella, disse al dottore che io ero suo padre e di informarmi su tutto, voleva proprio farmi capire come fossi la sua unica speranza. Il dottore ripete in gran parte il discorso di lei, aggiungendo le parole “zero” e “chance”. Non mi piaceva il pessimismo dentro quel camice bianco, però mi concentrai di più sul fatto che la mia piccolina non aveva possibilità.
Le presi la mano e gliel’accarezzai, d’altra parte, Ornella, mi sorrideva e mi ripeteva che non mi stava fregando, davvero ero la sua unica possibilità.
Fu veramente brutto quando il candido copriletto di Camilla si tinse di rosso, tutti si misero ad urlare e io speravo di non disturbare il sonno di lei.
M’ero ricordato del coltello, l’avevo tirato fuori e usato velocemente per recidere da parte a parte la gola di Ornella. Carotide e giugulare, poche possibilità di non uccidere.
Che stupida sei stata, Ornella. Io voglio salvare mia figlia, a ogni costo, ma credevi veramente che l’avrei lasciata a te e al tuo orrore? Credevi veramente di non rientrare nelle cose da cui salvarla?
Camilla, amore mio, spero veramente tu non sia già deviata, spero veramente tu possa innamorarti così tanto di qualcuno un giorno da non chiederti mai se è un uomo.
Alla fine di questa storia, sono profondamente convinto di ciò. Non so se sono un folle, né se sono un uomo, ma tagliare la gola ad Ornella e usare lo stesso coltello sulla mia per dare a Camilla due chance, fa di me un padre.
 
 
   
 
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